(Fonte: "La Stampa")
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A marzo s’è insediato il Parlamento più giovane della storia
d’Italia, ma nelle aziende italiane avviene il contrario, con un
ricambio generazionale di segno opposto. Se infatti a Montecitorio l’età
media è scesa a 44,33 anni, al di sotto dei 45 anni per la prima volta
nella storia repubblicana, nelle aziende invece i manager di oltre 50
anni sono il 61 per cento del totale, contro il 53,3 per cento di cinque
anni fa, mentre gli under 50 sono diminuiti del 7,7 per cento.
Il dato
emerge da un’indagine di Unioncamere, secondo la quale i settori nei
quali si è registrato l’aumento più consistente degli amministratori di
età compresa tra i 50 e i 69 anni sono quelli dell’alloggio e della
ristorazione e dei servizi alle imprese (quasi il 30% in cinque anni).
«La società italiana non è tra le più dinamiche — ammette Carlo Carboni,
professore di Sociologia economica all’Università di Ancona, da sempre attento studioso delle élite italiane —.
Il ringiovanimento della politica è dovuto a due grandi “scrolloni”: il
primo è la rottamazione di Renzi, il secondo la spallata del Movimento
Cinque Stelle. Ma per il resto l’invecchiamento è quasi strutturale,
intanto dal punto di vista demografico: persino la pubblicità si è
adeguata, ormai appaiono prevalentemente persone non giovani.
L’invecchiamento è anche nell’occupazione, e sta arrivando alla classe
dirigente, fermando il ricambio generazionale».
Negli ultimi cinque anni, stima Unioncamere, si è registrato un incremento superiore al 40
per cento dei manager ultrasettantenni negli stessi settori. Mentre i
manager under 30 aumentano solo nell’agricoltura e nei servizi di
informazione e comunicazione.
E del resto non servono grandi sforzi di memoria per farsi venire in
mente nomi di settantenni molto noti ai vertici delle imprese, da
Roberto Colaninno (75 anni), presidente e ad di Piaggio, a Gabriele
Galateri di Genola (71), presidente delle Generali, a Fabrizio
Saccomanni (75 anni), presidente di Unicredit e Marco Tronchetti Provera
(70 anni), amministratore delegato di Pirelli. Ma non è raro imbattersi
in un ultraottantenne che amministra aziende o organizzazioni di alto
profilo: tra i “decani” Giuseppe Guzzetti, che a 84 anni presiede
l’Acri, l’associazione delle casse di risparmio e delle fondazioni
bancarie, che sono i soci di minoranza, per nulla accondiscendenti,
della Cassa depositi e prestiti controllata dal Tesoro. Il settore
bancario è in effetti tra i settori più “anziani”: lo
denunciava in uno studio di alcuni anni fa il sindacato di settore
Uilca, rilevando come l’età media dei presidenti arrivasse a 70 anni per
i presidenti e a 60 per gli amministratori delegati.
In un’indagine pubblicata un anno fa anche Federmanager sottolineava
come la crisi sia stata pagata in Italia soprattutto dai manager più
giovani, per via dell’aumento dell’età pensionabile ma soprattutto per
«la migliore conoscenza delle dinamiche interne delle aziende» e «la
migliore capacità di adattamento alle diverse situazioni» che finiscono
per avvantaggiare i dirigenti più anziani, nonostante i loro stipendi
siano più pesanti.
Ma non si
tratta solo di questo: «Le élite si servono delle loro conoscenze —
rileva Carlo Carboni —. Il manager di oggi non è più quello della
rivoluzione industriale, quando pesavano le competenze specifiche. Oggi
le competenze sono intercambiabili, si passa con facilità dalle banche
agli aerei, i manager si portano dietro un capitale di relazioni con le
altre élite che man mano che si procede diventano sempre più pesanti, e
li rendono non sostituibili. Più che dell’invecchiamento, però, dobbiamo
preoccuparci della mancanza di un ricambio generazionale, che crea
delle strozzature, ben visibili nella nostra società, a cominciare da
tutte le difficoltà di successione nelle aziende familiari, che spesso
finiscono per essere vendute a società straniere, penso per esempio alla
Indesit di Vittorio Merloni. Il ricambio deve essere un fatto
fisiologico».
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