(Fonte: "L'Impresa")
Lavori in corso, anzi rivoluzione in corso, con l’introduzione dello Smart Working o lavoro agile nelle aziende italiane, da quest’anno regolato dalla legge che lo definisce una modalità di
esecuzione di lavoro subordinato che prevede, mediante accordo tra le parti, forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro e con l’utilizzo di strumenti tecnologici a supporto della propria attività lavorativa.
Il sesto rapporto dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano offre la fotografia più aggiornata di questo cambiamento epocale per capi e collaboratori nel modo di considerare l’organizzazione del lavoro, che si sta spostando su obiettivi e responsabilizzazione in una
relazione di fiducia, e non più sul tradizionale controllo delle ore trascorse in ufficio. Insomma, niente più cartellini da timbrare e niente più straordinari, ora si lavora per obiettivi, concordati ovviamente, ma con un approccio di maggiore autonomia nelle modalità di esecuzione.
L’impatto sull’economia del paese
I lavoratori che stanno sperimentando questo nuovo modo di lavorare, 305mila secondo le stime dell’Osservatorio (+14% rispetto al 2016), dicono di essere più soddisfatti, più produttivi (+15%) e con un miglior rapporto con il proprio capo. «Abbiamo calcolato che questo aumento di produttività, proiettato sui 5 milioni di potenziali smart worker, si tradurrebbe in 13,7 miliardi di euro di
benefici per il Sistema paese. Considerando poi anche solo un giorno alla settimana di remote working, il risparmio in un anno sarebbe di 40 ore a testa, con una riduzione di emissioni di 135 kg di CO2 », dichiara Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del
Politecnico di Milano. Ma cosa sta succedendo nelle grandi aziende italiane? Ormai più di una
su tre ha lanciato progetti strutturati e quasi una su due ha in previsione o potrebbe valutarne l’introduzione, tuttavia solo il 9% delle grandi aziende italiane ha avviato un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro, con un forte intervento culturale sulla diffusione dei nuovi modelli manageriali. «Il lavoro agile non è il telelavoro e nemmeno una forma di welfare aziendale. È molto di più, è un modello di organizzazione che dà alle persone flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti, in cambio di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Ma è un percorso che richiede tempo: bisogna imparare a organizzarsi in autonomia, con disciplina», precisa Corso.
Se il lavoro non è un luogo, ma un risultato
Un caso di punta è quello di Maire Tecnimont che da settembre, a seguito di un accordo sindacale, “impone” la presenza in ufficio solo una volta alla settimana per incontrare il proprio team e fare il punto sull’avanzamento lavori. Per il resto c’è la piena libertà di auto-organizzarsi su luoghi e tempi più adatti ai risultati da portare, d’accordo con il proprio capo. Il Gruppo sta lavorando anche sul
ripensamento degli spazi di lavoro, nelle torri Garibaldi di Milano, con la trasformazione della mensa in un luogo adatto a riunioni lungo l’arco della giornata e sta aprendo la hall alla cittadinanza con spazi di co-working. Lo Smart Working coinvolgerà via via i 1.800 dipendenti delle sedi milanesi, a partire dal primo gruppo pilota di 200 persone a novembre. Il progetto prevede
un investimento complessivo di 5 milioni di euro in due anni per adeguamenti tecnologici, interventi strutturali e formazione. «Siamo abituati a postazioni flessibili e a task-force di progetto, ma un’applicazione così estesa richiede un supporto al cambiamento perché il cambio culturale è enorme», commenta il direttore delle risorse umane Franco Ghiringhelli. Si prevedono infatti 5mila ore di formazione e coaching per i responsabili per diffondere una filosofia del lavoro basata sulla definizione degli obiettivi, la valutazione delle performance e la condivisione del feedback. «Il lavoro non è un luogo, ma un risultato. Dobbiamo imparare a misurare ed essere misurati sui risultati, in questo modo aumenterà anche la meritocrazia e l’inclusione. Per farlo il middle management deve imparare a scomporre gli obiettivi sul singolo collaboratore e disporli su un asse temporale dato», commenta l’amministratore delegato Pierroberto Folgiero.
La criticità più forte
Insomma lo Smart Working non è anarchia, tutt’altro. In un incontro organizzato proprio in Tecnimont, “Be adaptive, be smart!”, anche Silvia Candiani, la nuova amministratrice delegata di Microsoft, dove il lavoro agile è la regola da oltre dieci anni e l’obbligo di presenza solo una volta alla settimana, ha evidenziato che «In questo modo l’approccio è più pianificato, si è più attenti al processo e si coinvolgono le persone che servono al momento giusto, usando strumenti di collaborazione. L’80% ha riscontrato un aumento di produttività e facilità nel collaborare e risparmia un’ora al giorno. Gli elementi di successo sono indubbiamente l’orientamento al risultato e il cambiamento culturale dei capi». Proprio il disinteresse e le resistenze dei capi, infatti, sono il secondo ostacolo all’introduzione ancora più estesa dello Smart Working, preceduto solo dalla non applicabilità allo specifico sistema produttivo. Conferma i risultati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano la ricerca “Smart Working: is your company smart?” di OD&M Consulting (Gi Group) su Hr Manager ed Exectuive di 84 aziende italiane.
Cosa deve cambiare in azienda
La principale criticità emersa riguarda proprio il cambiamento culturale necessario per passare dall’orientamento alle direttive, dal controllo e “presenzialismo” all’orientamento su risultati. «Per diventare agili bisogna concentrare gli sforzi su cultura, mindset e organizzazione del lavoro. Solo dopo aver agito su questi elementi “profondi”, che definiscono il “cosa deve cambiare in azienda”, entrano in gioco gli interventi strumentali su tecnologia, policy organizzative e gestione degli spazi aziendali, che sono gli elementi più visibili», spiega Rossella Riccò, responsabile Area Studi e Ricerche di OD&M Consulting. Per cultura aziendale la ricerca intende lo spostamento del focus dalla presenza ai risultati, la diffusione di un clima di fiducia, una leadership partecipativa e facilitatrice e la condivisione di valori, mission e risultati. Fanno invece parte del mindset l’attitudine all’utilizzo degli strumenti digitali, l’attenzione alla privacy e alla sicurezza dei dati e la
predisposizione al cambiamento e all’adattamento veloce, mentre l’organizzazione del lavoro comprende la definizione dei kpi dei risultati ottenuti attraverso lo Smart Working.
Una spinta al cambiamento culturale
Anche in Nestlè, pioniera nella forme di flessibilità del lavoro, nel 2011 è stata introdotta una modalità di lavoro agile molto flessibile, concordabile con il proprio capo, che ha portato dopo due anni di sperimentazione all’eliminazione della timbratura stessa. «I manager all’inizio erano preoccupati, ma hanno dovuto ricredersi perché le persone hanno imparato a regolarsi da sole e comunque la maggior parte di loro continua a venire in ufficio. Noi abbiamo bisogno di sapere chi c’è in ogni momento nello stabile solo per motivi di sicurezza», racconta Giacomo Piantoni, direttore risorse umane Gruppo Nestlè Italia.
Numerosi anche i progetti che partono ora, con una o due giornate alla settimana consentiti in remote working. Nel Gruppo Axa, ad esempio, dopo una prima fase pilota, da ottobre 1.400
persone (il 94% dei dipendenti) possono lavorare in remoto fino a due giorni alla settimana. «Lo
Smart Working è un acceleratore del cambiamento culturale, che è il nostro obiettivo primario: favorire un modello basato sulla fiducia e sulla performance, prestando attenzione al benessere e al coinvolgimento delle persone», racconta Maurizio Di Fonzo, chief Hr, organization and change management Gruppo Axa Italia.
Dare fiducia alle persone ripaga
Anche Costa Crociere è partita con il proprio progetto “Sm@rt Working Costa – Moving Forward!” ed entro la fine dell’anno i suoi 1.300 dipendenti, di cui mille a Genova, potranno scegliere un giorno alla settimana per lavorare fuori ufficio. «Per noi significa dare fiducia alle persone,
offrendo la possibilità di organizzarsi liberamente secondo obiettivi e responsabilità, permettendo di valorizzare al meglio il loro potenziale e migliorando la qualità della loro vita», commenta Paolo Tolle, VP Human Resources di Costa Crociere. Anche A2A sta sperimentando nuovi modi di lavorare
in una logica di innovazione e digitalizzazione che mettano le persone al centro dei processi. A seguito di accordo sindacale, lo Smart Working è stato sperimentato da 250 persone anche in A2A una volta alla settimana, esclusi il venerdì e il lunedì e garantendo sempre il 50% di presenza in ogni ufficio, di concerto con il proprio capo e con precise regole antinfortunistiche e di sicurezza del dato. «Il riscontro della survey svolta a conclusione del pilota è stato molto soddisfacente. Per l’85% l’esito è stato positivo sia per i capi sia per i collaboratori: nessuna perdita di produttività, le scadenze sono state rispettate e grande sono la soddisfazione e la gratitudine per i dipendenti,
ricavatisi del tempo evitando gli spostamenti», commenta Emilia Rio, direttore risorse umane e organizzazione A2A. Il progetto ora verrà esteso a 700 persone e via via arriverà anche alle funzioni operative sul territorio per eliminare gli sprechi di tempo e migliorare la qualità della vita.
«Questi cambiamenti vanno accompagnati, perché non è immediato cambiare cultura, servono sempre aree test che creino onde progressive di soddisfazione mano a mano che se ne sperimentano i benefici e che si creano nuove abitudini di lavoro», conclude la Rio.
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Lavori in corso, anzi rivoluzione in corso, con l’introduzione dello Smart Working o lavoro agile nelle aziende italiane, da quest’anno regolato dalla legge che lo definisce una modalità di
esecuzione di lavoro subordinato che prevede, mediante accordo tra le parti, forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro e con l’utilizzo di strumenti tecnologici a supporto della propria attività lavorativa.
Il sesto rapporto dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano offre la fotografia più aggiornata di questo cambiamento epocale per capi e collaboratori nel modo di considerare l’organizzazione del lavoro, che si sta spostando su obiettivi e responsabilizzazione in una
relazione di fiducia, e non più sul tradizionale controllo delle ore trascorse in ufficio. Insomma, niente più cartellini da timbrare e niente più straordinari, ora si lavora per obiettivi, concordati ovviamente, ma con un approccio di maggiore autonomia nelle modalità di esecuzione.
L’impatto sull’economia del paese
I lavoratori che stanno sperimentando questo nuovo modo di lavorare, 305mila secondo le stime dell’Osservatorio (+14% rispetto al 2016), dicono di essere più soddisfatti, più produttivi (+15%) e con un miglior rapporto con il proprio capo. «Abbiamo calcolato che questo aumento di produttività, proiettato sui 5 milioni di potenziali smart worker, si tradurrebbe in 13,7 miliardi di euro di
benefici per il Sistema paese. Considerando poi anche solo un giorno alla settimana di remote working, il risparmio in un anno sarebbe di 40 ore a testa, con una riduzione di emissioni di 135 kg di CO2 », dichiara Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del
Politecnico di Milano. Ma cosa sta succedendo nelle grandi aziende italiane? Ormai più di una
su tre ha lanciato progetti strutturati e quasi una su due ha in previsione o potrebbe valutarne l’introduzione, tuttavia solo il 9% delle grandi aziende italiane ha avviato un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro, con un forte intervento culturale sulla diffusione dei nuovi modelli manageriali. «Il lavoro agile non è il telelavoro e nemmeno una forma di welfare aziendale. È molto di più, è un modello di organizzazione che dà alle persone flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti, in cambio di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Ma è un percorso che richiede tempo: bisogna imparare a organizzarsi in autonomia, con disciplina», precisa Corso.
Se il lavoro non è un luogo, ma un risultato
Un caso di punta è quello di Maire Tecnimont che da settembre, a seguito di un accordo sindacale, “impone” la presenza in ufficio solo una volta alla settimana per incontrare il proprio team e fare il punto sull’avanzamento lavori. Per il resto c’è la piena libertà di auto-organizzarsi su luoghi e tempi più adatti ai risultati da portare, d’accordo con il proprio capo. Il Gruppo sta lavorando anche sul
ripensamento degli spazi di lavoro, nelle torri Garibaldi di Milano, con la trasformazione della mensa in un luogo adatto a riunioni lungo l’arco della giornata e sta aprendo la hall alla cittadinanza con spazi di co-working. Lo Smart Working coinvolgerà via via i 1.800 dipendenti delle sedi milanesi, a partire dal primo gruppo pilota di 200 persone a novembre. Il progetto prevede
un investimento complessivo di 5 milioni di euro in due anni per adeguamenti tecnologici, interventi strutturali e formazione. «Siamo abituati a postazioni flessibili e a task-force di progetto, ma un’applicazione così estesa richiede un supporto al cambiamento perché il cambio culturale è enorme», commenta il direttore delle risorse umane Franco Ghiringhelli. Si prevedono infatti 5mila ore di formazione e coaching per i responsabili per diffondere una filosofia del lavoro basata sulla definizione degli obiettivi, la valutazione delle performance e la condivisione del feedback. «Il lavoro non è un luogo, ma un risultato. Dobbiamo imparare a misurare ed essere misurati sui risultati, in questo modo aumenterà anche la meritocrazia e l’inclusione. Per farlo il middle management deve imparare a scomporre gli obiettivi sul singolo collaboratore e disporli su un asse temporale dato», commenta l’amministratore delegato Pierroberto Folgiero.
La criticità più forte
Insomma lo Smart Working non è anarchia, tutt’altro. In un incontro organizzato proprio in Tecnimont, “Be adaptive, be smart!”, anche Silvia Candiani, la nuova amministratrice delegata di Microsoft, dove il lavoro agile è la regola da oltre dieci anni e l’obbligo di presenza solo una volta alla settimana, ha evidenziato che «In questo modo l’approccio è più pianificato, si è più attenti al processo e si coinvolgono le persone che servono al momento giusto, usando strumenti di collaborazione. L’80% ha riscontrato un aumento di produttività e facilità nel collaborare e risparmia un’ora al giorno. Gli elementi di successo sono indubbiamente l’orientamento al risultato e il cambiamento culturale dei capi». Proprio il disinteresse e le resistenze dei capi, infatti, sono il secondo ostacolo all’introduzione ancora più estesa dello Smart Working, preceduto solo dalla non applicabilità allo specifico sistema produttivo. Conferma i risultati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano la ricerca “Smart Working: is your company smart?” di OD&M Consulting (Gi Group) su Hr Manager ed Exectuive di 84 aziende italiane.
Cosa deve cambiare in azienda
La principale criticità emersa riguarda proprio il cambiamento culturale necessario per passare dall’orientamento alle direttive, dal controllo e “presenzialismo” all’orientamento su risultati. «Per diventare agili bisogna concentrare gli sforzi su cultura, mindset e organizzazione del lavoro. Solo dopo aver agito su questi elementi “profondi”, che definiscono il “cosa deve cambiare in azienda”, entrano in gioco gli interventi strumentali su tecnologia, policy organizzative e gestione degli spazi aziendali, che sono gli elementi più visibili», spiega Rossella Riccò, responsabile Area Studi e Ricerche di OD&M Consulting. Per cultura aziendale la ricerca intende lo spostamento del focus dalla presenza ai risultati, la diffusione di un clima di fiducia, una leadership partecipativa e facilitatrice e la condivisione di valori, mission e risultati. Fanno invece parte del mindset l’attitudine all’utilizzo degli strumenti digitali, l’attenzione alla privacy e alla sicurezza dei dati e la
predisposizione al cambiamento e all’adattamento veloce, mentre l’organizzazione del lavoro comprende la definizione dei kpi dei risultati ottenuti attraverso lo Smart Working.
Una spinta al cambiamento culturale
Anche in Nestlè, pioniera nella forme di flessibilità del lavoro, nel 2011 è stata introdotta una modalità di lavoro agile molto flessibile, concordabile con il proprio capo, che ha portato dopo due anni di sperimentazione all’eliminazione della timbratura stessa. «I manager all’inizio erano preoccupati, ma hanno dovuto ricredersi perché le persone hanno imparato a regolarsi da sole e comunque la maggior parte di loro continua a venire in ufficio. Noi abbiamo bisogno di sapere chi c’è in ogni momento nello stabile solo per motivi di sicurezza», racconta Giacomo Piantoni, direttore risorse umane Gruppo Nestlè Italia.
Numerosi anche i progetti che partono ora, con una o due giornate alla settimana consentiti in remote working. Nel Gruppo Axa, ad esempio, dopo una prima fase pilota, da ottobre 1.400
persone (il 94% dei dipendenti) possono lavorare in remoto fino a due giorni alla settimana. «Lo
Smart Working è un acceleratore del cambiamento culturale, che è il nostro obiettivo primario: favorire un modello basato sulla fiducia e sulla performance, prestando attenzione al benessere e al coinvolgimento delle persone», racconta Maurizio Di Fonzo, chief Hr, organization and change management Gruppo Axa Italia.
Dare fiducia alle persone ripaga
Anche Costa Crociere è partita con il proprio progetto “Sm@rt Working Costa – Moving Forward!” ed entro la fine dell’anno i suoi 1.300 dipendenti, di cui mille a Genova, potranno scegliere un giorno alla settimana per lavorare fuori ufficio. «Per noi significa dare fiducia alle persone,
offrendo la possibilità di organizzarsi liberamente secondo obiettivi e responsabilità, permettendo di valorizzare al meglio il loro potenziale e migliorando la qualità della loro vita», commenta Paolo Tolle, VP Human Resources di Costa Crociere. Anche A2A sta sperimentando nuovi modi di lavorare
in una logica di innovazione e digitalizzazione che mettano le persone al centro dei processi. A seguito di accordo sindacale, lo Smart Working è stato sperimentato da 250 persone anche in A2A una volta alla settimana, esclusi il venerdì e il lunedì e garantendo sempre il 50% di presenza in ogni ufficio, di concerto con il proprio capo e con precise regole antinfortunistiche e di sicurezza del dato. «Il riscontro della survey svolta a conclusione del pilota è stato molto soddisfacente. Per l’85% l’esito è stato positivo sia per i capi sia per i collaboratori: nessuna perdita di produttività, le scadenze sono state rispettate e grande sono la soddisfazione e la gratitudine per i dipendenti,
ricavatisi del tempo evitando gli spostamenti», commenta Emilia Rio, direttore risorse umane e organizzazione A2A. Il progetto ora verrà esteso a 700 persone e via via arriverà anche alle funzioni operative sul territorio per eliminare gli sprechi di tempo e migliorare la qualità della vita.
«Questi cambiamenti vanno accompagnati, perché non è immediato cambiare cultura, servono sempre aree test che creino onde progressive di soddisfazione mano a mano che se ne sperimentano i benefici e che si creano nuove abitudini di lavoro», conclude la Rio.
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
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