mercoledì 27 settembre 2017

Parliamo di diversity manager

(Fonte: "la Repubblica")

Promuovere l’inclusione di genere, di abilità, di provenienza, di orientamento sessuale o religioso è un bene per le aziende. Così si anticipano i bisogni dei clienti, si dà modo all'impresa di innovare e di valorizzare tutti i talenti impiegati.

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Chi è il diversity manager? (...) Si può dire che ancora non esiste una definizione precisa. Nessuna azienda crea questa figura dal nulla: si tratta sempre di una persona che già ricopre un ruolo alla quale è affidato anche questo incarico”. In genere si tratta di dipendenti inseriti nelle risorse umane o nella responsabilità sociale. Impossibile, a oggi, dire quale sia la formazione più diffusa tra i diversity manager: c’è chi è laureato in filosofia, chi in legge, chi in economia. Questo potrebbe essere un bene: tante sensibilità differenti che si occupano di inclusione. Anche in questo caso, le diversità arricchiscono.

Il ruolo del diversity manager. Il suo scopo è l’inclusione. In generale, un diversity manager tutela le diversità – di abilità, di orientamento sessuale, di genere, di religione, di etnia – prima ancora di sapere se sono presenti nell’azienda. Poi, si occupa della loro valorizzazione, sia attraverso progetti pratici, sia con la promozione di campagne di sensibilizzazione.

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Sbocchi professionali. A oggi, (...), sono le grandi aziende quelle più sensibili su questi temi, quelle più aperte e pronte a innovare. Da parte delle piccole medie imprese, invece, si riscontrano alcune resistenze. (...) Il problema non è di ordine economico (basterebbe che per la formazione si appoggiassero ad aziende più grandi), bensì di carattere culturale. Per cominciare a occuparsi di questi temi serve la volontà politica da parte della proprietà. Spesso le pmi sono guidate da uomini e/o sono a conduzione familiare. Per loro, aprirsi a queste tematiche significa un doppio salto culturale. (...) Presto, però, tutte le aziende si accorgeranno del vantaggio di lavorare con team misti, in tempi e modi diversi. L’inclusione permea molti ambiti, tutti si possono accorgere di come sia fondamentale. Nel mondo del lavoro solo una cosa deve contare: le competenze. Oggi, se cerchi posizioni aperte sulla diversity, nel nostro Paese ne trovi giusto un paio. Ma se effettui la stessa ricerca a Londra, sono moltissime. Si spera che anche qui da noi, presto, sarà così.

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Per ora, non esistono nemmeno riferimenti legislativi. Come è successo per la sicurezza sul luogo di lavoro, una legge serve, anche se, spesso e volentieri, le aziende sono più avanti della politica. Comunque, le campagne di sensibilizzazione sono imprescindibili perché anche da lì passa il cambio culturale che deve accompagnare un’ipotetica normativa. È necessario che passi il messaggio che la diversità non è tanto un valore aggiunto, un plus, ma un vero e proprio pilastro fondamentale. Ma le cose stanno cambiando. Nell’ultimo anno i diversity manager sono aumentati esponenzialmente. Detto ciò, arriviamo comunque tardi: di questi temi gli Stati Uniti se ne occupano dagli anni Sessanta. Da lì, Inghilterra e Nord Europa sono stati ‘contagiati’. In Italia ce ne accorgiamo solo ora: diciamo che è lo specchio del nostro Paese. Il fenomeno migratorio ci obbliga anche a cominciare a parlare di questi temi.

Il vantaggio di avere un diversity manager in azienda è quello di dialogare e comprendere i bisogni dei clienti per riuscire a offrire servizi di qualità. Così, un’azienda dovrebbe attivare politiche per la diversity per tre motivi: per anticipare – e accogliere – i bisogni dei clienti; perché “la diversità porta innovazione”; perché c’è la necessità di valorizzare tutti i talenti in azienda, presenti e futuri, disabili, giovani, vecchi, italiani, stranieri, omosessuali. Se il pregiudizio ci porta a considerare sempre come più meritevole l’ingegnere maschio 30-40enne, rischiamo di perdere valore. E per accogliere le diversità dobbiamo creare ambienti aperti, stimolare il pensiero critico e l’accettazione reciproca. Quando parliamo di diversità e inclusione parliamo di una filosofia. Ci si augura che tra 10 anni di diversity manager non esisteranno più, perché sarà la modalità normale con cui tutte le politiche delle risorse umane saranno sviluppate. 


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