(Fonte: "
L'Economia")
Chi tra i più senior non ha mai ricevuto dai più giovani una domanda sulle modalità con cui impostare il percorso di carriera? E ognuno ha dato una risposta soggettiva, sulla base della propria sensibilità, dividendosi tra rallentisti e accelerazionisti. I primi con la convinzione che sia meglio accelerare lo sviluppo professionale non troppo speditamente e che sia utile ogni tanto riprendere fiato e respirare un po'. I secondi convinti che i tracciati debbano procedere in gran velocità, per non rimanere impigliati nel conformismo della tradizione. Ma allora come si arriva davvero ai vertici delle aziende? Esistono delle esperienze che possano fare da buone pratiche? Quali sono gli ingredienti per raggiungere nel modo più adeguato la posizione di amministratore delegato?
Uno studio appena ultimato della Sda Bocconi illustra il percorso per raggiungfere la vetta.
(...)
La ricerca voleva far emergere quali tratti comuni caratterizzano le
carriere dei ceo italiani, comparando i dati emergenti con quanto
avviene all’estero. Dei 540 personaggi sono state recuperate
informazioni demografiche (genere, età), formazione (studi universitari e
post universitari) e gli ultimi tre ruoli precedenti quello attuale.
Ecco di seguito le più interessanti sorprese:
- 1) L’età media dei
ceo del nostro Paese è di 48 anni, praticamente in linea con quella
degli analoghi colleghi americani e europei, che è di 50 anni circa.
- 2)
Le donne sono una netta minoranza (solo il 6%), come d’altra parte nel
resto del mondo (molte altre indagini falsificano la leggenda che vede
il genere femminile più rappresentato nelle nazioni nordiche e
anglosassoni rispetto alle nazioni mediterranee).
- 3) Gli studi
universitari sono prevalentemente in economia e ingegneria e molto poco
rappresentate sono invece le facoltà di informatica e di computer
science, che invece sono assai diffuse nei track record manageriali in
America e in Asia. Ovviamente l’educazione universitaria è più diffusa
nelle aziende grandi e medio grandi, meno nelle piccole dimensioni.
- 4)
La presenza dei diplomi Mba è ancora abbastanza scarso nel nostro
Paese, ma risulta in crescita nelle medie e piccole imprese, dove i ceo
sono più giovani. I più anziani hanno conseguito l’Mba all’estero (in
prevalenza negli Stati Uniti), mentre i manager sotto i quarant’anni lo
hanno fatto per lo più in Italia o in Europa, grazie anche alla crescita
recente del numero e della qualità delle business school nel nostro
continente.
- 5) Il tempo medio per raggiungere il ruolo di ceo
dalla laurea è di 23 anni nelle aziende grandissime e di 13,8 anni nelle
aziende più piccole. Ciò significa che chi diventa ceo di un’azienda
piccola ci mette meno tempo, anche se poi sconta di rimanere
imprigionato nella rete delle minori dimensioni. Nelle aziende più
grandi ci si mette più tempo, ma vi è più possibilità di spostarsi
successivamente da azienda a azienda e da settore a settore.
- 6)
Le aziende maggiori prendono meno rischi e tendono ad assumere nel ruolo
di amministratore delegato persone che hanno già acquisito tale
posizione nell’esperienza precedente, mentre le piccole sono più
propense a rischiare assumendo un ceo di prima nomina. Per tutto ciò le
aziende più piccole risultano interessanti trampolini di lancio
intermedio per progredire verso il top.
- 7) La permanenza nello
stesso settore industriale è un’altra variabile degna di nota: nelle
imprese grandi e grandissime si richiede una esperienza continuativa nel
settore, mentre invece nelle dimensioni minori si verificano spesso
cambi di industria nei livelli apicali.
- 8) L’esperienza
precedente in società di consulenza strategica viene valutata un
acceleratore di carriera per un quarto dei ceo analizzati.
- 9) Le
filiere professionali più apprezzate sono nell’ordine commerciale,
finanza e operations, a differenza di Usa e Asia dove prevalgono invece
percorsi di strategia e high tech.
- 10) Avere un curriculum
internazionale (esposizione alla globalizzazione o permanenza
all’estero) è un fattore determinante per tutti i profili esaminati. Ciò
caratterizza in modo marcato i ceo italiani, come quelli europei,
contrariamente ai ceo statunitensi dove solo 1 su 4 ha lavorato cross
border.
- 11) Un tema spesso in discussione è quanto un manager
debba rimanere nello stesso ruolo. C’e’ chi sostiene che non bisogna
rimanere troppo poco (l’eccessiva mobilità non paga e dà percezione
esterna di eccessivo rampantismo e di superficialità), ma c’è anche chi
considera demotivante starci troppo (l’abitudine deprime l’achievement e
il senso di sfida). Nel campione esaminato si vede che in media le
persone sono rimaste nella stessa posizione da 2,5 a 5 anni. Gli high
flyers sono più presenti nelle aziende di grandissime dimensioni, dove
spesso il turnover politico circostante preme per un avvicendamento
anche del top management aziendale.
In sintesi questi dati
riflettono i gusti che gli odierni azionisti esprimono nei confronti dei
loro cinquantenni capi azienda: stabilità; competenza nel settore;
perseveranza nello sforzo; esperienza nelle funzioni di linea e di
finanza.
Sarebbe curioso interrogarsi quanto questi ingredienti
vadano a genio agli attuali manager 30-35enni, che saranno alla testa
delle organizzazioni tra 10 anni. Infatti, dalla sensazione che molti
hanno su tale più giovane generazione, risulterebbe un disallineamento
rispetto alle precedenti attitudini: essi non credono troppo nella
stabilità e vanno invece alla ricerca di mobilità sia aziendale che
settoriale; sono avvezzi alla despecializzazione e al general management
fin da subito; lavorano molto sulla componente soft (change management,
strategia, dinamiche organizzative) e considerano le competenze hard
come qualcosa di necessario ma non cruciale per il successo. C’è tempo
nei prossimi dieci anni per una loro folgorazione sulla via del vertice
organizzativo, con conseguente riorientamento del loro profilo oppure
magari una simile ricerca nel 2030 vedrà una fotografia del ceo
totalmente diversa?
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