(Fonte: "Il Sole 24 Ore")
Il 2017 si chiude con 173mila occupati in più. Un numero su cui pesa la crescita dei dipendenti a
termine (+303mila unità su dicembre 2016), mentre sono in calo sia gli indipendenti (-105mila
persone) sia, è la prima volta da dicembre 2014, i lavoratori “permanenti”, vale a dire gli assunti a
tempo indeterminato, che, complice la fine degli sgravi generalizzati targati Jobs act e il clima di incertezza, diminuiscono di 25mila posizioni.
L’incremento tendenziale dell’occupazione (a dicembre c’è stata una battuta d’arresto, -66mila
unità) è legato agli over50 (+365mila), ma, in parte, anche agli under25 (+42mila ragazzi con un
impiego; un dato che sconta i numeri positivi dei due bonus, Occupazione e Sud, gestiti da Anpal).
Le fasce d’età “centrali”, 24-34enni e 35-49enni, restano in difficoltà (qui, rispetto a dicembre 2016, il numero di occupati si contrae, rispettivamente, di 30mila e 204mila unità - il segno meno permane, per i 35-49enni, anche al netto del calo demografico).
La fotografia scattata ieri da Istat, ed Eurostat, con il confronto internazionale, mostra un mercato del lavoro italiano con luci e ombre: il tasso di disoccupazione è in discesa, al 10,8%, il livello più
basso da agosto 2012 (primi effetti delle riforme varate in questi anni, a partire da Jobs act e Industria 4.0). L’area euro è tuttavia ferma all’8,7%. Il numero di persone senza un lavoro rimane sotto quota 2,8 milioni (2.791.000 unità per la precisione, il dato più basso dall’autunno 2012). Segnali di miglioramento per i giovani: accanto a un nuovo balzo degli occupati, pure il tasso di under25 senza un impiego continua a ridursi. Siamo al 32,2%, torniamo ai livelli di dicembre 2011 (restiamo tuttavia distanti dai primi della classe, la Germania, stabile al 6,6% grazie al sistema di formazione duale; e dietro di noi si contano solo Grecia, 40,8%, e Spagna, 36,8%). In ripresa gli inattivi: +112mila unità sul mese; +34mila sull’anno; e, da alcuni mesi, i rapporti a termine:
«Qui c’è anche qualche impresa che può aver anticipato l’assunzione a tempo, per poi stabilizzare con gli sgravi in vigore da gennaio», spiega l’economista, Carlo Dell’Aringa.
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, vede il bicchiere mezzo pieno: «Al di là delle oscillazioni mensili si confermano i miglioramenti di medio-lungo periodo». Per il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il calo della disoccupazione «è frutto di alcune misure di politica economica e di una capacità di reazione del sistema imprenditoriale». Certo, il nodo è il costo del lavoro. Sul punto, il leader degli industriali è chiaro: «Va fatto pagare molto meno a chi assume a tempo
indeterminato», giovani in primis. Favorevole a un taglio del cuneo è Annamaria Furlan (Cisl) e,
da Fi, Renato Brunetta incalza: «Basta con gli incentivi temporanei dei governi Renzi-Gentiloni;
serve un intervento permanente di riduzione del costo del lavoro».
A cui aggiungere, chiosa l’ex ministro, Maurizio Sacconi, «un rilancio della produttività incentivando i salari aziendali».
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Il 2017 si chiude con 173mila occupati in più. Un numero su cui pesa la crescita dei dipendenti a
termine (+303mila unità su dicembre 2016), mentre sono in calo sia gli indipendenti (-105mila
persone) sia, è la prima volta da dicembre 2014, i lavoratori “permanenti”, vale a dire gli assunti a
tempo indeterminato, che, complice la fine degli sgravi generalizzati targati Jobs act e il clima di incertezza, diminuiscono di 25mila posizioni.
L’incremento tendenziale dell’occupazione (a dicembre c’è stata una battuta d’arresto, -66mila
unità) è legato agli over50 (+365mila), ma, in parte, anche agli under25 (+42mila ragazzi con un
impiego; un dato che sconta i numeri positivi dei due bonus, Occupazione e Sud, gestiti da Anpal).
Le fasce d’età “centrali”, 24-34enni e 35-49enni, restano in difficoltà (qui, rispetto a dicembre 2016, il numero di occupati si contrae, rispettivamente, di 30mila e 204mila unità - il segno meno permane, per i 35-49enni, anche al netto del calo demografico).
La fotografia scattata ieri da Istat, ed Eurostat, con il confronto internazionale, mostra un mercato del lavoro italiano con luci e ombre: il tasso di disoccupazione è in discesa, al 10,8%, il livello più
basso da agosto 2012 (primi effetti delle riforme varate in questi anni, a partire da Jobs act e Industria 4.0). L’area euro è tuttavia ferma all’8,7%. Il numero di persone senza un lavoro rimane sotto quota 2,8 milioni (2.791.000 unità per la precisione, il dato più basso dall’autunno 2012). Segnali di miglioramento per i giovani: accanto a un nuovo balzo degli occupati, pure il tasso di under25 senza un impiego continua a ridursi. Siamo al 32,2%, torniamo ai livelli di dicembre 2011 (restiamo tuttavia distanti dai primi della classe, la Germania, stabile al 6,6% grazie al sistema di formazione duale; e dietro di noi si contano solo Grecia, 40,8%, e Spagna, 36,8%). In ripresa gli inattivi: +112mila unità sul mese; +34mila sull’anno; e, da alcuni mesi, i rapporti a termine:
«Qui c’è anche qualche impresa che può aver anticipato l’assunzione a tempo, per poi stabilizzare con gli sgravi in vigore da gennaio», spiega l’economista, Carlo Dell’Aringa.
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, vede il bicchiere mezzo pieno: «Al di là delle oscillazioni mensili si confermano i miglioramenti di medio-lungo periodo». Per il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il calo della disoccupazione «è frutto di alcune misure di politica economica e di una capacità di reazione del sistema imprenditoriale». Certo, il nodo è il costo del lavoro. Sul punto, il leader degli industriali è chiaro: «Va fatto pagare molto meno a chi assume a tempo
indeterminato», giovani in primis. Favorevole a un taglio del cuneo è Annamaria Furlan (Cisl) e,
da Fi, Renato Brunetta incalza: «Basta con gli incentivi temporanei dei governi Renzi-Gentiloni;
serve un intervento permanente di riduzione del costo del lavoro».
A cui aggiungere, chiosa l’ex ministro, Maurizio Sacconi, «un rilancio della produttività incentivando i salari aziendali».
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