giovedì 24 gennaio 2019

Sbaglio dunque sono

(Fonte: "La Stampa")

"Se m’inganno, esisto", confessava Sant’Agostino, un millennio prima che Cartesio tirasse fuori il suo famoso «Cogito ergo sum». Il grande pensatore sapeva bene, per averlo sofferto in prima persona, che sbagliare è una componente essenziale della vita. Addirittura sono i nostri errori, più dei nostri successi, a dirci chi siamo, ammonisce la giornalista e premio Pulitzer Kathryn Schulz nell’«Arte di sbagliare. Avventure nel margine d’errore», dove dimostra - in un viaggio a perdifiato tra Shakespeare e Wile Coyote, miraggi al Polo Nord, catastrofi economiche e cuori infranti -come gli sbagli siano una tappa fondamentale del processo di crescita, necessaria per arrivare al successo. 

Non a caso la storia dell’uomo nasce simbolicamente dall’errore di Adamo ed Eva, quando mangiarono la mela nel Paradiso Terrestre. Sbagliare è umano proprio come morire: ma, proprio come non ci piace pensare alla nostra morte, così cerchiamo di rimuovere, minimizzare i nostri errori. Non diciamo «Ho sbagliato», diciamo «Ho sbagliato, ma...». Il fatto è che per secoli si è guardato all’errore come a un segno di stupidità - e in una società performante come la nostra, fallire spesso è un marchio indelebile. In realtà la capacità di sbagliare è una componente cruciale dell’intelligenza. «Ho provato, ho fallito - diceva Samuel Beckett -. Non importa, riproverò. Fallirò ancora. Fallirò meglio».

È il metodo scientifico sperimentale nato con Galileo Galilei a promuovere l’errore da «strada sbagliata» a «strada verso la soluzione giusta». A questo proposito la Schulz cita l’intuizione di Laplace: «La statistica è geniale perché, anziché ignorare gli errori, li quantifica e la risposta esatta diventa in un certo senso “funzione” degli errori». L’errore, insomma, è utile. Infatti è il mattone decisivo della teoria evolutiva darwiniana: è proprio grazie alla variazione dalla norma che una specie può adattarsi e sopravvivere a nuove condizioni.
Anche per il padre della psicanalisi Sigmund Freud l’errore è rivelatore, ci permette di gettare uno sguardo sulle verità chiuse nell’inconscio, inaccessibili alla mente razionale. Sono i «lapsus freudiani», veri e propri messaggi della parte più profonda e nascosta di noi. Una parte con cui, tipicamente, sanno dialogare gli artisti, uomini «capaci di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio - diceva Keats - senza l’impazienza di correre dietro alla ragione».

E che dire degli errori in amore? Chi non ne ha mai commesso uno scagli la prima pietra, non a caso paragoniamo l’esperienza dell’innamoramento all’essere ciechi, intendendo dire che ci impedisce di percepire la verità. E se, da una parte, il massimo cronista dell'amore eterno, William Shakespeare, difende la verità dei sentimenti a spada tratta («Se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato»), dall’altra il più grande investigatore della letteratura gialla, Sherlock Holmes, consiglia disincanto: «Quando si riferiva alle passioni umane, faceva un ghigno beffardo».
Allo stesso modo l’errore è strettamente legato alla comicità. Per Molière «il dovere della commedia è correggere gli uomini facendoli divertire». Ridiamo in situazioni in cui possiamo guardare gli altri, soprattutto i potenti, dall’alto in basso, ma anche quando guardiamo noi stessi dall’alto in basso. Ridiamo soprattutto quando c’è una distanza tra quello che ci aspettiamo (Groucho Marx: «Ho trascorso una serata davvero meravigliosa») e quello che in realtà avviene («Ma non è questa»).

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