mercoledì 20 giugno 2018

Temi sociali sono l'emergenza per i manager

(Fonte: "Affari&Finanza")

«I manager italiani non pensano soltanto al profitto ma hanno anche a cuore i temi sociali, com’è giusto che sia». Parola di Massimo Giordano, managing partner di McKinsey per il Mediterraneo.
Che in questa intervista parla delle sfide che i dirigenti d’impresa dovranno affrontare nei prossimi anni.


Per anni si è insistito sulla necessità per le imprese di gestire i talenti, considerati una risorsa scarsa. Adesso spuntano fuori i temi sociali? In che senso i manager hanno questo profilo sociale?
«I talenti sono l’anima di un’azienda e senza dubbio bisogna continuare a gestirli e valorizzarli nel migliore dei modi. Ma ora il tema principale è un altro».
 

Quale?
«Le nostre stime indicano che tra il 5 e il 15% della forza lavoro nel mondo potrebbe dover cambiare occupazione entro il 2030, con quasi il 50% delle mansioni potenzialmente impattate dall’automazione. Le nuove tecnologie saranno sempre più applicate alle attività più ripetitive e i
lavoratori dovranno aggiornare le proprie competenze per dedicarsi a nuove mansioni a maggior valore aggiunto. Una prima sfida per le aziende sarà aiutare i dipendenti a riqualificarsi. E i dirigenti d’azienda lo hanno compreso. In Europa, quasi l’80 per cento dei manager che abbiamo
intervistato considera la riqualificazione una priorità aziendale».
 

Le aziende dovranno farsi carico di aiutare i dipendenti a riqualificarsi?
«Tutti noi dobbiamo rimetterci in gioco. Il 60% della crescita della produttività arriverà nei prossimi anni dalla rivoluzione digitale. Non verrà rivoluzionato soltanto il rapporto con il cliente, ma tutta l’organizzazione interna. Di fronte a questa gigantesca metamorfosi, molte professionalità dovranno cambiare. Occorrerà quindi riconvertire parte dei lavoratori. Ci sono oggi tecniche d’apprendimento molto evolute che dovranno essere messe in campo. L’investimento nella riqualificazione
professionale e nell’”upskilling” dei lavoratori esistenti, è questo ciò che io chiamo il tema sociale, di cui i manager sono già consci ma di cui devono prendere atto anche le imprese. Ma c’è anche un altro tema».
 

Quale?
«Quello della gestione della diversity: di genere, etnia, cultura. Su questo deve lavorare l’Italia. Nostri studi recenti dimostrano che le aziende con una maggiore diversità di genere hanno il 20 per cento di possibilità in più di generare profitti superiori alla media».
 

Lei parla di diversity come di una risorsa per le aziende. Ma il mondo non sta andando in un’altra direzione? Pensiamo alla Brexit, a Trump.
«I grandi trend sono strutturali e vanno al di là di eventi specifici. Il cambiamento è ormai indotto dalle abitudini degli stessi consumatori.
Pensi a come noi ci stiamo abituando a livelli di servizio sempre più alti: compriamo con un click su Amazon, prenotiamo un alloggio con Airbnb e così via. Tutto questo non si può fermare. Il mondo va avanti e le imprese devono adeguarsi».
 

L’Italia è indietro rispetto agli altri paesi per via della struttura produttiva basata soprattutto sulle piccole e medie imprese mentre gli altri hanno grandi corporate?
«Gli imprenditori e i manager italiani non sono indietro. Anzi, sotto molti aspetti l’Italia è avanti. Il punto è che siamo di fronte a rivolgimenti epocali. Se guardiamo al passato, negli ultimi 50 anni le imprese hanno lavorato più o meno nello stesso modo. Ora devono affrontare la rivoluzione tecnologica, la digitalizzazione e gli advanced analytics. Come dicevo prima, deve cambiare il modo
in cui si fa impresa».
 

Parliamo dei big data e quindi delle tecniche di analisi e utilizzo di questa immensa mole di dati
che sono nella rete, appunto l’advanced analytics. Non è che si stanno sovrastimando i suoi benefici?

«No di certo. La loro applicazione può generare per le aziende enorme valore nel breve. Penso alle svariate applicazioni dei big data. Ad esempio, nel mondo retail, si possono gestire in maniera molto più sofisticata i magazzini prevedendo con grande anticipo i consumi dei vari punti vendita. Oppure i big data possono permettere la realizzazione di sistemi di manutenzione predittiva, di fatto allungando la vita utile delle macchine ed evitando interruzioni nei processi produttivi. Tutto questo ha un impatto diretto sulla vita e sui conti dell’azienda, e di questo i manager italiani sono consci».
 

C’è qualcos’altro che i manager dovrebbero fare?
«Dovrebbero impegnarsi di più nella gestione attiva delle risorse».
 

Ovvero?
«Le aziende dovrebbero essere più coraggiose:, bloccando gli investimenti meno interessanti per riallocarli in aree di business più profittevoli, con una logica più imprenditoriale. Un’azienda che gestisce in modo dinamico le proprie risorse offre in media agli azionisti un ritorno del 10%, rispetto al 6% generato con una gestione più statica».
 

Può fare qualche esempio?
«Certo. Diciamo che è più importante dove competo piuttosto che come competo. In altre parole è più importante l’area di business in cui alloco le risorse. Facendo un esempio estremo, le aziende del quarto quartile della farmaceutica hanno una redditività simile a quella delle migliori imprese del settore del trasporto aereo. I manager e gli imprenditori dovrebbero chiedersi con obiettività, senza pregiudizi o emotività, dove valga davvero la pena investire. E, soprattutto, essere capaci di riallocare le risorse, in modo continuo».
 

Ci sono anche altri fattori da tenere presenti?
«Sì. La digitalizzazione sta contribuendo all’emergere dei cosiddetti “ecosistemi” imperniati sul cliente, che segnano la scomparsa dei confini tradizionali tra settori».
 

E quindi?
«Le imprese non devono rimanere confinate a ciò che hanno fatto finora, ma devono espandersi in nuovi settori, seguendo le aspettative dei clienti che oggi possono soddisfare i propri bisogni in un’unica piattaforma. Ad esempio, la compagnia assicurativa Ping An in Cina, che conta circa 250 milioni di utenti online, si è espansa nel settore dei servizi finanziari, della salute, dell’immobiliare e
dell’auto. Alibaba, sempre in Cina, dall’e-commerce si è introdotto nei pagamenti digitali».
 

In conclusione?
«Le aziende devono essere veloci nel capire come servire meglio i propri clienti e rafforzare la relazione con loro, uscendo dalla logica del singolo prodotto. Per far questo, dovrebbero adottare un approccio più aperto, valutando partnership e alleanze con altre imprese».


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