giovedì 28 febbraio 2013

Le 10 regole del Kaizen

Per avviare un progetto di miglioramento continuo, o Kaizen, all'interno delle vostre organizzazioni occorre tenere ben presenti 10 regole d'oro:
  1. non giustificate ciò che avete fatto in passato ma cercate di mettere in discussione le idee che avete avuto allora e che oggi si sono trasformate in un modus operandi che non cambia da troppo tempo
  2. provate ad essere positivi pensando come le cose potrebbero essere fatte e non come di sicuro non possono essere fatte
  3. affidatevi ai dati per prendere le vostre decisioni
  4. per risolvere un problema o migliorare qualcosa provate a usare un po' di saggezza invece dei soldi
  5. sforzatevi di lavorare in maniera più intelligente, non semplicemente di lavorare di più
  6. abituatevi, raggiunto un traguardo, a fissare obiettivi ancora più ambiziosi
  7. correggete subito gli errori. E' meglio fare un 70% subito che un 100% dopo
  8. convincete gli altri a fare lo stesso con l'esempio quotidiano
  9. coinvolgete le persone: un gruppo che lavora insieme è meglio di un singolo esperto
  10. identificate sempre i veri motivi che hanno fatto nascere una problematica
Avete altri suggerimenti da condividere?

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mercoledì 27 febbraio 2013

Generiamo idee con il metodo SCAMPER

Qualcuno di voi ha già sentito parlare del metodo SCAMPER? E' un modo utile per ricordarci in forma schematica alcuni input capaci di supportarci nel generare nuove idee. Il nome, in realtà, è un acronimo che deriva dalle seguenti parole:

S = SUBSTITUTE (sostituire)

E' possibile sostituire qualcosa nelle persone, nei componenti, nei materiali, nei processi o altrove?

C = COMBINE (abbinare)

Esistono funzioni, elementi, processi che posso combinare tra loro per avvantaggiarmi della loro sinergia?

A = ADAPT (adattare)

E' possibile adattare idee provenienti da altri processi, prodotti o industrie per calarli nella nostra realtà?

M = MODIFY (modificare)

E' possibile modificare qualcosa (aumentandola, diminuendola, cambiandone forma o attributi, ecc.) per migliorare?

P = PUT TO ANOTHER USE (destinare ad altro uso)

E' possibile destinare il prodotto, il servizio, la soluzione o l'idea che stiamo esaminando ad un altro utilizzo?

E = ELIMINATE (eliminare)

Cosa succederebbe se eliminassimo un elemento del processo o - addirittura - un intero processo? Le cose si semplificherebbero?

R = REVERSE (rovesciare)

E' possibile fare le cose alla rovescia? Cosa succederebbe?
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martedì 26 febbraio 2013

Comunicare con chi ci attacca

(Tratto dalla rivista: "Mente & Cervello")

"Proprio perché lasciare spazio a un interlocutore che ci attacca non è facile né spontaneo, ecco alcuni consigli dell'antropologa Marianella Sclavi:
  • Non prenderla personalmente
  • Di fronte a un attacco, rilassati: pensa a quanto fa bene all'altro sfogare tutta quell'acredine, interpreta le sue urla come dei tentativi maldestri di dirti qual è il suo problema, la sua aggressione come una debolezza
  • Impara a prendere tempo: è sempre possibile non dire niente
  • Vedi l'aggressore come uno che, rendendoti la vita difficile, ti costringe a praticare ancora meglio il gioco dell'ascolto attivo
  • Usa molto la parafrasi, tecnica fondamentale dell'ascolto attivo: «Provo a vedere se ho capito bene cosa mi stai dicendo»
  • Presenta quel che capisci in modo positivo, dal loro punto di vista
  • Capire non significa condividere: se sei in grado di presentare il loro caso meglio di loro, poi quando ne mostrerai le debolezze non li tratterai da scemi
  • Prendi appunti, rallenta il ritmo del botta e risposta
  • In situazione di tensione cerca di apparire leggermente ottuso, è la tecnica del tenente Colombo: si acquisiscono informazioni e fa calare le difese dell'interlocutore
  • Rimanda la risposta a un altro momento
  • Sottolinea l'importanza e l'autorità degli interlocutori
  • Dai importanza alle loro emozioni" 
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lunedì 25 febbraio 2013

Comportamenti tipici delle patologie comunicative

(Tratto dalla rivista: "Mente & Cervello")

"Ecco un elenco di modelli comportamentali tipici nelle patologie comunicative:
  • Il discorso è dominato da persone appassionatamente sicure delle proprie opinioni. Chi ha punti di vista complessi o poco chiari non trova spazio e tende a rimanere in silenzio
  • I gruppi di interesse più vocali presentano se stessi come i difensori di valori e obiettivi fondamentali e raffigurano i loro avversari come soggetti non affidabili che perseguono scopi egoistici e distruttivi
  • Interruzioni, accessi d'ira e attacchi personali sono considerati non solo normali, ma segno di confronto genuino. Regole che tendano a limitare gli aspetti di bagarre del dibattito sono viste come artificiose imposizioni e restrizioni della libertà di espressione e di pensiero
  • I partigiani degli opposti punti di vista concentrano la loro attenzione su tutti gli aspetti e i fatti che rafforzano le proprie tesi e viceversa su quelli che possono essere usati per denunciare la falsità, infondatezza e malafede delle asserzioni altrui
  • Si fa ampio uso di frasi fatte, slogan ed espressioni che semplificano i problemi e li presentano in modo dualistico; i sì e i no, i pro e i contro. Frasi ed espressioni con significati ambigui, percepibili come ammiccanti o minacciosi da pubblici diversi
  • Le domande genuine, non retoriche, sono assenti; gli assunti relativi alle intenzioni, ai valori e comportamenti degli avversari sono dati per scontati. Indagare se si è capito bene è considerato uno spreco di tempo
  • Emergono pochissime nuove informazioni, il dibattito è ripetitivo all'infinito, centrato sul ribadire in modo martellante verità indiscutinbili e apodittiche"

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venerdì 22 febbraio 2013

L'arte di ascoltare spiegata in sette regole

(Testo tratto dal libro: "Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte" di Marianella Sclavi)

"Le sette regole dell'arte di ascoltare 
  1. Non avere fretta di arrivare alle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca
  2. Ciò che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista
  3. Se vuoi capire ciò che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva
  4. Le emozioni sono strumenti conoscitivi fiondamentali se sai capirne il linguaggio. Non ti informano su ciò che vedi, ma sul modo in cui guardi. Il loro codice è relazionale e analogico
  5. Chi sa ascoltare è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabilie fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze
  6. Un buon ascoltratore accoglie volenntieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi per esercitarsi in un campo che lo appassasiona: la gestione creativa dei conflitti
  7. Per diventare esperto dell'arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare l'umorismo viene da sé"
Cosa ne pensate? Applicate già qualcuno di questi suggerimenti?
 
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giovedì 21 febbraio 2013

Questionari cliente: raccogliere più feedback

Su uno degli ultimi numeri della rivista "Mente & Cervello" ho letto l'articolo "L'arte della lusinga" che, in alcune parti, ho trovato interessante per ciò che riguarda l'invio dei questionari (nel nostro caso ho pensato ai classici questionari di customer satisfaction.

Vi riporto cosa scrive in proposito l'articolista:

"Si può immaginare di adulare qualcuno senza nemmeno parlargli? E' ciò che hanno cercato di scoprire Clyde Hendrick e i colleghi della Ohio State University di Kent.

L'obiettivo dell'esperimento era indurre i residenti di una città a rispondere a un questionario che era stato spedito loro a domicilio. In un caso veniva chiesto solamente di dare informazioni anagrafiche 

(...)

nell'altro figuravano numerose domande relative a suggerimenti per migliorare l'ambiente, lo stato psicologico delle persone, il loro stato d'animo rispetto al proprio quartiere.

Alcuni cittadini ricevevano un questionario di una pagina, in cui figuravano 24 domande, altri un questionario di sette pagine che conteneva 182 domande. Il questionario era accompagnato da una lettera che, in certi casi, comportava degli aggettivi qualificativi piuttosto positivi e che valorizzavano il destinatario. Per altre persone, invece, questi aggettivi non erano presenti ma la lettera era identica.

Per esempio, una versione senza aggettivi valorizzanti prendeva la seguente forma: «Il suo contributo ci sarà utile per far progredire lescienze sociali». Una versione con un'adulazione discreta era: «Il suo generoso contributo ci sarà utile per far progredire le scienze sociali». Nel corso della lettera erano poi disseminati qua e là diversi aggettivi (gentile, amabile, generoso, benevolente).

I risultati hanno rivelato che sulle persone che avevano ricevuto il questionario breve (una pagina, 24 domande), l'adulazione non aveva avuto un effetto notevole, con un tasso di ritorno, in entrambi i casi, di circa il 26 per cento. Nel caso del questionario di 184 domande, invece, è stato osservato un tasso di riotrno del 29 per cento in condizioni di adulazione, contro solo il 10 per cento in assenza di adulazione.

Insomma, più il compito è difficile, più l'adulazione sembra funzionare. Secondo gli psicologi, gli aggettivi valorizzanti presenti nella lettera  avrebbero attivato, nella persona che la leggeva, una percezione positiva di se stessa, inducendola a considerarsi implicitamente come generosa, benevolente, amabile. Così condizionato il soggetto agirebbe quindi in conformità a questa concezione implicita di se stesso.

(...)

Quando si tratta di compilare il questionario breve, il compito è talmente facile che tutti possono svolgerlo e gli aggettivi adulatori della lettera non trovano eco nella persona che la legge. Siamo abituati a non ricevere lodi per un'azione insignificante."

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mercoledì 20 febbraio 2013

Il metodo scientifico secondo il ciclo PDCA

Avete mai provato a considerare il metodo scientifico secondo il famoso ciclo PDCA?
Dai, cerchiamo di individuare tutte le fasi corrispondenti ad ogni spicchio della ruota e fatemi sapere se, secondo voi, manca qualcosa:

PLAN - Fare le ipotesi
  1. descrivere nel dettaglio gli obiettivi
  2. progettare i processi necessari per centrarli
DO - Provare
  1. implementare i nuovi processi, possibilimente con un processo pilota e su piccola scala
CHECK - Riflettere
  1. misurare i risultati dei nuovi processi
  2. confrontarli con quelli che si vogliono ottenere (gli obiettivi)
  3. valutare eventuali differenze tra i due valori
ACT - Aggiustare
  1. analizzare le differenze riscontrate
  2. trovarne la causa
  3. stabilire dove apportare i cambiamenti
  4. quando non c'è più un miglioramento visibile, riformulare uno scopo più alto e ricominciare ad applicare il ciclo PDCA
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martedì 19 febbraio 2013

L'audit di processo e l'audit di sistema

Come sappiamo, la ISO 9001 richiede che vengano effettuati audit di sistema e non semplici audit di processo ma è importante sottolinearne bene le differenze tra le due tipologie di verifiche.

Audit di processo

Un audit di processo solitamente è breve perché si occupa di analizzare un singolo processo e non le sue interazioni con i processi a monte e a valle.

Ha come scopo quello di:
  • verificare se il processo sia efficace (e, se fatto bene, efficiente)
  • verificare che il processo sappia soddisfare i requisiti posti
Audit di questo genere vengono fatti soprattutto su quei processi la cui validità dipende in particolar modo dalla competenza degli operatori che vi lavorano o da altre caratteristiche soggette a grande variabilità oppure su processi automatizzati.

Gli audit di processo richiedono che l'auditor conosca il processo nel dettaglio e, in certi contesti, possono essere estremamente utili. Il rischio, ovviamente, è quello di concentrarsi sul singolo albero perdendo di vista l'intera foresta che gli cresce attorno cioè di tralasciare particolari importanti per concentrasi su minuzie.

Audit di sistema

L'audit di sistema è la naturale evoluzione dell'audit di processo in quanto il suo compito è quello di verificare se il Sistema Qualità nel suo insieme contribuisca a raggiungere gli obiettivi che l'organizzazione ha posto come strategici.

Anche in questo caso, naturalmente, ci si concentrerà sui singoli processi ma, a differenza di prima, questi verranno esaminati anche nelle loro interazioni.

Come vedete, in questo caso c'è il rischio di perdersi qualche dettaglio perché ci si concentra su un campo di applicazione decisamente maggiore.

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lunedì 18 febbraio 2013

La "nuova" Qualità contro la "vecchia" Qualità

Quali sono stati i cambiamenti più grossi tra la "vecchia" (Controllo della Qualità, Assicurazione della Qualità) Qualità e la "nuova" (Gestione della Qualità)?

Proviamo ad elencarli (sta a voi completare l'elenco se riterrete che manchi qualcosa):
  • da una focalizzazione sulle esigenze dell'azienda all'attenzione alle necessità del cliente;
  • maggiore enfasi nel fare Qualità: non ci si limita più a controllarla, assicurandola, ma ci si propone di gestirla per migliorarla di continuo;
  • da un'idea di Qualità fatta dagli specialisti alla Qualità come responsabilità di tutti;
  • l'attuazione di un Sistema Qualità non è più compito del solo quality manager ma anche (soprattutto) del vertice;
  • per la prima volta si inizia a concepire la Qualità come un vero e proprio strumento strategico che va riassunto nella Politica per la Qualità
  • si è passati da una Qualità che si basava esclusivamente sui documenti a una Qualità fondata sui processi;
  • si è passati da una visione del Controllo Qualità come ente indipendente ad una sua progressiva integrazione nei singoli processi aziendali
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venerdì 15 febbraio 2013

Il multi-tasking migliora le performance?



Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani un numero di Forbes nella versione indonesiana (in inglese, naturalmente!) e ho letto un articolo interessante che mi sembra utile riassumervi.

Il multi-tasking che molti considerano un modo per aumentare l’efficienza sembra essere, in realtà,  solamente una performance intermittente legata ad una singola attività. In poche parole non facciamo bene tre cose insieme ma smettiamo di farne bene una per dedicarci ad altre due da svolgere in contemporanea con la prima.

Sembra che ben il 98% della popolazione non sia assolutamente in grado di fare più attività contemporaneamente (naturalmente tutti noi rientriamo nel 2% residuo, giusto?)

La cosa migliore, dunque, non è quella di fare più cose contemporaneamente ma ridurre il tempo necessario per fare ogni cosa iniziando, magari, da quelle tempistiche che consideriamo “standard” come, ad esempio, un’ora per svolgere una riunione (perché non provare a ridurre il tempo necessario a 45 minuti e poi a 30?)
Si deve anche prestare molta attenzione al tempo che letteralmente sprechiamo e che potrebbe essere dedicato al lavoro. 
Ancora, cercate di avere report più ravvicinati in modo che le persone si abituino a mantenere costantemente monitorato il loro lavoro e non si affannino a raggiungere risultati solamente in prossimità del momento in cui dovranno presentare una sintesi dele attività svolte.

Cosa ne pensate? Voi siete multi-tasking? ;o)
 

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giovedì 14 febbraio 2013

Il feedback di processo



Un aspetto importante di ogni processo è il feedback che dobbiamo ottenere da esso. Questo feedback deve essere organizzato in una sorta di ciclo continuo tale che gli output di un processo o di una sua parte (step) ci diano informazioni per fare tutte le analisi necessarie sull’andamento.
Le decisioni da prendere per ogni processo dovrebbero basarsi proprio su queste informazioni di ritorno.

Relativamente ai feedback legati ai processi possiamo avere tre situazioni ben distinte:
  1. l’assenza di ogni tipo di informazione di ritorno: un processo privo di feedback è destinato a deteriorarsi nel tempo a causa dell’impossibilità di svecchiarlo e migliorarlo per adattarlo alle mutate esigenze (del mercato, dei clienti, dell’azienda, di nuove tecnologie, ecc.)
  2. un feedback che restituisce solamente dati inquadrati come cause speciali della varianza del processo: se ogni informazione di ritorno viene gestita come una causa speciale di varianza avremo degli output del tutto imprevedibili. In questo caso bisogna fare un salto di qualità studiando a fondo i dati raccolti e individuando trend che possano essere ricondotti a cause comuni di varianza in modo da poter fare delle ipotesi ragionevolmente corrette sull’andamento futuro del processo
  3. un feedback regolare che si attiva sia per le cause speciali sia per quelle comuni: questo è il ciclo di feedback migliore che possiamo associare ai nostri processi perché ci si può concentrare sulla risoluzione delle problematiche legate alle cause speciali di varianza ed eliminare, quando possibile, le cause comuni in un’ottica di miglioramento continuo dell’intero sistema

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mercoledì 13 febbraio 2013

Breve storia della metodologia Six Sigma



  • 1981: Bob Galvin, presidente di Motorola, decise che per un periodo di ben cinque anni la compagnia si sarebbe concentrata sulla riduzione dei difetti produttivi di almeno dieci volte e sull’abbattimento delle tempistiche dei cicli produttivi
  • 1987: Motorola centrò il suo obiettivo ma, sfortunatamente, si accorse che i suoi concorrenti si erano migliorati come lei ma l'avevano fatto decisamente più velocemente. L’obiettivo era buono ma Motorola era stata troppo lenta nel raggiungere i risultati che si era posta. Fu questo il motivo per cui il management dell’azienda decise di  concentrarsi su miglioramenti di dieci volte tanto da portare a termine, questa volta, in soli due anni per raggiungere, poi, un miglioramento di un altro 100% in un totale di 4 anni. Il target finale fissato fu quello di raggiungere le 3,4 difettosità per milione di prodotti. E’ a questo ambizioso obiettivo che venne dato il nome di Six Sigma perché “sigma” divenne la misura delle difettosità per milione. Come se questo non bastasse, Motorola si impose di ridurre del 50% le tempistiche legate ai cicli di lavoro 
  • Fine degli anni ’80: il management di Motorola realizzò che, riducendo i difetti e i tempi di produzione, aveva raggiunto un’importante riduzione dei costi, aveva velocizzato il ciclo dall’ideazione al lancio di un prodotto sul mercato, aveva aumentato la soddisfazione dei clienti e diminuito i costi legati alla gestione delle garanzie
  • 1988: Motorola vinse il Malcolm Baldrige National QualityAward e la sua storia iniziò ad interessare altre aziende negli Stati Uniti
  • 1989-93: Texas Instruments, ABB e Kodak si unirono a Motorola nel supportare il Six Sigma Institute
  • Metà degli anni ’90 General Electric e Allied Signal resero popale l’approccio Six Sigma, attribuendo i loro successi commerciali ai risultati ottenuti grazie all’applicazione della metodologia.
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martedì 12 febbraio 2013

Lavoratori coinvolti



Per un’organizzazione poter contare su personale coinvolto in ciò che fa è un fattore importantissimo nel raggiungimento di un successo di lungo termine. Lavoratori di questo tipo, infatti:

  1. supportano le aziende nel raggiungere gli obiettivi che si sono poste
  2. soddisfano i clienti e ottengono risultati anche in maniera creativa perché sanno che le loro doti verranno apprezzate in quanto incanalate nel modo giusto
  3. sono felici di lavorare per organizzazioni che li apprezzano e li motivano
  4. sono in grado di risolvere i problemi oppure sanno organizzarsi in modo da risolverli con l’aiuto di altri colleghi
  5. sono orientati all’azione e non si limitano a discutere senza fine eventuali problemi senza poi affrontarli davvero
  6. investono nel successo della loro organizzazione

Come fare, dunque, per assicurarsi persone davvero coinvolte in ciò che fanno?
E’ presto detto:
  1. creare fiducia in chi lavora con noi in modo da combattere un clima ostile e favorire la collaborazione tra lavoratori
  2. condividere le informazioni
  3. dialogare
  4. permettere alle persone di sviluppare le proprie competenze e di sfruttare al meglio quelle nelle quali sono migliori
  5. fare di tutto per migliorare il morale di chi lavora con noi e si sente sfiduciato
  6. aiutare le persone a comprendere in quale modo contribuiscono al benessere dell’azienda
Vi vengono in mente altre azioni che potrebbero portare a questo importante risultato?

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