(Fonte: "la Repubblica")
C’è una certa insoddisfazione in giro per il mondo. E colpisce anche chi un lavoro ce l’ha e ha paura di perderlo, magari per colpa del progresso tecnologico. O chi si sente trattato in modo ingiusto e attorno a sé vede sorgere nuove barriere che rendono difficile andare a cercar fortuna altrove, in un altro paese.
Questa ‘infelicità’, che poi si traduce in disimpegno del lavoratore in azienda, è stata misurata e, per la prima volta dal 2012, è in aumento a livello globale. Solo sei lavoratori dipendenti su dieci sono soddisfatti della propria condizione (il 63 per cento contro il 65 del 2015). E in Italia questa percentuale è ancora più bassa. Siamo sotto la media con appena poco più della metà della forza lavoro che mostra di farsi in quattro per l’impresa in cui presta servizio (il 57 per cento, in calo di 6 punti dal 2015). A dirlo è la ‘Global Trends on Employees Engagement’, un’indagine condotta dalla Aon Hewitt, società del Gruppo Aon specializzato nella consulenza dei rischi e delle risorse umane. Questa multinazionale si è rivolta a un campione di 5milioni di lavoratori, ascoltando la loro opinione sulle mille imprese nelle quali erano impiegati, misurando la volontà di restare o di trovare di meglio e il livello di sforzi fatti per rendersi utili all’azienda.
L’impressione, un po’ come in un vecchio film di Charlie Chaplin, è che la maggior parte dei dipendenti si veda sempre più spesso sacrificata sull’altare del progresso e del profitto. In un mondo sempre meno umano che non lascia via di fuga, anche alla luce della vittoria dei populisti in paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito (che ha votato per la Brexit). E questo ‘sentire’ non è un bene per nessuno. «L’insoddisfazione in azienda può procurare effetti negativi come un maggiore turnover dei lavoratori, un aumento dell’assenteismo e una minore soddisfazione dei clienti», ha commentato Enrico Vanin, amministratore delegato di Aon Hewitt Risk & Consulting. Al contrario, se i dipendenti sono soddisfatti, «migliorano le performance finanziarie, la capacità di attrarre talenti e di fidelizzare nuovi clienti». Proprio uno studio di Aon del 2013 dimostra che l’aumento di 5 punti percentuale della soddisfazione del lavoratore porta ad un aumento del fatturato di 3 punti percentuale per l’anno successivo.
Certezza nell’impiego o quanto meno sicurezza economica è ciò che tutti cercano. Anche qui in Europa. Proprio il Vecchio Continente è all’ultimo posto nel mondo per soddisfazione percepita. Con qualche eccezione. Il Paese europeo con i dipendenti più felici è la Danimarca (il 67 per cento in crescita di 18 punti rispetto al 2015), seguita dalla Finlandia (il 57 per cento in aumento di 17 punti). La Norvegia invece registra le performance peggiori (il 54 per cento in calo dell’11). Secondo il Financial Times del 7 marzo scorso, persino in un’Olanda che si apprestava ad andare al voto, il clima era quello di un’insoddisfazione diffusa. Nonostante in quel paese lo stipendio medio sia di “circa 53mila dollari, ovvero del 38 per cento più alto che in Spagna e in Italia”. E nonostante un welfare che altri paesi possono solo sognare. Eppure a causa della grande crisi economica “la qualità del lavoro è in declino”, “e un giovane su quattro ha un’occupazione temporanea”. Inoltre anche se la disoccupazione è passata a gennaio scorso “dal 5 per cento al 3 per cento”, è più alta di quanto non fosse prima del 2008.
I dipendenti sembrano invece più felici nei paesi dove le condizioni di vita erano peggiori in passato. In America Latina, secondo Aon, la soddisfazione è passata dal 72 per cento del 2015 al 75 per cento del 2016. L’indagine mette inoltre in luce come questa rimanga al di sopra della media globale. In Asia, malgrado il calo di engagement dei dipendenti, passato dal 65 per cento nel 2015 al 62 nel 2016, il livello di attaccamento all’azienda resta superiore a quello europeo. Il Nord America vede invece soddisfatto il 64 per cento dei lavoratori (-1 per cento). Dietro questi macro numeri si nascondono poi i dettagli. Se è vero che sei dipendenti su dieci al mondo sono contenti di ciò che hanno. Di questi appena due (un 24 per cento del campione) affermano di esserlo in modo pieno. Quattro (39 per cento) si definiscono moderatamente soddisfatti. E niente di più. L’insoddisfazione sul posto di lavoro rischia di alimentare il disimpegno degli impiegati. Fenomeno più accentuato in Italia rispetto alla media mondiale.
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C’è una certa insoddisfazione in giro per il mondo. E colpisce anche chi un lavoro ce l’ha e ha paura di perderlo, magari per colpa del progresso tecnologico. O chi si sente trattato in modo ingiusto e attorno a sé vede sorgere nuove barriere che rendono difficile andare a cercar fortuna altrove, in un altro paese.
Questa ‘infelicità’, che poi si traduce in disimpegno del lavoratore in azienda, è stata misurata e, per la prima volta dal 2012, è in aumento a livello globale. Solo sei lavoratori dipendenti su dieci sono soddisfatti della propria condizione (il 63 per cento contro il 65 del 2015). E in Italia questa percentuale è ancora più bassa. Siamo sotto la media con appena poco più della metà della forza lavoro che mostra di farsi in quattro per l’impresa in cui presta servizio (il 57 per cento, in calo di 6 punti dal 2015). A dirlo è la ‘Global Trends on Employees Engagement’, un’indagine condotta dalla Aon Hewitt, società del Gruppo Aon specializzato nella consulenza dei rischi e delle risorse umane. Questa multinazionale si è rivolta a un campione di 5milioni di lavoratori, ascoltando la loro opinione sulle mille imprese nelle quali erano impiegati, misurando la volontà di restare o di trovare di meglio e il livello di sforzi fatti per rendersi utili all’azienda.
L’impressione, un po’ come in un vecchio film di Charlie Chaplin, è che la maggior parte dei dipendenti si veda sempre più spesso sacrificata sull’altare del progresso e del profitto. In un mondo sempre meno umano che non lascia via di fuga, anche alla luce della vittoria dei populisti in paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito (che ha votato per la Brexit). E questo ‘sentire’ non è un bene per nessuno. «L’insoddisfazione in azienda può procurare effetti negativi come un maggiore turnover dei lavoratori, un aumento dell’assenteismo e una minore soddisfazione dei clienti», ha commentato Enrico Vanin, amministratore delegato di Aon Hewitt Risk & Consulting. Al contrario, se i dipendenti sono soddisfatti, «migliorano le performance finanziarie, la capacità di attrarre talenti e di fidelizzare nuovi clienti». Proprio uno studio di Aon del 2013 dimostra che l’aumento di 5 punti percentuale della soddisfazione del lavoratore porta ad un aumento del fatturato di 3 punti percentuale per l’anno successivo.
Certezza nell’impiego o quanto meno sicurezza economica è ciò che tutti cercano. Anche qui in Europa. Proprio il Vecchio Continente è all’ultimo posto nel mondo per soddisfazione percepita. Con qualche eccezione. Il Paese europeo con i dipendenti più felici è la Danimarca (il 67 per cento in crescita di 18 punti rispetto al 2015), seguita dalla Finlandia (il 57 per cento in aumento di 17 punti). La Norvegia invece registra le performance peggiori (il 54 per cento in calo dell’11). Secondo il Financial Times del 7 marzo scorso, persino in un’Olanda che si apprestava ad andare al voto, il clima era quello di un’insoddisfazione diffusa. Nonostante in quel paese lo stipendio medio sia di “circa 53mila dollari, ovvero del 38 per cento più alto che in Spagna e in Italia”. E nonostante un welfare che altri paesi possono solo sognare. Eppure a causa della grande crisi economica “la qualità del lavoro è in declino”, “e un giovane su quattro ha un’occupazione temporanea”. Inoltre anche se la disoccupazione è passata a gennaio scorso “dal 5 per cento al 3 per cento”, è più alta di quanto non fosse prima del 2008.
I dipendenti sembrano invece più felici nei paesi dove le condizioni di vita erano peggiori in passato. In America Latina, secondo Aon, la soddisfazione è passata dal 72 per cento del 2015 al 75 per cento del 2016. L’indagine mette inoltre in luce come questa rimanga al di sopra della media globale. In Asia, malgrado il calo di engagement dei dipendenti, passato dal 65 per cento nel 2015 al 62 nel 2016, il livello di attaccamento all’azienda resta superiore a quello europeo. Il Nord America vede invece soddisfatto il 64 per cento dei lavoratori (-1 per cento). Dietro questi macro numeri si nascondono poi i dettagli. Se è vero che sei dipendenti su dieci al mondo sono contenti di ciò che hanno. Di questi appena due (un 24 per cento del campione) affermano di esserlo in modo pieno. Quattro (39 per cento) si definiscono moderatamente soddisfatti. E niente di più. L’insoddisfazione sul posto di lavoro rischia di alimentare il disimpegno degli impiegati. Fenomeno più accentuato in Italia rispetto alla media mondiale.
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