(Fonte: "Il Sole 24 Ore")
Una comunicazione via email, senza firma digitale e fuori dal circuito Pec, della lettera di licenziamento (allegata in formato Pdf al messaggio) costituisce e configura “atto scritto”, secondo
quanto previsto dalla legge 604/1966. Così ha deciso la Cassazione, con la sentenza 29753/2017, a condizione che sia dimostrato o riconosciuto che il messaggio e relativo allegato siano stati ricevuti dal lavoratore.
Infatti, dice la Corte , «il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve
ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che
comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità».
Nel caso specifico, la prova del ricevimento del messaggio (e del relativo contenuto) stava in una successiva comunicazione che il lavoratore aveva inviato a tutti colleghi, sempre a mezzo e-mail, informandoli che non avrebbe più lavorato presso l’azienda. Chiaramente una tale iniziativa del dipendente era incompatibile con la sua tesi, volta a negare che gli fosse stata offerta e letta la lettera di licenziamento.
La Corte richiama poi il proprio precedente specifico (sentenza 23061/2007) che già affermava tale principio. E si deve ricordare anche l’ordinanza del 27 giugno 2017 del tribunale di Catania che, per analoghe ragioni, ha ritenuto legittimo, sotto il profilo della sussistenza della forma scritta e della validità della sua comunicazione, il licenziamento intimato a mezzo whatsapp.
La valorizzazione della “materialità” dell’atto dà luogo peraltro a una ricca casistica, con diverse soluzioni. E infatti il tema è particolarmente sentito nella pratica, anche in relazione alla ipotesi (contigua) di “consegna a mano” della lettera di licenziamento, che spesso viene rifiutata dal lavoratore (che ritira la lettera ma non ne rilascia ricevuta o che rifiuta anche solo di ritirarla).
Secondo la Corte, l’obbligo di ricevere comunicazioni a mano da altri soggetti privati deve ritenersi esistente nell’ambito del lavoro subordinato, in forza del vincolo che lega il prestatore al datore, e che comporta, per ragioni funzionali al rapporto di lavoro, una soggezione del dipendente al datore di lavoro. E tuttavia la prova che l’atto scritto di licenziamento (in ipotesi rifiutato dal lavoratore) esistesse al momento del tentativo di consegna rimane a carico del datore di lavoro.
Insomma: la trasmissione della lettera può avvenire anche con forme svariate (anche via e-mail,
a mano...), ma vi deve essere rigorosa prova che la trasmissione è stata reale ed effettiva.
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
Una comunicazione via email, senza firma digitale e fuori dal circuito Pec, della lettera di licenziamento (allegata in formato Pdf al messaggio) costituisce e configura “atto scritto”, secondo
quanto previsto dalla legge 604/1966. Così ha deciso la Cassazione, con la sentenza 29753/2017, a condizione che sia dimostrato o riconosciuto che il messaggio e relativo allegato siano stati ricevuti dal lavoratore.
Infatti, dice la Corte , «il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve
ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che
comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità».
Nel caso specifico, la prova del ricevimento del messaggio (e del relativo contenuto) stava in una successiva comunicazione che il lavoratore aveva inviato a tutti colleghi, sempre a mezzo e-mail, informandoli che non avrebbe più lavorato presso l’azienda. Chiaramente una tale iniziativa del dipendente era incompatibile con la sua tesi, volta a negare che gli fosse stata offerta e letta la lettera di licenziamento.
La Corte richiama poi il proprio precedente specifico (sentenza 23061/2007) che già affermava tale principio. E si deve ricordare anche l’ordinanza del 27 giugno 2017 del tribunale di Catania che, per analoghe ragioni, ha ritenuto legittimo, sotto il profilo della sussistenza della forma scritta e della validità della sua comunicazione, il licenziamento intimato a mezzo whatsapp.
La valorizzazione della “materialità” dell’atto dà luogo peraltro a una ricca casistica, con diverse soluzioni. E infatti il tema è particolarmente sentito nella pratica, anche in relazione alla ipotesi (contigua) di “consegna a mano” della lettera di licenziamento, che spesso viene rifiutata dal lavoratore (che ritira la lettera ma non ne rilascia ricevuta o che rifiuta anche solo di ritirarla).
Secondo la Corte, l’obbligo di ricevere comunicazioni a mano da altri soggetti privati deve ritenersi esistente nell’ambito del lavoro subordinato, in forza del vincolo che lega il prestatore al datore, e che comporta, per ragioni funzionali al rapporto di lavoro, una soggezione del dipendente al datore di lavoro. E tuttavia la prova che l’atto scritto di licenziamento (in ipotesi rifiutato dal lavoratore) esistesse al momento del tentativo di consegna rimane a carico del datore di lavoro.
Insomma: la trasmissione della lettera può avvenire anche con forme svariate (anche via e-mail,
a mano...), ma vi deve essere rigorosa prova che la trasmissione è stata reale ed effettiva.
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
Nessun commento:
Posta un commento