venerdì 28 settembre 2012

Parlare in pubblico: qualche suggerimento (7)

Vedremo oggi lo schema che "Riza Scienze" propone di seguire per iniziare bene un discorso in pubblico:

elementi indispensabili:
  •  saluto sorridente
  • mi chiamo (nome e cognome)
  • perché sono qui (informazioni utili per il pubblico)
  • cosa faremo insieme
  • perché lo faremo
  • come lo faremo
elementi opzionali:
  •  cosa sono disposto a dare per raggiungere questi obiettivi
  • cosa devono essere disposti a fare per raggiungere questi obiettivi
  • nota di colore (aneddoto o battuta simpatica, utile per raggiungere gli scopi dell'intervento)
Lunedì faremo un piccolo esercizio. Non mancate!

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giovedì 27 settembre 2012

Parlare in pubblico: qualche suggerimento (6)

Eccovi il secondo scenario pubblicato da "Riza Scienze":

Situazione 2: 
Problema da evitare
Scenario - Anticipare una domanda scomoda: siete molto giovani, parlate a una platea di persone più grandi di voi e, quasi sicuramente, alcune potrebbero sentirsi a disagio a dover prendere lezioni da chi ha molti anni meno

Esempio di cornice esplicita
Sono molto contento di trovarmi qui tra voi, so già che siete un pubblico molto particolare perché prima di entrare in sala ho conversato con molti di voi e nessuno mi ha fatto una domanda che solitamente è di rito: non sei un po' troppo giovane? Questo significa che non giudicate un libro dalla copertina e la cosa mi fa enormemente piacere!

Esempio di cornice implicita
Probabilmente state pensando che io sia molto giovane, almeno lo spero! Questo mi dà un enorme vantaggio: proprio perché non ho dalla mia medaglie da mostrare e capelli bianchi a darmi autorità, posso chiedervi di concentrarvi su ciò che diremo, indipendentemente dalla persona che vi sta parlando e di giudicare la validità di questo intervento esclusivamente da quanto risulterà utile per voi. Vogliamo stringere un patto su questo?

A domani per riassumere ciò che bisogna fare quando si vuole tenere un bel discorso in pubblico.

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mercoledì 26 settembre 2012

Parlare in pubblico: qualche suggerimento (5)

Come promesso, a partire da oggi inizieremo a vedere alcuni esempi pratici riportati dalla rivista "Riza Scienze" su come instaurare una relazione tra chi parla e chi ascolta.

Situazione 1: 
Problema da evitare
Scenario - Non volete essere interrotti dalle domande del pubblico mentre tenete il vostro discorso

Esempio di cornice esplicita
Vi chiedo la cortesia di porre tutte le domande alla fine, dal momento che a molte risponderò già all'interno del mio discorso. Dedicheremo un ampio spazio, dopo l'intervento, per rispondere a tutti i vostri quesiti.

Esempio di cornice implicita
Avete tutti un blocco e una penna per segnare le domande che potrete fare dopo l'intervento? Chi di voi le ha? Qualcuno può condividere queste cose con i colleghi che non le hanno? Bene, possiamo cominciare?

A domani per la scenario due.

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martedì 25 settembre 2012

Parlare in pubblico: qualche suggerimento (4)

Qual è la differenza tra un oratore alle prime armi che è terrorizzato dall'idea di parlare a un pubblico e un oratore esperto?
Ancora una volta la leggiamo su "Riza Scienze":

Ritratto di un oratore focalizzato su se stesso

Prima di entrare in scena ripassa mentalmente quello che dirà, il più delle volte non ricordando nulla, avvertendo un senso di vuoto nella sua mente.

Ripete a se stesso di non avere paura.
Spera di non fare brutta fgura e si immagina scene in cui arranca di fronte alla platea.
Controlla i battiti del suo cuore e si augura che le mani non sudino troppo.

Quando parla è focalizzato sulla scaletta che ha preparato, si preoccupa di non saltare nemmeno un punto e di essere inappuntabile.
La cosa migliore che gli possa capitare, pensa, è ricevere un lungo applauso finale e che le persone si complimentino con lui. Vuole fare bella figura!

Ritratto di un oratore perfetto

Sorride prima di entrare in scena: lo fa perché il cuore batte, ha il giusto timore e sa che almeno sorridendo convincerà se stesso di essere un po' più calmo e vivrà quei minuti un po' meglio.

Sbircia il pubblico, non per controllare quanto ce ne sia in sala, ma per capire che tipologia di persone avrà di fronte e quale potrebbe essere il modo migliore di iniziare e a quale volume dovrà portare la sua voce.

Quando arriva il momento di entrare in scena non sa esattamente cosa dirà, ma non importa: si tratta solo di salutare e sorridere.

Quando poi tiene il discorso non smette di avere paura, provare timore, sentire il cuore che batte all'impazzata, semplicemente queste sensazioni passano in secondo piano sostituite dal calore e dall'attenzione che dedica al messaggio che vuole trasmettere perché chi ha di fronte lo colga.

Non perde il filo e raramente ha intoppi, ma se si verificano l'unico a farci caso è lui e i pochi che se ne accorgono non li vivono come un problema, ma solo come normali tentennamenti.

Se dimentica una parte del discorso, si ferma per rileggere i propri appunti: non si giustifica, sa che non c'è nulla di male nel farlo. 
Nel rispondere a una domanda, guarda negli occhi il suo interlocutore. Tuttavia non commette l'errore comune di rivolgersi a una sola persona perché ciò che conta è far arrivare il messaggio a tutti e, quindi, si rivolge d'istinto a ogni persona presente condividendo il dibattito. Non si inceppa e, se accade, si ferma per un istante, ci scherza e ricomincia a parlare.

Domani vedremo alcuni esempi pratici che ci insegneranno come costruire una relazione con il pubblico che ascolta.


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lunedì 24 settembre 2012

Parlare in pubblico: qualche suggerimento (3)

Se avete letto e seguito i consigli di "Riza Scienze" che abbiamo riportato nelle due puntate precedenti, forse ora avete voglia di scoprire cosa avete trasmesso ai vostri interlocutori comportandovi in un certo modo.
Scopriamolo insieme:
  • sapete prendervi i vostri spazi
  • sapete concedere alla platea i suoi
  • probabilmente non siete lì per errore o per caso
  • potete rivolgervi direttamente a chi vi ascolta
  • li tenete in considerazione
  • non avete paura di incrociare il loro sguardo
  • siete a vostro agio
  • siete sicuri di voi stessi
  • avete qualcosa da dire
  • non avete fretta di dirlo
  • sapete stare zitti e in silenzio senza che la cosa vi mandi nel panico
  • ascoltate chi avete di fronte
  • darete loro il tempo di rispondere
  • non hanno nulla da temere da voi
  • e avete almeno un motivo per sorridere! ;o)
 Domani vedremo insieme la differenza tra un oratore che ha paura di parlare in pubblico e un oratore perfetto.

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venerdì 21 settembre 2012

Parlare in pubblico: qualche suggerimento (2)

Continuiamo a leggere i pezzi salienti del numero monotematico che "Riza Scienze" ha voluto dedicare all'esposizione in pubblico.

Fare il "Faro" mette a proprio agio il pubblico

Il "Faro", finché non vi sarete abituati e non riuscite a farlo spontaneamente, è un buon modo di mettere a proprio agio il pubblico e, a volte, anche se stessi!
Normalmente, infatti, le persone sono intimorite dal raggiungere il centro di una platea perché si ritrovano improvvisamente con tutti gli occhi addosso e questo genera ansia, allora cercano per prima cosa di dire o fare qualcosa di intelligente per rompere il ghiaccio e conquistare chi hanno di fronte.

Al contrario, con le due mosse precedenti, la situazione è stata rovesciata e sfruttata con vantaggio. Raggiungendo con decisione e tranquillità il centro della scena e incrociando senza timore lo sguardo con i vostri interlocutori, senza fare nulla per impressionarli o ingraziarveli, senza averne timore ma anche senza spavalderia, avete compiuto quella che in sociologia applicata si chiama "dimostrazione di valore sociale". Avete trasmesso implicitamente che non hanno nulla da temere da voi e gli avete dato tempo di inquadrarvi e abituarsi alla vostra presenza, prima di inondarli di parole.

Questo atteggiamento si rivolge direttamente al nostro cervello rettile, la parte più antica della corteccia cerebrale. In modo simile agli animali che si studiano a vicenda, anche per le persone è importante farsi un'idea di chi hanno di fronte e lasciare loro tempo di farlo rimandendo in silenzio viene percepita istintivamente come una forma di estremo rispetto.

Lunedì vedremo cosa, agendo in modo così semplice e tranquillo,avremo già trasmesso al nostro pubblico. Mi sono sembrate considerazioni interessanti, non mancate!

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giovedì 20 settembre 2012

Parlare in pubblico: qualche suggerimento

La rivista "Riza Scienze" di agosto riportava alcuni consigli, più o meno utili e più o meno scritti bene, per parlare in pubblico.
Dato che la paura di esprimersi davanti a una platea di persone sembra sia addirittura la seconda a livello mondiale tra le fobie che spaventano l'uomo (la prima è la paura dei ragni, l'avreste mai detto?) ecco che abbiamo pensato di riproporvi i passi più interessanti del numero monotematico.

Buona lettura!

Mossa n° 1

Guadagnare il centro della scena prima di fare qualunque altra cosa

Che vi introducano o meno, che ci sia un applauso o dei fischi a farvi da cornice, guadagnate il centro della scena in silenzio.
Avanzate con passo deciso: camminate con sicurezza, ma senza correre. A meno che non vi venga naturale sorridere, non preoccupatevi di lasciar trasparire sul viso alcuna emozione. Se dovesse accadere, semplicemente non fateci caso e lasciatela andare.
Siate, per quanto possibile, naturali e neutri, come se la vostra performancenon fosse ancora iniziata. E, in effetti, non lo è: non abbiate fretta di cominciare.

Mossa° 2

Guardare negli occhi il pubblico, sorridere, salutare e..."lasciarsi giudicare"

Una volta guadagnato il centro della scena, rimanendo fermi sul posto, sfoderate un sorriso e guardate le persone che formano il vostro pubblico negli occhi per quanto possibile, una alla volta.
Conclusa questa carrellata di sguardi, salutate con una formula immediata e accessibile ad esempio un semplice "Buonasera".  Fatto questo rimanete in silenzio, continuando a sorridere per tre o quattro secondi e lasciate che le persone si abituino a voi, facendosi inevitabilmente un'idea, non importa quale.

Rispettando questi due semplici punti, avete appena inziato un discorso in pubblico...come un professionista.

A domani per continuare il discorso. Nel frattempo, se lo desiderate, potete dire come la pensate voi e se parlare in pubblico vi spaventi o meno.

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mercoledì 19 settembre 2012

Decisioni e framing (3)

Avete preso le vostre decisioni e scelto l'alternativa preferita tra quelle proposte ieri e l'altro ieri?
Bene, leggiamo ora cosa scrive Rino Rumiati:

"Come si può osservare i due problemi sono equivalenti. Infatti, prevedere che 200 persone saranno salvate (nel caso del programma 1), rispetto alla previsione di 600 persone morte, è la stessa cosa
che fare la stima di 400 persone morte (nel caso dell'adozione del programma 3). Altrettanto equivalenti sono gli altri due programmi: sia in 2 che in 4 c'è 1/3 di probabilità che si salvino 600 persone.
Nonostante questa equivalenza strutturale si osservarono forti differenze nelle risposte date dai soggetti appartenenti ai due gruppi. Il 72% dei soggetti cui erano state presentate le prime due
opzioni sceglieva il programma 1; mentre il 78% dei soggetti ai quali erano state presentate le opzioni nella seconda formulazione sceglieva il programma 4.


Secondo Tversky e Kahneman i soggetti, di fronte alle due formulazioni, si rappresentano i problemi, cioè elaborano dei frames, in maniera differente nelle due condizioni. Il problema formulato nel primo modo viene elaborato come frame di guadagni, ossia in termini di vite salvate. La scelta prevalente dell'opzione sicura (1) è la scelta tipica di avversione al rischio nel dominio dei guadagni. 
Il problema nella sua seconda formulazione viene invece elaborato come frame di perdite, ossia in termini di vite perdute. In tal caso, la scelta prevalente dell'opzione rischiosa (cioè 4) è il comportamento tipico della ricerca del rischio nel dominio delle perdite."

Interessante, vero? Quanto abbiamo appena letto ci fa comprendere come le nostre decisioni che crediamo "autonome" siano spesso pesantemente influenzate dalla cornice dentro la quale ci vengono presentate le possibili alternative. Del resto i bravi decision maker questo lo sanno molto bene... ;o)

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martedì 18 settembre 2012

Decisioni e framing (2)

Continuiamo il discorso iniziato ieri e ispirato al libro "Decidere" di Rino Rumiati e riproponiamo la situazione già presentata:

Si immagini che gli USA si stiano preparando a fronteggiare un'insolita malattia asiatica a causa della quale ci si aspetta debbano morire 600 persone. Vengono proposti due programmi alternativi per combatterla

ipotizzando, però, che le nuove ipotesi tra cui scegliere siano queste:
  • programma 3 - se verrà adottato il programma 3, 400 persone moriranno;
  • programma 4 - se verrà adottato il programma 4, c'è 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità che muoiano 600 persone
 Scegliete sempre d'istinto. Appuntamento a domani...


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lunedì 17 settembre 2012

Decisioni e framing

Sto rileggendo "Decidere" di Rino Rumiati e mi sono imbattuta nella teoria dell'incorniciamento o "framing" sulla quale penso valga la pena spendere qualche parola.
Prima di farlo, però, vi chiedo di provare a leggere il brano seguente e di scegliere d'impulso l'alternativa che preferite:

Si immagini che gli USA si stiano preparando a fronteggiare un'insolita malattia asiatica a causa della quale ci si aspetta debbano morire 600 persone. Vengono proposti due programmi alternativi per combatterla. 
Si assuma che le stime scientifiche esatte delle conseguenze dei programmi siano le seguenti:
  • programma 1 - se verrà adottato il programma 1, 200 persone saranno salvate;
  • programma 2 - se verrà adottato il programma 2, c'è 1/3 di probabilità che si salvino 600 persone e 2/3 di probabilità che nessuno si salvi 
 Scegliete!

A domani per la continuazione...

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venerdì 14 settembre 2012

Che cos' è un progetto? (5)

Un progetto ha, essenzialmente, due caratteristiche essenziali per poterlo definire tale:
  • la complessità - un progetto, per potersi fregiare di questo nome - dovrà avere una propria complessità (il che non significa necessariamente che dovrà essere complicato). Questa complessità è dovuta al fatto che in un progetto vengono gestite molte risorse e molti mezzi  attraverso una serie di competenze che non fanno capo a una sola persona. Queste risorse, questi mezzi e queste competenze dovranno essere coordinate, al fine di lavorare insieme per raggiungere l'obiettivo posto
  • l'unicità - non esistono due progetti identici. Malgrado le somiglianze che possiamo trovarci, infatti, ogni progetto contiene al suo interno delle peculiarità di cui bisognerà tenere conto.
Esistono, poi altre due caratteristiche che sono tipiche di un progetto:
  • la necessità di una struttura non permanente e specifica che si sovrapporrà e farà appello alle risorse della struttura permamente dell'organizzazione
  • l'identificazione del cliente del progetto e di chi realizzerà il progetto  stesso

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giovedì 13 settembre 2012

Che cos' è un progetto? (4)

Ieri vi abbiamo posto una semplice domanda: che differenza c'è tra un programma e un progetto? Vediamolo insieme partendo dalle definizioni più comuni di "programma":
  • un programma è un insieme di operazioni specifiche e dipendenti una dall'altra che si rendono necessarie per centrare un certo numero di obiettivi stabiliti all'interno di un quadro strategico
  • un programma è un gruppo di progetti condotti in maniera coordinata tra loro al fine di ottenere un risultato ipotizzato
  • un insieme coordinato di attività tecniche, amministrative, finanziarie, ecc. destinato a concepire, sviluppare, realizzare e utilizzare un prodotto, un servizio o un sistema
Riassumendo, un programma è un insieme di progetti pilota che cercano coerentemente tra loro di raggiungere un obiettivo globale. L'obiettivo di ciascun progetto è definito e soddisfa, in parte, l'obiettivo generale del programma.

Vi interessa, a questo punto, scoprire quali sono le due caratteristiche principali di un progetto? Lo vedremo domani.

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mercoledì 12 settembre 2012

Che cos' è un progetto? (3)


I processi sono costituiti sempre da due grandi fasi:
  1. una fase di disordine - in questa fase, partendo dal "sogno" e dall'attesa, si definisce più precisamente il bisogno (l'obiettivo del nostro progetto) e si cercano soluzioni che vanno studiate in base ai vincoli legati al progetto stesso (budget, tempistiche, performance attese, ecc.)
  2. una fase di ordine - in questa seconda fase vengono definite tutte le azioni importanti per giungere alla soluzione progettata. Le singole azioni vengono affidate alle diverse persone che dovranno portarle a termine entro un certo tempo e secondo una certa tempistica. Vengono stabiliti i controlli da farsi e le fasi nelle quali esercitarli
Ma che differenza c'è tra un progetto e un programma? Se non lo sapete, restate con noi perchè ne parleremo domani.

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martedì 11 settembre 2012

Che cos' è un progetto? (2)

Continuiamo il discorso iniziato ieri provando a calare il termine "progetto" in un ambito manageriale.

Per un manager un progetto è:
  • il cammino tracciato per passare dalla semplice idea alla realizzazione di qualcosa
  • l'insieme delle azioni da svolgere per realizzare le attese
Eccovi, dunque, altre due definizioni che tengono conto dell'idea di progetto nel campo del management:

- insieme di azioni tese a realizzare un'attesa definita all'interno di un quadro ben preciso
- un ambiente ben stabilito che permette di strutturare in maniera metodica la realtà futura

Un progetto viene definito e messo in opera per elaborare la risposta al bisogno di qualcuno (cliente, personale, azienda, fornitore, ecc.) e implica un obiettivo e delle azioni da intraprendere con le risorse assegnate.

Domani vedremo le due grandi fasi che costituiscono i progetti. Non mancate!

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lunedì 10 settembre 2012

Che cos' è un progetto?

Ci troviamo spesso a parlare di progetti su QualitiAmo ma qualcuno di voi sa spiegare esattamente cosa si intenda per "progetto"?

Per la gente comune un progetto è l'intenzione di fare qualcosa, un sogno, un'aspirazione.
Consultando il dizionario troviamo due definizioni che calzano a pennello per questo termine inteso in senso lato:

"immagine di una situazione attesa"
e
"ciò che si ha intenzione di fare"

Molière nel suo "Tartufo" illustra il termine "progetto" facendo dire a un suo personaggio:
"il cammino dal progetto alla cosa in sé è molto lungo".

Il progetto che, però, interessa a noi è quello che presuppone una volontà determinista o, per dirla in altro modo, passare dal sogno alla realtà: in una parola: "management".

Proseguiremo il discorso domani.

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venerdì 7 settembre 2012

Rifiutare la candidatura di un potenziale collaboratore

Una volta terminata la serie di colloqui di lavoro tesa a farvi trovare un nuovo collaboratore da assumere, le buone regole del management insegnano che - per correttezza - bisognerebbe contattare tutti i candidati rifiutati per informarli che la selezione si è conclusa. 


Un esempio di lettera di rifiuto che è possibile utilizzare in questi frangenti è riportata qui di seguito:


Data .....................
Oggetto: candidatura ricerca di lavoro ......................

Gentile Sig. .........,

con riferimento alla posizione professionale di cui all'oggetto, la ringraziamo per aver partecipato ai nostri colloqui a scopo conoscitivo.

 
Mi dispiace doverla informare che, dopo attenta valutazione, la nostra scelta è ricaduta su un altro candidato le cui qualifiche ed esperienze sono risultate più idonee alle nostre esigenze.


Siamo felici dell'interesse che ha dimostrato per la nostra società e la informiamo che conserveremo il suo nominativo per eventuali colloqui futuri che potrebbero essere di suo interesse. 

In ogni caso, cogliamo l'occasione per augurarle di concludere presto e con successo la sua ricerca di un nuovo posto lavoro.

Cordiali saluti,

.....

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giovedì 6 settembre 2012

Raccogliere referenze su un candidato

Sebbene non vi sia alcun obbligo da parte di un datore di lavoro di fornire le referenze di chi abbia lavorato per lui, la maggior parte è ben felice di farlo.  
Quando vi troverete, dunque, a scegliere un nuovo collaboratore che vi abbia autorizzato a contattare i suoi precedenti datori di lavoro, cercate di raccogliere quante più referenze possibile per cercare di conoscere meglio e più a fondo il candidato che avete scelto di assumere.

Per assicurarvi di ottenere tutte le informazioni che vi servono su un potenziale dipendente, il modo migliore di agire è quello di fornire a chi deve darvi le referenze uno schema di riferimento come quello che riportiamo qui sotto. Meglio ancora sarebbe contattare telefonicamente l'ex datore di lavoro del vostro candidato e tenere davanti a voi questo schema per non dimenticare di fargli tutte le domande che vi stanno a cuore.

Domanda di richiesta referenze


Nome del potenziale dipendente:Ragione Sociale dell'azienda che sta effettuando la selezione:Indirizzo della società:Nome della persona che chiede le referenze:Ruolo ricoperto:Numero di telefono: 
Periodo di tempo in cui l'ex dipendente ha lavorato per l'azienda:Ruolo ricoperto:Principali responsabilità:Il dipendente è stato mai sottoposto ad alcun procedimento disciplinare?
Il dipendente è stato onesto?
Il dipendente è stato affidabile?
Il dipendente è stato puntuale?
Il dipendente ha fornito performance soddisfacenti?

E' a conoscenza di qualche motivo per cui non dovremmo assumerlo?


Si prega di fornire tutte le ulteriori informazioni che ritiene possano essere rilevanti ai fini di un'assunzione.
Firma: 

Nome: 
Data: 
Posizione: 
Numero di telefono:
 
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mercoledì 5 settembre 2012

Il fattore "wow" (2)

Ieri abbiamo introdotto il "fattore wow" ma come si fa a riprodurlo e a far sì che accada più spesso in modo da farci crescere come lavoratori e professionisti?
La risposta è semplice: credendoci.

Credendo in noi stessi si può evitare di sperare per il meglio e di lasciare che le cose capitino per caso e si può - invece - provare a visualizzare noi stessi nel pieno di un momento wow.


La pratica è molto importante: impegnatevi come se il compito che dovete svolgere potesse far capire a tutti che siete in uno dei vostri momenti migliori e provate a riprodurre quella sensazione. Non sarà facile e forse non riuscirete a raggiungere le vette toccate in passato ma avrete il vantaggio di rendere "quotidiano" qualcosa che è straordinario, seppure senza raggiungere i livelli delle vostre giornate migliori.

La prima cosa da fare è credere in noi stessi. Dovremo, poi, prenderci un bel po' di tempo per lavorare sull'attività che dobbiamo svolgere e chiedere aiuto a chi si impegna a farci crescere professionalmente per verificare i nostri progressi che saranno lenti ma costanti.


Non si può credere di poter fare bene qualcosa fino a quando non si dispone di quel momento improvviso di fiducia in noi stessi che ci porta a fare un primo passo verso qualcosa di straordinario. Ecco...il segreto sta tutto qua: sforzarsi di ricreare quella fiducia.
Una volta che avremo "assaggiato" quella sensazione ineguagliabile di potere, sarà difficile dimenticarla e avremo voglia di riprodurla ancora e ancora.


Per costruire fiducia in noi stessi è fondamentale sapere fare bene le nostre cose e cercare di lavorare con persone capaci di darvci un feedback onesto ma anche di farci sentire bene con noi stessi. 

 Dunque: pratica, pratica, pratica. Questo è l'unico modo per essere sempre all'altezza di un "wow!"
 
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martedì 4 settembre 2012

Il fattore "wow"

Molti libri americani di management si sono occupati spesso del cosiddetto "fattore wow". 
Il fattore wow è quella cosa che ognuno di noi ha, anche se molte persone lo tengono ben nascosto, e che, se incoraggiato, riuscirebbe a farci risaltare in mezzo a tutti gli altri.

Credereste, ad esempio, che Winston Churchill fosse uno studente universitario piuttosto scarso e che gli scritti della famosissima J.K. Rowling fossero stati rifiutati moltissime volte dagli editori prima di Harry Potter? Eppure in entrambi covava il fattore wow che, per fortuna, sono riusciti a tirare fuori al momento giusto.

Ma dove troviamo il fattore wow? Ad esempio in un buon discorso che abbiamo fatto quella volta in cui ci siamo resi conto che tutti ci stavano ascoltando con grande attenzione, oppure quando avete sentito di essere infallibili e che tutto, davvero tutto, potesse accadere.
 

In poche parole: stupore e meraviglia.
 
Tutti hanno momenti simili nella loro vita perché tutti, prima o poi, facciamo qualcosa che "accende la luce" e ci trasforma (anche se per breve tempo). E' proprio in quel momento, quando il mondo esterno ci guarda con occhi nuovi, che dobbiamo essere consci del nostro talento (o che, da manager, dobbiamo riuscire a cogliere il talento altrui).

 
E' un po' come innamorarsi, anche se si tratta di innamorarsi di ciò che si fa in ufficio.


A domani per continuare il discorso.

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lunedì 3 settembre 2012

Il nuovo ruolo del manager

Vi siete accorti di quanto - negli ultimi anni - l'emergere di nuove tecnologie (in particolare degli
strumenti di lavoro tesi alla collaborazione) e l'ingresso nel mondo del lavoro dei nativi digitali abbiano profondamente rivoluzionato l'attività dei manager?


Oggi un bravo manager non dovrebbe più gestire le cose come si faceva 20 anni fa. Da un ruolo di vecchio stampo basato sul comando e sul controllo, sul dare ordini e sul controllare la loro esecuzione, i bravi manager dovrebbero essere capaci di passare a comportamenti in grado di adattarsi alla nuova situazione meno gerarchica e più centrata sulla collaborazione e sulla fiducia che sull'esercizio del potere.
 
L'informazione - come abbiamo visto moltissime volte - sta diventando pervasiva, dentro e fuori l'azienda. Il manager non può più essere soddisfatto solamente dalla sua conoscenza (una volta
esclusiva e riservata ai quadri) utilizzata come attributo del potere.
L'ambiente tecnologico spinge inevitabilmente il manager avveduto a far crescere ulteriormente i membri della squadra e a responsabilizzarli.

 
In definitiva, grazie ai moderni strumenti che ci permettono una supervisione del lavoro con meno invadenza, il ruolo di "manager" che ordina e controlla in maniera pesante può andare definitivamente in pensione, a vantaggio di quello di supervisore del lavoro di squadra.


Nella vostra organizzazione i manager hanno già fatto questo salto culturale?

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