(Fonte: "Affari&Finanza")
Solo 10 anni fa era quasi ignorato nelle procedure aziendali, ora non più: l’on-boarding, cioè
l’inserimento in azienda dei nuovi assunti, si sta rapidamente affermando come un fattore-chiave in ambito HR. Nel 2016 era indicato al 20° posto delle priorità, nel 2017 è rapidamente salito al
14° posto e l’Osservatorio internazionale di Top Employers Institute — ente di certificazione che monitora le condizioni di lavoro all’interno delle aziende in più di 100 Paesi disseminati in 5
Continenti — conferma che la tendenza quest’anno è in crescita.
Non a caso, i dati dell’ente mostrano che il 97% delle aziende certificate Top Employers Italia 2018 ha una struttura ben definita relativa alle politiche di on-boarding e obiettivi ben chiari al suo interno. Quali sono?
Massimizzare l’integrazione dei nuovi assunti nella cultura aziendale, assicurare al dipendente un adeguato inserimento in azienda e fare in modo che i nuovi assunti progrediscano il
più rapidamente possibile nei loro ruoli specifici.
Di sicuro, l’accelerazione del fenomeno on-boarding è strettamente legato all’avvento delle nuove tecnologie digitali: oggi, i candidati e futuri dipendenti hanno molti più strumenti a disposizione per analizzare l’azienda in cui andranno a lavorare. Si presentano ai colloqui di selezione già informati su chi li ha contattati e hanno già avuto accesso a tutte le notizie necessarie per
valutare se si tratta di un’azienda per cui valga la pena lavorare, o no.
Ormai, il rectruiting dei nuovi assunti si svolge online. Molte procedure in ambito HR si sono
semplificate negli ultimi 5-6 anni (...) . Siamo al passaggio successivo, in cui il vecchio concetto di
on-boarding, inteso come una procedura asettica e veloce, della durata al massimo di 2-3 giorni, non ha più senso. Ma si sta trasformando in un vero e proprio iter di formazione: può continuare per settimane, mesi e in alcuni casi può protrarsi anche per un anno. L’obiettivo finale è l’integrazione tra recruiting e on-boarding in un processo continuo all’interno di un’azienda.
In questo senso, la ricerca di Top Employers Insitute fa notare che ora l’approccio del management di un’impresa nei confronti dei neo assunti deve essere di tipo “olistico”. Ovvero, un approccio che include non solo “formazione professionale” ma anche “integrazione empatica” tra vecchi e nuovi dipendenti e una conoscenza allargata dell’“identità aziendale”: il cosiddetto “total on-boarding”.
Questo tipo di approccio prevede il coinvolgimento del senior management, il quale in prima persona prende parte attiva nell’inserimento del neo assunto in azienda presentandolo ai colleghi, organizzando incontri personali, implementando misure di feedback e monitoraggio attraverso le nuove tecnologie (...).
Secondo i dati dell’ente, nel 78% delle aziende i membri del top management accompagnano in azienda e presentano personalmente i neo assunti ai colleghi; nel 92% sono previsti incontri con l’executive management entro i primi tre mesi dall’assunzione. In questo periodo si entra più nel vivo della professione e il focus si sposta sulle prime valutazioni e monitoraggi (...). In un’ottica di crescita non solo professionale, ma anche umana, vengono favorite e incoraggiate attività di condivisione sui social.
La ricerca riporta anche che il 66% delle aziende chiede al neo assunto un feedback di valutazione del processo di on-boarding e una prima impressione delle procedure di accoglienza in azienda. Allo scoccare dei dodici mesi, però, è il momento in cui si tirano le somme e si fanno le prime valutazioni ufficiali. È questa l’occasione in cui analizzare l’esito del percorso formativo e stabilire gli obiettivi futuri tramite Kpi (Key Performance Indicator), ovvero un indicatore chiave di prestazione (...).
Secondo i dati della ricerca il 73% delle aziende valuta il processo di on-boarding tramite reporting in materia di Kpi, nel 64% delle imprese sono previste valutazioni, sempre sul processo, da parte del management e in quasi 6 aziende su 10 (56%) sono previste sessioni di follow up a un anno dall’assunzione per professionisti che non hanno necessariamente un ruolo manageriale.
Sugli strumenti per rendere più efficace l’inserimento di un neo assunto, la ricerca ne individua diversi. Alcuni già noti: incontro con il manager di riferimento che illustra le procedure HR, cultura aziendale, riunioni periodiche di monitoraggio nei primi tre mesi di lavoro. Altri funzionali al processo: fornitura di un dettagliato manuale di inserimento e assegnazione di un mentore al neo assunto, una nuova figura, quella del “bubby”. Inoltre, il futuro dipendente deve avere la possibilità di accedere on line a un portale dedicato per poter conoscere le caratteristiche aziendali e sapere quale sarà il suo percorso professionale.
All’inizio, nel nostro Paese sull’on-boarding hanno fatto scuola le multinazionali straniere, quelle che qui hanno investito e hanno aperto filiali strutturate (...) ma ora ci sono anche tante aziende
italiane che hanno avviato processi di on-boarding all’avanguargia, e penso che la tendenza
non possa che crescere.
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Solo 10 anni fa era quasi ignorato nelle procedure aziendali, ora non più: l’on-boarding, cioè
l’inserimento in azienda dei nuovi assunti, si sta rapidamente affermando come un fattore-chiave in ambito HR. Nel 2016 era indicato al 20° posto delle priorità, nel 2017 è rapidamente salito al
14° posto e l’Osservatorio internazionale di Top Employers Institute — ente di certificazione che monitora le condizioni di lavoro all’interno delle aziende in più di 100 Paesi disseminati in 5
Continenti — conferma che la tendenza quest’anno è in crescita.
Non a caso, i dati dell’ente mostrano che il 97% delle aziende certificate Top Employers Italia 2018 ha una struttura ben definita relativa alle politiche di on-boarding e obiettivi ben chiari al suo interno. Quali sono?
Massimizzare l’integrazione dei nuovi assunti nella cultura aziendale, assicurare al dipendente un adeguato inserimento in azienda e fare in modo che i nuovi assunti progrediscano il
più rapidamente possibile nei loro ruoli specifici.
Di sicuro, l’accelerazione del fenomeno on-boarding è strettamente legato all’avvento delle nuove tecnologie digitali: oggi, i candidati e futuri dipendenti hanno molti più strumenti a disposizione per analizzare l’azienda in cui andranno a lavorare. Si presentano ai colloqui di selezione già informati su chi li ha contattati e hanno già avuto accesso a tutte le notizie necessarie per
valutare se si tratta di un’azienda per cui valga la pena lavorare, o no.
Ormai, il rectruiting dei nuovi assunti si svolge online. Molte procedure in ambito HR si sono
semplificate negli ultimi 5-6 anni (...) . Siamo al passaggio successivo, in cui il vecchio concetto di
on-boarding, inteso come una procedura asettica e veloce, della durata al massimo di 2-3 giorni, non ha più senso. Ma si sta trasformando in un vero e proprio iter di formazione: può continuare per settimane, mesi e in alcuni casi può protrarsi anche per un anno. L’obiettivo finale è l’integrazione tra recruiting e on-boarding in un processo continuo all’interno di un’azienda.
In questo senso, la ricerca di Top Employers Insitute fa notare che ora l’approccio del management di un’impresa nei confronti dei neo assunti deve essere di tipo “olistico”. Ovvero, un approccio che include non solo “formazione professionale” ma anche “integrazione empatica” tra vecchi e nuovi dipendenti e una conoscenza allargata dell’“identità aziendale”: il cosiddetto “total on-boarding”.
Questo tipo di approccio prevede il coinvolgimento del senior management, il quale in prima persona prende parte attiva nell’inserimento del neo assunto in azienda presentandolo ai colleghi, organizzando incontri personali, implementando misure di feedback e monitoraggio attraverso le nuove tecnologie (...).
Secondo i dati dell’ente, nel 78% delle aziende i membri del top management accompagnano in azienda e presentano personalmente i neo assunti ai colleghi; nel 92% sono previsti incontri con l’executive management entro i primi tre mesi dall’assunzione. In questo periodo si entra più nel vivo della professione e il focus si sposta sulle prime valutazioni e monitoraggi (...). In un’ottica di crescita non solo professionale, ma anche umana, vengono favorite e incoraggiate attività di condivisione sui social.
La ricerca riporta anche che il 66% delle aziende chiede al neo assunto un feedback di valutazione del processo di on-boarding e una prima impressione delle procedure di accoglienza in azienda. Allo scoccare dei dodici mesi, però, è il momento in cui si tirano le somme e si fanno le prime valutazioni ufficiali. È questa l’occasione in cui analizzare l’esito del percorso formativo e stabilire gli obiettivi futuri tramite Kpi (Key Performance Indicator), ovvero un indicatore chiave di prestazione (...).
Secondo i dati della ricerca il 73% delle aziende valuta il processo di on-boarding tramite reporting in materia di Kpi, nel 64% delle imprese sono previste valutazioni, sempre sul processo, da parte del management e in quasi 6 aziende su 10 (56%) sono previste sessioni di follow up a un anno dall’assunzione per professionisti che non hanno necessariamente un ruolo manageriale.
Sugli strumenti per rendere più efficace l’inserimento di un neo assunto, la ricerca ne individua diversi. Alcuni già noti: incontro con il manager di riferimento che illustra le procedure HR, cultura aziendale, riunioni periodiche di monitoraggio nei primi tre mesi di lavoro. Altri funzionali al processo: fornitura di un dettagliato manuale di inserimento e assegnazione di un mentore al neo assunto, una nuova figura, quella del “bubby”. Inoltre, il futuro dipendente deve avere la possibilità di accedere on line a un portale dedicato per poter conoscere le caratteristiche aziendali e sapere quale sarà il suo percorso professionale.
All’inizio, nel nostro Paese sull’on-boarding hanno fatto scuola le multinazionali straniere, quelle che qui hanno investito e hanno aperto filiali strutturate (...) ma ora ci sono anche tante aziende
italiane che hanno avviato processi di on-boarding all’avanguargia, e penso che la tendenza
non possa che crescere.
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