venerdì 27 novembre 2015

Manager all'estero - Una carriera da nomadi

(Fonte: "Affari&Finanza")

Vita da espatriati, manager in viaggio per l'azienda nei più remoti angoli del mondo, per aprire nuove vie di business, creare start up o gestire crisi e rilanciare l'attività.

Invogliati da promozioni e guadagni più attraenti, i dirigenti accettano di fare le valigie, con famiglia o senza, per agguantare la sfida professionale.

Un meccanismo oliato, che si traduce in ruoli di vertice, una busta paga più gonfia, voli in business class, privilegi e benefit.

E che cosa li aspetta a fine missione?
Ancora al top o un posto in panchina?

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Ma con la crisi negli ultimi due anni, le aziende italiane hanno incominciato a richiamare gli espatriati e tendono a sostituirli con manager locali.

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Promozione, sfida professionale. Molto difficilmente c'è un rifiuto.
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Età media 38 anni, maschi per lo più, l'espatrio dura in media due anni e mezzo, con una sparuta minoranza di globe trotter della mobilità internazionale. Sul piatto c'è l'aumento del salario lordo tra il 15 e il 20 per cento, e una cascata di allowance cash: per la famiglia, sia che segua l'espatriato o no.

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L'espatriato che rientra trova nel 90% dei casi un ruolo di maggior crescita, in qualche caso equivalente.
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Il rientro è un passaggio molto delicato. Ci sono aziende (...) che disegnano un percorso di carriera, ma non tutte sono preparate per questo.

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