(Fonte: "La Stampa")
Riunione internazionale di un gruppo di manager a New York. Durante una pausa, uno scende per strada e guardando le persone che incrocia si rende conto che su, chiusi in una stanza, loro ne avevano invece in mente solo un tipo.
«Vendiamo colori, non possiamo non portarli tutti anche dentro il nostro processo decisionale». Danielle Norrenberg non è un’attivista né una politica, ma una donna di potere. Una manager - (...) - alle prese con la gestione di qualcosa di impalpabile ma di crescente peso nelle aziende: la diversità.
Con il racconto sui colori ha introdotto, qualche tempo fa, la sua lezione al master sul
diversity management della Fondazione Brodolini a Roma. Un master che testimonia un crescente interesse delle aziende nella gestione della diversità e nell’inclusione. Che, alla ricerca del valore, sempre più spesso si imbatte in quello delle differenze: di genere, età, scelte sessuali, salute, etnia, religione.
Neolaureati e dirigenti
(...) Ma perché le imprese sentono la necessità di mandare i loro manager a lezione di diversità? Per evitare autogol di marketing, come quello della Barilla sulla famiglia-tipo che le causò perdite economiche rilevanti dopo il clamoroso infortunio («se i gay non sono d’accordo, possono mangiare un’altra pasta»); ma anche per scegliere e gestire meglio le persone.
Proprio quella della «innovazione attraverso la diversità» è adesso la nuova frontiera, racconta De Micheli. Un esempio? «Le protesi al ginocchio. Sembrerà strano, ma solo da poco ci si è accorti
che venivano studiate sul maschio medio mentre servono a tutt’altro tipo di persone».
Pari opportunità
La differenza di genere resta quella principale, in un mondo a prevalenza maschile. Un’indagine della Bocconi su 250 direttori del personale ha rivelato che solo il 21% delle grandi imprese italiane adotta strategie di diversity management, contro il 39,4% tedesco e il 48% della media Ue.
Focalizzandosi sulle banche, una recente indagine del Fmi ha dato numeri non rosei: le
donne nei board sono il 20% a livello mondiale, ma solo il 2% degli ad. Lo stesso studio rivela
però che, a parità di altre condizioni, una maggiore presenza femminile ai vertici è associata
con maggiore stabilità finanziaria. Oltre ai risultati esterni, ci sono quelli interni: le aziende
che adottano schemi di diversity management più spesso hanno politiche di conciliazione lavoro/famiglia, metodi e orari di lavoro flessibili, asili nido, congedi parentali per i padri. Se l’Italia ha faticato a in-trodurre un congedo obbligatorio per i neopapà di soli 4 giorni (e lo prendono in pochi), in Axa, multinazionale delle assicurazioni che ha da tempo un diversity manager, i padri hanno 25 giorni con retribuzione piena.
Ma non sono queste le sole scelte organizzative che la gestione della diversità può richiedere. «Da noi i dipendenti over 50 sono per il 70% uomini e per il 30% donne; al contrario, la popolazione al di sotto dei 35 anni è femminile al 65%.
Questo dà un’idea della diversità presente, che si può gestire solo prestando attenzione», spiega Livio Zingarelli di Philips Italia, secondo cui è proprio l’età la diversità più difficile da
affrontare. Zingarelli ne parla nel volume Diversità e inclusione che contiene dieci interviste
a diversity manager italiani di grandi imprese spesso con la testa fuori dall’Italia: il che fa
capire che la difficoltà e la sfida maggiore, per i neodiplomati in diversity management, sarà
tradurre quello che hanno imparato nel tessuto italiano di medie e piccole imprese.
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
Riunione internazionale di un gruppo di manager a New York. Durante una pausa, uno scende per strada e guardando le persone che incrocia si rende conto che su, chiusi in una stanza, loro ne avevano invece in mente solo un tipo.
«Vendiamo colori, non possiamo non portarli tutti anche dentro il nostro processo decisionale». Danielle Norrenberg non è un’attivista né una politica, ma una donna di potere. Una manager - (...) - alle prese con la gestione di qualcosa di impalpabile ma di crescente peso nelle aziende: la diversità.
Con il racconto sui colori ha introdotto, qualche tempo fa, la sua lezione al master sul
diversity management della Fondazione Brodolini a Roma. Un master che testimonia un crescente interesse delle aziende nella gestione della diversità e nell’inclusione. Che, alla ricerca del valore, sempre più spesso si imbatte in quello delle differenze: di genere, età, scelte sessuali, salute, etnia, religione.
Neolaureati e dirigenti
(...) Ma perché le imprese sentono la necessità di mandare i loro manager a lezione di diversità? Per evitare autogol di marketing, come quello della Barilla sulla famiglia-tipo che le causò perdite economiche rilevanti dopo il clamoroso infortunio («se i gay non sono d’accordo, possono mangiare un’altra pasta»); ma anche per scegliere e gestire meglio le persone.
Proprio quella della «innovazione attraverso la diversità» è adesso la nuova frontiera, racconta De Micheli. Un esempio? «Le protesi al ginocchio. Sembrerà strano, ma solo da poco ci si è accorti
che venivano studiate sul maschio medio mentre servono a tutt’altro tipo di persone».
Pari opportunità
La differenza di genere resta quella principale, in un mondo a prevalenza maschile. Un’indagine della Bocconi su 250 direttori del personale ha rivelato che solo il 21% delle grandi imprese italiane adotta strategie di diversity management, contro il 39,4% tedesco e il 48% della media Ue.
Focalizzandosi sulle banche, una recente indagine del Fmi ha dato numeri non rosei: le
donne nei board sono il 20% a livello mondiale, ma solo il 2% degli ad. Lo stesso studio rivela
però che, a parità di altre condizioni, una maggiore presenza femminile ai vertici è associata
con maggiore stabilità finanziaria. Oltre ai risultati esterni, ci sono quelli interni: le aziende
che adottano schemi di diversity management più spesso hanno politiche di conciliazione lavoro/famiglia, metodi e orari di lavoro flessibili, asili nido, congedi parentali per i padri. Se l’Italia ha faticato a in-trodurre un congedo obbligatorio per i neopapà di soli 4 giorni (e lo prendono in pochi), in Axa, multinazionale delle assicurazioni che ha da tempo un diversity manager, i padri hanno 25 giorni con retribuzione piena.
Ma non sono queste le sole scelte organizzative che la gestione della diversità può richiedere. «Da noi i dipendenti over 50 sono per il 70% uomini e per il 30% donne; al contrario, la popolazione al di sotto dei 35 anni è femminile al 65%.
Questo dà un’idea della diversità presente, che si può gestire solo prestando attenzione», spiega Livio Zingarelli di Philips Italia, secondo cui è proprio l’età la diversità più difficile da
affrontare. Zingarelli ne parla nel volume Diversità e inclusione che contiene dieci interviste
a diversity manager italiani di grandi imprese spesso con la testa fuori dall’Italia: il che fa
capire che la difficoltà e la sfida maggiore, per i neodiplomati in diversity management, sarà
tradurre quello che hanno imparato nel tessuto italiano di medie e piccole imprese.
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