(Fonte: "La Stampa")
Durante le recenti Olimpiadi invernali, la Corea del Sud ha dispiegato ben 85 robot in 11 diversi luoghi, compreso il tedoforo Hubo che ha portato la torcia olimpica per 150 metri, si è fermato a trapanare un muro e ha passato il testimone al suo creatore. Poteva sembrare una dimostrazione di sviluppo tecnologico, ma qualcuno ci ha visto invece una metafora di un futuro distopico in cui i robot non solo occuperanno tutti i posti di lavoro nelle industrie automobilistiche ed elettroniche, ma sostituiranno anche gli atleti.
Secondo le Statistiche Mondiali sui robot rilasciate alcune settimane fa, la Corea del Sud ha raggiunto un record che per alcuni è invidiabile,ma per altri rappresenta un problema: è di gran lunga il Paese con la più alta densità di robot occupati in diversi lavori nell’industria manifatturiera.
Si parla di 631 robot ogni 10mila lavoratori coreani, una cifra che è otto volte la media internazionale. Un robot è spesso più efficiente di un lavoratore umano. Non si stanca, non abbassa il ritmo di produzione, non va al bagno, non beve caffè o tè, ma soprattutto non dorme. Quindi, quei 631 posti di lavoro vanno moltiplicati per tre turni di fabbrica di otto ore ciascuno, ottenendo così quasi 1900 posti di lavoro su 10 mila lavoratori, il che equivale al 20% della forza lavoro nel settore manifatturiero.
Dietro la Corea del Sud al secondo posto si trova Singapore, al terzo la vicina Germania. Al quarto posto c’è il Giappone, con 303 robot ogni 10 mila lavoratori, e dove la penetrazione sociale degli «schiavi meccanici» è la più alta al mondo, considerato sia il fatto che il Giappone è il massimo produttore di robot al mondo sia che è la nazione dove esistono già badanti-robot, preti-robot e partner sessuali-robot (se così si può dire).
L’Italia occupa l’ottavo posto (davanti a Usa e Danimarca), con 185 robot ogni 10mila lavoratori dell’industria manifatturiera. La Cina ha solo 68 robot per 10 mila lavoratori, al momento, ma si stima che entro il 2020 diventerà la nazione più automatizzato al mondo, con l’obiettivo di vendere centomila robot l’anno. L’Asia detiene il più alto tasso di crescita di installazioni robotiche negli ultimi anni, con un 9 per cento dal 2010 al 2016 in rapporto al 7 per cento nelle Americhe e il 5 per cento in Europa.
Ecco perché una prima soluzione al problema sembra arrivare proprio dalla Corea del Sud. Forse il presidente Moon Jae-In, nell’annunciare la riduzione alle agevolazioni fiscali alle aziende che investono in automazione e robotica, si è ispirato a questo ragionamento di Bill Gates: «Il reddito di un dipendente che lavora per un valore di 50 mila dollari l’anno viene tassato sempre. Se un robot fa lo stesso lavoro, sarebbe da immaginarsi che il robot verrà tassato nello stesso modo».
Così Seul ha ridotto la detrazione fiscale di aziende robotizzate dal 7 per cento al 2 per cento. Non esattamente una tassa-robot, ma una riduzione nelle detrazioni equivale comunque a un aumento della pressione fiscale. Non che sia molto, ma è un’inversione di tendenza. Non più incentivi statali alla modernizzazione e alla crescita e sviluppo della robotizzazione, ma un decremento di questi incentivi per coprire i buchi causati dalla disoccupazione. Le industrie manifatturiere che sostituiscono gli operai con i robot stanno però generando una preoccupante riduzione di introiti fiscali, e nel contempo stanno producendo più disoccupati che devono essere assistiti da uno Stato che può al contrario contare su meno entrate.
La conclusione logica del governo sud-coreano all’invasione dei robot nel mondo del lavoro è questa: approvare la prima tassa sui robot.
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Durante le recenti Olimpiadi invernali, la Corea del Sud ha dispiegato ben 85 robot in 11 diversi luoghi, compreso il tedoforo Hubo che ha portato la torcia olimpica per 150 metri, si è fermato a trapanare un muro e ha passato il testimone al suo creatore. Poteva sembrare una dimostrazione di sviluppo tecnologico, ma qualcuno ci ha visto invece una metafora di un futuro distopico in cui i robot non solo occuperanno tutti i posti di lavoro nelle industrie automobilistiche ed elettroniche, ma sostituiranno anche gli atleti.
Secondo le Statistiche Mondiali sui robot rilasciate alcune settimane fa, la Corea del Sud ha raggiunto un record che per alcuni è invidiabile,ma per altri rappresenta un problema: è di gran lunga il Paese con la più alta densità di robot occupati in diversi lavori nell’industria manifatturiera.
Si parla di 631 robot ogni 10mila lavoratori coreani, una cifra che è otto volte la media internazionale. Un robot è spesso più efficiente di un lavoratore umano. Non si stanca, non abbassa il ritmo di produzione, non va al bagno, non beve caffè o tè, ma soprattutto non dorme. Quindi, quei 631 posti di lavoro vanno moltiplicati per tre turni di fabbrica di otto ore ciascuno, ottenendo così quasi 1900 posti di lavoro su 10 mila lavoratori, il che equivale al 20% della forza lavoro nel settore manifatturiero.
Dietro la Corea del Sud al secondo posto si trova Singapore, al terzo la vicina Germania. Al quarto posto c’è il Giappone, con 303 robot ogni 10 mila lavoratori, e dove la penetrazione sociale degli «schiavi meccanici» è la più alta al mondo, considerato sia il fatto che il Giappone è il massimo produttore di robot al mondo sia che è la nazione dove esistono già badanti-robot, preti-robot e partner sessuali-robot (se così si può dire).
L’Italia occupa l’ottavo posto (davanti a Usa e Danimarca), con 185 robot ogni 10mila lavoratori dell’industria manifatturiera. La Cina ha solo 68 robot per 10 mila lavoratori, al momento, ma si stima che entro il 2020 diventerà la nazione più automatizzato al mondo, con l’obiettivo di vendere centomila robot l’anno. L’Asia detiene il più alto tasso di crescita di installazioni robotiche negli ultimi anni, con un 9 per cento dal 2010 al 2016 in rapporto al 7 per cento nelle Americhe e il 5 per cento in Europa.
Ecco perché una prima soluzione al problema sembra arrivare proprio dalla Corea del Sud. Forse il presidente Moon Jae-In, nell’annunciare la riduzione alle agevolazioni fiscali alle aziende che investono in automazione e robotica, si è ispirato a questo ragionamento di Bill Gates: «Il reddito di un dipendente che lavora per un valore di 50 mila dollari l’anno viene tassato sempre. Se un robot fa lo stesso lavoro, sarebbe da immaginarsi che il robot verrà tassato nello stesso modo».
Così Seul ha ridotto la detrazione fiscale di aziende robotizzate dal 7 per cento al 2 per cento. Non esattamente una tassa-robot, ma una riduzione nelle detrazioni equivale comunque a un aumento della pressione fiscale. Non che sia molto, ma è un’inversione di tendenza. Non più incentivi statali alla modernizzazione e alla crescita e sviluppo della robotizzazione, ma un decremento di questi incentivi per coprire i buchi causati dalla disoccupazione. Le industrie manifatturiere che sostituiscono gli operai con i robot stanno però generando una preoccupante riduzione di introiti fiscali, e nel contempo stanno producendo più disoccupati che devono essere assistiti da uno Stato che può al contrario contare su meno entrate.
La conclusione logica del governo sud-coreano all’invasione dei robot nel mondo del lavoro è questa: approvare la prima tassa sui robot.
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