martedì 31 gennaio 2012

Dare un feedback: diverse modalità (2)

Dopo aver visto ieri come fornire un feedback ai propri collaboratori senza aggiungere alcuna critica al loro operato, oggi vedremo insieme come:


Dare un feedback che comprenda anche le critiche
 

Ci sono situazioni in cui una valutazione più diretta dell'operato si rende necessaria, così come alcune critiche (che possono calcare più o meno la mano).
Ne abbiamo un esempio nel dialogo seguente dove troviamo lo stesso Direttore Vendite di ieri, Giovanni, che incontra Samuele un Commerciale che ha fatto un grave errore con un ordine:

Giovanni: ah Samuele! Hai saputo? Il tuo ordine da 10.000 pezzi per Bologna era, in realtà, di 1.000 pezzi.
Samuele: cosa?
Giovanni: il cliente ha scritto chiaramente 1.000 pezzi, non 10.000.
Samuele: sei sicuro?
Giovanni: già. Me ne sono accorto questa mattina quando ho visto il fax del cliente che ci chiedeva di correggere la nostra conferma d'ordine. Tu hai scritto 10.000 pezzi.
Samuele: no! Guarda che loro hanno chiesto proprio 10.000 pezzi, sono sicuro!
Giovanni: non è vero, Samuele. Ho esaminato la richiesta del cliente e lui ha sempre parlato di 1.000 pezzi. 

Devi prestare più attenzione. Ti immagini che disastro sarebbe stato se il cliente non ci avesse segnalato l'errore? Avremmo mandato in produzione 10.000 pezzi e 9.000 sarebbero stati da buttare!
Se non sei in grado di leggere ciò che scrivono i clienti, forse è meglio dotarsi di un bel paio di occhiali!
 
Giovanni dice chiaramente a Samuele che ha sbagliato nel processare l'ordine di un cliente. 

Quando Samuele nega di aver sbagliato, Giovanni risponde in maniera secca e diretta, completando il suo discorso con una critica feroce verso l'operato del collaboratore.
 
Ci possono essere diverse ragioni per un feedback così diretto:

 
   -  Giovanni pensa che Samuele non abbia svolto bene il proprio lavoro
   - Samuele è inesperto ma forse un po' troppo sicuro di sé
   - Samuele cerca di negare l'errore


Cosa pensate del dialogo? Voi avreste agito in maniera diversa?

Domani vedremo come agisce chi critica mettendo anche in guardia il proprio collaboratore.

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lunedì 30 gennaio 2012

Dare un feedback: diverse modalità

Ci sono almeno tre modi differenti per offrire un feedback ai propri collaboratori:

1 - fornire un feedback che eviti le critiche
2 - dare un feedback che comprenda anche le critiche
3 - criticare e mettere in guardia


Oggi vedremo il primo tipo.


Fornire un feedback evitando le critiche
 
Giovanni, Direttore Vendite, dà il suo feedback a Marco, un membro del suo team che ha perso un ordine:

 
Marco: abbiamo perso l'ordine...
Giovanni: ah, davvero?
Marco: già. Sono andati dalla concorrenza.
Giovanni: un peccato, vero?
Marco: già. Comunque ho parlato col loro responsabile e gli ho detto la prossima volta di farci sapere che prezzi stanno facendo gli altri in modo da provare a fare di meglio.
Giovanni: beh, dai. Sono certo che la prossima volta farai meglio. Sbagliando si impara, no? In ogni caso non possiamo scendere sotto una certa cifra, si tratta di giocarsela al meglio.

 
Notiamo che Giovanni evita in tutti i modi le critiche dirette al suo collaboratore e cerca di reagire con empatia ("Un peccato, vero?")
Egli sostiene inoltre la strategia aziendale, ricordando a Marco che "
In ogni caso non possiamo scendere sotto una certa cifra" ma lo invita a giocarsela meglio la prossima volta "beh, dai. Sono certo che la prossima volta farai meglio. Sbagliando si impara, no?"

In questo caso abbiamo un manager che cerca di evitare una critica diretta perché crede che
sarebbe del tutto inutile e scoraggiante.


Domani vedremo insieme come agisce un manager che non ha paura di fornire ai collaboratori una critica diretta al loro operato.

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venerdì 27 gennaio 2012

Imparare a non fare errori (5)

Terminiamo il nostro lungo discorso sugli errori provando a individuare quei segnali che dovrebbero prontamente farci rizzare le antenne perché presuppongono che si stia creando l'ambiente ideale per la formazione di un errore

Ovviamente noi ne abbiamo elencato qualcuno ma ci piacerebbe molto che voi ci aiutaste a completare la lista.

■ non prestare la dovuta attenzione alle informazioni che non ci piacciono
non valutare tutte le ipotesi
basarsi solo sul successo e diventare arroganti nel processo decisionale
nascondere gli errori, le incomprensioni, i giudizi negativi dei clienti
mancanza di procedure standard o di costanza nel seguirle
tendenza a sopprimere l'iniziativa
■ mancanza di volontà di comprendere gli errori
■ mancanza di costanza nel valutare gli errori del passato per imparare da essi
presenza di situazioni che non avete mai visto prima e che non siete in grado di ricondurre a qualcosa di conosciuto
profondo distacco (in negativo) rispetto alla concorrenza per alcuni fattori
risultati diversi da quelli attesi
mancanza di un controllo costante dei piani fatti
guasto dei sistemi di controllo
necessità di riqualificare un numero significativo di persone per diverse cause
frequenti problemi in ambito operativo che non vengono affrontati
problemi di comunicazione


Cosa aggiungereste?

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giovedì 26 gennaio 2012

Imparare a non fare errori (4)

Gli errori strategici, in particolare quelli dovuti alla cultura di un'organizzazione, sono tra i più difficili da debellare perché non risultano così evidenti se non a una mente ben allenata.

Sono ben poche le organizzazioni capaci di rapidi adattamenti e, soprattutto, di imparare dagli errori commessi in passato perché è fin troppo facile sentirsi a proprio agio rispetto al solito modo di fare le cose e non avere voglia di cambiarlo.
Solitamente è la crisi che ci sveglia e ci fa comprendere la necessità di un grande cambiamento ma, arrivati a questo punto, potrebbe essere già troppo tardi. 


Altre tipologie di cultura, invece, rendono estremamente difficile esporre il proprio pensiero riguardo a possibili errori di strategia anche quando all'interno dell'organizzazione ci sarebbe qualcuno in grado di farlo precocemente.  

Le aziende familiari, quelle basate su una rigida gerarchia, gli ambienti dove si premia il consenso e si punisce il dissenso possono trasformarsi in ambienti pieni di inetti, gente che lavora sulla difensiva, o persone lente a reagire alle cattive notizie.  

Il problema di fondo, però, è che molte organizzazioni non si sono nemmeno mai fermate a riflettere su quale sia il loro tipo di cultura e tanto meno a pensare a come correggere i punti deboli, traendo vantaggio da quelli forti. 
 
Gli errori che riscontriamo tutti i giorni sono dovuti proprio al fatto che i singoli non si sentono responsabilizzati in ciò che fanno e, quindi, lo vivono come se fosse parte di qualcosa che non appartiene alla sfera dei loro interessi e ad errori strategici di base.

Se, però, i meri errori operativi hanno riscontri immediati quali l'insoddisfazione dei clienti, una mancata vendita, un reso in garanzia, una rilavorazione, ecc. gli errori strategici sono meno facili da individuare e comprendere anche se creano guai infinitamente più grandi.

Fermatevi un attimo a riflettere sugli errori più comuni che riscontrate nelle vostre organizzazioni. Quali, secondo voi, sono imputabili ad errori operativi e quali, invece, poggiamo su strategie errate?

Volete discuterne?

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mercoledì 25 gennaio 2012

Imparare a non fare errori (3)

Per riuscire a prevedere un errore e ad evitarlo occorre riconoscere prima di tutto che quasi tutti gli "incidenti"  non sono altro che il risultato di uno o più errori. Se non impariamo a rompere la
"catena di errori" fin dall'inizio, il danno è fatto ed il suo costo andrà aumentando in modo esponenziale con la nascita di nuovi errori che deriveranno da quello originario, fino a quando la situazione diventerà irreparabile.


Alcuni anni fa, Peter Drucker scrisse un articolo con la descrizione minuziosa dei "cinque peccati mortali del business" capaci di spingere molte organizzazioni verso gravi problemi strategici e finanziari.  

Ecco l'elenco dei 5 errori individuati da Drucker:
 
■ inseguire solo margini di profitto elevati (avere alti margini di profitto non significa massimizzare gli utili)
■ drogare il prezzo di un nuovo prodotto, facendolo pagare quello che il mercato è disposto a pagare (questo apre un portone alla concorrenza che si può tranquillamente infilare nel nostro mercato)
■ calcolare il prezzo in base ai costi (semmai bisognerebbe fare il contrario)
■ sacrificare le opportunità del futuro sull'altare del passato
■ correre dietro ai problemi, trascurando le opportunità


Questi, e altri che non stiamo qui a specificare, sono soprattutto esempi di errori culturali che le aziende fanno con regolarità. 
I grossi danni non nascono in una sola notte ma avvengono lentamente, giorno dopo giorno, fino a quando non arriva qualcuno o non subentra qualcosa che rompe questa catena deleteria e risolve il problema.  

Rompere la catena dell'errore in questo caso è difficile perché chi ha preso certe decisioni si basa su criteri tipici di una mentalità vecchio stile, difficile da superare in breve tempo e senza un'adeguata cultura di business.

Se resterete con noi, domani parleremo proprio degli errori strategici in modo che possiate imparare a riconoscerli quando vi imbatterete in uno di essi.

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martedì 24 gennaio 2012

Imparare a non fare errori (2)

Come abbiamo accennato ieri, l'obiettivo di chi voglia riuscire a non fare errori è quello di imparare a riconoscere i modelli che stanno alla base del loro sviluppo e a intraprendere azioni per eliminare questa minaccia.  

Dagli studi fatti dagli esperti, possiamo vedere come gli schemi di sviluppo degli errori e le risposte possibili siano sorprendentemente simili e questo dovrebbe rendere più facile imparare a gestirli.

Proviamo a riflettere un attimo: esaminando una certa situazione PRIMA che si verificasse un errore, non avete mai avuto la sensazione che certi comportamenti umani, certi pregiudizi, una certa mancanza di chiarezza avrebbero prodotto solo danni, come poi effettivamente è stato?
Non vi sono mai suonati dei piccoli campanelli d'allarme?
A me è successo spesso e credo proprio sia successo a tutti. Molti di noi hanno evitato errori catastrofici proprio grazie alla loro intuizione che altro non è se non la capacità di riconoscere un modello tipico di sviluppo dell'errore.

Quando parliamo di "incidenti", infatti, spesso stiamo semplicemente parlando della mancanza di capacità di prevedere e anticipare le conseguenze di un comportamento scorretto e di correggerlo con una serie di azioni correttive.

Ci aggiorniamo a domani ma, intanto, mi dite cosa pensate di quanto ho scritto fino ad ora?

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lunedì 23 gennaio 2012

Imparare a non fare errori

Il problema più grosso riguardo gli errori è che le persone non si alzano la mattina dicendo: "oh, bene! Questo è il giorno giusto per fare qualche errore!" Semplicemente si trovano a farli senza averli programmati.

Abbiamo imparato fin da bambini a entrare in competizione con gli altri per ottenere l'approvazione dei grandi, per distinguerci all'interno del gruppo, per un premio, per un posto importante nella recita scolastica, per entrare nella scuola migliore o nella nostra squadra del cuore. 
Al lavoro, in seguito, non è cambiato nulla perché siamo entrati in competizione prima per ottenere il lavoro migliore e dopo, per colpa della crisi, semplicemente per avere un lavoro.
 

Ciò che fa la differenza tra chi vince e chi perde in questa eterna gara, oltre all'intelligenza, è proprio la tendenza a non fare errori (nelle scelte che facciamo lungo la nostra strada, nel modo in cui ci presentiamo o nel modo in cui osserviamo il mondo facendoci influenzare da esso).  
Spesso razionalizziamo i nostri fallimenti personali, dicendo: "Tutti sbagliano" e questo è sicuramente vero anche se può cambiare un'intera vita ma imparare a riconoscere i modelli che stanno alla base degli errori si può.

Chi ha successo, nella vita come nel lavoro, si basa certamente su un giusto mix di leadership, cultura e attenzione alle persone ma, soprattutto, impara presto a non fare errori (almeno quelli grossi), basandosi proprio sulla sua capacità di riconoscere le circostanze in cui nascono.

Continueremo il nostro discorso sugli errori domani. Non mancate!

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venerdì 20 gennaio 2012

Com'è andato il colloquio? (3)

Abbiamo parlato del colloquio vincente e del colloquio migliorabile. Oggi vedremo insieme quali sono i segnali tipici di un colloquio che è andato decisamente male e dal quale non potete aspettarvi nulla di positivo.


Prima impressione


Il vostro abbigliamento e il vostro modo di porvi non sono stati per nulla professionali. Siete andati al colloquio in jeans, non avete stretto la mano al vostro esaminatore e la vostra conversazione è stata decisamente impacciata.


Contenuto del colloquio


Dal colloquio è emerso che, non solo non sapevate nulla dell'azienda dove avreste voluto lavorare, ma che sapete poco anche del vostro lavoro in generale.

Siete stati titubanti nel rispondere alle domande che vi sono state rivolte e avete dimostrato di non avere le competenze descritte nel vostro curriculum.


Competenza nel sostenere il colloquio


Avete passato tutto il tempo a fissare il soffitto, il pavimento o fuori dalla finestra, incapaci di concentravi su ciò che vi stavano chiedendo.

Avete parlato in maniera grammaticalmente scorretta e troppo velocemente (o troppo lentamente), pregiudicando il ritmo del colloquio.

Non avete mostrato alcun interesse per la posizione che vi è stata proposta e non avete fatto domande.
Vi siete addirittura dimenticati di ringraziare chi vi ha dedicato del tempo, permettendovi di sostenere il colloquio.

Il vostro approccio alla ricerca di un nuovo lavoro va decisamente migliorato!

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giovedì 19 gennaio 2012

Com'è andato il colloquio? (2)

Dopo aver visto insieme quali sono i segnali di un colloquio vincente, oggi esamineremo quelli tipici di un colloquio da migliorare.

Prima impressione


Avete scelto un abbigliamento abbastanza elegante ma non troppo professionale.
Entrando avete salutato il vostro interlucotore dimenticando, però, di stringergli la mano.
La vostra conversazione ha espresso, però, entusiasmo per il vostro lavoro e un profondo impegno.


Contenuto del colloquio


Avete dimostrato di avere esperienza nel ruolo proposto ma avete mostrato di non sapere nulla dell'azienda per la quale dovreste lavorare.
Non siete riusciti a collegare in maniera efficace ciò che sapete alle competenze richieste per svolgere la professione alla quale state mirando.


Competenza nel sostenere il colloquio


Avete guardato dritto negli occhi il vostro esaminatore e avete parlato in maniera sciolta e grammaticamente corretta ma inserendo nel discorso espressioni poco professionali come "cioè", "uhm...", ecc. Il ritmo del colloquio, comunque, non ne ha risentito troppo.

In alcuni momenti avete parlato un po' troppo velocemente mostrando di essere tesi.

Avete mostrato interesse per la posizione ma non avete fatto alcuna domanda. Vi siete, però, ricordati di ringraziare il vostro esaminatore prima di andarvene.


Domani vedremo di riassumere i contenuti di un colloquio andato decisamente male.

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mercoledì 18 gennaio 2012

Com'è andato il colloquio?

Come sapere se il colloquio che avete appena terminato è stato un buon colloquio?
Vediamo insieme alcuni segnali di un colloquio vincente.


Prima impressione

L'impressione che avete dato è molto professionale, sia come abbigliamento che come contenuti esposti durante il colloquio.
La vostra conversazione è stata sciolta e ha mirato a mostrare il vostro coinvolgimento nella professione che svolgete

Contenuto del colloquio

Avete dimostrato di avere esperienza nel ruolo proposto e avete ben collegato le vostre competenze alle singole attività che dovreste svolgere nel nuovo posto di lavoro.

Competenza nel sostenere il colloquio


Avete guardato dritto negli occhi il vostro esaminatore e avete parlato in maniera sciolta e grammaticamente corretta, alla giusta velocità, mostrando di essere padroni della situazione.

Avete mostrato il vostro interesse nei confronti della posizione di lavoro offerta e avete fatto le domande appropriate per saperne di più.

Al termine, avete ringraziato il vostro interlocutore.

Domani vedremo di riassumere i contenuti di un colloquio da migliorare.

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martedì 17 gennaio 2012

A cosa serve l'audit interno

L'audit interno è uno strumento che serve per valutare le prestazioni (efficacia ed efficienza) di un sistema ed identificare le aree di miglioramento. 

Il punto da cui dovremo partire è quello che nessun sistema è perfetto e che ci sono sempre punti deboli che potremo eliminare e cose che potremo migliorare.Inoltre, il nostro ambiente esterno è in continua evoluzione e noi dobbiamo essere in grado di adattare continuamente il nostro modo di lavorare ai vincoli che ci vengono imposti dall'esterno. Anche questo è uno stimolo per tirare fuori il massimo dalle verifiche ispettive interne.

L'audit interno, però, non è solamente un veloce confronto tra le pratiche di un'organizzazione  e gli standard di riferimento (ISO 9001 o altri). Questo approccio, infatti, è terribilmente riduttivo e non fornisce alcun valore aggiunto. La mania di trovare le differenze tra un requisito della norma - molto spesso frainteso - e una pratica lavorativa ha portato gli auditor a ingigantire semplici osservazioni prive di importanza, facendole diventare un affare di stato:


"Sì, mio caro, non firmare una registrazione è una delle non conformità più gravi. Temo che dovremo lavorarci su parecchio!" (detto a un allibito responsbaile di area che ha firmato il 99,99% delle sue registrazioni). Ovviamente, pochi minuti dopo questa intelligente affermazione, il nostro auditor-topo (contrapposto all'auditor ISO 9001 capace di fornire valore aggiunto)  passerà davanti ad un'importante evidenza di mancanza di organizzazione senza nemmeno notarla.

La funzione di revisione interna ovviamente esiste perché i manager spesso non sono in grado di analizzare a fondo le proprie attività in un'ottima di miglioramento continuo. E' ovvio che certe problematiche possano essere viste solo da persone che non abbiano contribuito ad organizzare l'area in cui si verificano. Questo non è assolutamente dovuto all'incompetenza dei dirigenti in questione ma è una regola certa perché nessuno è abituato a mettere ogni giorno in discussione ciò che fa

Lo scopo dell'audit, però, non può esaurirsi in questo. Al contrario, dovrà essere in grado di stimolare la creatività dell'area dove viene svolto al fine di progettare azioni di miglioramento e mantenere alta la guardia sul fatto che si possa migliorare SEMPRE.

Non svolgiamo - dunque - gli audit come se fossimo poliziotti alla ricerca della prova che inciodi qualcuno alla sua colpevolezza ma cerchiamo di supportare adeguatamente i responsabili di area, spingendoli a trovare da soli le soluzioni ottimali per migliorare le performance, il lavoro e la soddisfazione generale.
 

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lunedì 16 gennaio 2012

Il nostro modo di essere e di agire (4)

Quarta e ultima parte dell'articolo pubblicato su "Riza Psicosomatica" di dicembre che tratteggia le diverse personalità di quanti lavorano e vivono accanto a noi.
Oggi leggeremo come agisce chi:




Cerca sempre la novità



Ciò che ti spinge è la costante ricerca del nuovo, dell'inedito, la voglia di scoprire e sperimentare.Sei motivato dal mutamento e dalle novità. Cambi spesso mestiere oppure ruolo all'interno dello stesso lavoro.

(...)


I fuori programma sono il tuo pane, la ripetitività invece ti deprime.

(...)


Mobile come l'aria, il tuo bagaglio è leggero perché vuoi arrivare prima e più lontano. Ti basta poco, infatti, per giungere a una nuova meta: con pochi dati sei in grado di partorire una nuova idea, un nuovo progetto, una soluzione innovativa a problemi in cui gli altri stanno impantanati per mesi.



(...)


Sei brillante, istrionico  e ti piace stare al centro dell'attenzione: per questo sei un trascinatore, le tue visioni originali affascinano e smuovono anche i più lenti.


(...)


Hai una certa insofferenza all'inquadramento, alle procedure, alle regole che può renderti estremamente incostante e confusionario, a volte addirittura dispersivo e inconcludente.



(...)


Le tue frasi tipiche sono:


"Ci sono novità?"
"Mi annoio! Ho bisogno di nuovi stimoli"
"Ho avuto un'idea!"




Ora che abbiamo terminato questa bella carrellata, non trovate che una parte di voi, in qualche modo, si ricolleghi ad ognuno dei 4 profili tracciati, anche se appartenete spiccatamente ad una sola? E non credete che in un posto di lavoro si ottenga il massimo, soprattutto quando si lavora in team, solamente se sono presenti profili che appartengano a tutte le tipologie descritte?

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venerdì 13 gennaio 2012

Il nostro modo di essere e di agire (3)

Terza parte dell'articolo pubblicato su "Riza Psicosomatica" di dicembre.
Oggi esamineremo insieme chi agisce e reagisce avendo bisogno di stabilità, ovvero chi:




Ha bisogno di radici salde



La tua tendenza dominante è la ricerca della sicurezza, della stabilità.


(...)


In tutte le cose ti piace avere garanzie e certezze.
Non sei tipo da iniziative estemporanee, preferisci le cose studiate in precedenza e direttive chiare perché gli imprevisti e il mondo delle possibilità ti destabilizzano.


(...)


Ogni cosa deve essere al proprio posto, ricontrolli almeno due volte la chiusura dell'auto e, se la luce è rimasta accesa, sai per certo che non sei stato tu.


(...)


Hai un talento da grande osservatore: le tue percezioni sono acute e precise, i tuoi sensi sono spalancati al massimo, sei ricettivo.

(...)


Sei un metodico ed eccellente pianificatore. Affidare una direttiva alle tue mani vuol dire avere la certezza che sarà tradotta in realtà e condotta in porto alla perfezione.


(...)


Sei un costruttore: ami mettere le mani in pasta, scoprire come funzionano le cose, edificare.

(...)


Il bisogno di radici solide può tradursi in ansia: appena la situazione presenta elementi di precarietà vai nel panico.


(...)

A volte hai bisogno di essere spronato dall'esterno per avviarti e puoi essere molto lento.

(...)


Le tue frasi tipiche sono:


"Devo sentire la terra sotto i piedi"
"Ho bisogno di tranquillità"
"Dimmi cosa c'è da fare e lo farò"




Lunedì vedremo l'ultima tipologia di persone: coloro che cercano sempre le novità.

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giovedì 12 gennaio 2012

Il nostro modo di essere e di agire (2)

Seconda parte dell'articolo pubblicato su "Riza Psicosomatica" di dicembre che ci parla del nostro modo di agire e reagire.
Oggi vedremo insieme una descrizione di chi:



Ha messo il sentimento ai posti di comando


Sentimenti e affetti sono la tua guida. Cerchi la fiducia e l'intimità, vuoi sentirti parte di qualcosa.


(...)


Spesso scegli un lavoro per l'ambiente umano e lo trasformi nella tua famiglia, lo sposi e rinunceresti senza fatica a un'opportunità di maggiore guadagno per non "tradire" il tuo senso di appartenenza, perché l'armonia viene prima di tutto.


(...)


Sai adattarti a tutti e hai un vero talento nel metter ognuno a proprio agio.


(...)


Sai tenere insieme cose e persone, ti viene naturale essere caldo ed empatico.
Ti piace più dare che ricevere.


(...)


Il tuo canale privilegiato è il sentimento, il calore degli affetti: quella del cuore è per te la sola intelligenza che conta.


(...)


Il tuo punto debole è che dai, regali a titolo gratuito.
La tua generosità a volte si tinge di una tendenza al sacrifico non richiesto.
A volte ci rimani male perché ti sembra ovvio che gli altri debbano ricambiare e, se non succede, sprofondi nell'amarezza e nel moralismo: "essere sensibili e generosi come me non paga!"

(...)


Spesso, poi, può essere difficile farti ragionare in modo logico.


(...)


Le tue frasi tipiche sono:


"L'importante non è quello che si fa, ma farlo insieme"
"Mi affeziono subito"



Domani vedremo il terzo tipo di persone: coloro che hanno bisogno di radici salde.

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mercoledì 11 gennaio 2012

Il nostro modo di essere e di agire

Sul numero di dicembre di "Riza Psicosomatica" ho trovato uno spunto interessante che descrive il nostro modo di agire e reagire, differenziandolo in 4 categorie nelle quali - forse - ognuno di noi potrà identificarsi.

Eccovi alcuni stralci del testo:

Il leader naturale che controlla tutto

La tua autorealizzazione è la tua bussola. Hai un'alta opinione di te e della tua intelligenza, ti piace sentirti speciale e unico e cerchi l'ammirazione e la stima degli altri, basata non sulla piaggeria ma sul riconoscimento delle tue capacità effettive e dei risultati che sai raggiungere.


Il tuo talento consiste nell'analizzare le situazioni e i problemi cercandone la logica interna

(...)

Sei indipendente, hai una grande autonomia decisionale non offuscata da interessi personali

(...)

La competizione ti stimola e dai il meglio quando sei sotto pressione.
Prendere decisioni difficili non ti spaventa.
Sei un punto di riferimento per colleghi e amici, una guida che rassicura gli altri.

(...)

Il tuo punto debole è che tendi a mettere in secondo piano le emozioni, a non vederle; per questo, quando si presentano, possono creare conflitti dentro di te.

(...)


Un altro punto debole è che non dimostri spesso empatia e puoi diventare troppo rigido non tornando mai indietro da una decisione e non ammettendo mai di aver sbagliato.

(...)

Le tue frasi tipiche sono:


""Se faccio una cosa vado fino in fondo o non mi ci metto neanche"
"Volere è potere"
"Calma, niente panico, cerchiamo di ragionare"

Domani vedremo il secondo tipo di persone: coloro che hanno messo il sentimento al posto di comando.

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martedì 10 gennaio 2012

Affrontare i problemi e le difficoltà (5)

L'ultimo modo che hanno le persone per affrontare difficoltà e problemi è quello razionale.
"Riza Psicosomatica", dunque, oggi ci parlerà delle persone razionali.

Il razionale


Guardi il pelo nell'uomo e perdi di vista tutto l'insieme



"Analizziamo la situazione": è questa la tua prima reazione di fronte a qualcosa che ti mette in crisi o ti preoccupa.
Vuoi saperne di più, capire, informarti, riflettere in modo da dominare con la mente la situazione da fronteggiare.
Ma a forza di analizzarlo, il problema piuttosto che semplificarsi si complica, si scinde in un'infinità di sottoproblemi che, lungi dallo sbrogliarla, ingarbugliano la matassa, rendendo ogni decisione impossibile e penosa.
Il problema si allarga a macchia d'olio e alla fine ti convinci che una soluzione non c'è. 


Il tuo meccanismo di difesa: è la razionalità, l'arma con cui cerchi di affrontare tutto ciò che ti turba emotivamente. Ma molti problemi possono essere superati solo con un moto istintivo, che ragionando diventa impossibile.


L'effetto: perdi di vista il cuore della questione, la visione di insieme e non sai stabilire le giuste priorità. L'analisi capillare ti confonde e ti porta su un piano astratto facendoti perdere il contatto con la realtà.

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lunedì 9 gennaio 2012

Affrontare i problemi e le difficoltà (4)

Nell'analisi dei profili psicologici che adottiamo nel risolvere i problemi, oggi è il turno del decisionista.

Leggiamo insieme cosa scrive"Riza Psicosomatica":

Il decisionista


L'importante è agire, anche a caso, pur di non sentire l'ansia



"Via il dente via il dolore": è questo il tuo motto.
Le questioni da risolvere prima si affrontano e meglio è, così puoi rilassarti e goderti il riposo.
La tua reazione di fronte a una preoccupazione è l'azione tempestiva, per non dire impulsiva e radicale. 
Quel che conta è che tu abbia fatto chiarezza, che non ci siano tarli a roderti, perché nulla per te è meno tollerabile delle vie di mezzo, delle zone d'ombra che attentano al tuo desiderio di tranquillità e di linearità.


Il tuo meccanismo di difesa: l'azione. Agire ti solleva dal senso di impotenza e di incertezza ed elimina materialnente la causa della tensione.


L'effetto: gli imprevisti rappresentano l'opportunità per guardare le cose da un'angolazione diversa; sopprimendoli ti neghi proprio questa possibilità.
Rischi di buttare via il bambino con l'acqua sporca e di mantenere una visione del mondo troppo rigida.

Domani ultimo appuntamento con la figura del "razionale".


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giovedì 5 gennaio 2012

Affrontare i problemi e le difficoltà (3)

Oggi "Riza Psicosomatica" ci aiuterà a tratteggiare il profilo di chi, invece di affrontare i problemi, li posticipa.

Il posticipatore


Rimandi sempre a domani, così i sassolini diventano montagne



"Ci pensiamo dopo, adesso c'è altro più urgente"; "domani me ne occupo". Rimbalzare da un giorno all'altro il confronto con ciò che ti dà da pensare è un'ottima strategia per prendere tempo e aspettare che le cose si risolvano da sé. Ciò che davvero speri - in fondo - è che le cose prendano una piega inattesa, che le situazioni cambino senza fare nulla.


Il tuo meccanismo di difesa: il pensiero magico è "se non faccio nulla le cose si risolveranno da sole". Sperare in un intervento esterno ti alleggerisce dalle responsabilità di affrontare le tue paure.



L'effetto: a furia di rimandare, l'ansia si seda ma divampa appena sei costretto a ripensarci. Così rischi di cronicizzare uno stato che sarebbe destinato a esaurirsi nel giro di breve, di fare di un sassolino una montagna.

Lunedì prenderemo in esame la figura del "decisionista".
Non mancate!

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mercoledì 4 gennaio 2012

Affrontare i problemi e le difficoltà (2)

Continuiamo la lettura di "Riza Psicosomatica" alla scoperta del secondo profilo adottato dalle persone che si trovano davanti a nuove sfide:

Lo struzzo

Li neghi ma temi che i problemi scoprano dove ti nascondi


"Meglio non  pensarci": la tua prima reazione i problemi è sicuramente l'ansia: non sai da che parte prenderli, tutto ti sembra al di sopra delle tue capacità, una valanga che potrebbe travolgerti, trascinando anche tutto ciò che faticosamente tieni a bada.
Ecco perché, per riuscire a mantenere un minimo di equilibrio, adotti la strategia dello struzzo: smetti di parlarne, minimizzi, deleghi, in poche parole fai di tutto per rimuovere ciò che ti angustia, fino a quando le questioni irrisolte non si presentano come un boomerang.


Il tuo meccanismo di difesa: è la negazione. Agisci un po' come i bimbi che, chiudendo gli occhi, si aspettano di veder sparire ciò che li spaventa.


L'effetto: non pensarci non vuol dire cancellare il problema, la necessità di evitare la questione spinosa fa sì che tu debba stare sempre sulla difensiva.
Il pensiero rimosso continua ad agire producendo un'ansia che trova sfogo nei sintomi somatici: insonnia, mal di testa, colite...


Domani prenderemo in esame la figura del "posticipatore".
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martedì 3 gennaio 2012

Affrontare i problemi: tu come fai?

Continuiamo il discorso iniziato ieri, leggendo come - secondo la rivista "Riza Psicosomatica" - le persone reagiscono di fronte a una sfida.
C'è chi chiude gli occhi per non vedere i pericoli, chi analizza nel dettaglio la situazione e poi non muove un dito, chi deve "fare qualcosa se no sta male".

Ecco cinque ritratti che ci aiutano a fare chiarezza sull'approccio mentale sbagliato ai problemi.

Il delegante

Ne parli con tutti, ti scarichi ma poi hai le idee confuse


"Aiuto, ho un problema": la tua prima reazione di fronte a un problema è quella di condividerlo con qualcun altro, che ti ascolti e che ti possa dare un consiglio o anche semplicemente aiutarti a vedere le cose da un altro punto di vista.
In realtà parlarne ti aiuta a scaricare l'ansia più che a trovare una soluzione. Infatti raramente ti mostri ricettivo alle indicazioni che gli altri ti offrono.


Il tuo meccanismo di difesa: portare fuori quello che ti opprime. Parlare è uno sfogo, un modo per tirare fuori le emozioni che ti si agitano dentro ma anche per chiedere rassicurazione.


L'effetto: ridurre l'anzia ti aiuta, ma non è sufficiente per motivarti ad agire o rassicurarti.
Il rischio è quello di continuare a parlarne con più persone, spostando ora sull'uno ora sull'altro un processo che dovrebbe avvenire dentro di te. Per non parlare dell'effetto confusivo che hanno tante chiacchiere!

Domani prenderemo in esame la figura dello "struzzo".
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lunedì 2 gennaio 2012

Affrontare i problemi e le difficoltà

Qualche tempo fa la rivista "Riza Psicosomatica" pubblicò una bella riflessione sulle difficoltà della vita, spiegando che se ci sembrano troppo grandi, probabilmente abbiamo solamente una visuale troppo ravvicinata.

Prova a pensarci: quante volte è capitato che quello che in un momento della vita ti appariva come un problema irrisolvibile, in un momento successivo sia svanito persino dal ricordo?
In quel momento ti spaccavi la testa per trovare una soluzione che facesse quadrare tutto e ti sentivi un incapace perché non ci riuscivi. Ma se ci rifletti adesso, dopo tanti anni, non capisci nemmeno più perché ti dannavi tanto.


Hai forse fatto cadere quell'ostacolo a colpi di maglio? 
Niente affatto. Semplicemente sei cambiato tu, sei diverso, guardi le cose da un altro punto di vista. 
E quel nodo si è sciolto da solo.


Ecco, se vogliamo affrontare la vita in un modo sano, dobbiamo rendere più consapevole questo naturalissimo modo di procedere e usarlo tutte le volte che ne abbiamo bisogno.

Appuntamento a domani per iniziare ad esaminare i diversi modi che le persone hanno nell'affrontare un problema o una difficoltà.

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