venerdì 30 settembre 2011

Time management: diminuire il lavoro (3)

Per risparmiare tempo, lavorare in modo efficiente non è sufficiente. Bisogna essere anche efficaci.
Secondo i guru del management Peter Drucker, il problema principale nella gestione del tempo ''è la confusione tra l'efficacia e l'efficienza, ovvero tra il fare le cose giuste e il fare le cose bene. Non c'è niente di così inutile, infatti, come il fare con maggiore efficienza ciò che non dovrebbe proprio essere fatto''.


Come ci si può assicurare, dunque, di fare solo le cose che servono davvero e a farle bene? Seguendo poche, semplici regole:

- Valutare le attività e i progetti in anticipo: prima di iniziare un progetto o un'attività importante, è necessario sapere che cosa si intende fare e come si vuole farlo. Senza questa valutazione non è possibile pianificare in modo efficace
 Dovete sapere quanto tempo occorrerà per svolgere un dato compito, quali risorse saranno necessarie, quali criteri andranno rispettati, quali limiti avrete, qual è la tempistica prevista, quali risorse avrete a disposizione, ecc. 


- Pianificare: preparare i programmi in anticipo, mantenerne monitorato l'avanzamento e fare solo le cose previste aiuta enormemente nella gestione del tempo


- Definire gli obiettivi: per essere efficaci bisogna che sappiate esattamente quali sono i vostri obiettivi. Solo allora potrete pianificare bene il vostro tempo, sapendo esattamente cosa dovrete fare ed entro quando


Determinare le priorità: se avete una lunga lista di attività da fare, potreste avere problemi a decidere - di volta in volta -  da dove incominciare.  
Questa è una domanda chiave per una gestione ottimale del tempo. Gran parte del time management, infatti, mira proprio a stabilire le priorità identificando i compiti che sono davvero importanti e distinguendoli da quelli che, magari, sono urgenti ma meno importanti

- Misurare i progressi: se non sapete se state lavorando bene,come fate a dire se le vostre tecniche di gestione del tempo funzionano? E', dunque, importante monitorare tutto quello che si fa per stabilire quanto si riesce ad essere efficaci.


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giovedì 29 settembre 2011

Time management: diminuire il lavoro (2)

(...continua da ieri)

5) Organizzare: è possibile ottenere molto di più nello stesso lasso di tempo quando si è ben organizzati. 


6) Essere più produttivi: le persone che gestiscono il tempo in maniera intelligente sono sempre alla ricerca di nuovi modi per accelerare il proprio lavoro. Ci sono sempre nuovi metodi per lavorare più velocemente, basta farsi aiutare dalla tecnologia o imparare ad usare nuovi strumenti 

7) Non perdere tempo: la giornata di lavoro è pieno di sprechi di tempo come le attese al telefono, le attese perché inizino le riunioni, ecc.
La gestione del tempo può essere migliorata enormemente utilizzando tutti questi frammenti di tempo per fare altre cose come, ad esempio, pianificare, generare idee, scrivere un'e-mail, ecc.
 

8) Focalizzarsi: fare un compito alla volta è molto più efficace che svolazzare da un'attività all'altra. Mettete la segreteria telefonica, chiedete di non distrurbarvi e vedrete che un'attività di un'ora vi richiederà molto meno tempo senza interruzioni


9) Seguire i propri ritmi: alcune persone sono più produttive al mattino, mentre altre hanno il loro picco di efficienza di pomeriggio o alla sera.  
Imparate a riconoscere e a seguire i vostri ritmi: se siete mattinieri fate le cose più difficili appena arrivati al lavoro mentre se siete più efficienti di pomeriggio, spostatele dopo pranzo

10) Smetterla di procrastinare: la procrastinazione è il nemico numero uno di una buona gestione del tempo. Non rimandate i compiti noiosi o snervanti, piuttosto alternateli a quelli più facili e divertenti.


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mercoledì 28 settembre 2011

Time management: diminuire il lavoro

Una delle prime regole da imparare se vogliamo iniziare a gestire meglio il tempo a nostra disposizione per lavorare è...diminuire il lavoro da fare!
Non alzate gli occhi al cielo, credetemi quando vi dico che la maggior parte di noi si impegna in compiti che non sono necessari, come - ad esempio - la lettura di e-mail inutili, i controlli doppi o tripli per assicurarci che tutto sia a posto, la stesura di verbali o resoconti che nessuno legge o la preparazione di feedback non richiesti.


Per diminuire la nostra mole di lavoro, occorre seguire delle regole ben precise che sarebbe bene avere ben chiare in mente in ogni momento della nostra giornata:

1) Delegare: non dovete fare tutto voi per avere il controllo su qualcosa. Imparate a far crescere i vostri collaboratori e a delegare le attività iniziando da quelle più semplici. 
Quanto tempo sprecate ogni giorno per fare lavori che non dovreste fare voi o per controllarli perché non vi fidate? Preparate istruzioni chiare e mettete alla prova i vostri uomini. Solo rendendoli capaci di fare ciò che ci si aspetta da loro li farete migliorare professionalmente e vi ritaglierete del tempo per fare altre cose importanti
 
2) Diminuire il tempo speso nelle riunioni: chi conosce bene i principi del time management sa che uno dei momenti in cui si spreca più tempo è proprio la riunione. Questo non vuol dire che tutte le riunioni siano solo una perdita di tempo ma semplicemente che, se organizzate meglio, possono durare meno

Iniziate a chiedervi, prima di tutto, se la vostra presenza è davvero necessaria e - se è così - preparate il vostro intervento in modo da renderlo breve ed efficace. 
Assicuratevi, poi, che alla fine della riunione alla quale avrete partecipato si prendano delle decisioni e si affidino dei compiti. In caso contrario, avrete solo perso del tempo

3) Evitare di fare due volte la stessa cosa: rifare il lavoro fa perdere un sacco di tempo ma quante volte vi capita in una settimana? Chiedetevi come fare per evitarlo: occorre più chiarezza all'inizio? Bisogna comunicare di più? Occorre migliorare delle competenze? 

Fatelo e, alla lunga, risparmierete parecchio tempo
 
4) Comunicare in modo efficace: buone capacità di comunicazione aiutano a gestire bene il tempo a nostra disposizione perché ci consentono di spiegare una volta sola ciò che gli altri devono fare o di richiedere tutti i chiarimenti necessari
quando qualcuno ci impone di svolgere un'attività
Una cattiva comunicazione porta, invece, a sprecare tempo e ad essere inefficienti.


(continua...) 

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martedì 27 settembre 2011

Le economie di scopo

Parenti strette delle economie di scala che abbiamo esaminato nei giorni scorsi, sono le economie di scopo, fattori che rendono più economico produrre una gamma di prodotti insieme che produrre i singoli prodotti da soli.
 


Tali economie sono spesso adottate da aziende che condividono alcune funzioni in maniera centralizzata come, ad esempio, la manutenzione o il marketing. Oppure possono derivare da
interrelazioni all'interno dei processi come, ad esempio, il cross-selling (tecnica di vendita che mira a convincere i clienti a comprare altri prodotti associati a quello desiderato).


Proprio come la teoria delle economie di scala è stata alla base di alcuni comportamenti aziendali, dalla produzione di massa alle fusioni e acquisizioni, le economie di scopo sono state alla base dello sviluppo di altre tipologie di comportamenti delle imprese, in particolare della diversificazione. Fu proprio il desiderio di avere maggiori economie di scopo la forza trainante che diede origine a veri e propri conglomerati aziendali capaci di sfruttare le loro capacità finanziarie, distribuendole su una vasta gamma di settori industriali diversificati.


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lunedì 26 settembre 2011

Le economie di scala

Le economie di scala sono tra i fattori che influenzano direttamente il costo medio di produzione. Sono direttamente legate ai volumi dei materiali acquistati e alla suddivisione delle risorse. Ad esempio, produrre  100 copie di una rivista potrebbe costare 3.000 euro ma solo 4.000 se volessimo produrre 1.000 copie. Il costo medio, in questo caso, è sceso da 30 euro a 4 euro a copia perché i principali elementi di costo nella produzione di una rivista non sono correlati al numero di riviste prodotte. 

Le economie di scala sono state tra i principali fattori legati al gigantismo aziendale nel 20° secolo.

Ci sono due tipi di economie di scala: 

- economie di scala interne: ovvero risparmi che derivano dall'azienda a prescindere dal  mercato e dell'ambiente in cui opera - economie di scala esterne: ovvero economie che derivano da come è organizzato il settore in cui opera un'azienda

Le economie di scala, tuttavia, hanno un lato oscuro, chiamato "diseconomie di scala". Più l'organizzazione diventa grande, più complesso diventa gestire le economie di scala. Questa complessità comporta un costo e questo costo può arrivare a superare il risparmio ottenuto facendo economie di scala.  

In altre parole, le economie di scala non possono esistere per sempre. 



Chi di voi ha familiarità con questo argomento? 

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venerdì 23 settembre 2011

Persone stressate dal troppo lavoro

Sono molte le cose che possono farci lavorare male e, addirittura, mandare a monte una carriera.Mancare una grande opportunità, giocarsi una promozione, subire un'umiliazione pubblica perché abbiamo sbagliato a fare qualcosa, ecc.

Tra tutti gli errori che possiamo commettere - però - c'è quello che, secondo me, è il peggiore: farsi schiacciare dai troppi impegni.

C'è un famoso detto che afferma: "se vuoi che una cosa venga fatta, chiedilo a chi è già molto impegnato" ed è proprio così perché una persona davvero impegnata, solitamente, è ben organizzata e non è incline a perdere tempo o a distrarsi. Per questo motivo riesce a fare moltissime cose e a farle bene.
C'è, però, una linea sottile tra l'assunzione di molti incarichi e il voler fare tutto e spesso questa tipologia di persone non riesce a coglierla.
Nelle nostre aziende è facile individuare i colleghi con queste caratteristice. Sono i più bravi nel loro lavoro, quelli che chiunque vorrebbe accanto per asicurarsi che un compito venga eseguito nel migliore dei modi, coloro che sicuramente faranno carriera perché hanno tutte le doti necessarie.
Queste persone vengono invitate alle riunioni per dare un parere e sono subissate di domande relative a moltissimi progetti perché viene loro riconosciuta la preparazione, l'esperienza e la voglia di fare un buon lavoro sempre e comunque.

Il loro entusiasmo, l'ambizione e la dedizione li portano ad avere scrivanie con pile di lavori in attesa perché vengono loro affidati molti più compiti di quelli che in reltà possono svolgere.


Dire di sì a tutto, però, non va sempre bene perché si rischia di fare le cose male o di lavorare 15 ore al giorno con inevitabili ricadute sulle performance, sulla salute e sull'umore.
A volte è davvero difficile dire "no" perché veniamo lusingati, pregati, messi al centro dell'attenzione. La gente è disposta a tutto pur di poter lavorare con noi e sembra che senza di noi le cose debbano precipitare da un momento all'altro. Ci vuole carattere per resistere a questi ricatti morali e per individuare il punto da non superare.


Chi di voi si trova in queste condizioni? Chi, dopo aver pronunciato l'ennesimo "" si è accorto di annaspare tra i troppi impegni e ha giurato di non accettare mai più un compito che non è in grado di svolgere in maniera ottimale?

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giovedì 22 settembre 2011

I 5 fattori che facilitano il miglioramento continuo

Dopo aver visto le 5 caratteristiche che impediscono il miglioramento continuo, analizziamo quali sono le 5 cose che hanno in comune le aziende predisposte a migliorare su base continua.

La condivisione della conoscenza

Essere dotati di un sistema predisposto per la condivisione della conoscenza all'interno dell'organizzazione è fondamentale se si vogliono impostare basi solide per migliorare.  
Volkswagen, ad esempio, in Germania ha una fabbrica modello dove vengono periodicamente mandati tutti i dirigenti e gli ingegneri, proprio con lo scopo di condividere la conoscenza relativa alle migliori prassi del mondo Automotive
 
Un processo dedicato


Le aziende che hanno identificato un processo apposito per individuare e cogliere tutte le opportunità di miglioramento sono sicuramente favorite nella corsa verso il miglioramento perché vengono supportate nella raccolta  di idee e nella loro trasformazione in valore aggiunto. 
Si tratta di processi che fanno in modo che le buone idee che risiedono nella testa dei dipendenti arrivino a chi è in grado di prendere decisioni e ha il controllo sulle infrastrutture necessarie a supportarle.
 

Gli strumenti per la formazione 
Alla base di qualunque processo di miglioramento continuo c'è una solida formazione degli attori in gioco. L'apprendimento e la condivisione delle conoscenze fanno in modo che le persone si chiedano: "che cosa abbiamo imparato da questa esperienza?" e "come possiamo fare meglio la prossima volta?"  
Gli esperti 

Chi vuole davvero migliorare deve affidarsi alla competenza di chi ha più esperienza nel campo del miglioramento e portare all'interno della propria organizzazione tutte le conoscenze necessarie per supportare il processo nel lungo termine.
Motorola, ad esempio, ha istituito vere e proprie squadre che si occupano solo di Kaizen, altre che portano avanti progetti Six Sigma e altre ancora che conoscono bene la Lean manufacturing. Tutti lavorano insieme nell'ottica del miglioramento ma ognuno ha le competenze necessarie per utilizzare al meglio la metodologia che conosce.
 
La mentalità giusta

 
Alla base del miglioramento c'è sempre la leadership.

Solo chi è davvero concentrato sul desiderio di migliorare è in grado di motivare i collaboratori e di attingere alle motivazioni più profonde delle persone, percependo i problemi come opportunità, prendendosi i rischi del caso e facendo lavorare insieme le persone per gestire al meglio le loro conoscenze, le esperienze e le energie personali.


Quali altri fattori, secondo voi, predispongono al miglioramento continuo?

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mercoledì 21 settembre 2011

Azioni preventive, azioni di contenimento, azioni correttive

 Quando ci troviamo davanti a un problema, reale o possibile, possiamo reagire in tre modi, a seconda dei casi:

Azioni preventive: il problema è stato solo ipotizzato

  • servono a rimuovere la possibilità che un problema si verifichi. Se - ad esempio - vedo che un libro è sull'orlo di uno scaffale e sta per cadere, sistemandolo meglio avrò fatto un'azione preventiva
  • non sono sempre facili da individuare perché solo l'esperienza permette di accorgersi delle problematiche che potrebbero insorgere. Si potrebbe partire, ad esempio, da problemi ed errori noti e da lì estendere la nostra analisi
Azioni di contenimento: il problema è in corso e bisogna correre ai ripari

  • come dice il nome, le azioni di contenimento mirano a contenere i danni provocati dall'errore o dalla problematica e hanno carattere provvisorio
  • devono essere avviate subito, non appena viene individuato il problema
  • servono ad eliminare i sintomi del problema. Se - ad esempio - mi accorgo di aver preso freddo e non mi sento tanto bene, prendere l'aspirina è un'azione di contenimento mentre l'azione preventiva sarebbe stata coprirmi meglio
Azioni correttive: il problema è stato risolto ma non deve ripetersi più

  • le azioni correttive, a differenza di quelle di contenimento, hanno un carattere definitivo e, per questo motivo, devono essere ben pianificate, approvate e monitorate
  • servono ad eliminare in maniera definitiva la causa che ha contribuito allo sviluppo del problema. Se mi riferisco all'esempio di prima, la mia azione correttiva potrebbe essere quella di installare un termometro esterno che mi permetta di verificare la temperatura prima di uscire di casa e di vestirmi di conseguenza
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martedì 20 settembre 2011

Le basi della comunicazione visuale (3)

Descrivere le attività e le risorse

In molte organizzazioni si vedono spesso pannelli descrittivi che raccontano le attività svolte nell'azienda, spiegano il funzionamento delle macchine e descrivono i prodotti o le tecnologie. 
Solitamente, sono pensati per raccontare agli esterni come si lavora all'interno di quell'organizzazione.

Se pensati bene, però, questi pannelli hanno altri tre vantaggi:

- spiegano le attività e chiariscono i processi ai nuovi assunti che, in questo modo, sono in grado diindividuare subito ciò che si sta facendo, le persone coinvolte a monte e a valle dell'attività, ecc. I cartelloni, inoltre, abituano il nuovo personale ad utilizzare subito la terminologia corretta, facendolo familiarizzare con i nomi delle macchine e delle attività
- facilitano le visite esterne perché, grazie alla spiegazione visiva, qualsiasi operatore è in grado di condurre la visita e di risparmiare tempo

la visualizzazione delle informazioni descrittive è un modo per essere "riconosciuti" all'interno dell'azienda, per far capire agli altri capire cosa si fa. Descrivendo le risorse, le attività e le responsabilità si contribuisce a creare un senso di identità

Vediamo, ora, quali informazioni potrebbero essere rappresentate visivamente sui pannelli:
 

- Nome delle singole unità
- Posizione all'interno del processo- Mission e principali attività- Descrizione delle attrezzature, dei processi e delle tecnologie
- Presentazione delle interfacce: clienti e fornitori interni, servizi di supporto, supervisori, ecc.
- Identificazione dei membri del team e dei loro ruoli- ecc.


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lunedì 19 settembre 2011

Le basi della comunicazione visuale (2)

Identificare bene l'area

La prima cosa da fare se nella nostra organizzazione vogliamo impostare una gestione visuale è identificare bene le aree in cui ci muoveremo.
Se non è strettamente necessario, evitate di chiudere fisicamente l'area; dei confini simbolici sono decisamente una scelta migliore e vi permetteranno di avere una visuale chiara su ciò che sta succedendo.


Ad esempio, si potrebbe pensare ad un pannello appeso al soffitto con il nome dell'area e una breve descrizione delle attività che vi si svolgono, oppure a un diverso colore dei pavimenti o degli armadietti, o -ancora - a una particolare disposizione dei tavoli, ecc.

Potreste anche identificare le aree destinate agli incontri e alla comunicazione e tutte quelle che, secondo i vostri processi, necessitano di essere ben distinte.

Identificare le persone che lavorano in squadra

Un badge con una foto identifica le persone che lavorano all'interno di un'area e ne chiarisce bene i ruoli. Questo, però, non basta. 

Occorre che vengano visualizzate anche le loro competenze, in modo che si sappia sempre chi può sostituire un collega svolgendone le stesse mansioni.
In un reparto produttivo, ad esempio, di potrebbero porre accanto ai nomi alcuni simboli o colori per identificare facilmente il livello di indipendenza raggiunto dal personale:


ROSSO: controllo di attività ripetitive
GIALLO: attrezzaggio, manutenzione
VERDE: controllo di attività ripetitive e controllo qualità
BLU: completa autonomia



Nella vostra organizzazione le persone sono riconoscibili in base alle mansioni svolte?

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venerdì 16 settembre 2011

Le basi della comunicazione visuale

I passi da compiere per iniziare ad avviare una gestione visuale all'interno di un ambiente di lavoro sono i seguenti:
 
1. Identificare bene l'area (ad es. area non conformità, ufficio marketing, ecc.)
2. Identificare le attività, le risorse, i prodotti / servizi, i materiali (ad es. pennarelli gialli, Responsabile Commerciale, carta bianca, ecc.)
3. Identificare le persone che lavorano in squadra (ad es. Ufficio Commerciale, Reparto Assemblaggio, ecc.)
4. Rendere riconoscibile tutto ciò che ci serve mediante cartelli, scritte, identificativi
5. Identificare gli spazi dove ritirare le cose
6. Prevedere informazioni e istruzioni visuali messe dove serve e ben chiare
7. Prevedere piani accurati del lavoro e posizionarli là dove si sta svolgendo
8. Se applicabile, prevedere un piano per la manutenzione e posizionarlo vicino alle macchine, strumenti o attrezzature interessate
9. Identificare stock, materiali, magazzini di reparto, armadietti con materiali, ecc.
10. Segnalare le macchine o gli strumenti in monitoraggio
11. Monitorare visivamente il processo e verificare se manca qualcosa per avere un completo controllo visuale sull'area
12. Prevedere appositi indicatori visuali
13. Identificare obiettivi, risultati e varianze per ogni settore
14. Rendere i progressi visibili
15. Fare grafici che chiariscano al volo la situazione



Vi viene in mente altro?

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giovedì 15 settembre 2011

"Sono poco creativo"

Un'altra scusa che sentiamo spesso quando si tratta di trovare la soluzione a un problema è: "non sono creativo". E' tipica di chi è davvero bravo a cercare informazioni, ma si sente bloccato quando si tratta di pensare a come utilizzare i dati raccolti per risolvere una problematica.
 

La creatività, però, non è qualcosa che uno ha e l'altro non ha. Ogni persona è creativa e capace di sviluppare idee innovative se le viene insegnato come fare. Attenzione! Non stiamo dicendo che tutti noi possiamo diventare dei Picasso ma solo che possiamo imparare a disegnare se lo vogliamo davvero, oppure che possiamo imparare a suonare il violino o a scrivere una canzone.
 

Le idee, spesso, nascono quando meno ce lo aspettiamo. Succede mentre leggiamo un romanzo o durante una partita di calcio oppure guardando un film. Anche alle menti geniali succede così, ricordate il giovanissimo Val Kilmer di "Scuola di geni" che mette a punto la scoperta della sua vita dopo aver preso a pugni il frigorifero ed essersi fatto cadere in testa del ghiaccio? ;o)

Per sviluppare la creatività ci sono diversi metodi: qualcuno l'abbiamo già trattato (brainstorming, TRIZ, ecc.) e altri li vedremo in futuro ma la cosa più importante è tenere sempre gli occhi ben aperti sul mondo.

Quando avete parlato di creatività nelle vostre organizzazioni? Di recente? Mai?


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mercoledì 14 settembre 2011

"Non ho tempo"

Qual è la risorsa che scarseggia maggiormente nelle nostre organizzazioni? Il tempo, almeno a giudicare dalla frase che si sente risuonare più spesso tra le loro mura: "non ho tempo!"

Come si fa a impostare azioni di miglioramento o a risolvere problemi che ci affliggono quotidianamente se non abbiamo il tempo nemmeno per stare dietro al lavoro "normale"? 
Cosa si può rispondere a questa eterna cantilena che esce dalle bocche dei nostri colleghi?

Ci sono due tipologie di individui realmente assillati dalla mancanza di tempo:


1) chi non si sa organizzare e non riesce a stimare le giuste tempistiche o a dare organicità al lavoro
2) i perfezionisti che, pur avendo molto tempo a disposizione, ne vorrebbero di più per fare meglio

Questi due diversi modi di agire si evidenziano molto bene nella fase di raccolta delle informazioni utili per risolvere un problema o per impostare un miglioramento.


Chi è disorganizzato le raccoglie in maniera disordinata e senza continuità, dedicando a questo lavoro solo i pochi minuti che riesce a strappare alla quotidianità del lavoro e ritrovandosi con dati che, nel tempo, diventano obsoleti o vengono raccolti con canoni diversi e risultano quindi non confrontabili tra loro. 
Il risultato è un lavoro sciatto e superficiale, tipico di chi pensa sia troppo tardi per cominciare una pianificazione e raccoglie poche informazioni, leggendole solo parzialmente e sprecando lavoro senza costrutto.


Il perfezionista, invece, dedica molto tempo alla fase di raccolta, mette insieme informazioni su informazioni ma, quando si trova a fare l'analisi del materiale raccolto, si accorge di avere in mano molti dati inutili e di non avere ciò di cui ha realmente bisogno. 
Spesso, inoltre, è schiacciato dalla grandissima quantità di informazioni a sua disposizione e non riesce a distinguere cosa gli serva realmente e cosa gli farebbe solo rallentare il lavoro.
Il risultato è un overload di materiale che, in questa forma, è del tutto inutilizzabile.

Il modo migliore per aiutare questi colleghi ad utilizzare meglio il tempo a loro disposizione è quello di supportarli nell'importantissima fase di pianificazione del lavoro che, spesso, viene trascurata portando a inutili perdite di tempo e - spesso - anche all'abbandono del progetto su cui si sta lavorando.

Il pericolo del perfezionismo è quello di impantanarsi in dati irrilevanti, trascurando - così- quelli davvero essenziali. La disorganizzazione - invece - porta a dover rifare il lavoro molte volte perché non si sa mai dove si è arrivati e, soprattutto, come raccogliere i dati, dove metterli e cosa farne.


Una soluzione comune è quella di abituare queste persone a costruire a monte un buon piano che specifichi nei dettagli:


- cosa vogliamo ottenere (miglioramento, risoluzione di un problema, ecc.)
- le tempistiche
- i ruoli che ogni persona avrà in questa attività
- le azioni da compiersi
- i dati da raccogliere
- le analisi da fare
- ecc.


Sareste assolutamente sorpresi di vedere quanto poco tempo venga dedicato alla pianificazione rispetto all'esecuzione delle attività! Eppure è dimostrato che ciò che è ben pianificato ci fa risparmiare tempo e, soprattutto, viene sempre svolto con meno problemi.

Per gestire al meglio chi è disorganizzato, poi, occorrerà costringerlo all'interno di modelli precisi e riconoscibili come orari fissi per lavorare sul problema, il telefono staccato mentre si ragiona sul da farsi e niente e-mail per tutto il tempo che si è deciso di dedicare a questo lavoro (mezz'ora o un'ora al giorno). In questo modo la persona riuscirà a concentrarsi meglio e non disperderà le proprie energie.

Al perfezionista ansioso, invece,  bisognerà dimostrare che anche qualcosa di non perfetto può funzionare e che si può sempre migliorare col tempo. Sono i piccoli passi avanti quotidiani che portano al progresso, non gli anni buttati a raccogliere dati.

Chi di voi ha a che fare con colleghi come quelli descritti? Come li aiutate?

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martedì 13 settembre 2011

Le fasi del Problem solving

Per affrontare nel modo giusto il Problem solving occorre, prima di tutto, individuare bene il problema che vogliamo risolvere perché, spesso, si nasconde dietro a pseudo-problemi sorti nel tempo.
Per farlo occorrerà raccogliere tutte le informazioni pertinenti e organizzarle bene.
Una volta fatto questo lavoro, vi sarà più facile dare un'occhiata al materiale e avere una panoramica più chiara su tutta la faccenda. 
Le informazioni raccolte andranno poi interpretate da un gruppo di lavoro che abbia le conoscenze per farlo nella maniera corretta. 
Compito del gruppo sarà quello di creare ipotesi ragionevoli per la risoluzione del problema
Prima di iniziare a formulare idee, però, è necessario avere un'opinione ben chiara e comune della situazione che ci aspettiamo in futuro dopo la risoluzione della problematica. 
 

A questo punto, non vi resta che scrivere chiaramente ciò che avete deciso per proporlo a chi deve autorizzare l'azione correttiva e iniziare a svolgerla.
Una volta risolto il problema, dovrete monitorare la situazione per un certo periodo (deciso nella fase di pianificazione) per verificare che la problematica non si ripresenti.

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lunedì 12 settembre 2011

Il CRM o Customer Relationship Management

Il "Customer relationship management", comunemente noto come "CRM", è un modo di progettare strutture e sistemi in modo che siano concentrati a fornire ai consumatori ciò che vogliono, piuttosto che ciò che l'azienda pensa che essi vogliano. 

La sua implementazione, di solito, comporta una ristrutturazione dei sistemi informativi aziendali e una riorganizzazione dei processi.Il CRM è fortemente dipendente da una tecnica chiamata "data warehousing", un modo per raggruppare ed integrare le informazioni sui clienti provenienti da diverse fonti all'interno dell'organizzazione e per metterle tutte insieme all'interno di un "magazzino" di dati dedicato. 

Il concetto di CRM si sposa bene con quello di customer-oriented mentre è in completa antitesi con quello di product-oriented che, nel passato, ha formato moltissime aziende.
Nelle aziende product-oriented non è insolito individuare risorse dedicate ai singoli dipartimenti e persone che lavorano per compartimenti stagni verticali senza integrare con gli altri conoscenze e informazioni e risultando, spesso, in concorrenza all'interno della stessa organizzazione.
 

Il CRM dovrebbe contribuire a spezzare questa struttura tradizionale, portando le aziende a concentrarsi sui clienti piuttosto che sulle loro guerre intestine. 
Prima che fosse introdotto, non si riusciva a dare organicità alle migliaia di informazioni relative ai clienti e provenienti dalle fonti più diverse né ad elaborarle in modo da ricavarne dei dati utili e chi aveva informazioni sui clienti le considerava un vero e proprio patrimonio di conoscenze personali. 
Chi, tra voi, ancora oggi lavora in questo modo e chi, invece, ha adottato un CRM (o un altro sistema) per condividere dati tra i diversi dipartimenti dell'organizzazione?


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venerdì 9 settembre 2011

Siete buoni Problem solver? (2)

Principi di causalità


Proviamo, ora, a riunire alcuni principi di casualità che abbiamo imparato fino ad ora:


- cause ed effetti, spesso, sono la stessa cosa (in una concatenazione di cause ed effetti, infatti, gli effetti diventano a loro volta cause, si tratta solo di punti di vista differenti)

- le cause esistono in un continuum infinito
- ogni effetto ha almeno due cause
- un effetto esiste solo se le sue cause esistono nello stesso spazio allo stesso momento


Problem solving efficace


Continuare a cercare di risolvere i problemi utilizzando un sistema centrato sulla persona è inaccettabile se consideriamo il mondo come un sistema complesso e non come qualcosa di semplicemente lineare.
Per trovare soluzioni efficaci ai nostri problemi sarebbe meglio ricorrere alle seguenti azioni:


- definire il problema includendo il suo significato profondo e le conseguenze per tutte le parti interessate
- definire le relazioni tra le cause conosciute per includere le azioni e le condizioni legate ad ogni effetto
- fornire una rappresentazione grafica delle relazioni tra le cause
- fornire le prove a supporto dell'esistenza di ogni causa
- determinare se ogni set di cause è sufficiente e necessario per scatenarnare l'effetto
- fornire soluzioni efficaci che rimuovano, cambino o controllino una o più cause. Le soluzioni vanno, poi, monitorate per verificare che soddisfino obiettivi, siano sotto controllo e non creino nuove problematiche



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giovedì 8 settembre 2011

Siete buoni Problem solver?

Qualche tempo fa Quality Progress, la rivista edita da ASQ, si chiese quale percorso dovesse compiere un professionista che desiderasse essere un bravo Problem solver.

L'argomento è estremamente interessante perché tutti noi, per come è inteso il nostro lavoro, ci troviamo quotidianamente a risolvere molti problemi.

I tradizionali strumenti utilizzati nel processo di Problem solving (diagramma a lisca di pesce e 5 perché) funzionano solo in certi casi perché hanno il limite di essere soggettivi e progettati sulle persone piuttosto che oggettivi e progettati su principi certi.

Un approccio più oggettivo fornisce maggiori dettagli e porta, di conseguenza, a soluzioni più informate e performanti.
Per "oggettività" si intendono regole che si ripresentino identiche ogni volta, indipendentemente da chi osserva il fenomeno. Criteri soggettivi, al contrario, sono soggetti alle singole interpretazioni e alle prospettive individuali.

Approcci tradizionali al Problem solving


Le strategie tradizionali per risolvere i problemi, quelle che sono state utilizzate fin dalla nascita dell'uomo, si basano sostanzialmente sulla semplice osservazione.
Se, ad esempio, vedo del fumo, posso dare quasi per certo che da qualche parte ci sia un fuoco acceso.
Il principio di base dell'osservazione dei fenomeni, naturalmente, è validissimo ancora oggi ma non viene in nostro soccorso nell'elaborazione di strategie.

Il pensiero lineare, ad esempio, ovvero chiedere di continuo "perché", "perché", "perché" potrebbe non bastare per risolvere un problema.
Come ci insegnò Tommado d'Aquino "il rame non diventa statua solo grazie al fatto di esistere", intendendo che si devono verificare due condizioni perché si origini una statua: la presenza del rame e la volontà di uno scultore di realizzare l'opera (ogni effetto ha almeno due cause).

Anche categorizzare le cause, processo comune nell'approccio tradizionalista alla risoluzione dei problemi, non ci aiuta ad identificare le azioni e le condizioni legate ad ogni effetto ma si limita a porre le cause in contenitori differenti.
Schemi basati sulle categorie come il diagramma a lisca di pesce o l'albero dei rischi presuppongono una gerarchia di fattori causali basati sulla realtà di una persona o, nel migliore dei casi, di un gruppo di persone.

L'obiettivo di queste metodologie è trovare la causa che ha originato il problema e il processo funziona benissimo se si riscontra che il problema comprende una delle cause elencate nelle nostre liste precostituite.
Il problema, però, è dato dal fatto che il dualismo e la categorizzazione sono semplici costrutti della nostra mente che ignorano la ben più complessa realtà formata da moltisime relazioni che si intrecciano tra loro in maniera indissolubile.

Lo storytelling, l'arte di raccontare storie, ha costituito fin dalla notte dei tempi la nostra forma di comunicazione primaria, basata sulle persone ("chi"), sui posti ("dove") e sulle cose ("cosa"), il tutto ordinato secondo uno sviluppo temporale ("quando").
Le storie iniziano nel passato e si muovono linearmente fino al presente con relazioni causa-effetto. Si parte da una situazione negativa (nel presente) e si procede a ritroso nel tempo fino ad arrivare alla causa che l'ha scatenata.
Anche lo storytelling, però, ha grossi limiti perché si concentra per lo più sulle azioni umane ignorando le altre cause. Se, però, le cause non legate all'intervento umano possono non essere così coinvolgenti ai fini della storia, non dobbiamo dimenticare che - spesso - costituiscono il materiale per le soluzioni più efficaci ai problemi in quanto non sono legate alla soggettività umana.

La costruzione di una singola realtà, spesso chiamata "verità" o "buon senso" è una strategia umana tanto comune quanto pericolosa. David Hume, nel diciottesimo secolo, ci spiegò che ragionare per cause-effetti ha il limite di basarsi su costruzioni mentali del singolo osservatore. Riunire una serie di persone che lavorino su un solo problema può servire ad ampliare questa realtà, costruita aggregando le singole realtà di ognuno.

A domani per la conslusione della nostra lunga riflessione.

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mercoledì 7 settembre 2011

I tre "segreti" del miglioramento

Il miglioramento continuo è alla base della Qualità ma, come sa chiunque abbia lavorato all'interno di un'organizzazione, convincere le persone a collaborare ad un progetto di miglioramento non è sempre facile.

Vediamo, allora, quali sono i tre "segreti" che possono aiutarci a convincere i nostri colleghi a collaborare.

Empowerment
Il lavoro e le decisioni che lo riguardano devono essere delegati, così come l'autorità di muoversi all'interno di certi ambiti.
L'obiettivo finale deve essere la riduzione degli sprechi.


Fidatevi dei vostri uomini, responsabilizzateli e lasciateli liberi di crescere professionalmente.

Rendete le competenze "reali"
Se non riusciamo a rendere il lavoro dei nostri uomini un sinonimo di professionalità e di tecnica, sarà davvero difficile convincerli a collaborare per il miglioramento. 


Gli artigiani riconoscono facilmente il loro talento e l'abilità che li contraddistingue. Ma nella produzione di massa che cosa significano "professionalità" e "competenza"?
Ad esempio la capacità di serrare i dadi. Ma non finisce qui, c'è molto di più.  

Un lavoratore abile e professionale ha la capacità di riconoscere al volo le anomalie e di prevenire i difetti.  
Il livello successivo della crescita professionale è la capacità di risolvere un problema. 

Un lavoratore abile è in grado di lavorare, dando ottimi suggerimenti Kaizen. Impariamo a valorizzare queste persone. Solo "rendendo reali" le loro competenze potranno godersi i frutti del loro lavoro.

Concentratevi sui benefici delle persone
Quando chiedete ai vostri colleghi di iniziare un processo di miglioramento continuo, non fate l'errore di concentrarvi sul miglioramento della Qualità o sulla riduzione dei costi.

Iniziate il vostro lungo lavoro con un occhio di riguardo ai benefici che i lavoratori `hanno in mente. Fate in modo di creare in loro un interesse reale nei confronti del miglioramento aziendale.

La cultura Kaizen deve iniziare contribuendo a creare un ambiente di lavoro migliore, cioè sicuro e più confortevole.

Per farlo è meglio procedere secondo due fasi:
1. raccogliere i suggerimenti dei lavoratori per migliorare le loro condizioni di lavoro
2. offrire un riconoscimento ai lavoratori che si sono contraddistinti per il loro contributo

In questo modo si stimolerà la fiducia e si costruiranno relazioni più forti tra il management e i dipendenti e si getteranno le basi per il Kaizen. Solo a questo punto potrete chiedere ai lavoratori di riflettere su come migliorare una certa area problema in azienda, certi di avere tutto il loro supporto.

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martedì 6 settembre 2011

Rivediamo le nostre procedure (4)

Come promesso, eccovi le 5C che non dovrete mai dimenticare quando vi accingerete a predisporre una procedura:

1C - CORAGGIO

Non abbiate paura di provare qualcosa di nuovo. Non dimenticate che, se continuerete a fare come avete sempre fatto, otterete sempre gli stessi risultati e non migliorerete mai

2C - CREATIVITA'

Fermatevi sempre a riflettere su ciò che avete fatto. Davvero non c'è un modo migliore per spiegare ai vostri colleghi come operare? Pensate a modi creativi di trasmettere le informazioni.

3C - CONCISIONE

Siate concisi, non dilungatevi troppo nelle spiegazioni se queste non sono necessarie. Usate poche parole ma scelte bene in modo da risultare chiari

4C - CORREGGETE

Le procedure, per rispecchiare davvero la realtà, devono essere corrette più volte. Se le scriverete alla vostra scrivania senza verificarle, potete essere sicuri che saranno molto lontane dalla realtà.
Operate con diversi colleghi una revisione seria di ciò che avete scritto per determinare il modo migliore di operare ed assicuratevi che ciò che avete scritto sia corretto e possa essere messo in pratica facilmente

5C - CONTINUITA'

Non pensate mai ai vostri documenti come a qualcosa di statico ma concepiteli come dinamici e in continua evoluzione.
Del resto, per adattarvi alle nuove conoscenze, regolamenti, leggi, cogenze, miglioramenti e cambiamenti ambientali dovrete essere in grado di cambiare le procedure in fretta.

Aggiungereste qualcosa a questi punti?



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lunedì 5 settembre 2011

Rivediamo le nostre procedure (3)

Come dicevamo nei giorni scorsi, quando abbiamo iniziato questa riflessione, una procedura visuale è spesso il modo migliore per veicolare alcune informazioni da seguire in maniera rigida e standardizzata.
Basti pensare a come vengono spiegate le procedure di emergenza quando saliamo su un aereo. Pensate che avrebbero lo stesso effetto se ci venisse distribuito solo un foglietto da leggere?
Cosa fare quando un aereo è in avaria?
Poche semplici cose che ci vengono spiegate in un video o da una solerte hostess che ci mostra praticamente cosa fare e come aiutare chi dovesse trovarsi in difficoltà.
A corredo di tutto questo, viene fornito un foglio dove sono illustrate tutte le procedure da seguire, spiegate tramite disegni chiari ed esaurienti. Il testo, come avrete avuto modo di verificare, è pochissimo.

Il modo migliore, comunque, per testare se state procedendo nel modo giusto nel veicolare le informazioni contenute nelle procedure è quello di raccogliere feedback mirati che vi consentano di capire se la gente comprende ciò che è riportato nelle procedure distribuite e, soprattutto, se le singole persone si sentono coinvolte in ciò che hanno appreso.

Domani concluderemo questo lungo discorso vedendo quali sono le 5C da ricordare quando realizziamo una procedura.

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venerdì 2 settembre 2011

Rivediamo le nostre procedure (2)

Tutti noi abbiamo testato almeno una volta nella vita la nostra capacità di leggere pagine e pagine di relazioni, dunque sappiamo bene quanto possa essere noioso.

Includere, invece, nelle nostre informazioni da veicolare video, foto, disegni, tabelle o altro contribuisce ad aumentare l'attenzione perché presenta le informazioni sotto tante forme diverse.

Non dimentichiamo, poi, che i nostri colleghi più giovani sono già abituati a comunicare e ad acquisire informazioni attraverso una serie di tecnologie moderne quali YouTube, applicazioni su smartphone, social network e giochi di ruolo o simulazioni elettroniche.
Se a tutto questo associamo la lavagna luminosa, i cartelloni e le immagini, ecco che avremo a disposizione una serie di strumenti che, a seconda dell'ambiente in cui operiamo e del livello culturale della nostra organizzazione, ci permetterà di trasmettere al meglio i concetti che vogliamo far arrivare attraverso le nostre procedure.

Ma come si arriva a scrivere una procedura?

Una procedura è un riferimento da seguire in maniera rigida che viene creato grazie a:

- esperienza
- buon senso
- comprensione delle singole problematiche

Lunedì continueremo il discorso. Nel frattempo, ogni vostro intervento sarà molto gradito! ;o)


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giovedì 1 settembre 2011

Rivediamo le nostre procedure

Vi siete mai fermati per un attimo a riflettere sul fatto che molte organizzazioni utilizzano le procedure così come le intendiamo oggi da più di mezzo secolo? Suona strano, vero?
E suona ancora più strano il fatto che, in tutto questo tempo, i documenti di cui stiamo parlando siano cambiati pochissimo, rimanendo - spesso - sistemi cartacei che documentano un approccio standardizzato alle singole attività.
Nel corso degli anni, infatti, molte organizzazioni hanno adottato una gestione documentale elettronica ma le procedure che utilizziamo tutti i giorni continuano comunque a rispecchiare fedelmente i vecchi documenti cartecei composti da moltissimo testo.

La domanda da farsi, a distanza di così tanti anni, è se questi documenti basati sul solo testo siano ancora il mezzo migliore per veicolare le nostre procedure oppure no.
Se ne è parlato qualche mese fa su "Quality Progress", la rivista edita da ASQ e, ancora prima, grazie ad un caro amico di QualitiAmo, sul nostro forum (nella sezione Q-club riservata agli utenti che più partecipano alle discussioni).

Qual è, dunque, oggi il modo migliore per veicolare le informazioni?

Studi recenti hanno dimostrato che procedure lunghe e basate esclusivamente su testo non sono il mezzo migliore per trasmettere istruzioni dettagliate.
L'apprendimento degli adulti, infatti, si basa su alcune caratteristiche specifiche:

- la singola esperienza del discente
- il fatto che spesso gli adulti non sono in grado di assorbire troppe informazioni
- il fatto che si è visto più volte che i migliori risultati si ottengono quando si utilizzano diverse tecniche di formazione, a seconda della tipologia di discenti
- la necessità di rispettare la conoscenza di base di chi legge il documento
- l'aver dato per assodato che i concetti trasmessi devono essere compresi facilmente e in fretta
- riuscire a coinvolgere nel processo chi legge

Domani procederemo nella nostra analisi per capire come si possono riscrivere le procedure per renderle maggiormente fruibili. Non mancate!

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