Su uno degli ultimi numeri della rivista HBR (versione USA) ci si interroga su come debbano essere gestiti i "lavoratori della conoscenza", termine coniato per la prima volta da Peter Drucker che indica le persone non strettamente produttive come i manager.
Quando c'è una crisi è innegabile che le organizzazioni inizino a considerare queste persone come "poco produttive" ma, senza considerare i costi umani e sociali legati a questo modo di pensare, è altamente inefficiente gestire le proprie risorse in questo modo e proviamo a spiegarvi perché.
Il problema forse risiede nel fatto che non abbiamo ancora compreso a fondo le differenze e le similitudini tra questa tipologia di lavoratori e coloro che si dedicano al lavoro più strettamente manuale.
Il primo errore compiuto dalle organizzazioni è pensare che i lavoratori della conoscenza possano essere gestiti come gli operativi che svolgono ogni giorno lo stesso tipo di attività.
Il secondo, che deriva dal primo, è che la conoscenza sia necessariamente confinata nelle menti di questi lavoratori e non possa essere codificata e trasmessa agli altri.
Partiamo dall'inizio: cosa fanno i lavoratori della conoscenza? Non costruiscono direttamente un prodotto ma producono qualcosa di altrettanto prezioso: le decisioni. Decisioni su cosa vendere, a che prezzo, a chi, con quale strategia, attraverso quale sistema logistico, in quali posti, coinvolgendo quali dipartimenti, ecc.
Alla scrivania o nelle sale riunioni, queste persone prendono decisioni importanti ogni giorno. Le loro materie prime sono i dati, i loro output sono analisi, raccomandazioni e decisioni.
Domani continueremo questo discorso ma, nel frattempo, ci piacerebbe sapere se nelle vostre realtà si fanno discorsi basati sull'assunto che chi prende decisioni non sia operativo e, in tempo di crisi, non sia poi così utile alle aziende.
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
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