(Fonte: "Affari&Finanza")
«Oggi si parla tanto di welfare aziendale, ma c’è una bella differenza tra questo e i semplici benefits. Entrambi sono assolutamente positivi ma il welfare deve venire prima dei secondi e talvolta
sembra che le imprese – ma anche lo Stato, per la verità - non abbiano ben chiara questa distinzione».
Giampaolo Crenca, presidente del Consiglio nazionale degli attuari, dice la sua sui programmi di assistenza a favore dei dipendenti delle aziende. E lo fa mettendo i puntini sulle i.
(...)
Dottor Crenca, qual è la sua idea di welfare aziendale?
«Io partirei dal concetto di welfare “integrato e allargato”. In sostanza, se si fa un progetto a favore delle aziende bisogna guardare prima alle cose importanti per i lavoratori, con uno sguardo sul lungo periodo e sull’insieme dei loro bisogni».
Insomma niente palestre aziendali, corsi gratuiti d’inglese o corsi di yoga…
«Non dico di no, ma occorre prima guardare alle cose assolutamente importanti, visto che le risorse sono scarse. Ad esempio, occorre chiedersi se le pensioni dei propri dipendenti saranno adeguate o hanno bisogno di essere rimpinguate con piani pensionistici integrativi. Oppure occorre domandarsi se i lavoratori hanno una copertura caso morte e invalidità che, soprattutto nei primi anni quando chi ha un figlio piccolo e magari una moglie a carico, sono assolutamente importanti e, tra l’altro, costano pochissimo in età relativamente giovane».
Che altro è importante?
«Non ci vuole molto a capire cosa è importante: ad esempio perché non prevedere una copertura
per i soli grandi interventi chirurgici, che coprono le eventualità più sfortunate ma a un costo relativamente basso? E poi, perché non offrire polizze long term care, che coprono dai rischi di non autosufficienza gli anziani, un’eventualità tutt’altro che remota? Come vede, occorre stilare una precisa scala di priorità. Invece oggi si danno benefits o strumenti di welfare a pioggia, seguendo più le agevolazioni fiscali connesse che non l’utilità intrinseca e a lungo termine del lavoratore».
Fumo negli occhi?
«Non sarei così drastico. Gli interventi che le imprese fanno a favore dei loro dipendenti sono realizzati con le migliori intenzioni, ma se manca un progetto a monte si verifica la situazione di oggi…».
E cioè?
«Un welfare aziendale a macchia di leopardo, con evidenti asimmetrie sociali ed economiche».
Non pensa che questi stessi elementi di riflessione dovrebbero essere portati al governo? Non è che
anche il welfare pubblico è a macchia di leopardo, come lei dice?
«Certo, tanto’è vero che abbiamo presentato ai vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni questo tipo di riflessione. Manca a livello centrale un quadro delle priorità.
E molti interventi possono e debbono avvenire a livello statale»
Quali ad esempio?
La copertura morte e invalidità potrebbe essere incoraggiata con maggiori benefici fiscali. E lo stesso si potrebbe fare con la long term care. Alcuni Paesi hanno già fatto passi avanti in tal senso rendendo alcune coperture obbligatorie (ad esempio la long term care)».
Non c’è una carenza anche delle compagnie di assicurazione? Ad esempio, perché non spingono
di più le polizze che lei ha citato?
«È indubbio che anche le compagnie dovrebbero fare uno sforzo in più per offrire dei pacchetti di welfare integrati e allargati».
(...)
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
«Oggi si parla tanto di welfare aziendale, ma c’è una bella differenza tra questo e i semplici benefits. Entrambi sono assolutamente positivi ma il welfare deve venire prima dei secondi e talvolta
sembra che le imprese – ma anche lo Stato, per la verità - non abbiano ben chiara questa distinzione».
Giampaolo Crenca, presidente del Consiglio nazionale degli attuari, dice la sua sui programmi di assistenza a favore dei dipendenti delle aziende. E lo fa mettendo i puntini sulle i.
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Dottor Crenca, qual è la sua idea di welfare aziendale?
«Io partirei dal concetto di welfare “integrato e allargato”. In sostanza, se si fa un progetto a favore delle aziende bisogna guardare prima alle cose importanti per i lavoratori, con uno sguardo sul lungo periodo e sull’insieme dei loro bisogni».
Insomma niente palestre aziendali, corsi gratuiti d’inglese o corsi di yoga…
«Non dico di no, ma occorre prima guardare alle cose assolutamente importanti, visto che le risorse sono scarse. Ad esempio, occorre chiedersi se le pensioni dei propri dipendenti saranno adeguate o hanno bisogno di essere rimpinguate con piani pensionistici integrativi. Oppure occorre domandarsi se i lavoratori hanno una copertura caso morte e invalidità che, soprattutto nei primi anni quando chi ha un figlio piccolo e magari una moglie a carico, sono assolutamente importanti e, tra l’altro, costano pochissimo in età relativamente giovane».
Che altro è importante?
«Non ci vuole molto a capire cosa è importante: ad esempio perché non prevedere una copertura
per i soli grandi interventi chirurgici, che coprono le eventualità più sfortunate ma a un costo relativamente basso? E poi, perché non offrire polizze long term care, che coprono dai rischi di non autosufficienza gli anziani, un’eventualità tutt’altro che remota? Come vede, occorre stilare una precisa scala di priorità. Invece oggi si danno benefits o strumenti di welfare a pioggia, seguendo più le agevolazioni fiscali connesse che non l’utilità intrinseca e a lungo termine del lavoratore».
Fumo negli occhi?
«Non sarei così drastico. Gli interventi che le imprese fanno a favore dei loro dipendenti sono realizzati con le migliori intenzioni, ma se manca un progetto a monte si verifica la situazione di oggi…».
E cioè?
«Un welfare aziendale a macchia di leopardo, con evidenti asimmetrie sociali ed economiche».
Non pensa che questi stessi elementi di riflessione dovrebbero essere portati al governo? Non è che
anche il welfare pubblico è a macchia di leopardo, come lei dice?
«Certo, tanto’è vero che abbiamo presentato ai vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni questo tipo di riflessione. Manca a livello centrale un quadro delle priorità.
E molti interventi possono e debbono avvenire a livello statale»
Quali ad esempio?
La copertura morte e invalidità potrebbe essere incoraggiata con maggiori benefici fiscali. E lo stesso si potrebbe fare con la long term care. Alcuni Paesi hanno già fatto passi avanti in tal senso rendendo alcune coperture obbligatorie (ad esempio la long term care)».
Non c’è una carenza anche delle compagnie di assicurazione? Ad esempio, perché non spingono
di più le polizze che lei ha citato?
«È indubbio che anche le compagnie dovrebbero fare uno sforzo in più per offrire dei pacchetti di welfare integrati e allargati».
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