giovedì 11 maggio 2017

Quando l'hobby fa il manager

(Fonte: "Business People")


Richard Branson gioca a scacchi e Bill Gates a bridge, Jack Dorsey di Twitter è appassionato di escursionismo mentre Sergey Brin di Google fa paracadutismo e Warren Buffet… sì, suona l’ukulele. Se non conoscessimo fin troppo bene chi sono e cosa fanno questi top manager, cosa potremmo dedurre dai loro hobby? Le passioni parlano di noi in maniera molto diretta, raccontano chi siamo quando ci togliamo giacca e cravatta, cosa ci piace fare davvero. Quando conosciamo gli hobby di un collega, afferriamo al volo che tipo è. E capiamo meglio perché in ufficio si comporta in quella maniera. 

Ma è davvero possibile tracciare il profilo psicologico di un manager conoscendone i passatempi? E cosa possiamo imparare dalle nostre passioni, che poi possa esserci utile sul lavoro?Che Larry Ellison, co-fondatore della Oracle Corporation, ami andare per mare o Marissa Mayer, ex a.d. di Yahoo! sia un’appassionata produttrice di prodotti da forno è forse troppo poco per poter far luce
sulla loro personalità. Però è certo che un hobby casalingo, rispetto a uno sport all’aria aperta, dice molto sulle diverse attitudini, il temperamento, i punti di forza e di debolezza di chi li pratica. «Coltivare una passione ha un interessante risvolto per la nostra vita professionale», dice lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni Stefano Verza, «perché comporta un allenamento mentale continuo che ci impegna a sviluppare e potenziare dentro di noi tutte quelle strategie mentali necessarie a reggere il confronto sia con fattori esterni, per esempio imprevisti e ostacoli, sia con fattori interni come ansia e gestione dell’errore». Allora proviamo a raggruppare i manager per quello che fanno quando… non sono manager.


Cos’hanno in comune Richard Branson e l’a.d. di Enel Francesco Starace? Probabilmente molte doti, di sicuro la passione per la bicicletta. Il fondatore di Virgin percorre in bici fino a 150 km al giorno, Starace non sappiamo, ma è un amore che condivide con molti altri: il presidente del gruppo Cir, Rodolfo De Benedetti, Mario Greco di Zurich, poi Alberto Calcagno di Fastweb, Fausto Pinarello, Matteo Arcese e Carlo Tamburi di Enel hanno tutti la passione per la pedalata.
«La bicicletta e in generale tutti gli sport individuali», dice lo psicologo Verza, «mettono a dura prova la resistenza, la fatica e la resilienza, cioè la capacità di superare un evento traumatico o un momento di difficoltà senza lasciarsi scoraggiare. Significa che in ambito lavorativo questi manager saranno in grado di esprimere tenacia e dosare le energie, dimostrando sempre un’elevata capacità di sopportare le frustrazioni». Si dedica allo sport individuale anche Laura Gervasoni. «Appena
riesco», dice la numero uno di Patek Philippe in Italia, «faccio sport, acqua gym, oppure un’oretta di running e d’inverno lo sci». Pure per Luca Colombo di Facebook Italia lo sport è stato sempre un diletto. «In passato ho praticato nuoto a livello agonistico, adesso passo in piscina almeno
un’ora e mezza al giorno tre volte la settimana. In più, vado in palestra due volte la settimana, corro e nei weekend invernali mi piace sciare».
Per Mena Marano, a.d. di Silvian Heach, lo jogging diventa anche un modo per rallentare. «Mi aiuta a pensare e ho un percorso ideale per allenarmi. È il modo per darmi la carica al mattino: per un’ora sono sola con i miei pensieri. Allo stesso tempo è una scarica di adrenalina e una forma di
disciplina». Infine Rodrigo Silveira, Country President di Gympass Italia, se non lavora fa corsa e spinning, «perché sento di trarne beneficio sia a livello fisico che mentale, ed ecco perché cerco di trasmettere questa passione a tutto il mio team».


I professionisti che si occupano di salute sono concordi nell’affermare che coltivare una passione, qualunque sia, aumenta la qualità della propria vita; permette, infatti, di sconnetterci da routine, ansia e stress garantendoci una proficua gestione dei problemi della vita. «Gli sport individuali in particolare», precisa Verza, «aiutano i manager a esercitare un controllo sulle emozioni, a mettere alla prova le loro debolezze e paure. Addirittura, lo sport duro e puro insegna ad attraversare con equilibrio momenti di euforia e depressioni spaventose. Chi lo pratica sviluppa un atteggiamento mentale fondamentale per qualsiasi business: trasformare un insuccesso in una lezione da cui imparare».


Non è un errore: chi gioca a scacchi o bridge, per gli psicologi, va messo nel gruppo di chi fa vela. Almeno per quel che riguarda la capacità di prendere decisioni molto rapidamente, l’abilità nel problem solving e nella gestione delle emozioni. Negli scacchi come in mare aperto, bisogna
saper governare con la massima efficacia la situazione e sfruttarla a proprio vantaggio senza lasciarsi sopraffare da ansia, paure o dubbi. E così sotto lo stesso cappello troviamo da un lato Larry Ellison, il co-fondatore della Oracle Corporation, che appena può esce in barca, e Matteo Arpe,
il cui hobby fruttò a Mascalzone latino la sponsorizzazione di Capitalia in Coppa America, e dall’altro Richard Branson e Bill Gates, entrambi scacchisti di un certo livello.
Cosa ci svelano questi hobby della loro personalità? E cosa possiamo imparare anche noi dalla pratica assidua di scacchi e bridge? «Nel gioco degli scacchi», ci spiega lo psicologo, «non esiste il minimo elemento di casualità e nel bridge non esiste la fortuna: la vittoria nasce dai propri meriti e la sconfitta dai propri errori. Insomma vince il migliore. Vittorie e sconfitte, oltre a essere collegate alle conoscenze scacchistiche e all’esperienza di chi gioca, dipendono in gran parte dal self-control, dalla perseveranza e da altre qualità personali, tra le quali le capacità di analisi, di sintesi, di deduzione logica, l’intuizione, l’attenzione, la concentrazione, la volontà e la gestione delle emozioni, soprattutto per non farsi sopraffare dallo zeitnot, termine che illustra la situazione in cui rimane pochissimo tempo per completare le mosse, e da errori grossolani o semplici sviste. Il bridge,
inoltre, unisce in un legame indissolubile i compagni di coppia ed esalta valori quali l’aggregazione,
la solidarietà e il fair-play».


Dicevamo di Warren Buffet che suona l’ukulele e dell’ex Ceo di Yahoo Marissa Mayer, appassionata di pasticceria.
Chissà se hanno mai passato un pomeriggio insieme. Già, perché il binomio cucina e musica è molto comune, anche fra i manager italiani. «Cucinare è un esercizio che mi rilassa e ai fornelli non penso
ad altro», confessa Dario Rinero di Poltrona Frau. Roberto Pozzi di Check Point Software Technologies, ama la musica classica e suona bene (assicura chi lo conosce), il pianoforte, passione che coltiva ai massimi livelli con Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset.
E poi ci sono quelli che non ti aspetti: Elon Musk, per esempio, che costruisce auto elettriche (Tesla) o progetta spedizioni su Marte (SpaceX) e poi quando torna a casa che fa? Hobby fantascientifico? Macché. Nel tempo libero prepara biscotti (ma bisogna anche dire che è anche un collezionista di oggetti legati a James Bond).
Ma che manager è uno che ama stare tra i fornelli, magari con lo stereo acceso? «La cucina, come la musica, è arte: il piatto bianco come uno spartito in cui iniziare a veicolare un nostro messaggio profondo o addirittura noi stessi, ma anche come possibilità di trovare nuove forme, mantenendo però sempre un forte legame tra quello che sono e quello che voglio essere oggi.
Quando una persona cucina o suona», continua lo psicologo, «mette in campo doti di autonomia, di assertività – perché decide come e cosa fare – e di esplorazione, poiché percorre campi spesso
ancora sconosciuti o prova a ottimizzare l’esistente. Chi suona musica, in particolare, utilizza una modalità di pensiero che porta a considerare le cose da punti di vista alternativi, non usuali, forse perché (come dimostrano anche ricerche scientifiche) usano entrambi gli emisferi del cervello più di quanto non faccia mediamente un qualsiasi individuo».


Gian Luca Sichel di CheBanca! viaggia per il mondo assieme alla moglie e Anna Esteve di Wtransnet col marito, in camper e motorino. È appassionato di escursionismo anche Jack Dorsey di
Twitter, mentre sul versante della meditazione e della solitudine ci sono l’italoamericano Ray Dalio di Bridgewater Associates, hedge fund più grande del mondo e il nostro Luca Crepaccioli. «Mi piace frequentare luoghi isolati», dice il numero uno di Goodyear in Italia, «per osservare il mondo così com’è stato creato e raccontato nella Genesi, quello che io definisco il mondo vero contrapposto
al mondo virtuale che abbiamo costruito noi uomini. Mi piace ammirarlo, respirare l’aria e sentirne gli odori». Bene, ora stendiamoci sul lettino dello psicologo. «Molte ricerche hanno provato che
la meditazione riduce il volume dell’amigdala, la regione del cervello dedicata alla gestione della paura e per questo si ha una evidente diminuzione dello stress durante il periodo di pratica. Liberandosi dei propri schemi mentali, delle nostre visioni abitudinarie e ristrette, si riesce a mettere insieme soluzioni e modelli di pensiero differenti senza nemmeno cercare di farlo, in sostanza si acquisisce l’approccio mentale più funzionale al raggiungimento dei risultati desiderati. La psicologia del viaggio e dell’escursione», continua lo psicologo, «è solitamente caratterizzata da varie motivazioni di base che si possono combinare tra loro, le più significative in ottica di trasposizione lavorativa permettono di staccare la spina con il quotidiano, rilassarsi, concentrarsi su se stessi e poter fare il punto della situazione con il giusto distacco, cimentarsi con nuove esperienze,
sperimentare nuovi apprendimenti e arricchirsi culturalmente». Insomma, quando si torna da un viaggio si è nuovi nell’anima, la vita cambia, si rivoluziona, il nostro io è cambiato.


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