(Fonte: "Affari&Finanza")
Più crescita, più occupazione e maggiore redditività.
Le aziende familiari, che costituiscono l’ossatura dell’economia italiana, non temono per nulla il confronto con le realtà che hanno un altro tipo di proprietà e, nella maggior parte dei casi, anche dimensioni molto più grandi. È questo quanto emerge dalla nona edizione dell’Osservatorio Aub sulle aziende familiari italiane, a cura di Guido Corbetta, Fabio Quarato e Alessandro Minichilli dell’Università Bocconi. Nel decennio che va dal 2007 al 2016 i ricavi delle imprese familiari sono cresciuti del 47,2% contro il +37,8% fatto registrare da tutte le altre, con una differenza di quasi dieci punti percentuali.
All’interno del gruppo delle società non familiari l’aumento del giro d’affari va dal +29,2% di
quelle pubbliche al 49,1% di cooperative e consorzi, passando per il +32% fatto segnare dalle filiali delle imprese estere e il +44,5% delle società controllate da fondi d’investimento. Le cose non cambiano se si va ad analizzare la redditività nette che per le imprese familiari si è attestata all’11,4% nel 2016, a fronte dell’8,9% di tutte le altre. Va inoltre rilevato che in ogni singolo anno del periodo in esame (2007-2017) la redditività delle prime è stata superiore a quella delle seconde. Fra queste spicca l’efficienza delle filiali di imprese estere (10,5%) e il valore particolarmente basso di consorzi e cooperative (2,9%), che lavorano però con altre logiche di mercato. Lo studio della Bocconi rileva inoltre che l’occupazione nelle aziende familiari è cresciuta del 20,1% negli ultimi sei anni, riuscendo così a battere cooperative e consorzi (+14,4%) e le
filiali di imprese estere (+5,7%).
Le aziende familiari vantano infine anche un minor indebitamento: considerando il rapporto fra il totale degli attivi e il patrimonio netto, si attestano al 5% contro il 6% delle altre tipologie di proprietà.
Le imprese familiari hanno infine una maggior capacità di ripagare il debito, intesa come
rapporto fra la posizione finanziaria netta e il margine operativo lordo. Nel 2016 questo indicatore era pari al 5,3% contro 4,9% del resto dell’universo delle aziende. In questo campo le società non familiari sono riuscite a fare meglio almeno in un anno, il 2007; questo era però prima dello scoppio della crisi e da ciò si può facilmente dedurre come la gestione familiare sia molto più oculata, soprattutto quando le cose iniziano ad andare male.
Gli esperti dell’università milanese sono poi andati ad analizzare le performance di due sottoinsiemi di aziende familiari d’eccellenza, quelle quotate e quelle che superano i 500 milioni di fatturato (le Over 500). Le prime sono più grandi della media (il 45% ha un fatturato superiore ai 250 mln di euro, contro il 7% delle non quotate), più longeve (il 28% ha più di 50 anni), sono cresciute del 20% in più rispetto altre negli ultimi dieci anni e sono più propense ad acquisizioni (76,9%), investimenti diretti esteri (88%) e ad esportare.
Secondo quanto emerge dallo studio, le aziende familiari stanno infine affrontando molto seriamente i problemi connaturati con questa tipologia di proprietà, il principale dei quali
è dato dal fatto che le generazioni successive a quella del fondatore sono sempre meno capaci
di tenere le redini dell’azienda.
La soluzione del problema è quella di rivolgersi a manager esterni ed è proprio questo che
un numero crescente di aziende sta facendo. Negli ultimi due anni su 253 casi di successione
di una impresa familiare italiana con un fatturato compreso tra i 20 e i 50 milioni di euro si è
passati da un leader familiare a un leader non familiare.
«Si tratta di numeri già significativi e di un fenomeno che segue di qualche anno il processo
già avviato dalle imprese più grandi e che ha dimostrato di pagare in termini economici e finanziari — spiega Guido Corbetta, che illustra i vantaggi di questa scelta — L’apertura ai non familiari risulta correlata ad aspetti positivi come la crescita dimensionale e la capacità di
esportare. E se resta vero che le imprese familiari di terza generazione soffrono in termini di
reddittività, questa relazione è più debole quando le imprese sono di dimensioni maggiori e
quando si registra la presenza di consiglieri esterni».
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
Più crescita, più occupazione e maggiore redditività.
Le aziende familiari, che costituiscono l’ossatura dell’economia italiana, non temono per nulla il confronto con le realtà che hanno un altro tipo di proprietà e, nella maggior parte dei casi, anche dimensioni molto più grandi. È questo quanto emerge dalla nona edizione dell’Osservatorio Aub sulle aziende familiari italiane, a cura di Guido Corbetta, Fabio Quarato e Alessandro Minichilli dell’Università Bocconi. Nel decennio che va dal 2007 al 2016 i ricavi delle imprese familiari sono cresciuti del 47,2% contro il +37,8% fatto registrare da tutte le altre, con una differenza di quasi dieci punti percentuali.
All’interno del gruppo delle società non familiari l’aumento del giro d’affari va dal +29,2% di
quelle pubbliche al 49,1% di cooperative e consorzi, passando per il +32% fatto segnare dalle filiali delle imprese estere e il +44,5% delle società controllate da fondi d’investimento. Le cose non cambiano se si va ad analizzare la redditività nette che per le imprese familiari si è attestata all’11,4% nel 2016, a fronte dell’8,9% di tutte le altre. Va inoltre rilevato che in ogni singolo anno del periodo in esame (2007-2017) la redditività delle prime è stata superiore a quella delle seconde. Fra queste spicca l’efficienza delle filiali di imprese estere (10,5%) e il valore particolarmente basso di consorzi e cooperative (2,9%), che lavorano però con altre logiche di mercato. Lo studio della Bocconi rileva inoltre che l’occupazione nelle aziende familiari è cresciuta del 20,1% negli ultimi sei anni, riuscendo così a battere cooperative e consorzi (+14,4%) e le
filiali di imprese estere (+5,7%).
Le aziende familiari vantano infine anche un minor indebitamento: considerando il rapporto fra il totale degli attivi e il patrimonio netto, si attestano al 5% contro il 6% delle altre tipologie di proprietà.
Le imprese familiari hanno infine una maggior capacità di ripagare il debito, intesa come
rapporto fra la posizione finanziaria netta e il margine operativo lordo. Nel 2016 questo indicatore era pari al 5,3% contro 4,9% del resto dell’universo delle aziende. In questo campo le società non familiari sono riuscite a fare meglio almeno in un anno, il 2007; questo era però prima dello scoppio della crisi e da ciò si può facilmente dedurre come la gestione familiare sia molto più oculata, soprattutto quando le cose iniziano ad andare male.
Gli esperti dell’università milanese sono poi andati ad analizzare le performance di due sottoinsiemi di aziende familiari d’eccellenza, quelle quotate e quelle che superano i 500 milioni di fatturato (le Over 500). Le prime sono più grandi della media (il 45% ha un fatturato superiore ai 250 mln di euro, contro il 7% delle non quotate), più longeve (il 28% ha più di 50 anni), sono cresciute del 20% in più rispetto altre negli ultimi dieci anni e sono più propense ad acquisizioni (76,9%), investimenti diretti esteri (88%) e ad esportare.
Secondo quanto emerge dallo studio, le aziende familiari stanno infine affrontando molto seriamente i problemi connaturati con questa tipologia di proprietà, il principale dei quali
è dato dal fatto che le generazioni successive a quella del fondatore sono sempre meno capaci
di tenere le redini dell’azienda.
La soluzione del problema è quella di rivolgersi a manager esterni ed è proprio questo che
un numero crescente di aziende sta facendo. Negli ultimi due anni su 253 casi di successione
di una impresa familiare italiana con un fatturato compreso tra i 20 e i 50 milioni di euro si è
passati da un leader familiare a un leader non familiare.
«Si tratta di numeri già significativi e di un fenomeno che segue di qualche anno il processo
già avviato dalle imprese più grandi e che ha dimostrato di pagare in termini economici e finanziari — spiega Guido Corbetta, che illustra i vantaggi di questa scelta — L’apertura ai non familiari risulta correlata ad aspetti positivi come la crescita dimensionale e la capacità di
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