giovedì 31 gennaio 2013

Valutare un Sistema Qualità

L'ultimo sistema per valutare il buon funzionamento di un Sistema Qualità è sicuramente quello dell'autovalutazione.Attività e i risultati vengono giudicati in base a criteri per il miglioramento come possono essere, ad esempio, quelli della ISO 9004 o quelli dei Premi Qualità.

Fare una buona autovalutazione permette di avere un'idea precisa delle performance aziendali e del livello di maturità raggiunto dal sistema. Si tratta di un lavoro importante soprattutto perché ci permette di renderci conto se alcune aree necessitino di un intervento e di stabilire le priorità degli stessi.

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mercoledì 30 gennaio 2013

Valutare un Sistema Qualità (3)

Il secondo modo per testare il Sistema Qualità è quello del riesame periodico della Direzione che serve affinché il vertice aziendale testi l'adeguatezza, l'efficacia e l'efficienza del sistema rispetto a quanto stabilito nella politica per la qualità e negli obiettivi.

Di questo momento si tende spesso a sottovalutare il peso perché chi dirige un'azienda non riesce a cogliere il valore aggiunto di questo lavoro e chi si occupa di Qualità non è in grado di spiegarlo al meglio. Proviamo, dunque, a riassumerlo insieme in modo che possiate valutarne l'importanza.
Stabilire una politica e degli obiettivi solamente per produrre un po' di carta da far vedere all'auditor non è utile a nessuno: né al professionista della Qualità né, tantomeno, a chi dirige l'organizzazione. Politica e obiettivi specifici, infatti, vanno pensati all'interno di un quadro più ampio che deve racchiudere le strategie e l'obiettivo principe dell'azienda. Considerare le due cose come separate è il modo migliore per fare del sistema Qualità una sovrastruttura inutile, costosa e difficile da mantenere.

La Qualità dovrebbe diventare uno degli strumenti migliori a nostra disposizione per assicurare che le strategie decise vengano effettivamente implementate. E' questo che dobbiamo verificare durante il riesame della Direzione: se il Sistema Qualità ci abbia aiutato o meno a centrare i nostri macrobiettivi che non sono, badate bene, gli "obiettivi della Qualità" ma gli obiettivi dell'azienda, del mercato, dei clienti.
Spesso, invece, ci sono due tipologie di traguardi da raggiungere: quelli della Qualità ("...che bisogna avere per forza perché la ISO 9001 lo richiede") e quelli aziendali. Una follia!

Ogni modifica nelle esigenze dei nostri clienti o delle altre parti interessate dovrebbe portare a una modifica del Sistema Qualità perché è proprio questo il mezzo che dovrà dovrà assicuraci di averle ben colte e di essere in grado di soddisfarle. Ecco perché un riesame ben fatto dovrebbe produrre una lista di azioni di miglioramento scritte non a caso ma ipotizzate in base all'analisi dei dati raccolti nel lungo periodo (sei mesi o un anno), dati capaci di evidenziare rinnovate esigenze della nostra clientela (e qui entrano in gioco gli indicatori che devono essere scelti bene).

E' tutto chiaro? Ci sono domande?

Domani parleremo dell'autovalutazione, strumento asolutamente trascurato dalla maggioranza delle organizzazioni.

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martedì 29 gennaio 2013

Valutare un Sistema Qualità

Il primo tipo di verifica che possiamo fare su un Sistema Qualità è l'audit.

L'audit è una verifica obiettiva e imparziale che si svolge secondo criteri ben definiti e che ha come scopo quello di verificare l'adeguatezza della documentazione di sistema, il rispetto dei requisiti stabiliti (descritti nelle norme di riferimento, nei documenti dell'organizzazione, nei contratti dei clienti, nella documentazione cogente, ecc.) e l'efficacia dell'implementazione dell'intero sistema.

Un aspetto degli audit che spesso si tende a dimenticare è che questo tipo di verifiche si presta benissimo ad identificare opportunità di miglioramento e che questo rappresenta, poi, il reale valore aggiunto di tutto il lavoro.

Domani ci occuperemo del riesame della Direzione. Nel frattempo, se i nostri giovani amici meno esperti hanno domande, risponderemo volentieri!

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lunedì 28 gennaio 2013

Valutare un Sistema Qualità

Come sappiamo, per testare il buon funzionamento, l'efficacia e il miglioramento continuo del nostro lavoro nell'ambito della Qualità occorrono alcune valutazioni periodiche.

Proviamo a fare un breve specchietto di queste valutazioni in modo che anche chi ha iniziato da poco ad occuparsi della materia possa comprendere bene l'argomento.

Le verifiche possono essere condotte sui prodotti per assicurarsi che siano allineati a ciò che abbiamo specificato nei documenti appartenenti al nostro Sistema Qualità (disegni, specifiche, ecc.) e, in questo caso, si svolgeranno attraverso:
  1. ispezioni e controlli sul prodotto durante il processo
  2. controlli statistici di processo
  3. ispezioni e controlli finali sul prodotto
oppure possono riguardare il sistema e serviranno per assicurarsi che sia stato progettato per darci i risultati attesi in termini di Qualità. Le verifiche di sistema si dividono in:
  1. audit interni (di prima parte, condotti all'interno dell'organizzazione)
  2. audit esterni (di seconda e di terza parte, ovvero verifiche da parte dei clienti e dell'ente certificatore)
  3. riesami periodici del sistema da parte della Direzione
  4. autovalutazioni sulla base di parametri di linee guida che abbiamo deciso di seguire (ad esempio quelle dettate dai Premi della Qualità)
In questa sede ci occuperemo solamente delle verifiche di sistema, analizzando brevemente i tre grandi gruppi di verifiche. Inizieremo domani parlando degli audit.

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venerdì 25 gennaio 2013

Il modello VARK

Secondo il modello definito come VARK, dalle iniziali delle parole che lo identificano, una persona utilizza ben quattro diversi stili di apprendimento per processare le informazioni con le quali viene a contatto:
  1. Visual (visuale): l'apprendimento avviene principalmente attraverso immagini, grafici, mappe, diagrammi, ecc
  2. Auditory (uditivo): l'ascolto è fondamentale nel processo di apprendimento di questi individui
  3. Read/write (leggere/scrivere): questa modalità di apprendimento è tipica di chi ha bisogno di leggere un testo e, spesso, anche di riscriverlo a modo suo per assicurarsi di averne assimilato i concetti principali. Si basa essenzialmente sulla parola scritta
  4. Kinesthetic (cinestesico): chi preferisce questo modo di apprendere ricerca l'esperienza sul campo e mira ad imparare facendo le cose
Premesso che ognuno di noi preferirà uno stile piuttosto che un altro a seconda del contesto in cui si trova e dell'argomento trattato, voi in quale gruppo vi identificate meglio?

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giovedì 24 gennaio 2013

Lavorare in team (6)

Eccoci arrivati all'ultimo step.

6 - Valutare il bisogno di formazione

Come abbiamo detto più volte in questo lungo discorso, non si impara a lavorare in team dall'oggi al domani e alcune persone che non hanno la giusta predisposizione per collaborare con i colleghi potrebbero aver bisogno di un intervento apposito di formazione.

Per essere efficace, in questo caso, la formazione andrebbe erogata subito prima del passaggio al lavoro in team perché le persone devono aver ben chiaro in mente come utilizzerano sul campo le nozioni apprese.

Gli argomenti più utili da toccare per un corso di formazione del genere saranno:

- change management
- team building
- project management
- risoluzione dei conflitti
- gestione delle riunioni

Adesso vorrei ascoltare voi...

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mercoledì 23 gennaio 2013

Lavorare in team (5)

Eccoci arrivati al quinto step che, come abbiamo accennato ieri, riguarda gli incentivi.

5 - Scegliere gli incentivi giusti

Gli incentivi sono importanti per fare in modo che le persone si abituino a lavorare in un certo modo e sono tra gli strumenti più utilizzati nell'ambito del change management.

State attenti, però, a scegliere incentivi che vadano a premiare soprattutto la capacità della singola persona di fare team building.
Un'idea potrebbe essere quella di dare a turno la responsabilità del gruppo ad ogni suo singolo componente e vedere chi se la cava meglio. Questo permetterà a tutti di verificare su campo l'efficacia di un certo modo di procedere e responsabilizzerà ogni persona che si troverà, seppure per poco tempo, a dover tirare le fila del lavoro dell'intero team.
La valutazione e l'attribuzione dell'incentivo contribuiranno a sottolineare meglio la risoluzione della Direzione di passare al lavoro di gruppo.
 
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martedì 22 gennaio 2013

Lavorare in team (4)

Il quarto passo per lavorare bene in team é:

4 - Sviluppare una buona comunicazione

Dare le direttive per avviare un lavoro di gruppo non basta ad assicurare che venga fatto un buon lavoro perché quando si cerca di implementare un cambiamento è fondamentale che il vertice dell'organizzazione spieghi nel dettaglio cosa attendersi nel futuro più prossimo.

Potete starne certi: in momenti che possono generare incertezza come quelli nei quali si cerca di avviare un cambiamento, la comunicazione non basta mai! L'errore che si fa spesso, però, è quello di sintetizzare i tratti salienti dell'intero percorso in un frettoloso comunicato scordando che le persone alle quali si chiede di cambiare (e imparare a lavorare in gruppo se fino a ieri si lavorava da soli è un grosso cambiamento) hanno bisogno di essere continuamente rassicurate.
In assenza di una comunicazione ufficiale le persone cercheranno di colmare questo gap con pettegolezzi e con i "sentito dire" e l'efficienza del lavoro ne risentirà enormemente.

Domani parleremo di incentivi. A presto!

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lunedì 21 gennaio 2013

Lavorare in team (3)

Il terzo step per arrivare a lavorare armoniosamente in gruppo é:

3 - Costruire l'ambiente di lavoro giusto

Un team può funzionare benissimo in un'azienda e malissimo in un'altra.
Per quale motivo? E' semplice: l'ambiente di lavoro differente.

Per funzionare bene, infatti, il gruppo necessita di appositi layout che rendano facile la collaborazione tra le persone che, pur occupandosi di cose diverse, lavorino su uno stesso processo e consuetudini che favoriscano il relazionarsi con gli altri e un flusso snello delle attività (in un clima dominato dalla paura, ad esempio, si cercherà semplicemente di darsi reciprocamente la colpa).

Un reengineering dei processi, è dunque fondamentale per offrire ai gruppi la necessaria autonomia decisionale per snellire i flussi e occorre mettere in conto che ci sarà un periodo di adattamento, che verranno inevitabilmente commessi degli errori ma che questi errori non dovranno farci ricadere in una logica di vecchio stampo di mera ricerca del colpevole perché agire in questo modo non farebbe altro che rallentare il percorso di sviluppo dell'autonomia dei gruppi di lavoro, fino a portare i componenti a ricercare la comoda situazione di prima dove una solida catena del comando prevedeva meno responsabilità e, in definitiva, grane anche se certamente non offriva grandi soddisfazioni.

Domani affronteremo insieme il quarto step. Non siete stanchi, vero?

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venerdì 18 gennaio 2013

Lavorare in team (2)

Passiamo al secondo step che ci permette di impostare l'organizzazione del lavoro della nostra azienda attraverso i team.

2 - Imparare a collaborare

Lavorare insieme in un gruppo non significa creare un ambiente di alleati in perenne lotta con gli appartenenti ad altri team (altrimenti si tornerebbe alla classica visione per funzioni e non è quello che vogliamo) ma collaborare per il bene dell'intera azienda.

Facendo un passo indietro al discorso della pianificazione, questo significa progettare bene i diversi gruppi in modo da non metterli in guerra uno contro l'altro nella perenne ricerca di centrare obiettivi che risultino in contrasto con quelli dei colleghi degli altri team.

Il modo migliore per insegnare alle persone a collaborare è quello di cercare il valore aggiunto che può derivare da questa collaborazione sia per un gruppo sia per l'altro.
E' inutile prendersi in giro: convincerete i collaboratori ad agire in un certo modo solamente se sarete così abili da trovare e presentare nel migliore dei modi il vantaggio che ne deriva.

Puntate su performance da raggiungere collettivamente lavorando insieme agli altri team e avrete in mano il "segreto" per impostare una reale collaborazione capace di sfruttare le sinergie tra i componenti dei singoli team.

A lunedì per il terzo step.

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giovedì 17 gennaio 2013

Lavorare in team

Quando si passa da un'organizzazione per funzioni a un'organizzazione per processi, è naturale organizzarsi in team e cercare di lavorare bene in gruppo.
Il passaggio, però, è tutt'altro che facile, soprattutto per chi lavora in un'organizzazione dove manchi la cultura necessaria ad una buona interazione tra le persone. E' questo il motivo principale che porta all'insorgere delle problematiche legate ai team di lavoro che ben conosciamo.

Il modo migliore per affrontare la cosa è quello di procedere per gradi, lavorando bene su ognuno dei sei step che vi presenteremo.

1 - Preparare un piano

Non pensate che cambiamenti importanti come questo possano prescindere da uno studio approfondito e dalla preparazione di un buon piano per il loro sviluppo.
La pianificazione, infatti, aiuta a creare il clima giusto per il cambiamento, fa in modo che le necessità dell'organizzazione e quelle del suo personale vengano prese in considerazione e rispettate e assicura una transizione dolce senza traumi.

Perché un piano si possa definire "buono", però, occorrerà spendere un bel po' di tempo per assicurarsi l'appoggio da parte della Direzione. Dire che occorre lavorare in gruppo e poi non mettersi in gioco per primi, infatti, non rende certo credibile il cambiamento. Senza il supporto del top management e senza un cambiamento percepibile nel suo approccio sarà davvero impossibile convincere i colleghi che stiamo facendo sul serio e che i problemi di uno diventeranno i problemi di tutti (perché è così che si lavora in un gruppo).
Sentire i vertici lontani dai problemi di tutti i giorni avrà un effetto terribile sul morale dei lavoratori e sulle loro performance perché non c'è nulla di peggio che convincerli di qualcosa e poi mostrare coi fatti che stiamo procedendo esattamente nella vecchia maniera.

Il secondo aspetto da considerare nella pianificazione è quello di individuare subito il responsabile del gruppo di lavoro (ad esempio il proprietario del processo) e chiarire bene i suoi compiti.
Non possiamo fermare il nostro lavoro in attesa di organizzarci meglio, dunque occorre che le persone migliori della nostra organizzazione prendano saldamente in mano le redini dei diversi gruppi per condurli attraverso un difficile periodo di assestamento durante il quale verrano ridiscussi ambiti, priorità, obiettivi individuali, ecc.
Le persone più esperte di gestione del cambiamento potranno darvi una grande mano in questo lavoro perché occorrono competenze ben radicate per far sì che un progetto come questo non finisca in un nulla di fatto (vi ricorda qualcosa? Sono certa di sì!)

A domani per il secondo step.

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mercoledì 16 gennaio 2013

Come applicare il jidoka nelle nostre organizzazioni?

Ricordate ancora cosa significhi la parola giapponese Jidoka? Potremmo tradurlo con "automatizzare la supervisione dei processi", ovvero non limitarsi ad ispezionarli "ex post" (dopo, quando ormai è troppo tardi e ci ritroviamo davanti le difettosità) ma gestirli "ex ante" (nelle primissime fasi della nostra produzione).

Dei vantaggi del Jidoka abbiamo già parlato ampiamente, in questa sede basterà ricordare che i difetti vengono individuati subito e ricordare che una problematica costerà tanti più soldi quanto più tardi verrà individuata.

Applicare il Jidoka significa procedere con 4 step:
  1. individuare eventuali difetti prodotti da un processo
  2. segnalarli subito a chi di dovere
  3. intervenire immediatamente e autonomamente per evitare che il problema diventi più grave
  4. fare un'analisi delle cause che hanno generato il difetto e prendere le necessarie contromisure per evitare che si ripresentino (ad esempio con un sistema Poka Yoke)
Quale fase trovate più difficile da applicare nelle vostre organizzazioni e per quale motivo?
Qualcuno di voi sta già lavorando a un sistema simile? Se no, per quale motivo?

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martedì 15 gennaio 2013

Gli sprechi nel campo sanitario

Ognuno di noi professionisti della Qualità, quando si imbatte nella Sanità nazionale, riesce ad individuare facilmente alcuni "sprechi" che, in un'ottica lean,  potrebbero essere tranquillamente eliminati.
Avete voglia di aiutarci a costruire un elenco il più completo possibile? Umberto e altri operatori del settore, aspettiamo il vostro aiuto!
  1. errori medici
  2. procedure errate
  3. pazienti sbagliati (!)
  4. informazioni mancanti
  5. attese per l'assegnazione del letto
  6. attese per essere dimessi dall'ospedale
  7. attese per i risultati degli esami
  8. perdere tempo nel cercare medici e infermieri
  9. muovere troppe volte i pazienti spostandoli anche quando sarebbe inutile
  10. spostamenti di medici e infermieri
  11. esami fatti due volte perché decisi da due reparti diversi
  12. troppa carta
  13. layout laboratori e reparti organizzati male e che producono inefficienze
  14. magazzini troppo alti (medicinali, ecc.)
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lunedì 14 gennaio 2013

Le basi del Lean thinking applicate all'insegnamento

Sebbene il pensiero snello sia stato pensato soprattutto per essere applicato nelle aziende, la sua applicazione è comune nell'ambito dei servizi e, dunque, anche nel campo dell'educazione scolastica.

I principi di applicazione della metodologia nell'ambito dell'insegnamento sono i seguenti:
  • specificare il valore - l'insegnamento va erogato in un'ottica di apprendimento collaborativo dove l'insegnante non è più il solo esperto dal quale il sapere scende a cascata sui discenti ma ogni studente viene invitato a prendere il controllo del suo percorso di apprendimento sia per ciò che riguarda concetti semplici, sia per ciò che concerne argomenti avanzati. I ragazzi imparano a lavorare insieme per centrare obiettivi comuni
  • focalizzare l'attenzione sul flusso del valore - il flusso del valore comprende tutte le azioni e le interazioni che ritroviamo nei diversi step dell'insegnamento sia in classe che a casa. Agli studenti viene chiesto, ad esempio, di reperire informazioni per poi confrontarle tra loro in gruppo prendendo coscienza di vantaggi e svantaggi di un certo modo di operare
  • ragionare per processi - i laboratori, le attività di tipo pratico, i sistemi e le metodologie sono progettate perché si possano sviluppare nel migliore dei modi
  • abbattimento degli sprechi - il lavoro non necessario viene scoraggiato perché porta inefficienze
  • perfezione - agli studenti viene insegnato a mirare sempre alla perfezione


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venerdì 11 gennaio 2013

Da quali caratteristiche nasce la leadership? (2)

Prendo ancora spunto da "Emotional capitalists", il libro di Martyn Newman di cui abbiamo iniziato a parlare ieri, per completare il pensiero dell'autore che crede che il capitale emozionale su cui può contare un'organizzazione si componga di tre elementi ben precisi:
  1. il capitale emozionale esterno, ovvero il valore delle sensazioni e delle percezioni dei clienti. Per avere successo in molti campi è decisamente più importante attirare clienti emozionali che razionali, facendo appello alla loro immaginazione e alle loro sensazioni. Ricordatevi sempre che le persone vogniono acquistare da aziende che amano e che trovano simili a loro
  2. quello interno che corrisponde al coinvolgimento emozionale della gente che lavora in azienda e che poggia su una condivisione di valori. Se le relazioni con i clienti esterni sono importantissime, quelle con i clienti interni sono addirittura VITALI. Le persone che lavorano in una società dovrebbero essere considerate come dei veri e propri investitori emozionali perché ogni giorno portano al lavoro con loro cervello e cuore e se iniziassero a non farlo, l'azienda ne risentirebbe immensamente
  3. e quello interpersonale che è tipico di chi cerca di rendere più positivo un ambiente di lavoro ispirando chi gli lavora a fianco (o demoralizzandolo, a seconda dei casi)
 L'organizzazione per cui lavorate può contare su un buon capitale emozionale?

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giovedì 10 gennaio 2013

Da quali caratteristiche nasce la leadership?

Sto leggendo un libro di Martyn Newman sulla leadership abbastanza interessante. Il titolo è: "Emotional capitalists"




L'autore si chiede quali emozioni e caratteristiche siano più adatte a "costruire" un leader e io rivolgo la stessa domanda a voi.
Newman ne ha individuate 4. Secondo voi quali sono e perché?

(La soluzione sul forum di QualitiAmo entro la fine della giornata. Per leggerla vi basterà iscrivervi.)

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mercoledì 9 gennaio 2013

La cross-innovation (2)

Continuiamo a leggere "Business People" per apprendere qual è il decalogo della cross-innovation:

(...)
  1. Prerequisito è l'open e connected innovation. Senza la totale apertura e connessione in rete nessun incrocio è possibile
  2. Strategie e obiettivi chiari: l'azienda vuole puntare su innovazioni radicali e incrementali? Ci sono le risorse umane e un clima culturale adatti?
  3. Per avere successo, il tema della cross-innovation deve salire ai piani alti dell'azienda coinvolgendo CEO e direzione generale
  4. Applicare il motto greco "conosci te stesso" mettendo a fuoco punti di forza e debolezza nella propensione all'innovazione
  5. I migliori risultati si ottengono creando alleanze e integrazione di competenze
  6. La cross-innovation è un gioco di squadra fatto di networking e collaborazione allargata
  7. Keep it simple: grandi reti ma piccoli team con budget ridotti per esplorare le potenzialità della cross-innovation in un clima di autogestione
  8. Dagli errori e fallimenti spesso nascono le migliori cross-innovation
  9. Per incrociare bisogna praticare la tecnica del mash up: pescare dinamicamente spunti e contenuti da più fonti per creare servizi e prodotti inediti
  10. Assumere personale di altri settori e con esperienze non pertinenti per l'attività aziendale è una delle regole migliori e più semplici da attuare

(...)

Adesso parlateci un po' di voi: la vostra organizzazione è pronta per la cross-innovation?

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martedì 8 gennaio 2013

La cross-innovation

Sull'ultimo numero della rivista "Business People" si parla di cross-innovation, concetto che mi è sembrato importante aiutarvi a conoscere.

Ecco gli estratti dell'articolo che mi sono parsi più interessanti:

"C'erano una volta aziende che segnavano rigidamente i propri confini, che guardavano solo al proprio interno per crearsi un futuro di successo, che scrutavano con sospetto le altre imprese, concorrenti in primis ovviamente...
Tutto questo, si può ben dire, è storia vecchia. Ai tempi della civiltà (ed economia) digitale l'innovazione deve prendere tutt'altra strada ed essere cross, incrociata, interdisciplinare e transdisciplinare.
In pratica è tempo di modificare i vecchi modelli gestionali, consolidati e rassicuranti ma superati, per osare e incrociare esperienze, culture, risorse, competenze, brevetti, canali, settori e quant'altro vi può venire in mente, superando radicalmente i confini aziendali."

(...)

"Il settore alimentare è oggi, per esempio, un vero crocevia di cross-innovation, l'inasione di campo dal cibo alla cosmesi, alla dermatologia, al design, sembra essere ormai la regola. Negli Stati Uniti esiste persino una bevanda vitaminizzata per bambini la cui bottiglietta dopo l'uso si trasforma in gioco."

(...)

"Si tratta, dunque, di andare ben oltre il co-marketing per arrivare alla co-creation, ossia a creare insieme qualcosa di veramente nuovo."

(...)

"Ma la cross-innovation va anche al di là del prodotto. Tutto è incrociabile. Anche i manager. Negli Stati Uniti ci hanno provato già mettendo in atto scambi temporanei dei dirigenti per innescare progetti di open innovation. Dipendenti di una nota multinazionale, ad esempio, hanno speso settimane partecipando ai programmi di training e alle riunioni per la definizione dei business plan di un'altra società, imparando gli uni dagli altri e innovando i rispettivi approcci."

Domani vedremo insieme il decalogo della cross-innovation. Nel frattempo, vi segnalo anche questo articolo che potreste trovare interessante per approfondire l'argomento.

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lunedì 7 gennaio 2013

Il Lean thinking spiegato con pochi concetti

Applicare il Lean thinking alle nostre organizzazioni significa farle diventare:
  • più rapide nel fare le cose
  • più flessibili nell'adattarsi ai desideri dei clienti
  • più efficienti nell'utilizzo delle risorse (mediante l'eliminazione di tutti gli sprechi)

I principi del Lean thinking si possono riassumere così:
  • valore - specificare bene ciò che crea valore dal punto di vista del cliente, ricordando che il valore è ciò per cui il cliente è disposto a pagare. Ciò che trasforma il prodotto/servizio in qualcosa di più vicino a ciò che desidera il cliente ha valore aggiunto, il resto è spreco
  • flusso del valore - identificare tutti gli step necessari per raggiungerlo all'interno della catena dei processi. Mappare il flusso del valore è parte integrante del Lean thinking
  • flusso - far sì che il processo scorra "un pezzo alla volta" creando valore attraverso la migliore sequenza delle singole attività. Mirare ad eliminare i tempi di attesa all'interno dei flussi
  • pull - fare solamente ciò che chiede il cliente abbattendo il tempo di risposta data alla domanda del mercato
  • perfezione - puntare di continuo alla perfezione cercando di dare al cliente esattamente ciò che chiede. E' il concetto del miglioramento continuo
  • rispetto per le persone
Le regole del Lean thinking sono le famose 4 regole di Toyota:
  • lavoro ben descritto da specifiche precise per ciò che riguarda contenuto, sequenze, tempistiche, risultati, ecc.
  • relazioni cliente-forniotore dirette e gestite attraverso rapporti non ambigui. Si mandano richieste e si ricevono risposte che non lascino adito a dubbi: "sì" o "no"
  • il percorso per ottenere ogni prodotto o servizio deve essere il più semplice e diretto possibile
  • ogni miglioramento deve essere impostato secondo il metodo scientifico, sotto la guida di una persona esperta che si trovi al livello più basso possibile all'interno dell'organizzazione
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venerdì 4 gennaio 2013

Le caratteristiche del professionista della Qualità

Quali caratteristiche deve avere un professionista della Qualità per fare al meglio il suo lavoro?
Proviamo ad elencarle insieme e suggeriteci quelle che abbiamo dimenticato.
  1. Capacità di ascoltare
  2. Attitudine alla collaborazione
  3. Disponibilità ad aiutare gli altri colleghi
  4. Predisposizione a trasmettere le informazioni di cui è impossesso
  5. Creatività
  6. Determinazione ad implementare ciò che è stato deciso
  7. Predisposizione ad imparare
  8. Tendenza alla leadership
  9. Determinazione nel pretendere che vengano fatte le cose decise
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giovedì 3 gennaio 2013

Imparare a gestire la supply chain con il gioco della birra

Qualcuno di voi ha già sentito parlare di "beer game"? Il gioco della birra viene spesso utilizzato in ambito manageriale per insegnare i primi rudimenti della corretta gestione di una catena di fornitura.

Simulando una supply chain i partecipanti assumono il ruolo di una compagnia per decidere, in base alla situazione dei loro stock di magazzino e degli ordini della clientela, quanto ordinare a loro volta dai fornitori.
L'obiettivo, ovviamente, è duplice:
  • minimizzare il capitale immobilizzato in birra stipata nei magazzini
  • evitare di andare in rottura di stock, ovvero assicurarsi di avere sempre la merce che i clienti possono ordinarci.
Questa semplice simulazione può aiutarci a comprendere meglio eventuali inefficienze nella gestione della catena dei fornitori e i loro effetti sul lavoro dell'azienda.

Se siete interessati ad approfondire maggiormente il discorso, ci sembra utile segnalarvi questa presentazione dell'Università di Udine mentre per provare gratuitamente la simulazione, potete partire da questa pagina per trovare on line altri giocatori disposti a gareggiare con voi (si possono anche fare degli inviti per giocare con chi si vuole).

Buon divertimento!

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mercoledì 2 gennaio 2013

Mettere in ordine le riviste che parlano di Qualità

Molti di voi, ne sono certa, hanno nel loro ufficio parecchie riviste che trattano di Qualità.
Certo non c'è sempre il tempo di leggerle da cima a fondo ed è quindi probabile che qualche numero si accumuli sulla scrivania per poi finire in qualche cassetto però senza una classificazione intelligente degli articoli pubblicati al loro interno non vi serviranno mai a nulla, siete d'accordo?

I periodi di vacanza sono i migliori per mettere un po' di ordine nell'ambiente dove lavoriamo, quindi perché non provare ad affrontare anche l'argomento riviste?

 Le cose da fare:
  1. eliminate i giornali che non vi sono più utili (ad esempio quelli troppo vecchi o quelli che avete già letto senza trovarvi nulla di interessante
  2. scorrete l'indice delle riviste che avete conservato, estraete le pagine che vi interessano e buttate via il resto
  3. digitalizzate gli articoli cartacei in modo da crearvi un archivio elettronico che vi permetta di trovare l'articolo giusto al momento giusto
  4. eliminate eventuali abbonamenti a riviste che non ritenete più utili
Chi di voi per mantenersi aggiornato ha l'abitudine di leggere materiale pubblicato sui giornali di settore?

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