(Fonte: "Il Corriere della Sera")
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L’innovazione che manca nelle aziende
Il
problema dell’Italia degli ultimi vent’anni, e ancor più dei prossimi
venti (...) è che nei luoghi in cui si
genera la ricchezza del Paese stanno venendo meno le principali fonti di
innovazione: i giovani. Una ricerca del «Corriere della Sera» sulla
base della banca dati dell’Istat mostra come la demografia del lavoro in
Italia stia subendo uno smottamento sotterraneo, quasi unico in Europa
per intensità. Oggi essa è alla radice di buona parte del letargo
dell’economia italiana e spiega un bel po’ della lentezza con cui la
produttività del lavoro avanza rispetto alla media dell’area euro
(dall’inizio del secolo, del 12% in ritardo). L’invecchiamento negli
uffici e nei piani fabbrica è così veloce che obbliga a ripensare al più
presto a come in Italia si studia, ci si aggiorna e ci si organizza in
azienda. Del resto non esiste altro modo di far emergere i punti di
forza nascosti in quella che, lasciata a se stessa, diventa ormai la
grande debolezza del Paese.
Lavoratori sempre più vecchi
I
numeri, a prima vista, non perdonano. Non c’è solo l’aumento medio di
quasi sei anni dell’età media degli occupati in Italia nell’ultimo
quarto di secolo, da 38 a quasi 44 anni. Colpisce di più come questo
stia accelerando: a partire dal 2008 l’età media dei 21 o 22 milioni di
persone al lavoro nel Paese aumenta in certe fasi di sei mesi ogni anno,
o poco meno; solo gli sgravi alle assunzioni e il Jobs act sembrano
contrastare un po’ la deriva.
Su dinamiche del genere conta la
pura e semplice demografia: in Italia vive la popolazione dall’età
mediana più alta al mondo (45,1 anni) dopo la Germania e il Giappone.
Incide però anche l’ultima riforma delle pensioni, che dal 2011 ha
allungato la permanenza dei più anziani al lavoro per riequilibrare il
sistema dopo decenni di promesse insostenibili. Pesa poi soprattutto
l’emarginazione dei giovani: il tasso di occupazione per chi ha fino a
24 anni è appena del 17% (studenti ovviamente esclusi).
Emarginati i giovani
Così
nell’ultimo quarto di secolo i luoghi del lavoro in Italia hanno subito
una trasformazione antropologica, che prosegue. Sono sparite 3,6
milioni di persone di meno di 35 anni (erano quasi 9 milioni, sono poco
più di cinque). Sono apparse 4,2 milioni di persone in più la cui età
supera i 45 anni; il numero dei lavoratori attivi fra i 55 e i 64 anni è
raddoppiato da due a quattro milioni, tanto che il Fondo monetario
internazionale stima che in Italia nel 2020 un quinto degli occupati
sarà in questa fascia e nel 2015 lo sarà quasi un occupato su quattro.
In sostanza i lavoratori più
giovani, energici e innovativi si sono rarefatti dal 41% al 22% della
popolazione produttiva; quelli più anziani sono aumentati da un terzo
alla metà. Una parte devono averla le preferenze culturali nel Paese per
persone più esperte, o più ricche di rapporti sociali, perché il numero
degli occupati di oltre 65 anni è esploso: oggi questi lavoratori
anziani sono oltre mezzo milione, più 41% in 25 anni.
Due milioni di lavoratori in più in vent’anni
Naturalmente questa non è una torta immutabile — non è un gioco a somma zero —
perché oggi lavorano in Italia quasi due milioni di persone in più
rispetto vent’anni fa (22,9 contro 21 milioni). Nell’economia attiva può
esserci spazio per tutti. Ma una composizione così squilibrata delle
età del lavoro ha conseguenze. Uno studio dell’Fmi del dicembre scorso
(«The Impact of Workforce Ageing on European Productivity») mostra che
l’Italia, con la Grecia, è la più esposta a perdite di produttività
proprio perché gli occupati invecchiano: da due decenni questo fenomeno
sotterraneo sta limando via uno 0,2% l’anno dalla capacità di far
crescere il valore generato in un’ora di lavoro; sono differenze
impercettibili nel breve, ma corrosive per profitti e salari quando si
accumulano nel tempo. Secondo lo studio dell’Fmi l’invecchiamento erode
le capacità nei lavori più fisici e in quelli meno ricchi di conoscenze;
non ha effetti su addetti alle vendite, impiegati di banca o periti
elettronici; e l’accumulo di esperienza addirittura aumenta la
produttività per funzioni dense di conoscenza come quelle di docenti,
avvocati, medici, giudici o manager. Il problema dell’Italia è che la
sua quota di laureati e diplomati è fra le più basse d’Europa: deve
farla salire in fretta per affrontare il giorno, vicino, in cui l’età
media degli occupati arriverà al mezzo secolo o più.
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