(Fonte: "Il Corriere della Sera")
I lavoratori italiani non amano i loro capi. Non sono contenti di come li guidano e li valorizzano. Così l’insoddisfazione li porta a non apprezzarli, o quanto meno a non proporli come modelli di comportamento aziendale, come persone da consigliare per lavorarci insieme.
È quanto si deduce dall’indagine Good boss vs Bad boss realizzata dal «Centro sul cambiamento, la leadership e il people management» della Liuc Business school. «Il nostro obiettivo — chiarisce il direttore del Centro Vittorio D’Amato — è di comprendere il grado di propensione dei lavoratori a consigliare ad altri il proprio boss, oltre che di individuare una lista di comportamenti che caratterizzano un capo efficace».
Il campione di riferimento conta 632 lavoratori dipendenti tra operai, impiegati, quadri e
dirigenti di Pmi e grandi imprese. «Alla fine — spiega D’Amato — abbiamo calcolato
l’Nmps, il Net management promoter score, basato su un parametro formulato da
Frederick Reichheld dell’università di Harvard. Il risultato per i nostri capi è deludente: -
13,2%».
Il dato è ottenuto sottraendo la percentuale di «detrattori», cioè di chi ha dato uno score da 1 a 6 alla «consigliabilità» del suo capo (nel nostro caso il 39,3%), dalla percentuale dei «promotori» (score da 9 a 10, pari al 26,1%).
Tenendo conto che il restante 34,6% del campione si è collocato tra il 7 e l’8 venendo così
classificato come «neutrale», si conclude che ben il 73,9% degli interpellati non si spenderebbe nel consigliare ad altri di lavorare con il proprio boss.
L’indagine però va più in profondità, individuando i comportamenti che portano o non portano i collaboratori a sponsorizzare il loro capo. La condotta considerata più virtuosa e quindi tale da far pendere la bilancia dalla parte della consigliabilità è segnalata dal 54,7% dei lavoratori: «Lasciare un ampio grado di libertà nel modo in cui si conseguono i risultati». Seguono (50,5%) la «disponibilità ad ascoltare i collaboratori», il non aver «paura di prendere decisioni difficili» (40%) e la capacità di «chiarire gli obiettivi» (38%). All’ultimo posto (20%) l’attitudine a «definire chiaramente ruoli e responsabilità dei collaboratori». Quest’ultimo comportamento, considerato scontato per un capo appena accettabile, salta viceversa al primo posto (33,4% dei casi) nella classifica degli atteggiamenti che, mancando, portano i collaboratori a non consigliare il boss. Seguono (30,2%) il «non fornire feedback tempestivi», «non saper gestire le proprie emozioni e
quelle altrui» (26,6%) e «non definire con i collaboratori i criteri sui quali verrà valutata la
loro prestazione» (23,7%).
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
I lavoratori italiani non amano i loro capi. Non sono contenti di come li guidano e li valorizzano. Così l’insoddisfazione li porta a non apprezzarli, o quanto meno a non proporli come modelli di comportamento aziendale, come persone da consigliare per lavorarci insieme.
È quanto si deduce dall’indagine Good boss vs Bad boss realizzata dal «Centro sul cambiamento, la leadership e il people management» della Liuc Business school. «Il nostro obiettivo — chiarisce il direttore del Centro Vittorio D’Amato — è di comprendere il grado di propensione dei lavoratori a consigliare ad altri il proprio boss, oltre che di individuare una lista di comportamenti che caratterizzano un capo efficace».
Il campione di riferimento conta 632 lavoratori dipendenti tra operai, impiegati, quadri e
dirigenti di Pmi e grandi imprese. «Alla fine — spiega D’Amato — abbiamo calcolato
l’Nmps, il Net management promoter score, basato su un parametro formulato da
Frederick Reichheld dell’università di Harvard. Il risultato per i nostri capi è deludente: -
13,2%».
Il dato è ottenuto sottraendo la percentuale di «detrattori», cioè di chi ha dato uno score da 1 a 6 alla «consigliabilità» del suo capo (nel nostro caso il 39,3%), dalla percentuale dei «promotori» (score da 9 a 10, pari al 26,1%).
Tenendo conto che il restante 34,6% del campione si è collocato tra il 7 e l’8 venendo così
classificato come «neutrale», si conclude che ben il 73,9% degli interpellati non si spenderebbe nel consigliare ad altri di lavorare con il proprio boss.
L’indagine però va più in profondità, individuando i comportamenti che portano o non portano i collaboratori a sponsorizzare il loro capo. La condotta considerata più virtuosa e quindi tale da far pendere la bilancia dalla parte della consigliabilità è segnalata dal 54,7% dei lavoratori: «Lasciare un ampio grado di libertà nel modo in cui si conseguono i risultati». Seguono (50,5%) la «disponibilità ad ascoltare i collaboratori», il non aver «paura di prendere decisioni difficili» (40%) e la capacità di «chiarire gli obiettivi» (38%). All’ultimo posto (20%) l’attitudine a «definire chiaramente ruoli e responsabilità dei collaboratori». Quest’ultimo comportamento, considerato scontato per un capo appena accettabile, salta viceversa al primo posto (33,4% dei casi) nella classifica degli atteggiamenti che, mancando, portano i collaboratori a non consigliare il boss. Seguono (30,2%) il «non fornire feedback tempestivi», «non saper gestire le proprie emozioni e
quelle altrui» (26,6%) e «non definire con i collaboratori i criteri sui quali verrà valutata la
loro prestazione» (23,7%).
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