(Fonte: "Affari&Finanza")
Se denuncio un illecito perpetrato in ufficio al mio superiore, posso essere sicuro che l’anonimato venga tutelato? A quali rischi vado incontro? E se poi emergesse che la questione sollevata non aveva basi solide? Sono alcuni dei quesiti che tanti lavoratori si pongono questi giorni, dopo l’approvazione a metà novembre della legge sul whistleblowing, ideata per consentire di
segnalare il comportamento illecito dei colleghi tutelando da eventuali ritorsioni l’autore della
segnalazione. Per Raffaella Quintana, avvocato, la nuova norma è da accogliere positivamente, “considerata l’efficacia ai fini della lotta alla corruzione che lo strumento ha già dimostrato di avere in quei Paesi che lo hanno disciplinato già da tempo”. La norma prevede una tutela per il segnalante, la cui identità dovrà essere protetta e rimanere riservata; così come l’autore della segnalazione non potrà essere oggetto di atti di ritorsione o discriminatori. “La norma richiede espressamente la predisposizione di canali di segnalazione, anche informatici, che ne garantiscano
la riservatezza”, aggiunge l’avvocato.
Inoltre stabilisce, a tutela di chi fa emergere le irregolarità dei colleghi, che lo stesso non possa essere sanzionato, demansionato o trasferito. “Se ad esempio il datore di lavoro decidesse di licenziare il dipendente segnalante, gli toccherebbe l’onere di dimostrare l’estraneità alla segnalazione”, aggiunge Quinta. “Del resto, già in forza dei principi generali del nostro ordinamento, un licenziamento comminato in conseguenza di una denuncia di irregolarità
sarebbe illegittimo, e anzi radicalmente nullo, con diritto del lavoratore alla riammissione in servizio”, aggiunge Damiana Lesce, (...). “Analogamente, sarebbe illegittimo un trasferimento e/o un mutamento di mansioni conseguente anch’esso ad un atto di denuncia”. Di nuovo, la legge da poco approvata “è apprezzabile laddove introduce anche sanzioni pecuniarie specifiche a carico
del responsabile dei predetti atti di discriminazione”, aggiunge.
Sabrina Galmarini, (...), aggiunge un altro elemento. “Nel settore pubblico è vietato rivelare l’identità del whistleblower sia nel procedimento disciplinare, sia in quello contabile e penale. Se la contestazione disciplinare dovesse risultare fondata, anche solo parzialmente, sulla segnalazione, l’identità potrà essere rivelata dietro consenso del segnalante, altrimenti la segnalazione resterà inutilizzabile”.
A ulteriore tutela dell’identità del whistleblower è previsto che l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) predisponga, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, le linee guida per la presentazione e la gestione delle segnalazioni.
Lesce solleva qualche dubbio sull’efficacia della norma con riguardo alla sua applicazione nel settore privato.
“Le aziende dovranno prevedere una procedura per la denuncia delle irregolarità. Il che significa che il tutto è rimesso alle singole realtà aziendali in un Paese in cui la grande maggioranza sono piccole e medie aziende. Così molto dipenderà anche dall’attività di sorveglianza di impulso del sindacato”.
Resta da chiarire un punto: cosa succede se la segnalazione si rivela infondata? “Non ci sono conseguenze, salvo che la segnalazione rivelatasi infondata sia stata fatta con dolo o colpa grave”, spiega Alessandro Musella, (...). “Quindi, per evitare rischi, bisogna fare segnalazioni fondate
su elementi di fatto precisi e concordanti di cui si abbia avuto conoscenza diretta ed evitare di usare la segnalazione come sfogo di situazioni di malessere all’interno dell’azienda, non basandosi su fatti oggettivi e precisi ma su episodi riferiti da altri o su semplici voci”.
Tirando le fila, Andrea Scarpellini (...) non condivide l’enfasi sulla portata innovativa della norma, “quasi fosse la soluzione definitiva agli atavici vizi di corruzione del nostro Paese”, anche se riconosce che “il merito di aver affrontato il tema e di aver introdotto una serie di norme a tutela del soggetto che effettua la segnalazione”.
Tutti poi concordano su un punto: per un giudizio più preciso occorrerà attendere l’applicazione pratica della legge.
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Se denuncio un illecito perpetrato in ufficio al mio superiore, posso essere sicuro che l’anonimato venga tutelato? A quali rischi vado incontro? E se poi emergesse che la questione sollevata non aveva basi solide? Sono alcuni dei quesiti che tanti lavoratori si pongono questi giorni, dopo l’approvazione a metà novembre della legge sul whistleblowing, ideata per consentire di
segnalare il comportamento illecito dei colleghi tutelando da eventuali ritorsioni l’autore della
segnalazione. Per Raffaella Quintana, avvocato, la nuova norma è da accogliere positivamente, “considerata l’efficacia ai fini della lotta alla corruzione che lo strumento ha già dimostrato di avere in quei Paesi che lo hanno disciplinato già da tempo”. La norma prevede una tutela per il segnalante, la cui identità dovrà essere protetta e rimanere riservata; così come l’autore della segnalazione non potrà essere oggetto di atti di ritorsione o discriminatori. “La norma richiede espressamente la predisposizione di canali di segnalazione, anche informatici, che ne garantiscano
la riservatezza”, aggiunge l’avvocato.
Inoltre stabilisce, a tutela di chi fa emergere le irregolarità dei colleghi, che lo stesso non possa essere sanzionato, demansionato o trasferito. “Se ad esempio il datore di lavoro decidesse di licenziare il dipendente segnalante, gli toccherebbe l’onere di dimostrare l’estraneità alla segnalazione”, aggiunge Quinta. “Del resto, già in forza dei principi generali del nostro ordinamento, un licenziamento comminato in conseguenza di una denuncia di irregolarità
sarebbe illegittimo, e anzi radicalmente nullo, con diritto del lavoratore alla riammissione in servizio”, aggiunge Damiana Lesce, (...). “Analogamente, sarebbe illegittimo un trasferimento e/o un mutamento di mansioni conseguente anch’esso ad un atto di denuncia”. Di nuovo, la legge da poco approvata “è apprezzabile laddove introduce anche sanzioni pecuniarie specifiche a carico
del responsabile dei predetti atti di discriminazione”, aggiunge.
Sabrina Galmarini, (...), aggiunge un altro elemento. “Nel settore pubblico è vietato rivelare l’identità del whistleblower sia nel procedimento disciplinare, sia in quello contabile e penale. Se la contestazione disciplinare dovesse risultare fondata, anche solo parzialmente, sulla segnalazione, l’identità potrà essere rivelata dietro consenso del segnalante, altrimenti la segnalazione resterà inutilizzabile”.
A ulteriore tutela dell’identità del whistleblower è previsto che l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) predisponga, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, le linee guida per la presentazione e la gestione delle segnalazioni.
Lesce solleva qualche dubbio sull’efficacia della norma con riguardo alla sua applicazione nel settore privato.
“Le aziende dovranno prevedere una procedura per la denuncia delle irregolarità. Il che significa che il tutto è rimesso alle singole realtà aziendali in un Paese in cui la grande maggioranza sono piccole e medie aziende. Così molto dipenderà anche dall’attività di sorveglianza di impulso del sindacato”.
Resta da chiarire un punto: cosa succede se la segnalazione si rivela infondata? “Non ci sono conseguenze, salvo che la segnalazione rivelatasi infondata sia stata fatta con dolo o colpa grave”, spiega Alessandro Musella, (...). “Quindi, per evitare rischi, bisogna fare segnalazioni fondate
su elementi di fatto precisi e concordanti di cui si abbia avuto conoscenza diretta ed evitare di usare la segnalazione come sfogo di situazioni di malessere all’interno dell’azienda, non basandosi su fatti oggettivi e precisi ma su episodi riferiti da altri o su semplici voci”.
Tirando le fila, Andrea Scarpellini (...) non condivide l’enfasi sulla portata innovativa della norma, “quasi fosse la soluzione definitiva agli atavici vizi di corruzione del nostro Paese”, anche se riconosce che “il merito di aver affrontato il tema e di aver introdotto una serie di norme a tutela del soggetto che effettua la segnalazione”.
Tutti poi concordano su un punto: per un giudizio più preciso occorrerà attendere l’applicazione pratica della legge.
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