lunedì 29 maggio 2017

Come riattivare l’energia in azienda

(Fonte: "L'Impresa")

Finora le imprese hanno affrontato il tema del mix generazionale con un approccio più organization driven che people driven, spesso sottovalutando l’esperienza e le capacità degli over 55 ma anche le esigenze degli under 30.

Le aziende devono fronteggiare oggi una grande sfida interna: la convivenza fruttuosa fra la
generazione senior che in genere detiene i posti di comando e quella dei junior, preparati e digitali. Ce ne parla Barbara Targa, Managing Director di Elan – The Executive Circle (...)


Come sintetizzare il tema dell’age diversity?
Le dinamiche che riscontriamo oggi in Italia, all’interno delle aziende, sono soprattutto relative alla difficile convivenza fra senior e junior. Da un lato, ci sono persone che hanno maturato una lunga
professionalità e quindi anche un’anzianità lavorativa. La riforma Fornero ha prolungato la loro longevità professionale, in modo forzato. Dall’altro lato, abbiamo una popolazione di giovani preparati, digitali, che conoscono due o più lingue, hanno fatto esperienze all’estero, che ovviamente hanno la necessità di collocarsi sul mercato del lavoro e che non trovano gli spazi adeguati e sufficienti anche in termini quantitativi per iniziare il loro percorso di crescita.


Nelle aziende ci sono insomma due generazioni l’una contro l’altra armate…
Ci sono sicuramente due generazioni che devono fronteggiare un passaggio epocale: gli over 50 e i giovani di 30 anni. La generazione dei manager over 50 deve fronteggiare la rapida trasformazione tecnologica e professionale. Con la riforma delle pensioni questa generazione deve restare in attività
per un periodo imprevisto che va da 10 a 12 anni, fin quasi alla soglia dei 70 anni. Un pesante fardello sulla motivazione. Subisce la minaccia di obsolescenza, fisica e tecnologica e il confronto con i “nativi digitali”.
Gli under 30, invece, sono alle prese con il desiderio di stabilità, che spesso manca. Per loro la riforma delle pensioni ha creato due problemi: uno immediato, riducendo le prospettive di carriera e uno futuro, legato all’allungamento dell’età lavorativa.


Le aziende come stanno gestendo o subendo questo passaggio?
Credo che non si possa fare una generalizzazione, perché l’Italia è molto diversificata e la cultura delle aziende è molto variegata.
In genere, osserviamo che le aziende più grandi o più strutturate stanno affrontando questo tema in modo strategico. Sono attente a trovare e cercare nuove soluzioni. Ci sono poi aziende di dimensioni medio-piccole, in cui si affronta il tema in modo pragmatico. C’è tuttavia ancora una grande quota di aziende in cui la sensibilità verso questo argomento è bassa. Il fenomeno c’è, ma viene subito in
modo passivo.


Che cosa emerge dall’indagine sul tema age diversity che avete condotto?
Elan ha realizzato una ricerca qualitativa, denominata “Benchmark Age Diversity”. Lo scopo è di studiare come valorizzare e far convivere in azienda gli over 55 e gli under 30.
L’indagine è stata curata da Renato Boccalari, Senior Advisor di Gso Company e condotta con interviste presso un panel di 14 primarie aziende: A2A, Astrazeneca, ATM, Autoguidovie, Barilla, Deutsche Bank, LVMH, Pirelli, Praxair, Prysmian, Sanofi, Save the Children, Sogei e Vodafone. Il focus è sugli effetti dell’allungamento della vita lavorativa sulle varie componenti della popolazione aziendale.
Vogliamo comprendere come le aziende stanno affrontando la sfida dell’age diversity. Il tema è considerato cruciale dal 58% delle aziende interpellate. L’area più critica è considerata soprattutto quella degli over 55: le imprese riconoscono che i lavoratori in questa fascia dimostrano in maggioranza (2 su 3) una grande flessibilità e una capacità di affrontare il cambiamento, insieme con la predisposizione a instaurare una costruttiva convivenza con i profili junior. Una parte
della popolazione senior, tuttavia, denota una scarsa disponibilità agli spostamenti territoriali e ai mutamenti di ruolo (31%). Si percepisce poi un forte timore per la competizione dei più giovani (21%) e per la perdita del know how acquisito durante il proprio percorso professionale (22%).


I senior hanno ancora un ruolo grazie a esperienza e competenze?
Questo è sicuramente l’obiettivo, dal momento che c’è un grande capitale rappresentato da manager che sono sicuramente di grande valore per le aziende. Bisogna attivare un circolo virtuoso per affiancare e integrare senior e junior. Detto questo, i senior vanno accompagnati perché chiaramente l’allungamento della vita professionale in azienda può portare a una demotivazione, oppure alla mancanza di allineamento a quello che è il cambiamento del mercato. Per questo, proponiamo dei percorsi di accompagnamento dei senior aiutandoli a divenire dei mentori o dei coach per le giovani generazioni.


Cosa emerge, invece, per i giovani?
Gli under 30 avvertono la difficoltà di collocarsi sui mercati esteri solo in minima parte (10%). Presentano in genere aspirazioni di carriera eccessive rispetto a quelle offerte loro dall’azienda: un problema che riguarda circa un terzo dei junior, ma quasi l’80% nella fascia più qualificata dei
professional. Ben il 45% esprime preoccupazioni sulla capacità di mantenimento del posto di lavoro, dopo l’assunzione.


Le imprese come stanno affrontando il tema dell’age diversity?
Dalla survey emerge come finora le aziende abbiano affrontato il problema della diversità d’età nella propria popolazione aziendale con un approccio più orientato verso l’impresa (“organization driven”), che verso la persona (“people driven”).
Sono state un po’ sottovalutati problemi e peculiarità di ogni singolo individuo. Si intravede, tuttavia, l’alba di un metodo integrato per l’Age Diversity che sappia valorizzare adeguatamente l’esperienza e le capacità degli over 55 e degli under 30. L’obiettivo è di favorire per entrambi i gruppi collaborazione e crescita in un ambiente sereno e stimolante.


(...)
E nelle vostre aziende come funziona? Ci sono problemi di questo genere e, se sì, come li affrontate?

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