venerdì 30 novembre 2018

Il test di Einstein, la prova regina per l’assunzione

(Fonte: "Il Corriere della Sera")

La prova logica di Einstein

E’ un test di logica, ma è usato nei colloqui di lavoro, quelli più difficili per valutare i candidati e la loro resistenza alla frustrazione e allo sforzo logico. Si chiama il test di Einstein anche se non è certo che sia stato proprio il grande fisico a inventarlo. 

Ecco il test: «Ci sono cinque case identiche, una accanto all’altra, ma di cinque colori diversi. In ogni casa vive una persona di nazionalità diversa e ciascuno di loro beve un certo tipo di bevanda, fuma sigarette di una certa marca e ha un certo tipo di animale domestico. Nessun proprietario ha lo stesso animale domestico, fuma lo stesso tipo di sigarette e beve lo stesso tipo di bevanda».


Chi è il proprietario del pesce?

Leggete la soluzione e scoprite se siete forti nei test di logica!


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giovedì 29 novembre 2018

Gli italiani valutano (e bocciano) il capo in ufficio

(Fonte: "Il Corriere della Sera")

I lavoratori italiani non amano i loro capi. Non sono contenti di come li guidano e li valorizzano. Così l’insoddisfazione li porta a non apprezzarli, o quanto meno a non proporli come modelli di comportamento aziendale, come persone da consigliare per lavorarci insieme.
È quanto si deduce dall’indagine Good boss vs Bad boss realizzata dal «Centro sul cambiamento, la leadership e il people management» della Liuc Business school. «Il nostro obiettivo — chiarisce il direttore del Centro Vittorio D’Amato — è di comprendere il grado di propensione dei lavoratori a consigliare ad altri il proprio boss, oltre che di individuare una lista di comportamenti che caratterizzano un capo efficace».


Il campione di riferimento conta 632 lavoratori dipendenti tra operai, impiegati, quadri e
dirigenti di Pmi e grandi imprese. «Alla fine — spiega D’Amato — abbiamo calcolato
l’Nmps, il Net management promoter score, basato su un parametro formulato da
Frederick Reichheld dell’università di Harvard. Il risultato per i nostri capi è deludente: -
13,2%».
Il dato è ottenuto sottraendo la percentuale di «detrattori», cioè di chi ha dato uno score da 1 a 6 alla «consigliabilità» del suo capo (nel nostro caso il 39,3%), dalla percentuale dei «promotori» (score da 9 a 10, pari al 26,1%).
Tenendo conto che il restante 34,6% del campione si è collocato tra il 7 e l’8 venendo così
classificato come «neutrale», si conclude che ben il 73,9% degli interpellati non si spenderebbe nel consigliare ad altri di lavorare con il proprio boss.


L’indagine però va più in profondità, individuando i comportamenti che portano o non portano i collaboratori a sponsorizzare il loro capo. La condotta considerata più virtuosa e quindi tale da far pendere la bilancia dalla parte della consigliabilità è segnalata dal 54,7% dei lavoratori: «Lasciare un ampio grado di libertà nel modo in cui si conseguono i risultati». Seguono (50,5%) la «disponibilità ad ascoltare i collaboratori», il non aver «paura di prendere decisioni difficili» (40%) e la capacità di «chiarire gli obiettivi» (38%). All’ultimo posto (20%) l’attitudine a «definire chiaramente ruoli e responsabilità dei collaboratori». Quest’ultimo comportamento, considerato scontato per un capo appena accettabile, salta viceversa al primo posto (33,4% dei casi) nella classifica degli atteggiamenti che, mancando, portano i collaboratori a non consigliare il boss. Seguono (30,2%) il «non fornire feedback tempestivi», «non saper gestire le proprie emozioni e
quelle altrui» (26,6%) e «non definire con i collaboratori i criteri sui quali verrà valutata la
loro prestazione» (23,7%).


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mercoledì 28 novembre 2018

Nella prigione che cura i sudcoreani sfiniti dal lavoro

Vien quasi da dire che da queste parti siamo ancora fortunati...

(Fonte: "la Repubblica")

Le regole sono rigide. Uniforme blu da detenuti. Niente telefonini o orologi. Non si parla con gli altri ospiti. Si dorme sul pavimento su un materassino da yoga. Nella stanza solo una piccola toilette, neanche uno specchio. Chi penserebbe mai di rinchiudersi volontariamente in una prigione del genere, per di più a pagamento?

E invece in Corea del Sud sono tanti, più di 2mila persone, che da quando ha aperto nel 2013 hanno bussato alle porte di “Prison Inside Me”. Cercando di scappare da una vita quotidiana la cui pressione è insostenibile attraverso l’isolamento in questa struttura di Hongcheon, nel Nordest del Paese. Un po’ carcere, un po’ albergo, molto casa di cura.

Sono studenti schiacciati dalla feroce competizione del sistema educativo o lavoratori che non reggono turni interminabili, in un’economia dove si fatica oltre 2mila ore in media l’anno, più che in qualsiasi altro Stato dell’Ocse esclusi Messico e Costa Rica.


«La prigione mi dà un senso di libertà», dice alla Reuters nel mezzo della sua cella di cinque metri quadrati Park Hye-ri, 28 anni e un lavoro da impiegato d’ufficio, che ha pagato 90 dollari per una notte lontano dal mondo di fuori. Qualche comodità da vita libera agli ospiti viene concessa: un servizio da tè, una penna e un blocco note su cui lasciar scivolare i propri pensieri, qualche passeggiata all’aria aperta e sedute di ginnastica, ma in rigoroso silenzio.

Menù fisso: a colazione porridge di riso, a pranzo patate dolci bollite e a cena un frullato di banane, da consumare sempre nella solitudine della propria stanza, prima che la porta venga chiusa a chiave e la luce spenta.
La proprietaria della prigione, Noh Ji-Hyang, racconta che l’idea gli è stata data da una frase buttata lì quasi per caso dal marito, un magistrato che spesso e volentieri lavorava oltre dodici ore al giorno: «Piuttosto me ne starei confinato nell’isolamento per una settimana».

Lei l’ha preso sul serio, fondando la struttura grigia in mezzo alla campagna, un parallelepipedo con finestre alte e strette, una per ogni cella. «Dopo essere state qui le persone dicono che non è una prigione, la vera prigione è dove devono tornare», dice.


Negli ultimi mesi il governo guidato da Moon Jae-in ha preso una serie di misure per migliorare le condizioni dei lavoratori sudcoreani, aumentando il reddito minimo e abbassando il numero massimo di ore di lavoro a 52 a settimana, comunque una enormità. Nel frattempo però il livello della disoccupazione è salito al 4,2%, il massimo dalla grande crisi, mettendo ulteriore pressione sui cittadini.

«Non dovrei essere qui con tutto il lavoro che ho da fare – riconosce Park – ma ho deciso di fare una pausa e riflettere su di me per avere una vita migliore». 


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martedì 27 novembre 2018

Boom di anziani disoccupati che lasciano l'Italia

Aumenta il numero di persone che decidono di lasciare l'Italia e, tra queste, ce ne sono molte che non sono più giovani. Ce ne parla "Business Insider Italia".

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lunedì 26 novembre 2018

Colloquio: 6 errori da non fare

Quali sono i sei errori più comuni che si fanno durante un colloquio e come si possono evitare? Ce lo racconta "Il Corriere della Sera".

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venerdì 23 novembre 2018

Migliorare la produttività nell'open space

"D" ci suggerisce qualche consiglio per migliorare la nostra produttività se lavoriamo in un open space.

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giovedì 22 novembre 2018

Su LinkedIn il lavoro non si cerca, si attrae

Quali sono le tecniche per "attirare" il lavoro su LinkedIn? Eccovene alcune.

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mercoledì 21 novembre 2018

Tecniche di negoziazione

Che si tratti di lavoro, coppie o trattative con delinquenti o persone disperate, le tecniche di negoziazione sono abbastanza simili. Eccovi qualche consiglio da parte di un esperto.

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martedì 20 novembre 2018

La perfetta cover letter per trovare lavoro all'estero

Eccovi una serie di consigli per scrivere una cover letter capace di darvi qualche possibilità in più di trovare un lavoro all'estero.

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lunedì 19 novembre 2018

L'iniziativa di Batho Pele

Il servizio è un aspetto importantissimo della gestione della qualità, per questo motivo in Sudafrica hanno indetto un'iniziativa che prende il nome di Batho Pele per spingere le persone a migliorare i servizi governativi.

I principi sui quali si basa l'iniziativa sono:
  • stare in contatto regolarmente con la clientela;
  • fissare degli standard per il servizio;
  • migliorare l'accesso ai servzi;
  • assicurare cortesia;
  • fornire informazioni sempre migliori e sempre più dettagliate in merito ai servizi;
  • migliorare la trasparenza relativa all'erogazione dei servizi;
  • rimediare ad eventuali errori;
  • dare il maggior valore aggiunto possibile ai soldi spesi per poter usufruire dei servizi
Vi viene in mente altro che potrebbe essere aggiunto alla lista?

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venerdì 16 novembre 2018

Domande dei colloqui per metterti in difficoltà

Quali sono le domande che possono metterti più in difficoltà durante un colloquio e come fare per aggirarle? Ce lo racconta "Business Insider Italia".

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giovedì 15 novembre 2018

Siete stressati? Potreste avere questi sintomi

Ci sono alcuni sintomi che a volte non vengono ricondotti allo stress ma che ne sono, invece, la sua espressione. Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

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mercoledì 14 novembre 2018

Imparare a delegare

Quanti di voi sanno davvero delegare? Ecco alcuni consigli tratti da "Io donna" per imparare a delegare e vivere meglio.

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martedì 13 novembre 2018

Più produttivi lavorando solo 4 giorni?

Chi fa il weekend lungo (tre giorni) è più felice e produttivo. ce ne parla "Business Insider Italia".

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lunedì 12 novembre 2018

La lunghezza del CV

Se sei uno degli imprenditori più influenti del tuo settore e lavori nel campo da molti anni il tuo curriculum non può essere lungo solamente una paginetta, giusto?

Sbagliato! Ce lo spiega "Business Insider Italia".

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venerdì 9 novembre 2018

Quelli che il lavoro lo trovano all’happy hour

(Fonte: "la Repubblica")

Colazioni per scambiarsi contatti, pranzi a tema per fare rete. Ecco come cambia il modo di cercare un impiego (e i clienti) in un mondo di professionisti sempre più fluidi e nomadi.

Ogni mattina, in Italia, un professionista si sveglia e sa che dovrà correre velocissimo a colazione. Lì, in un bar alla moda o al buffet di un quattro stelle, incontrerà altri professionisti di ogni età con un caffè, una spremuta e la speranza non troppo vaga di trovare nuovi clienti o un lavoro. 

Benvenuti nel mondo in cui il curriculum è un reperto archeologico, i confini tra mestieri scompaiono e il tempo libero si mischia con quello dell’ufficio (per chi ancora ce l’ha o lo sogna). Un mondo in cui il lavoro si cerca tra uno spritz e un bicchiere di rosso, scambiandosi contatti e facendo gli incontri giusti al tavolo di un bistrot, che sempre di più, del resto, è l’ufficio dei nuovi globetrotter, liberi professionisti o professionisti liberi, capaci di unire competenze lontane e diverse.

(...)

Da tempo, i nuovi professionisti - digitali e non, millennial o più grandi - hanno preso a costruire relazioni di lavoro in contesti che una volta avremmo considerato improbabili, a meno di non scomodare l’Oscar Wilde della massima «i migliori affari si fanno a tavola». Colazioni a tema, happy hour, cene. Che si chiamino Aperijob, AperiHub o Fiordirisorse, l’obiettivo è riunire persone che dallo scambio di conoscenze possano portare a casa un contatto cruciale. 

(...)

In Italia, più che per questi esempi virtuosi, il networking è passato alla cronaca per la sortita di un ex ministro secondo il quale « nel lavoro si creano più opportunità giocando a calcetto che a spedire curricula». «Quella frase è infelice perché suggerisce l’idea che basta avere i contatti giusti e zero competenze per farcela » spiega Francesca Parviero, learning experience designer. « Invece nel networking le skill sono essenziali: fare rete vuol dire riuscire ad avere perché si è capaci di dare » . 

Negli Stati Uniti, patria dei network internazionali più strutturati, c’è chi ha iniziato a vedere il fenomeno in una chiave più critica e a mettere in guardia. Adam Grant, professore alla Wharton School della Pennsylvania e autore di Give and Take, ha scritto di recente sul New York Times che il networking è sovrastimato: «È vero che fare rete può aiutare a fare grandi cose, ma è vero soprattutto il contrario: è fare grandi cose che aiuta ad avere un buon network». La ricetta migliore resta allora quella che all’happy hour unisce il confronto di competenze vere.

(...)

Negli anni 80, se chiedevi aiuto a un professionista, ti avrebbe detto: penso a tutto io. Mai qualcuno ti avrebbe messo in contatto con un collega gettandogli addosso una luce ancorché riflessa. Il networking invece accende questa magia. Dagli anni 80 si può uscire vivi, allora. Anche con un prosecco in mano.

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giovedì 8 novembre 2018

Un'azienda senza sede? E' possibile?

In Italia il telelavoro non decolla ma ci sono realtà dove funziona e sembra farlo benissimo. D'accordo, si tratta di settori particolari ma cosa ne pensate?

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mercoledì 7 novembre 2018

Il multitasking fa male

(Fonte: "Donna moderna")


Parliamo al telefono e intanto rispondiamo a un'email. Controlliamo i social mentre siamo al volante. In fondo siamo nati per fare più cose insieme, giusto? "A dire la verità le ricerche dicono il contrario" avverte Adam Gazzaley, neuroscienziato della University of California di San Francisco. "A livello mentale il multitasking non esiste, perché il cervello non è in grado di gestire in parallelo  due compiti diversi, soprattutto quando questi comportano una certa attenzione. Spingerlo in questa direzione ha un costo: la concentrazione si interrompe e la mente diventa ancora più sensibile alle distrazioni". 

E' tutta colpa del nostro stile di vita?

"Di certo peggiora la situazione, ma alla base c'è dell'altro. Siamo distratti per natura. Con ogni sistema di elaborazione dati (persino il pc), anche il cervello tende a deconcentrarsi. Lo fa di più oggi che ha raggiunto il picco più alto di evoluzione".

Come si spiega?

Basta guardare al passato. I comportamenti degli uomini primitivi erano risposte istintive: a una percezione esterna (per esempio l'odore di una bestia feroce) seguiva un'azione (la fuga). Nella società moderna, invece, ci prefiggiamo obiettivi sempre più complessi: intrecciati tra loro, ritardati nel tempo e condivisi con altre persone.

Con quali conseguenze?

"Per raggiungerli, non possiamo agire d'istinto. Dobbiamo prendere decisioni e pianificare una strategia d'azione che richiede il "controllo cognitivo": un pacchetto di abilità che servono a concentrare le risorse mentali. Tra queste ci sono l'attenzione, la memoria a breve termine e la gestione dell'obiettivo".

E' questo il processo che si inceppa?

"Proprio così. A differenza della nostra capacità di porci obiettivi sempre più sofisticati, il controllo cognitivo non si è evoluto: è rimasto un sistema antico e pieno di limiti".

Quali sono esattamente questi limiti?

"Restiamo sensibili agli stimoli esterni per una questione di sopravvivenza e in realtà non potrebbe che essere così: che cosa succederebbe, infatti, se non prestassimo attenzione all'odore di bruciato quando ci scordiamo di spegnere i fornelli? In più siamo vittime di distrazioni interne come i pensieri erranti. Ma anche la capacità di immagazzinare informazioni a breve termine ha delle falle. Basti pensare a quanto è difficile ricordare la strada quando guidiamo nel traffico, bombardati da musica e messaggini.

Quindi la tecnologia contribuisce a distrarci?

"E' la principale fonte di interferenze! Ma siamo affamati di informazioni: qualsiasi novità, che sia un aggiornamento delle notizie o il post di un amico sui social, stimola nel cervello il rilascio della dopamina, un neurotrasmettitore che regala gratificazione. Da qui nasce l'ansia di tenere sotto controllo il nostro mondo virtuale. E non è finita".

Dica

"Tablet e smartphone ci spingono al multitasking. E anche se siamo convinti di gestire due azioni in contemporanea, per la mente non è così. Ogni compito poggia su una rete di neuroni diversa e questo spinge il cervello a passare di continuo da un circuito all'altro".

Si può imparare a limitare le distrazioni?

"Certo, perché il cervello è plastico: se lo alleniamo migliora come un muscolo. Per rafforzare il controllo cognitivo, sono utili meditazione, contatto con la natura, esercizio fisico e il cambio delle nostre abitudini".

Da dove cominciamo?

"Il problema numero uno è la costante disponibilità di informazioni, che va limitata. Dalla scrivania va fatto sparire tutto ciò che non serve. Sul computer deve esserci solo una schermata alla volta.

Non rischiamo di stufarci?

"Sì, è la noia è amica delle distrazioni. Per contrastarla è giusto dedicarci in modo esclusivo a un compito. Ma anche sapersi concedere delle pause in cui rigenerare l'attenzione, scarabocchiando o guardando nel vuoto".

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martedì 6 novembre 2018

L’intelligenza artificiale ‘spia’ le email aziendali


Altro che pausa caffè: ora l’intelligenza artificiale ‘spia’ le email aziendali per sondare l’umore dei dipendenti. Ce ne parla "Business Insider Italia".


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lunedì 5 novembre 2018

Parliamo di smart working

Qualche informazione del "Corriere Innovazione" sullo smart working.

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venerdì 2 novembre 2018

Meglio un imprenditore pessimista?

Quante volte sentiamo elogiare l'ottimismo come l'unica strada da percorrere per affrontare la vita nel modo migliore? Bene, sembra che per gli imprenditori le cose stiano in maniera leggermente diversa. Ce ne parla "Business Insider Italia".

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