(Fonte: "La Stampa")
Insoddisfatti e scontenti. E’ questa la percezione dei lavoratori italiani. La lunga stagione
di crisi ha ridotto la mobilità delle persone, costringendo molti a restare al proprio posto.
Il caso emblematico è quello degli over 60 che, a causa della riforma delle pensioni del 2012, si
sentono i forzati di un lavoro verso il quale fanno fatica a trovare nuove motivazioni. Ma forte è l’insoddisfazione anche dei giovani che, appena usciti dalle scuole e dall’università, hanno un impatto difficile e deludente, che spiazza le loro ambizioni.
Se però guardiamo le cifre la realtà appare diversa: le attivazioni e le cessazioni dei rapporti di lavoro nel corso degli ultimi tempi sono comprese tra 10 e 11 milioni annui, testimoniando dinamiche spesso involontarie, a volte più subite che programmate. Eppur si muove, si potrebbe dire, ma il cambiamento, per essere efficace e soddisfacente, deve essere meglio governato. Che cosa spinge
una persona a cercare un nuovo lavoro? E quando un cambiamento di lavoro si traduce davvero in un volano di motivazione? Certamente il rapporto tra retribuzione e soddisfazione nel lavoro è molto stretto. Ma ci sono anche altri elementi di fondo che, secondo gli esperti di transizioni di carriera, rimangono costanti. «La retribuzione deve soddisfare i bisogni di ciascun individuo e fornire sicurezza economica; ma retribuzione e trattamento economico devono anche garantire equità», affermano i consulenti di JobPricing nel loro Salary satisfaction Report 2018. Si deve
evitare l’insoddisfazione che nasce nel confronto con le retribuzioni di altri colleghi in altre aziende. Tutte le differenze per le quali il lavoratore non trova spiegazione tendono a generare insoddisfazione. La politica retributiva deve mettere in evidenza la relazione fra il contributo fornito (performance) e la remunerazione. Ma se il lavoratore non riesce a identificare tale relazione, il valore motivazionale della retribuzione perde efficacia e cresce la percezione di mancanza di trasparenza e meritocrazia. Lo stipendio è uno degli elementi principali di soddisfazione, ma
da solo non basta a provocare un cambio di casacca. A spingere di cambiare azienda sono anche capi e colleghi: il clima psicologico instaurato o la difficoltà di rapporto sono un volano di fuga più che una calamita. Ma anche qui, la sola antipatia non basta. I ricercatori del report hanno individuato alcuni indici.
Oggi l’indice generale di soddisfazione è in discesa, specie per chi ha solo uno stipendio fisso. Più si riceve un trattamento retributivo articolato e vario (con benefit, bonus e incentivi), maggiore è la soddisfazione.
Due lavoratori su cinque pensano che manchi del tutto una vera meritocrazia. I soldi per i dipendenti sono importanti: da 0 a 10 contano quasi 9. Ma la retribuzione fissa è l’unico elemento tangibile” ad essere ritenuto rilevante: sopra l’8 troviamo delle leve definite «intangible» (relazioni, carriera, contenuto del lavoro, flessibilità), più importanti di retribuzione variabile, benefit o altri premi.
Sono queste le leve su cui le aziende dovrebbero investire per la «talent retention»: le relazioni con colleghi e superiori sono un fattore di fedeltà al posto di lavoro per il 44,3% delle persone; l’ambiente di lavoro è rilevante per il 42,6%; l’equilibrio tra vita privata e lavoro per il 40,9% e per il 35,8% il contenuto del lavoro svolto. La retribuzione fissa impatta solo nel 31,8% dei casi.
(Conosci già il nostro sito? Si chiama QualitiAmo - La Qualità gratis sul web ed è pieno di consigli per chi si occupa di Qualità, ISO 9001 e certificazione)
Insoddisfatti e scontenti. E’ questa la percezione dei lavoratori italiani. La lunga stagione
di crisi ha ridotto la mobilità delle persone, costringendo molti a restare al proprio posto.
Il caso emblematico è quello degli over 60 che, a causa della riforma delle pensioni del 2012, si
sentono i forzati di un lavoro verso il quale fanno fatica a trovare nuove motivazioni. Ma forte è l’insoddisfazione anche dei giovani che, appena usciti dalle scuole e dall’università, hanno un impatto difficile e deludente, che spiazza le loro ambizioni.
Se però guardiamo le cifre la realtà appare diversa: le attivazioni e le cessazioni dei rapporti di lavoro nel corso degli ultimi tempi sono comprese tra 10 e 11 milioni annui, testimoniando dinamiche spesso involontarie, a volte più subite che programmate. Eppur si muove, si potrebbe dire, ma il cambiamento, per essere efficace e soddisfacente, deve essere meglio governato. Che cosa spinge
una persona a cercare un nuovo lavoro? E quando un cambiamento di lavoro si traduce davvero in un volano di motivazione? Certamente il rapporto tra retribuzione e soddisfazione nel lavoro è molto stretto. Ma ci sono anche altri elementi di fondo che, secondo gli esperti di transizioni di carriera, rimangono costanti. «La retribuzione deve soddisfare i bisogni di ciascun individuo e fornire sicurezza economica; ma retribuzione e trattamento economico devono anche garantire equità», affermano i consulenti di JobPricing nel loro Salary satisfaction Report 2018. Si deve
evitare l’insoddisfazione che nasce nel confronto con le retribuzioni di altri colleghi in altre aziende. Tutte le differenze per le quali il lavoratore non trova spiegazione tendono a generare insoddisfazione. La politica retributiva deve mettere in evidenza la relazione fra il contributo fornito (performance) e la remunerazione. Ma se il lavoratore non riesce a identificare tale relazione, il valore motivazionale della retribuzione perde efficacia e cresce la percezione di mancanza di trasparenza e meritocrazia. Lo stipendio è uno degli elementi principali di soddisfazione, ma
da solo non basta a provocare un cambio di casacca. A spingere di cambiare azienda sono anche capi e colleghi: il clima psicologico instaurato o la difficoltà di rapporto sono un volano di fuga più che una calamita. Ma anche qui, la sola antipatia non basta. I ricercatori del report hanno individuato alcuni indici.
Oggi l’indice generale di soddisfazione è in discesa, specie per chi ha solo uno stipendio fisso. Più si riceve un trattamento retributivo articolato e vario (con benefit, bonus e incentivi), maggiore è la soddisfazione.
Due lavoratori su cinque pensano che manchi del tutto una vera meritocrazia. I soldi per i dipendenti sono importanti: da 0 a 10 contano quasi 9. Ma la retribuzione fissa è l’unico elemento tangibile” ad essere ritenuto rilevante: sopra l’8 troviamo delle leve definite «intangible» (relazioni, carriera, contenuto del lavoro, flessibilità), più importanti di retribuzione variabile, benefit o altri premi.
Sono queste le leve su cui le aziende dovrebbero investire per la «talent retention»: le relazioni con colleghi e superiori sono un fattore di fedeltà al posto di lavoro per il 44,3% delle persone; l’ambiente di lavoro è rilevante per il 42,6%; l’equilibrio tra vita privata e lavoro per il 40,9% e per il 35,8% il contenuto del lavoro svolto. La retribuzione fissa impatta solo nel 31,8% dei casi.
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