martedì 30 aprile 2013

Imparare a negoziare (2)

Come anticipato ieri, ecco il decalogo del perfetto negoziatore pubblicato dalla rivista "Il Dirigente".
  1. "Prepararsi, prepararsi, prepararsi: Abraham Lincoln diceva che per tagliare un albero dedicava l'80% del tempo ad affilare l'ascia. La preparazione per condurre una buona negoziazione è fondamentale.
  2. Definire obiettivi chiari: fissare un punto d'ingresso e un punto d'uscita, il minimo o il massimo sotto o sopra il quale non si è disposti ad andare.
  3. Informazioni: acquisire tutte le informazioni che aiutano a valutare il potere negoziale delle parti coivolte.
  4. Essere propositivi: i negoziatori conducono il gioco e mettono con la proposta il boccino nella parte del campo a loro più favorevole.
  5. Fare domande: per colmare informazioni mancanti, verificare ipotesi e chiarire dubbi.
  6. Pause: non è una maratona, quando necessario si deve prendere una pausa per riflettere, spiegando che riflettere è anche una forma di rispetto verso gli interlocutori. Un medico che vi desse una risposta affrettata che idea vi susciterebbe?
  7. Ascoltare: la legge paretiana applicata alla negoziazione, 80% ascolto e 20% parola.
  8. Do ut des: concedere sempre in cambio di qualcosa.
  9. Cambiare prospettiva: accettare e integrare la propria visione con quella degli altri.
  10. Chiarire l'accordo: non lasciare in sospeso punti non chiari"

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lunedì 29 aprile 2013

Imparare a negoziare

Sull'ultimo numero della rivista "Il Dirigente" ho letto un articolo sulla negoziazione che offre qualche consiglio interessante.
Leggiamolo insieme.

"La negoziazione è allo stesso tempo una capacità strategica del fare manageriale e un'attività propria e trasversale a qualsiasi tipo di contesto."

(...)

"Ora, per definire la negoziazione e individuarne le specificità, occorrono alcune premesse semantiche, che non sono fini a se stesse, ma che tendono piuttosto a evidenziare i due elementi che la qualificano: è uno strumento per generare valore e ottimizzare le relazioni, patrimonio irrinunciabile per i singoli come per le organizzazioni."

(...)

"Spesso ricorriamo al compromesso, confondendolo, come detto prima, con la negoziazione."

(...)

"Per illustrare la differenza tra negoziare e mercanteggiare ecco un esempio tratto da un testo classico, Getting to yes, scritto da due esperti sul tema, Roger Fischer e WilliamUry.

Immaginiamo due sorelle che, desiderose di un'arancia, si recano in cucina e ne trovano una. Per spartirla arrivano alla salomonica decisione di farne a metà, con apparente soddisfazione reciproca. Si siedono, l'una prende la sua metà di arancia e si fa una spremuta, buttando, con disinvoltura, non servendole, la buccia; l'altra, con fare certosino, si mette invece a pelare la buccia della sua metà per preparare una torta di canditi e, con la stessa disinvoltura, butta via la parte che non le serve, ossia la polpa.

Le due realizzano immediatamente che quella che era sembrata loro la migliore decisione possibile, di reciproco vantaggio e soddisfazione, in realtà tale non era, poiché evidentemente avrebbero potuto avere il 100% di quell'arancia, l'una tutta la polpa e l'altra tutta la buccia.

Che errore hanno commesso? Non si sono parlate si direbbe, ma su che cosa non si sono chiarite? Non tanto su che cosa volessero, quanto sul perché lo volessero"

(...)

"Ora è evidente a questo punto la distinzione tra un'attività di compromesso o mercanteggio, che sulla base di reciproche rinunce porta a un'apparente situazione di soddisfazione, e quella negoziale, che genera e potenzia valore per tutti e al contempo ottimizza la relazione.
Se contabilizziamo l'esempio delle due sorelle, hanno trovato una soluzione la cui somma quindi (50+50) darà 100. Se avessero esplorato i reciproci bisogni, avrebbero potuto trovare una soluzione che avrebbe permesso loro di portare a casa il 100% della parte di arancia che interessava e quindi creare un benessere collettivo pari a 200."

(...)

Domani leggeremo insieme il decalogo del perfetto negoziatore. Non mancate!

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venerdì 26 aprile 2013

Gestire lo stress

Sull'ultimo numero della rivista "Il Dirigente" è stato pubblicato un articolo dal titolo: "Stress, bomba a orologeria" che, in alcune sue parti, mi è sembrato interessante.
Eccole.

"In Europa, lo stress è il secondo problema di salute più comune nel mondo del lavoro. Colpisce quasi un lavoratore su tre, indipendentemente dalla professione e dal ruolo che ricopre all'interno di essa."

(...)

"Lo stress serve a reagire alle richieste provenienti dall'ambiente in cui viviamo, perché porta ad attivare le risorse per far fronte alle stesse. 
Lo stress non è dunque necessariamente negativo. Quando è presente in misura contenuta e a esso si associa l'idea di riuscire a gestirlo, può addirittura risultare utile e buono (si parla in questo caso di eustress)"

(...)

"Lo stress diventa negativo, e dunque con la percezione prevalente di non farcela più in due casi.
Il primo caso si realizza quando ci sono elementi oggettivi ad alto impatto emotivo o per cui l'energia necessaria a farvi fronte non è sufficiente. Si considerano elementi oggettivi, per esempio, grossi e improvvisi cambiamenti nelle abitudini, come dopo una riorganizzazione aziendale, o aspetti legati all'ambiente in cui si opera: rumore eccessivo, temperatura dell'ambiente di lavoro, umidità, esposizione costante al rischio, variabili legate all'assetto organizzativo come un'inadeguata distribuzione di responsabilità, compiti e scadenze da rispettare troppo ravvicinate, insicurezza della propria posizione o caratteristiche intrinseche alla tipologia di mansione come potrebbero essere quelle di lavoro monotono, ripetitivo, competitivo...

Il secondo caso lo si ritrova quando è la valutazione soggettiva di una situazione che porta a identificare la stessa come stressante: accade spesso nei rapporti interpersonali quando, nelle dinamiche di relazione fra colleghi, c'è la percezione di una difficoltà di interazione senza che magari esistano degli oggettivi elementi cihe ne giustifichino la recepita difficoltà."

(...)

"Se una persona ritiene di poter disporre delle risorse per risolvere un problema, lo ha già per metà risolto. Questo perché non è il lavoro in sé a creare stress, ma è piuttosto l'atteggiamento verso di esso."

(...)

"E' importante creare degli spazi di benessere sia sul posto di lavoro sia nel tempo libero. Gli spazi di benessere sono in tutte quelle situazioni in cui ognuno di noi riesce a stare nel momento presente, in modo consapevole, calato in quanto sta facendo, senza rincorrere tutti i pensieri che spesso distolgono e portano altrove."

(...)

"Un'altra importante capacità che occorre sviluppare per reagire allo stress con competenza è quella che consiste nel saper dire no. Infatti, concorrono allo stress i troppi impegni (di cui non tutti importanti e urgenti), l'assenza di pause, la difficoltà a chiedere aiuto o a delegare, la tendenza a superare i limiti di orario lavorativo..."

(...)

"Inoltre, occorre ricordare che il lavoro non è tutto e che prima e dopo l'orario lavorativo ci sono altre cose che incidono nel determinare la qualità della vita complessiva. Dedicarsi ai propri interessi, fare attività fisica, curare le relazioni sociali, leggere, passeggiare sono tutti modi che aiutano il benessere.

Infine, la percezione di avere uno scopo da raggiungere e la sensazione di riuscire ad avvicinarsi sempre di più a esso può essere di per sé un fattore che conferisce significato alle azioni e alla vita in generale."

(...)

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mercoledì 24 aprile 2013

"Mad in ITaly", ovvero imprenditori pazzi con 15 comandamenti

Qualche giorno fa ho letto su "Sette" la presentazione del libro "Mad in Italy" che spiega come gli imprenditori "mad" (pazzi) che rimangono in Italia possono farcela.

Vi riporto i 15 consigli, definiti "comandamenti", per fare business in Italia e nonostante l'Italia (che si colloca al trentesimo - su 31 - posto per il "doing business index" nell'area Ocse).

Cosa ne pensate?
  1. Cerca di essere il primo. Perché puoi diventare qualcosa che fino a oggi non esisteva
  2. Pensa a un'idea semplice e realizzala (costi quel che costi). Perché una bellissima idea non realizzata rimane soltanto un sogno
  3. Sii differente (rompi gli schemi). Perché ci sono idee geniali che hanno rivoluzionato prodotti già esistenti
  4. Non avere paura! Perché le avversità si possono sconfiggere se si combatte con la forza delle proprie idee
  5. Ricordati che i brand italiani sono cognomi. Perché le capacità imprenditoriali vengono tramandate di generazione in generazione
  6. Trova il sistema di fare sistema. Perché cercare collaborazioni può dare slancio alla tua idea
  7. Ragiona in grande. Anche se sei piccolo. Perché le piccole aziende con grandi idee possono sfidare i giganti
  8. Tramuta un problema in opportunità. Perchè anche partendo da una situazione avversa è possibile arrivare al successo
  9. Capisci quando i tempi sono maturi. Perché è fondamentale saper leggere il contesto storico ed economico del territorio in cui vivi
  10. Osserva con attenzione quelli che hai intorno: Perché devi saper cogliere le opportunità che può offrire il territorio in cui vivi
  11. Fai le cose a modo tuo. Perché le idee sono più forti se esprimono tutta la personalità dei creatori
  12. Valorizza le tue idee cercando qualcuno che creda in te: Perché sono molte le aziende cresciute grazie agli invetsimenti di chi ci ha creduto
  13. Condividi il futuro con i tuoi figli (anche se non ne hai). Perché puoi lavorare per cambiare il mondo grazie alle tue idee
  14. Se decidi di cambiare idea, non è una tragedia. Perché devi cercare la tua strada, anche a costo di lasciare quella vecchia per quella nuova
  15. Cerca di capire se sei leader o follower. Perché si può rafforzare la competitività italiana sui mercati internazionali attraverso una ricerca di eccellenza che sia condivisa

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martedì 23 aprile 2013

Strumenti e metodologie

Uno strumento è qualcosa che ha un ruolo chiaro e un'applicazione ben definita.
Spesso il suo scopo è alquanto limitato e viene utilizzato proprio per questo.

Alcuni esempi di strumenti sono:
Una metodologia, invece, ha un'applicazione decisamente più ampia rispetto a uno strumento e, per utilizzarla in modo efficace, occorrono più conoscenze, competenze e formazione.

Una metodologia potrebbe anche essere vista come un insieme di strumenti perché, ad esempio, il controllo statistico di processo utilizza grafici, studi di capacità, strumenti statistici, ecc.

Esempi di metodologie sono:
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lunedì 22 aprile 2013

Avere successo nel mondo del lavoro: quali competenze servono?

Quali sono le 7 competenze davvero utili per avere successo nel mondo del lavoro? Le cita, approfondendole, il libro: "1001 ways to get promoted".

Eccovi qualche spunto:

1) Organizzare
Per avere successo nel mondo del lavoro occorre avere una strategia e un piano per implementarla.
Se non siete organizzati, ridurrete le vostre possibilità di far vedere quanto valete.

2) Vendere
Le persone di successo sono, prima di tutto, dei bravi venditori perché sanno sempre come "vendere" le proprie idee.
Se vi manca questa competenza fondamentale, dovete assolutamente svilupparla, pena l'insuccesso professionale.

3) Motivare
Avere successo nel lavoro significa scalare un bel po' di posizioni nel vostro organigramma e farlo rappresenta una sfida alquanto difficile.
Ci saranno ostacoli che potranno scoraggiarvi e solo se riuscirete a mantenervi concentrati sull'obiettivo motivandovi riuscirete ad arrivare là dove pochi arrivano.

4) Comunicare
Se non riuscirete a comunicare bene, le persone non capiranno ciò che state dicendo e le vostre ambizioni non verranno mai soddisfatte. Anche questa è una competenza fondamentale da apprendere.

5) Fare rete
La vostra carriera dipende dalle conoscenze che avete.
Stabilire una rete di persone in grado di sostenervi, di seguirvi nella formazione, di consigliarvi e di aiutarvi nel prendere le decisioni importanti è un'altra cosa estremamente importante da fare.

6) Abituatevi a lavorare in gruppo
I risultati più brillanti si raggiungono lavorando gomito a gomito con chi ha competenze complementari alle vostre.
Dimostrate che non siete semplicemente una persona capace di lavorare in gruppo ma che riuscite a tirare fuori dal vostro team il meglio e avrete gettato le basi della vostra carriera professionale.

7) Gestire
Essere un manager significa, prima di tutto, saper "gestire". Bene, ma gestire cosa? Ad esempio, i conflitti nel vostro gruppo oppure i problemi che potrebbero mettere in pericolo un avanzamento di carriera.
Imparate fino in fondo il mestiere del manager e gli altri inizieranno a vedervi come tale.

Il libro contiene anche un test composto da 100 domande per verificare quali competenze sviluppare e quali, invece, rappresentano il vostro punto di forza.
Eccovi qualche esempio:
  • le persone si sentono a disagio quando devono discutere un  problema con te?
  • Chi lavora con te è convinto che tu non accolga favorevolmente idee e iniziative altrui?
  • Eviti di prendere decisioni senza l'approvazione dei tuoi superiori?
  • Sei disposto a prenderti la responsabilità di decisioni impopolari se sei convinto che siano quelle giuste?
  • Sei bravo ad individurae i problemi che devono essere risolti all'interno della tua organizzazione?
  • Sei uno che impara dai propri errori?
  • Sai ridere di te stesso?
  • Ti metti a disposizione degli altri per aiutarli ad affrontare nuovi progetti per i quali ritieni di poter essere utile?
  • Hai un programma di lavoro giornaliero?
  • Hai formalizzato gli obiettivi che intendi raggiungere e la data in cui prevedi di riuscirci?
  • Ti senti scoraggiato se le cose non vanno per il verso giousto?
  • Ti piace partecipare alle riunioni?
  • Sei a tuo agio se al lavoro ti presentano qualcuno che non conosci?
  • Sei bravo a fare conversazione con una persona che non conosci?
  • Sei abituato a delegare?
E voi? Quali competenze pensate di dover ancora sviluppare?

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venerdì 19 aprile 2013

La cultura è contagiosa

Qualche tempo fa sulla rivista "Mente&Cervello" è stato pubblicato un articolo dal titolo: "Il contagio della cultura" che mi è sembrato estremamente interessante, soprattutto se durante la lettura il nostro pensiero corre alla cultura aziendale.

Vi riporto di seguito i brani che mi sono sembrati più degni di nota.

Il meme è un'informazione culturale in grado di replicarsi e di essere trasmessa secondo regole simili a quelle che governano la trasmissione genetica.
A diffondere il termine meme, che evoca non a caso quello di gene, fu il biologo evoluzionista britannico Richard Dawkins nel suo libro "Il gene egoista" del 1976. Solo dagli anni novanta in poi, però, si è sviluppato un filone di ricerca, la memetica, che tenta di spiegare le modalità con cui avviene questa trasmissione e, soprattutto, i meccanismi evolutivi che determinano il successo evolutivo di alcuni memi rispetto ad altri.

(...)

Qualsiasi cosa possa essere appresa o ricordata può essere un meme: idee, conoscenze, abitudini, credenze, abilità.

(...)

La memetica ha dato risultati importanti non solo nella comprensione del funzionamento delle strutture sociali umane ma anche nella spiegazione di comportamenti non direttamente riconducibili alla genetica in differenti grupi animali.

(...)

Nel 1999 il filosofo Francis Heylighen propose un modello in quattro tappe per spiegare ciò che determina il successo di un meme. "Perché abbia successo deve infettare l'ospite, ovvero essere da lui assimilato", spiega Heyleghen.

(...)

Per essere assimilato, poi, l'elemento culturale ha bisogno di essere notato, compreso e accettato dal'ospite e quest'ultimo punto risulta particolarmente importante. "Senza una sufficiente base di credibilità, un meme perde la propria carica infettante", continua Heylighen, "per questo non tutte le informazioni a cui siamo esposti diventano elementi culturali".

La seconda tappa della replicazione memetica è la ritenzione, ovvero la registrazione nella memoria. Per definizione, un meme deve sostare per un certo periodo in un archivio mentale.
Anche questo passaggio, come quello dell'esposizione, è soggetto a una forte selezione, dato che la stragrande maggioranza delle informazioni che riceviamo nel corso di una giornata viene ricordata per non più di qualche ora. Soltanto ciò che è veramente importante per noi e che viene ripetuto frequentemente può sperare di sopravvivere allo sfoltimento naturale.

Per essere comunicato ad altri individui, un meme deve emergere dalla memoria e assumere una forma fisica. L'espressione e la trasmissione più comuni del meme sono costituite dal linguaggio parlato ed è per questo che, secondo alcuni, l'uomo ha una trasmissione culturale più ricca di quella di altre specie.

(...)

La sopravvivenza di un'informazione è legata al perdurare di criteri sia soggettivi sia collettivi.
Tra i primi, alcune proprietà strettamente legate al funzionamento del nostro cervello, per esempio le novità, la semplicità, la coerenza e infine l'utilità.
Tra i criteri collettivi, invece, vi sono l'utilità per il gruppo, l'autorevolezza della fonte, la conformità (ovvero la presenza di uno stesso meme all'interno di più ospiti di un gruppo che ne rinforza sia l'accettazione sia la memorizzazione) e l'espressione su mezzi di comunicazione collettivi che ne amplifica la diffusione.

Per ciò che riguarda l'ultimissimo punto, cercate di non essere troppo maliziosi. ;o)

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giovedì 18 aprile 2013

ISO 9004:2009 - Qual è il modo migliore per implementarla?

Ed eccoci arrivati al terzo e ultimo punto per applicare bene la ISO 9004.

3) Gestire e condividere la conoscenza

Basandosi sui dati usciti dall'autovalutazione che abbiamo visto ieri al punto due, un'organizzazione dovrebbe avviare piani di miglioramento che includano nuove pratiche, nuove politiche, nuove procedure, nuovi indicatori, ecc.

Il modo migliore di procedere è quello di fare attività di benchmarking per imparare come lavorare da chi già sta operando bene.

Cosa ne pensate? Qualcuno di voi ha un minimo interesse per la ISO 9004 e sta cercando di implementarla all'interno della sua organizzazione? Se no, perché?

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mercoledì 17 aprile 2013

ISO 9004: 2009 - Qual è il modo migliore per implementarla? (2)

Di recente, la rivista "Quality Progress" ha  spiegato come implementare in maniera semplice la ISO 9004:2009 attraverso tre step.

Il secondo punto per applicare degnamente la ISO 9004 è:

2) Fare un'analisi dei gap e cercare di colmarli

Avere processi ben organizzati all'interno di un sistema aiuta le aziende a gestire e a coordinare le attività, focalizzandosi sul raggiungimento degli obiettivi concordati.

E' importante, dunque, che un'organizzazioine valuti periodicamente i propri processi per stabilirne il grado di maturità e per capire come colmare eventuali gap tra ciò che si vuole ottenere e ciò che effettivamente si fa.

La crescita del livello di maturità del sistema assicura che gli obiettivi concordati vengano sempre centrati ed è fondamentale per dire che abbiamo compreso fino in fondo la ISO 9004.

Uno strumento utilissimo per autovalutarsi si trova proprio nell'appendice 1 della nostra linea guida dove vengono identificati cinque differenti livelli di maturità del sistema che possono dare una mano ad identificare i punti di forza e i punti deboli dei nostri processi .

Domani vedremo insieme il terzo e ultimo punto.

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martedì 16 aprile 2013

ISO 9004: 2009 - Qual è il modo migliore per implementarla?

Di recente, la rivista "Quality Progress" ha  spiegato come implementare in maniera semplice la ISO 9004:2009 attraverso tre step.
Abbiamo pensato fosse interessante esaminarli insieme a voi.

1) Identificare gli obiettivi di lungo termine

La ISO 9004 definisce un successo capace di durare nel tempo come il risultato della capacità di un'organizzazione di raggiungere e mantenere i suoi obiettivi nel lungo termine.

Il punto di partenza è, dunque, definire quali siano questi obiettivi e allinearli con gli obiettivi di lungo termine delle altri parti interessate o "stakeholder" (dipendenti, fornitori, clienti, società, rivenditori, investitori, ecc.)

Alcuni esempi di obiettivi a lungo termine delle parti interessate possono essere:
  • clienti - compatibilità tra i prodotti attuali e quelli futuri e sicurezza dei prodotti
  • rivenditori - leadership di prodotto capace di durare nel tempo e soluzioni innovative
  • fornitori - coinvolgimento dei fornitori nei processi di innovazione e condivisione dei piani strategici
  • investitori - successo finanziario continuo e ROI crescente
  • società - attenzione all'ambiente e rispetto per i diritti umani
  • lavoratori - sicurezza del lavoro, crescita professionale e garanzia del posto sicuro
Domani vedremo insieme il secondo punto.

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lunedì 15 aprile 2013

La Qualità aggiunge valore, non costi. Come spiegarlo alla Direzione?

Essere capaci di spiegare cosa si fa per la propria organizzazione e il valore aggiunto che il proprio lavoro porta all'azienda è un'abilità non da poco, soprattutto quando il dipartimento nel quale lavoriamo non è direttamente legato ad un centro di profitto come - ad esempio - il dipartimento Qualità.

Solitamente, le organizzazioni lavorano per fare soldi. Riuscire, dunque, a far comprendere alla Direzione che la Qualità è proprio il posto dove si fanno i soldi e dove si lavora affinché gli affari girino bene è estremamente importante.

Se qualcuno di voi ha letto il famosissimo "Strategia oceano blu", uno dei migliori libri pubblicati negli ultimi anni su come implementare le strategie nel business, sa che uno dei concetti che ritornano ossessivamente nel testo è quello di far crescere la soddisfazione dei clienti mentre si riducono i costi. E cos'è la Qualità se non questo?

I clienti soddisfatti comprano. Se si riducono le spese, si hanno più capitali a disposizione. Se questo non è "fare i soldi" allora cos'è?

Eccovi il segreto: chi si occupa di Qualità deve essere bravo a creare i collegamenti tra ciò che fa ogni giorno e le ragioni per le quali l'organizzione fa affari.

Partiamo da come la Qualità supporti l'organizzazione nel fare soldi.
Potete iniziare spiegando come il vostro lavoro sia fondamentale all'interno della supply chain affinché operi in maniera efficace ed efficiente.

Servitevi degli indicatori per spiegare come state aiutando l'azienda a fare soldi. Ricordate come i dati siano fondamentali per prendere le decisioni giuste e insistete sul fatto che quei dati, spesso, fanno capo proprio a voi.

E cosa dire del supporto costante che offrite alla vostra azienda per portarla a risparmiare denaro grazie ai progetti di risparmio sui costi che avete portato avanti negli anni?

Una sola cosa non dovete dimenticare nella vostra spiegazione: per la Direzione è SEMPRE questione di soldi, non di Qualità.
Parlate di come contribuite a farne girare di più e avrete tutta l'attenzione del capo! ;o)

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venerdì 12 aprile 2013

Creare un buon ambiente di lavoro

La capacità di produrre risultati professionali con la minima quantità di stress è direttamente influenzata dal nostro ambiente di lavoro.  

Una scrivania funzionale, ad esempio, ci aiuterà ad essere più produttivi fino a diventare la nostra migliore amica.
Partiamo, quindi, proprio col dare un'occhiata alla nostra scrivania. Come ci fa sentire? Siamo a nostro agio lì? Possiamo fare facilmente tutto quello che dobbiamo fare? 
E quale messaggio trasmette agli altri? Cosa dice al mondo circa il nostro lavoro e i nostri valori?
Analizziamo le tipologie di attività che dobbiamo compiere alla nostra scrivania.  

Se - ad esempio - si utilizza un computer, una forma a "L" del nostro tavolo da lavoro è l'opzione migliore perché ci permette di utilizzare l'estremità corta della "L" per il computer e quella lunga per gli  accessori da scrivania, il telefono, le carte sulle quali stiamo lavorando, ecc.
Uno dei più grandi nemici di una scrivania efficiente e che trasmette professionalità sono quelle montagne di carta che sembrano proliferare in nostra assenza e, a volte, anche in nostra presenza! Una componente importante di qualsiasi scrivania, dunque, è lo spazio per riporre i documenti sui quali stiamo lavorando. Può trattarsi di un cassetto (meglio, due: uno per i progetti in corso e un altro per i materiali di riferimento che si utilizzano spesso), oppure di un piccolo schedario o di un semplice box IN-OUT 




Foglietti adesivi, riferimenti colorati ed etichette possono aiutarci a mentenere tutto bene in ordine.
Il secondo nodo che può impedirci di essere efficienti è quello che riguarda le telefonate. Se ne riceviamo davvero molte nella giornata, è importante sviluppare un modo sistematico per registrarle e per gestirle perché è impensabile smettere di lavorare per precipitarsi a fare piccole cose ogni volta che ci vengono richieste al telefono.  

Una buona soluzione è quella di tenere sempre aperto sulla scrivania un quaderno che ci permetta di buttare giù al volo chi ha chiamato, quando e perché, in modo da avere una registrazione delle cose di cui dovremo occuparci a breve. 

Se - al contrario - siamo noi a fare molte telefonate, assicuriamoci di risparmiare più tempo possibile nel compiere queste operazioni, ad esempio mantenendo a portata di mano la nostra rubrica cartacea o elettronica e studiando il sistema migliore per prendere appunti mentre telefoniamo.
La scrivania meglio organizzata al mondo sarà, però, inevitabilmente inutile senza una sedia comoda e ben regolabile e una buona illuminazione.
La maggior parte di noi vuole essere in grado di muoversi facilmente nella propria  area di lavoro, quindi una sedia girevole rappresenta sicuramente un grande vantaggio mentre la luce dovrà essere disponibile in ogni area del tavolo dove potrebbe servire.
In fondo, se ci riflettiamo su per un attimo, qualcosa di ben organizzato è semplicemente:
1) una cosa che funziona bene

e2) una cosa che ci piace usare

Com'è il vostro ambiente di lavoro? Funzionale e piacevole oppure no? Potreste fare qualcosa per migliorarlo?

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giovedì 11 aprile 2013

Un metodo di indagine: SKEPTIC

Ieri abbiamo parlato di come sia importante che un manager abbia una visione sistemica nell'affrontare il suo lavoro.

Uno strumento che faciliterà questo approccio è quello che gli americani identificano con l'acronimo "SKEPTIC" e che riunisce, ovviamente semplificandoli e non raggiungendo il livello di dettaglio che ognuno raggiunge da solo, due tra gli strumenti più famosi nell'ambito del management:
Gli step di SKEPTIC sono:

  • S = La prima lettera deriva dalle parole inglesi "social demographic" e indica che l'attenzione, in questa fase iniziale, si rivolge agli aspetti socio-demografici come, ad esempio, l'età, i pensionamenti, i cambiamenti nelle politiche di assunzione, i valori aziendali, ecc.
  • K = La "K" ricorda la parola "competition" e, infatti, questo step serve per analizzare le forze competitive e anche nuove collaborazioni. La domanda da farsi é: con chi bisogna collaborare per vincere la competizione esistente e per tenere d'occhio la nuova concorrenza che sta nascendo?
  • E = La lettera "E", "economics ed ecology", indica una particolare attenzione all'economia e all'ambiente. E' in questa fase che si prendono in esame fattori quali la globalizzazione, la recessione, le performance del settore di riferimento, i risultati e anche nuovi spunti come la sostenibilità del business, ecc.
  • P = "P" deriva da "political" perché un cambiamento potrebbe riflettersi in un mutare di equilibri a livello di leaderhip e sono fattori che è bene tenere presenti
  • T = con la "T", "technology", ci si concentra sul tenere d'occhio le nuove tecnologie, le difficoltà dei clienti ad adattarsi ad esse o, viceversa, le difficoltà della tecnologia a stare al passo con le richieste della clientela
  • I = con la lettera "I" che indica "industry" si ragiona in generale sulle alternative che i clienti potrebbero avere se decidessero di non scegliere noi
  • C = La "C" finale indica i "customer", ovvero i clienti che possono essere interni o esterni e che possiamo definire più giustamente stakeholder.
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mercoledì 10 aprile 2013

Dal progetto alla pianificazione: il pensiero sistemico

Come sappiamo, un sistema è fatto da componenti che lavorano in sinergia verso un obiettivo comune.
Un'organizzazione - dunque - è un sistema,  cioè una rete complessa costituita da:
  • input
  • processi
  • output
  • feedback
  • collaboratori
  • fornitori
  • clienti
Per gestire tutto questo, un manager ha bisogno di sviluppare un certo modo di pensare e di conoscere gli strumenti giusti per tenere conto di tutte queste componenti in modo che il sistema mantenga la sua integrità ogni volta che proverà a migliorarlo.

Per passare dalle buone intenzioni alla pianificazione strategica dobbiamo farci qualche semplice domanda:
  1. dove vogliamo arrivare (scopi, obiettivi, vision...)? OBIETTIVO
  2. Come faremo a capire quando ci saremo arrivati? MISURAZIONI
  3. Dove siamo in questo momento? AS-IS
  4. Come vogliamo arrivare a centrare l'obiettivo? PROGETTO
  5. Questo percorso quali cambiamenti procurerà nel sistema? VISIONE SISTEMICA
Come potete vedere, questo modo di procedere si differenzia notevolmente dal pensiero analitico che include, essenzialmente, 4 step:
  1. si parte con un problema corrente
  2. si suddivide il problema nelle sue componenti più piccole
  3. si risolve ogni componente del problema in maniera separata dalle altre
  4. non si hanno obiettivi a lungo termine se non la risoluzione del problema 
Il vostro modo di affrontare un problema o di gestire il lavoro ha una connotazione sistemica?

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martedì 9 aprile 2013

Essere buoni formatori: 8 passi (8)

L'ultimo step con il quale un professionista della formazione dovrà confrontarsi è il seguente:

8 - Accelerare e sostenere la trasformazione del discente

La cosa che un formatore desidera di più è che il suo discente impari a crescere professionalmente. Questo, tuttavia, spesso non avviene perché chi dovrebbe imparare non ha un desiderio reale di crescita e utilizza la formazione semplicemente per sfogarsi con qualcuno.

Per crescere davvero, il discente ha bisogno di esaminare a fondo i propri paradigmi mentali e i modelli che ripropone incessantemente ogni volta che pensa, dà retta a una sensazione o si abitua a fare qualcosa.
C'è bisogno che la persona che vuole formarsi guardi in faccia l'obiettivo che vuole raggiungere e comprenda che spesso gli ostacoli al suo raggiungimento risiedono prio nel suo stesso modo di pensare, di lavorare e di atteggiarsi. In questo lavoro il formatore è indispensabile.

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lunedì 8 aprile 2013

Essere buoni formatori: 8 punti (7)

Il settimo step con il quale un professionista della formazione dovrà confrontarsi è il seguente:

7 - Impostare la formazione affinché sia sfidante

Quella del coaching è, in fondo, una delle tante esperienze umane che possiamo fare. Se il formatore dimentica questa semplice verità e si concentra solamente sulla metodologia sarà visto solo come un "tecnico" e perderà l'occasione di fare davvero la differenza nella vita professionale del discente.

La cosa più importante che un formatore può fare per il discente è ascoltarlo davvero. Questo significa non solo ascoltare ciò che viene detto ma osservare anche come viene detto per riconoscere e incoraggiare un certo modo di pensare, una certa sensazione, una nuova abitudine (in particolare quelli che supportano il raggiungimento dell'obiettivo dell'intervento formativo).

Organizzare una formazione sfidante per il discente significa anche sapere quando è il momento di usare la propria esperienza e quando è meglio dedicarsi all'intuizione, quando ascoltare in silenzio e quando dire qualcosa.

In aggiunta a tuto questo, ci sono alcune tecniche di coaching che possono risultare fondamentali se usate al momento giusto:
  1. "cosa succederebbe se...?" - questa tecnica di chiedere cosa succederebbe se capitasse qualcosa che il discente non prende in considerazione è utilissima per mettere in dubbio convinzioni che egli ritiene inviolabili perché fanno parte dei suoi modelli mentali
  2. riconoscere ed eliminare i meccanismi di difesa - i meccanismi di difesa sono strutture che utilizziamo senza cognizione di causa ogni volta che ci troviamo a fronteggiare una situazione difficile.Questo meccanismo è utile per ridurre l'ansia, la tristezza e/o la rabbia e per avere la sensazione di gestire al meglio la situazione. Il formatore deve essere in grado di individuare questi meccanismi e di bypassarli per due motivi: primo perché il discente mette in atto questo meccanismo quando sa di essere carente in qualcosa, il secondo perché rappresenta la manifestazione ovvia di chi non vuole crescere. Se la resistenza non viene eliminata, l'intero intervento di formazione può essere compromesso
  3. "perché vorresti fare questo?" - Sebbene i discenti dicano che vorrebbero cambiare le cose, in realtà potrebbero non avere né la voglia di farlo né la capacità per farlo. Chiedere come intendano portare avanti il loro intento è estremamente utile per far ragionare il discente su eventuali difficoltà che potrebbe incontrare nel cambiare lo status quo.

Domani esamineremo l'ultimo step per valutare la bravura di un formatore.

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venerdì 5 aprile 2013

Essere buoni formatori: 8 punti (6)

Il sesto step con il quale un professionista della formazione dovrà confrontarsi è il seguente:

6 - Allineare la percezione che il discente ha della sua preparazione e la preparazione effettiva


La percezione che il discente ha di sé dipende da:
  1. sensazioni personali - conscio di come la pensa, delle proprie sensazioni e delle abitudini che esercita in ambito professionale, il discente ha una propria idea dei punti di forza e delle sue debolezze oltre che di come questi impattino sugli altri
  2. feedback ricevuti: la percezione di sé è influenzata anche dai feedback ricevuti da persone che si stimano
 Allineare ciò che il discente sa effettivamente con ciò che crede di sapere è molto importante perché si impegni nell'attività di formazione perché se riterrà inutile le lezioni erogategli, non farà alcun progresso.

Domani esamineremo il settimo step per valutare la bravura di un formatore.

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giovedì 4 aprile 2013

Essere buoni formatori: 8 punti (5)

Il quinto step con il quale un professionista della formazione dovrà confrontarsi è il seguente:

5 - Determinare gli obiettivi della formazione e la motivazione del discente

E' fondamentale che il formatore aiuti il discente a definire concretamente gli obiettivi di formazione che è più motivato a raggiungere.

Concordare un obiettivo aiuta a indirizzare gli sforzi durante tutta la durata della formazione ma dà una mano anche a stabilire quali misurazioni effettuare per decidere se l'intervento formativo abbia avuto successo oppure no.

Senza un obiettivo ben chiaro, l'intera discussione relativa alla formazione potrebbe cambiare argomento ad ogni lezione e formatore e discente perderebbero sia la focalizzazione sul raggiungimento di una meta ben precisa sia l'interesse nel raggiungerla.

Gli obiettivi della formazione devono essere allineati con la motivazione del discente perché le persone non cambiano e non crescono a meno che non abbiano abbastanza desiderio per farlo.
Anche quando i collegamenti tra obiettivi e motivazione sembrano ovvi, dunque, è findamentale porre al discente una semplice domanda: "perché questo obiettivo è importante per te?"

Domani esamineremo il sesto step per valutare la bravura di un formatore.

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mercoledì 3 aprile 2013

Essere buoni formatori: 8 punti (4)

Il quarto step con il quale un professionista della formazione dovrà confrontarsi è il seguente:

4 - Capacità di scegliere la metodologia adatta all'intervento formativo

Perché un intervento formativo abbia successo, è fiondamentale che il formatore condivida con il discente il metodo scelto che cambierà a seconda che si voglia effettuare:
  1. una formazione breve
  2. la semplice gestione di una crisi momentanea
  3. una formazione lunga
Ognuno di questi interventi di coaching richiede metodologie differenti che possiamo riassumere in questo modo:
  1. formazione breve: si articola solitamente in 2-8 lezioni e in un periodo di tempo che va da uno a quattro mesi. Si focalizza su un argomento molto specifico che può essere affrontato e risolto in un periodo di tempo breve. E' particolarmente utile quando l'obiettivo dell'attività di formazione è abbastanza preciso nel suo scopo e quando il tempo per centrare un risultato è limitato. Ovviamente un intervento di questo genere è destinato all'insuccesso se il discente non si sa gestire in autonomia o se non ha abbastanza esperienza per raggiungere in breve tempo il risultato che ci si attende da lui
  2. gestione di una crisi momentanea: si utilizza quando il discente si trova ad affrontare una crisi professionale o personale molto forte. Una crisi è una situazione estremamente instabile che fa pensare a conseguenze gravi se non si riuscirà a gestirla nel migliore dei modi. Un discente in crisi profonda andrà trattato dal formatore con una grandissima cura ma, nello stesso tempo, velocemente perché ogni giorno passato senza intervenire può essere pericoloso. Il modo migliore di procedere è quello di ascoltare attentamente ciò che il discente ha da dire, restare calmi e spiegare tutto chiaramente, identificare le cause scatenanti dei problemi, affrontare le convinzioni - spesso sbagliate - del discente, fornire speranza e fiducia, stabilire un piano di intervento, fornire un supporto continuo, segnalare al discente a quali risorse può fare riferimento per continuare da solo la propria formazione nel tempo.
  3. formazione lunga: può avere una durata dai 4 mesi in su, anche di anni. Ovviamente è quella che permette di ottenere risultati più importanti e più duraturi. Perché un rapporto così duraturo nel tempo abbia successo è però fondamentale che il formatore abbia la capacità di mantenere alti l'interesse e il coinvolgimento del discente e che quest'ultimo voglia effettivamente crescere e imparare. I migliori candidati per questo tipo di intervento formativo sono coloro che:
  • hanno diversi obiettivi di crescita da raggiungere
  • sono entusiasti di crescere professionalmente
  • hanno un grande potenziale come futuri leader
  • occupano ruoli che li portano ad essere sotto pressione e che devono imparare a gestire per controllare lo stress. 
La metodologia migliore, in questo caso, è la 5C perché ci aiuta a prevedere cosa succederà durante l'arco di tempo molto ampio nel quale si svilupperà l'attività formativa.
La metodologia 5C prevede, come spiega il nome, 5 step ognuno identificato da una parola inglese che inizia con la lettera "C":
  1. CONTRACTING: accordo tra il discente e il formatore sugli obiettivi formativi da raggiungere. Si dovrà stabilire chi coinvolgere nel processo, cosa considerare confidenziale, quale logistica e orari impostare, quali relazioni instaurare, ecc.
  2. COLLECTING: raccogliere dati. Stabilire quali informazioni ci servono, chi ce le dovrà dare, quale metodologia usere per raccogliere questi dati, come verranno analizzati i dati, chi avrà accesso a queste informazioni, ecc.
  3. COMMUNICATING: comunicare. Le informazioni che riguardano il discente dovranno essere ben organizzate e trasmesse alle persone interessate, in modo che abbiano l'impatto più costruttivo possibile. Occorre stabilire: come organizzare le informazioni, a quale strategia di presentazione affidarsi, dove e quando discutere i dati raccolti, come strutturare l'incontro
  4. CHALLENGING: periodicamente va allestita una nuova sfida. Il formatore ha bisogno di riesaminare a intervalli regolari la motivazione del discente, sfidandolo a crescere. Basandosi sui dati raccolti, occorre spiegare al discente su quali aree dovrà intensificare il lavoro e come queste nuove richieste si allineino con gli obiettivi stabiliti per la sua formazione. Vanno stabiliti anche eventuali aggiustamenti da apportare all'attività formativa.
  5. CHANGING: se qualcosa nell'attività formativa non funziona, va cambiato. L'ultimo step di questo ciclo 5C si innesta direttamente nel primo simulando una ruota infinita che continua a girare per migliorare senza fine l'attività formativa.
Domani esamineremo il quinto step per valutare la bravura di un formatore.

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martedì 2 aprile 2013

Essere buoni formatori: 8 punti (3)

Il terzo step per comprendere se un professionista sia un bravo formatore è il seguente:

3 - Capacità di chiarire il proprio ruolo di coach

Anche quando il formatore è bravo e tra coach e discente non esistono motivi perché la relazione professionale non si sviluppi nel migliore dei modi, possono insorgere problemi nel processo di formazione se il ruolo del formatore non viene chiarito per bene fin dall'inizio.

Ecco perché è fondamentale che il formatore spieghi le interazioni che il discente dovrà attendersi in modo che non sovrapponga il ruolo del suo coach a quello di un manager o di un mentore.
Per capire meglio ciò di cui stiamo parlando, vediamo le similitudini e le differenze che esistono tra la figura del formatore, quella del manager e quella del mentore.

- formatore: è qualcuno pagato per formare una persona che non lavora per lui o con lui.
Il vantaggio di ricorrere a un formatore è che, solitamente, le persone si aprono maggiormente con chi non lavora all'interno della stessa realtà perché viene percepito come neutrale. Va sottolineato, però, che proprio perché il formatore non appartiene alla realtà del discente, non può avere le stesse conoscenze di come funzionino le cose in azienda di un manager o di un mentore.

Le caratteristiche associate a un formatore sono:
  1. essere pagato per insegnare
  2. essere istruito per insegnare
  3. essere o meno più anziano del discente
  4. preparare un programma di formazione ben preciso
  5. sapere quanto durerà il suo intervento formativo
  6. sapere che tutto ciò di cui verrà a conoscenza durante l'intervento formativo sarà da ritenere del tutto confidenziale a meno che, fin dall'inizio, non sia stato stabilito altrimenti
  7. poter influenzare o meno la capacità del discente di farsi promuovere a un ruolo di maggiore responsabilità
- manager: è il responsabile gerarchico del discente.
Un manager ha informazioni di prima mano sul discente oltre che un'autorità diretta su di lui capace di influenzarne crescita e sviluppo professionale. Allo stesso tempo, però, proprio perché il capo influenza direttamente la paga, le responsabilità e le promozioni di un collaboratore quest'ultimo potrebbe essere riluttante a condividere con lui certe informazioni che risultano fondamentali in un processo di formazione.

Le caratteristiche di un manager sono:
  1. considerare parte del suo lavoro far crescere i collaboratori
  2. essere a sua volta formato all'interno dell'azienda per cui lavora
  3. rietenere non confidenziali le informazioni di cui viene in possesso duranete l'intervento formativo
  4. influenzare direttamente le possibilità che un suo uomo venga promosso o pagato di più
mentore: il mentore è qualcuno che non viene pagato per l'attività di formazione e che ha il desiderio di formare un'altra persona che non lavora per lui.
Solitamente, è una persona molto stimata all'interno dell'organizzazione alla quale ci si affida volontariamente perché ci aiuti a crescere professionalmente.

Le sue caratteristiche sono:
  1. ricoprire questo ruolo volontariamente
  2. lavorare nella stessa organizzazione 
  3. venire formato dalla stessa organizzazione
  4. non avere una fine prefissata per la sua attività di mentore
  5. ritenere le informazioni ottenute grazie al suo ruolo di mentore come confidenziali oppure no
  6. influenzare in maniera indiretta la capacità di una persona di essere promossa

Domani esamineremo il quarto step per valutare la bravura di un formatore.

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