(Fonte: "Business People")
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Il coaching in Italia è una disciplina vista ancora con sospetto perché siamo in ritardo, non solo rispetto agli Stati Uniti ma anche
all’Europa stessa, dove è raro trovare importanti aziende senza una
figura di questo tipo.
(...)
Quando
si pensa a un coach bisogna pensare a un allenatore sportivo, qualcuno
che allena la tecnica e la preparazione atletica e mentale di una
persona in funzione del raggiungimento di determinati obiettivi in uno
sport. Questa figura fa la stessa cosa su altri campi, dalla medicina al
management: allena il talento della persona in funzione della sua
crescita.
Un coach è un leader?
Tendenzialmente no, ma deve essere all’altezza di allenare un leader. Il che significa che se fa il follower e cerca il consenso del leader, è fuori dai giochi.
Tendenzialmente no, ma deve essere all’altezza di allenare un leader. Il che significa che se fa il follower e cerca il consenso del leader, è fuori dai giochi.
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Il coaching performativo
americano mira a introdurre tecniche e strumenti di miglioramento
in funzione del raggiungimento di un determinato obiettivo ed è disciplina
che non ha attecchito in Italia perché qui non abbiamo una vera cultura
degli obiettivi, nemmeno a livello aziendale.
La declinazione umanistica
è nata con l’obiettivo di combinare la crescita delle persone e il
raggiungimento di obiettivi, con la felicità e l’efficienza delle
performance, valorizzando le singole vocazioni e passioni insieme
all’aspetto relazionale. È un allenamento sul campo per il
raggiungimento di un benessere organizzativo, di un progetto di vita
fatto di risultati concreti e tangibili, verificabili.
In sostanza si vuole allenare le persone a essere felici?
Sì. Una persona o un’azienda diventano felici nella misura in cui rendono felice qualcun altro. Spesso però lo fanno sacrificandosi, e questo genera una delusione profonda. Il coaching umanistico punta ad armonizzare l’aspetto individuale della soddisfazione personale con l’aspetto relazionale, perché le persone non possono essere slegate dal loro contesto, è all’interno della propria vita che possono diventare felici esprimendo le proprie specificità e non sopportando faticosi sacrifici.
Sì. Una persona o un’azienda diventano felici nella misura in cui rendono felice qualcun altro. Spesso però lo fanno sacrificandosi, e questo genera una delusione profonda. Il coaching umanistico punta ad armonizzare l’aspetto individuale della soddisfazione personale con l’aspetto relazionale, perché le persone non possono essere slegate dal loro contesto, è all’interno della propria vita che possono diventare felici esprimendo le proprie specificità e non sopportando faticosi sacrifici.
Perché affidarsi a un coach?
Perché il coach allena la persona dentro al suo contesto, sul campo della propria vita. Lo aiuta a scoprire e valorizzare i talenti che già possiede.
Perché il coach allena la persona dentro al suo contesto, sul campo della propria vita. Lo aiuta a scoprire e valorizzare i talenti che già possiede.
Quali tipologie di persone si rivolgono a una figura simile?
Le più disparate, è una dimensione molto orizzontale. Andiamo dagli imprenditori o manager di azienda alle donne che escono da situazioni di violenza domestica, fino ai genitori e agli adolescenti. Chiunque abbia una tensione forte a comprendere quali risorse ha dentro di sé che non riesce però a esprimere, si rivolge a queste figure.
Le più disparate, è una dimensione molto orizzontale. Andiamo dagli imprenditori o manager di azienda alle donne che escono da situazioni di violenza domestica, fino ai genitori e agli adolescenti. Chiunque abbia una tensione forte a comprendere quali risorse ha dentro di sé che non riesce però a esprimere, si rivolge a queste figure.
Cosa ne pensate? Avete qualche esperienza di coaching?
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