venerdì 14 settembre 2018

È l’era dei manager eterni crescono quelli over 70

(Fonte: "La Stampa")

A marzo s’è insediato il Parlamento più giovane della storia d’Italia, ma nelle aziende italiane avviene il contrario, con un ricambio generazionale di segno opposto. Se infatti a Montecitorio l’età media è scesa a 44,33 anni, al di sotto dei 45 anni per la prima volta nella storia repubblicana, nelle aziende invece i manager di oltre 50 anni sono il 61 per cento del totale, contro il 53,3 per cento di cinque anni fa, mentre gli under 50 sono diminuiti del 7,7 per cento. 
 
Il dato emerge da un’indagine di Unioncamere, secondo la quale i settori nei quali si è registrato l’aumento più consistente degli amministratori di età compresa tra i 50 e i 69 anni sono quelli dell’alloggio e della ristorazione e dei servizi alle imprese (quasi il 30% in cinque anni). «La società italiana non è tra le più dinamiche — ammette Carlo Carboni, professore di Sociologia economica all’Università di Ancona, da sempre attento studioso delle élite italiane —.
Il ringiovanimento della politica è dovuto a due grandi “scrolloni”: il primo è la rottamazione di Renzi, il secondo la spallata del Movimento Cinque Stelle. Ma per il resto l’invecchiamento è quasi strutturale, intanto dal punto di vista demografico: persino la pubblicità si è adeguata, ormai appaiono prevalentemente persone non giovani. L’invecchiamento è anche nell’occupazione, e sta arrivando alla classe dirigente, fermando il ricambio generazionale».
 
Negli ultimi cinque anni, stima Unioncamere, si è registrato un incremento superiore al 40 per cento dei manager ultrasettantenni negli stessi settori. Mentre i manager under 30 aumentano solo nell’agricoltura e nei servizi di informazione e comunicazione.
E del resto non servono grandi sforzi di memoria per farsi venire in mente nomi di settantenni molto noti ai vertici delle imprese, da Roberto Colaninno (75 anni), presidente e ad di Piaggio, a Gabriele Galateri di Genola (71), presidente delle Generali, a Fabrizio Saccomanni (75 anni), presidente di Unicredit e Marco Tronchetti Provera (70 anni), amministratore delegato di Pirelli. Ma non è raro imbattersi in un ultraottantenne che amministra aziende o organizzazioni di alto profilo: tra i “decani” Giuseppe Guzzetti, che a 84 anni presiede l’Acri, l’associazione delle casse di risparmio e delle fondazioni bancarie, che sono i soci di minoranza, per nulla accondiscendenti, della Cassa depositi e prestiti controllata dal Tesoro. Il settore bancario è in effetti tra i settori più “anziani”: lo denunciava in uno studio di alcuni anni fa il sindacato di settore Uilca, rilevando come l’età media dei presidenti arrivasse a 70 anni per i presidenti e a 60 per gli amministratori delegati.
 
In un’indagine pubblicata un anno fa anche Federmanager sottolineava come la crisi sia stata pagata in Italia soprattutto dai manager più giovani, per via dell’aumento dell’età pensionabile ma soprattutto per «la migliore conoscenza delle dinamiche interne delle aziende» e «la migliore capacità di adattamento alle diverse situazioni» che finiscono per avvantaggiare i dirigenti più anziani, nonostante i loro stipendi siano più pesanti.
 
Ma non si tratta solo di questo: «Le élite si servono delle loro conoscenze — rileva Carlo Carboni —. Il manager di oggi non è più quello della rivoluzione industriale, quando pesavano le competenze specifiche. Oggi le competenze sono intercambiabili, si passa con facilità dalle banche agli aerei, i manager si portano dietro un capitale di relazioni con le altre élite che man mano che si procede diventano sempre più pesanti, e li rendono non sostituibili. Più che dell’invecchiamento, però, dobbiamo preoccuparci della mancanza di un ricambio generazionale, che crea delle strozzature, ben visibili nella nostra società, a cominciare da tutte le difficoltà di successione nelle aziende familiari, che spesso finiscono per essere vendute a società straniere, penso per esempio alla Indesit di Vittorio Merloni. Il ricambio deve essere un fatto fisiologico».

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