martedì 16 gennaio 2018

La carica delle nuove professioni digitali

(Fonte: "Affari&Finanza")

Nell’epoca  del  lavoro  4.0 all’Italia per stare al passo serve DIO: non il padreterno ma il
digital innovation officer, in tecnichese  e-leader,  responsabile dell’innovazione digitale. E’ questa una delle “professioni del futuro” basate sulle competenze digitali di cui le imprese hanno gran bisogno ma che faticano a trovare.
Insieme a lui si cercano technology innovation managers (TIM), change  managers  (manager  del
cambiamento), agile coachs (facilitatore dell’innovazione), chief digital officers (capo dei servizi digitali) e IT process and tool architect (architetto  di  sistemi  e  processi IT).
«Sono professioni che racchiudono un insieme di competenze – spiega Giuseppe Mastronardi, professore ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il politecnico di Bari e presidente  dell’Associazione  italiana  per l’Informatica e il calcolo automatico (Aica) – indispensabili per gestire i cambiamenti imposti dall’uso di big data, mobile, social media e
problema  sicurezza.  Altra  figura chiave è quella del DPO, Data protection officer, responsabile della protezione dati e privacy: un regolamento Ue impone ai Paesi aderenti di essere in regola  con  le normative  sulla privacy  entro  il 25 maggio 2018.
I dati dovranno essere  messi  in sicurezza,  dagli ambienti  industriali  a  quelli giuridici agli uffici legali». 


E l’Italia? Tanto per cambiare siamo in ritardo.
«Il Paese non è l’ultimo ma è ancora  carente  di una consapevolezza  imprenditoriale»,  precisa
Mastronardi.
L’Osservatorio Competenze Digitali, promosso da Assinter Italia, Anitec-Assinform, Assintel, AICA,
con il supporto di MIUR e AgID, nel suo Rapporto 2017 ha svolto un’analisi sugli annunci web, osservando circa 175 mila vacancies tra il 2013 ed il 2016. Nel triennio si è osservato un tasso medio di crescita annuo pari al 26%, nel solo 2016 sono stati rilevati oltre 60 mila annunci, con un tasso di crescita rispetto al 2015 pari al 32%. «Il 48% della domanda si concentra a nord, il 40 solo in Lombardia. Poi troviamo Veneto, Emilia, Piemonte,  Toscana  e  Lazio;  al  sud  solo Campania e Puglia. La concentrazione  di  imprese  innovative  nel meridione  è  bassissima»,  spiega Mario  Mezzanzanica,  direttore scientifico del CRISP - Università di Milano-Bicocca.
Se si guardano le 6 professioni emergenti rilevate, gli incrementi da febbraio 2013 ad aprile 2017 sono pari al 280%. «Ormai in tutti i profili  professionali  è  necessario possedere competenze di tipo digitale per affrontare adeguatamente i singoli mercati», osserva Giorgio Rapari, presidente di Assintel.
«Il nostro Osservatorio ha stimato che nel triennio 2016-2018 il fabbisogno  complessivo  di  occupazioni Ict si attesterà tra le 61mila unità,  trend  confermati  da  fonti Eurostat in ottica europea», spiega Silvia Barbieri, responsabile Affari regolatori e Rapporti istituzionali di AssinterItalia - Associazione del le Società per l’Innovazione Tecnologica nelle Regioni.
Nelle Pmi manifatturiere, le professioni più richieste sono quelle legate alle attività di progettazione
e realizzazione di prodotto. «Sono richiesti  tecnici  non  necessariamente laureati ma con competenze orientate al prodotto fisico e alla sua costruzione; persone che abbiano  propensione  a  operare  in ambiente di fabbrica con competenze informatiche, capaci di interagire con robot e software», spiega Alfredo Biffi, docente di Sistemi Informativi presso la Sda Bocconi e  di  Organizzazione  Aziendale presso  l’Università  dell’Insubria, (Varese) e autore, con Pier Franco
Camussone, dell’indagine “Lavoreremo ancora? Tecnologie informatiche e occupazione”  (Egea,
2017),  commissionata da Aica.
«Inoltre,  i  processi di internazionalizzazione delle Pmi vedono  richieste  di personale  con
competenze commerciali  e di relazione con il cliente impiegabili sia nella logica  tradizionale sia attraverso il canale online».
Il problema è che queste figure non si trovano: «La scuola fatica a tenere  il  passo  con  l’evoluzione
delle conoscenze del mondo del lavoro – continua Biffi - e non riesce a modificare programmi e personale alla velocità e con la qualità necessarie; e poi si crede ancora che lavori di manifattura siano ormai superati e di secondo livello rispetto ad attività di “ufficio e relazione”, da qui la difficoltà dei ragazzi, quando scelgono gli  studi superiori, di essere attratti da materie tecnico-scientifiche». In attesa che la scuola si evolva, il problema della formazione e della riconversione è reale. «Bisogna che siano le aziende a farsi carico dello sviluppo del personale, cercando giovani promettenti e investendo su di loro, recuperando chi è già in forza lavoro con processi di riconversione», precisa Biffi.
Importante,  secondo  Stefano Pileri, presidente di Anitec-Assinform è anche avvicinare domanda
e offerta con nuovi canali di selezione digitali, più coinvolgimento delle aziende nei percorsi di formazione, più offerte di apprendistato, più incentivi per l’upskilling e il reskilling: «Le aziende associate ad Anitec-Assinform già sono in campo con investimenti e iniziative di collaborazione con Miur e Università».
Partire subito, insomma, anche con  soluzioni  sperimentali:  le aziende dei Paesi concorrenti non
aspettano.


(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)

Nessun commento: