giovedì 29 marzo 2018

Ecco perché si cambia azienda

(Fonte: "La Stampa")

Insoddisfatti  e  scontenti.  E’ questa la percezione dei lavoratori  italiani.  La  lunga  stagione
di  crisi  ha  ridotto  la  mobilità delle  persone,  costringendo molti a restare al proprio posto.
Il caso emblematico è quello degli over 60 che, a causa della riforma delle pensioni del 2012, si
sentono  i  forzati  di  un  lavoro verso il quale fanno fatica a trovare nuove motivazioni. Ma forte è l’insoddisfazione anche dei giovani che, appena usciti dalle scuole e dall’università, hanno un impatto difficile e deludente, che  spiazza  le  loro  ambizioni.
Se  però  guardiamo  le  cifre  la realtà appare diversa: le attivazioni e le cessazioni dei rapporti di lavoro nel corso degli ultimi tempi sono comprese tra 10 e 11 milioni annui, testimoniando dinamiche spesso involontarie, a volte più subite che programmate. Eppur si muove, si potrebbe  dire,  ma  il  cambiamento,  per  essere  efficace  e soddisfacente, deve essere meglio governato. Che cosa spinge
una persona a cercare un nuovo lavoro? E quando un cambiamento di lavoro si traduce davvero in un volano di motivazione? Certamente il rapporto tra retribuzione  e  soddisfazione nel lavoro è molto stretto. Ma ci sono  anche  altri  elementi  di fondo che, secondo gli esperti di transizioni  di  carriera,  rimangono costanti. «La retribuzione deve soddisfare i bisogni di ciascun  individuo  e  fornire  sicurezza  economica;  ma  retribuzione e trattamento economico devono  anche  garantire  equità»,  affermano  i  consulenti  di JobPricing nel loro Salary satisfaction  Report  2018.  Si  deve
evitare  l’insoddisfazione  che nasce nel confronto con le retribuzioni di altri colleghi in altre aziende. Tutte le differenze per le quali il lavoratore non trova spiegazione tendono a generare  insoddisfazione.  La  politica retributiva deve mettere in evidenza la relazione fra il contributo fornito (performance) e la remunerazione. Ma se il lavoratore  non  riesce  a  identificare tale relazione, il valore motivazionale  della  retribuzione  perde  efficacia  e  cresce  la  percezione  di  mancanza  di  trasparenza  e  meritocrazia.  Lo  stipendio  è  uno  degli  elementi principali di soddisfazione, ma
da solo non basta a provocare un cambio di casacca. A spingere di cambiare azienda sono anche capi e colleghi: il clima psicologico instaurato o la difficoltà di rapporto sono un volano di fuga più che una calamita. Ma anche qui, la sola antipatia non basta.  I  ricercatori  del  report hanno individuato alcuni indici.
Oggi l’indice generale di soddisfazione è in discesa, specie per chi ha solo uno stipendio fisso. Più si riceve un trattamento retributivo articolato e vario (con benefit,  bonus  e  incentivi), maggiore  è  la  soddisfazione.
Due lavoratori su cinque pensano che manchi del tutto una vera meritocrazia. I soldi per i dipendenti sono importanti: da 0 a 10 contano quasi 9. Ma la retribuzione  fissa  è  l’unico  elemento  tangibile” ad essere ritenuto rilevante: sopra l’8 troviamo delle leve definite «intangible» (relazioni, carriera, contenuto  del  lavoro,  flessibilità), più  importanti  di  retribuzione variabile, benefit o altri premi.
Sono  queste  le  leve  su  cui  le aziende  dovrebbero  investire per la «talent retention»: le relazioni con colleghi e superiori sono un fattore di fedeltà al posto di lavoro per il 44,3% delle persone; l’ambiente di lavoro è rilevante  per  il  42,6%;  l’equilibrio  tra  vita  privata  e  lavoro per il 40,9% e per il 35,8% il contenuto del lavoro svolto. La retribuzione  fissa  impatta  solo nel 31,8% dei casi.


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