Seconda parte del discorso iniziato ieri: fabbrica tradizionale "contro" fabbrica visuale.
La fabbrica visuale
Questi tre messaggi verrebbero comunicati in modo diverso in una fabbrica gestita attraverso il visual management?
Per scoprirlo, torniamo alla macchina e al nostro operaio di ieri. La prima cosa che attira la nostra attenzione, questa volta, è un tabellone con due scritte tracciate a pennarello.
La prima è rossa: "Entro le ore 12 di venerdì produrre 650 pezzi per il cliente XXX".
La seconda è blu: "240 prodotti".
Oggi è giovedì e sono già le 18. E 'chiaro che siamo in ritardo. Tutti, in reparto se ne possono rendere conto facilmente.
Continuiamo la nostra indagine e soffermiamoci su un pannello situato in fondo al reparto, nella zona relax dove c'è la macchina del caffé.
Una curva rappresenta l'evoluzione di un indicatore di qualità: la percentuale di articoli accettati dal reparto di assemblaggio. Verso la metà del mese si nota un'improvvisa flessione, sottolineata da una nuovola che nasconde il sole che brilla incontrastato sul grafico della prima parte del mese.
"Tempi duri", dicono gli operai, "aspettiamoci una ramanzina".
Infine, accostiamoci all'ultimo tabellone il cui titolo recita: "Gestione della forza lavoro".
E' diviso in due. Da una parte i nomi dei lavoratori, dall'altra una tabella che ne registra le assenze previste per i prossimi tre mesi.
A qualunque operatore basta dare un'occhiata per vedere se, nelle prossime settimane, può chiedere o meno un periodo di ferie, in base alle presenze garantite dagli altri colleghi.La percezione dell'impossibilità di fare le ferie a breve è totalmente diversa. Si vede che c'è una parità di condizioni per tutti, perché è ben visualizzata.
Questi, ovviamente, sono solo degli esempi.
Chi di voi ha voglia di raccontare agli altri quali tipologie di controllo visuale esistono nella sua organizzazione? Questa volta abbiamo parlato di un reparto produttivo ma vanno benissimo anche spunti presi dagli uffici, dagli ospedali, ecc.
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venerdì 29 luglio 2011
Fabbrica visuale e fabbrica tradizionale (2)
giovedì 28 luglio 2011
Fabbrica visuale e fabbrica tradizionale
Il caporeparto si avvicina all'operatore e gli dice: "Ehi, siamo in ritardo con la produzione dei pannelli. Bisogna darsi da fare!"
Come potrà reagire l'operaio che ha la sensazione di lavorare già a un buon ritmo? Probabilmente risponderà in questo modo: "A me sembra di fare già il massimo!"
"Beh, non basta!" risponderà il capo.
Accompagnamo ora il caporeparto che, entrando nel suo ufficio, trova sulla scrivania una nota firmata dal capo del reparto Montaggio che afferma: "molti dei pezzi inviati al controllo il mese scorso non vanno bene. I miei operai mi dicono che ci hanno messo il doppio del tempo per montarli. Chiamami subito quando torni".
"E' impossibile!", sbraita il caporeparto al telefono col collega, "abbiamo fatto tutto come al solito! Non sarà una scusa per giustificare il vostro ritardo?"
Il dubbio riguardo alle informazioni che riguardano una qualità scarsa di ciò che si è fabbricato è una reazione del tutto normale: a nessuno piace essere accusato di aver causato problemi.
Appena terminata la conversazione con il responsabile del Montaggio, squilla il telefono nell'ufficio del caposquadra. E' la risposta del responsabile del Personale alla richiesta di ferie dell'operaio di prima: "Niente da fare, ci sono già troppe persone in ferie in questi giorni. Bisogna rimandare".
Il caporeparto torna indietro e, ancora nervoso per la conversazione col collega del Montaggio, comunica bruscamente la notizia all'operaio che ascolta in silenzio e pensa: "Questa è sicuramente una ritorsione per come ho risposto prima quando mi ha chiesto di accelerare la produzione".
Domani vedremo insieme come si sarebbero svolte probabilmente le cose in una fabbrica gestita attraverso il visual management.
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mercoledì 27 luglio 2011
L'inerzia attiva
Avete mai sentito parlare del concetto, all'apparenza antitetico, di "inerzia attiva"?
L'idea si deve a Donald Sull, un professore della London Business School e nuovo guru del management.
Il concetto di inerzia attiva si basa sull'osservazione che, spesso, i manager affrontano una situazione completamente nuova utilizzando risposte vecchie.
Sull afferma, infatti, che "la tendenza del management è quella di rispondere ai cambiamenti più dirompenti con azioni che sono risultate vincenti nel passato".Ancora, Sull paragona i manager afflitti da inerzia attiva ad un'auto bloccata nel fango che, premendo all'impazzata sull'acceleratore, cerca di tornare sulla strada normale ma, ovviamente, si impantana sempre di più.
Un bravo manager, invece, deve essere in grado di anticipare e prepararsi a rispondere alle opportunità del mercato e ad affrontare adeguatamente le minacce che non può né prevedere né controllare pienamente.
Mentre le aziende aspettano che succeda qualcosa, ci sono un sacco di cose utili che possono fare come, ad esempio, snellire le operazioni, provare a prevedere gli scenari futuri e così via.Per evitare l'inerzia attiva, dice Sull, i leader non devono marciare verso un futuro ben definito ma provare ad articolare una visione sfocata del futuro in modo da avere un indirizzo generale per procedere e mantenere la capacità di reagire agli imprevisti.
Cosa ne pensate?
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martedì 26 luglio 2011
I 5 errori che distruggono il miglioramento continuo (5)
Ultima parte del nostro lungo ragionamento teso ad individuare gli errori nell'impostazione di un progetto di miglioramento.
5) Adottare indicatori errati
Il quinto errore che viene spesso fatto quando si cerca di migliorare è quello di stabilire misurazioni inutili, ridondanti o incapaci di restituire una "fotografia" veritiera del lavoro fatto.
Spesso si tende a non allontanarsi dagli indicatori conosciuti e già utilizzati senza pensare a ciò che, invece, meglio rappresenterebbe la situazione.
Trovare gli indicatori giusti, però, è fondamentale perché ci aiuta a comprendere se stiamo procedendo nella direzione giusta oppure no. Ricordate che i buoni dati sono la base per le buone decisioni.
Prendetevi, dunque, del tempo per definire un buon sistema di misura del vostro progetto e per validarlo.
Misurare le cose sbagliate o nel modo sbagliato, infatti, vi condurrà su una cattiva strada.
Buon lavoro!
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lunedì 25 luglio 2011
I 5 errori che distruggono il miglioramento continuo (4)
Siamo arivati al penultimo punto al quale prestare attenzione se non vogliamo veder fallire il nostro processo di miglioramento:
4) Selezione non attenta del progetto di miglioramento
Spesso non si presta la dovuta attenzione al progetto che viene scelto per iniziare la nostra attività di miglioramento continuo.
La frase che si sente ripetere più spesso in questi casi è: "abbiamo tanti di quei problemi qui. Partire da uno o dall'altro non fa differenza. La cosa importante è iniziare a migliorare".
Invece no. Vediamo perché.
Scegliere un progetto a caso, magari completamente scollegato dalle strategie aziendali, potrebbe portare confusione nelle persone che perderebbero di vista ciò che è davvero importante per l'azienda.
Se, ad esempio, la Direzione ha spiegato per filo e per segno che occorre ampliare la nostra fetta di mercato e che la strategia annuale è stata impostata in modo da portare a questo importante risultato, un progetto di miglioramento volto ad aumentare la produttività di un certo processo potrebbe stupire i nostri colleghi se non gli viene data una giusta collocazione all'interno della strategia stessa.
La responsabilità di scegliere quale miglioramento implementare non andrebbe mai delegata ma dovrebbe restare appannaggio della Direzione che ha la visione completa della strategia da adottare. Ricordate che vi serve credibilità per combattere sul nascere lo scetticismo dei più restii al cambiamento.
Oltre che per la sua pertinenza con la strategia adottata dall'azienda, un progetto di miglioramento andrebbe scelto sulla base di altri criteri. Ad esempio, dovrà essere grande abbastanza da essere ritenuto importante ma non così smisurato da non riuscire a coglierne i confini. Le tempistiche per il suo completamento, poi, non dovrebbero superare i 6 mesi ma se si riescono ad accorciare è ancora meglio.
Il modo migliore per individuare il progetto giusto è quello di presentare alla Direzione una rosa di candidati in modo che possa scegliere il migliore secondo i criteri presentati sopra.
A domani per l'ultima parte della discussione!
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venerdì 22 luglio 2011
I 5 errori che distruggono il miglioramento continuo (3)
Siamo arrivati al terzo grande errore che si fa quando si imposta male un progetto di miglioramento:
3) Comunicazione inadeguata
Comunicare è importantissimo ma, per chi si occupa di Qualità, è addirittura fondamentale.
La capacità di comunicare bene il proprio pensiero, però, è una vera e propria competenza che andrebbe forgiata e sviluppata e che spesso, invece, è trascurata.
Potremmo azzardare dicendo che un progetto di miglioramento è, per gran parte, sostenuto dalla sola comunicazione:
- la comunicazione di chi deve spiegare cosa si vuole fare e perché
- la comunicazione di chi deve illustrare le fasi del progetto
- la comunicazioni di chi deve sostenere il progetto
- infine, la comunicazione di chi deve convincere le persone della necessità del miglioramento
Troppo spesso, invece, si stanziano budget, si assumono consulenti e si investono risorse lasciando che le voci di corridoio (per loro stessa natura incontrollate) sostituiscano una comunicazione istituzionale chiara ed esauriente.
Comunicare significa molto di più che trasmettere idee e informazioni. Il processo, infatti, include anche altre due fasi fondamentali: l'ascolto e il feedback.
Non state comunicando con i vostri colleghi se non riuscite a coinvolgerli attivamente nella discussione e a tirare fuori i loro dubbi, le perplessità, gli stati d'animo negativi e le paure.
Se questa base (che va a costituire nel complesso un vero e proprio sistema di rifiuto) non viene minata attraverso una comunicazione efficace, non riuscirete mai a coinvolgere le persone nella necessità di un cambiamento.
Una strategia comunicativa dettagliata è, dunque, assolutamente obbligatoria se vogliamo avviare bene un progetto di miglioramento.
Nel prepararla, non dimenticate l'importantissima fase di follow-up che vi permetterà di verificare "in corsa" come sta funzionando la vostra comunicazione ed, eventualmente, di correggere il tiro.
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giovedì 21 luglio 2011
I 5 errori che distruggono il miglioramento continuo (2)
Passiamo al secondo grande errore che fa spesso chi vuole implementare progetti di miglioramento, anche se assolutamente in buona fede.
2) Trascurare la necessità di un cambiamento
Il secondo grande errore che fa chi vuole migliorare ma non riesce a convincere i colleghi a seguirlo è quello di provare a forzarli, magari "obbligando" la Direzione a fare proclami e a punire chi non partecipa attivamente al progetto.
Forzare chi è riluttante, però, non vi porterà da nessuna parte perché non si può obbligare le persone a "fare Qualità", si può solo convincerle.
Fino a quando non spiegherete ai vostri colleghi che gli obiettivi di miglioramento che l'organizzazione si è posta sono NECESSARI per rimanere sul mercato, per battere la concorrenza, per migliorare il vostro utilizzo delle risorse, per garantire un futuro sereno a chiunque lavori nella struttura, ecc. nessuno vi seguirà se non coloro che, per natura, sono già portati a migliorare e a migliorarsi su base quotidiana.
E' una semplice questione culturale: fino a quando non riuscirete a cambiare la cultura della vostra azienda, convincendo le persone che proporre miglioramenti e partecipare ai miglioramenti proposti dagli altri è semplicemente parte del loro lavoro, dovrete agire in un altro modo e fare della persuasione la vostra arma vincente.
Frasi come "entro l'anno tutti voi riceverete la formazione necessaria per poter partecipare attivamente al programma di miglioramento" e "chi non parteciperà a questo progetto in maniera proattiva non avrà nessuna possibilità di avanzamenti di carriera" non vi porteranno da nessuna parte. Richiami disciplinari e provvedimenti di diversa natura non sostituiranno la convinzione.
Chi è convinto parteciperà, chi non è convinto - nella migliore delle ipotesi - parteciperà solo a chiacchiere.
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mercoledì 20 luglio 2011
I 5 errori che distruggono il miglioramento continuo
Migliorare su base continua è un requisito della norma eppure molti di voi ci raccontano che non è affatto facile e che, nonostante l'impegno, i miglioramenti effettivi alla fine dell'anno sono sempre pochi.
Come mai? Ci sono forse degli errori che ci mettono nelle condizioni di non migliorare? Sì, purtroppo. Sono 5 e sono micidiali.
Vediamoli insieme.
1) Chi esercita la leadership non è coinvolto nei miglioramenti
L'abbiamo detto molte volte: se i vertici di un'organizzazione predicano la Qualità a parole ma non sono i primi a metterla in pratica, non si arriva da nessuna parte.
I programmi di miglioramento non fanno eccezione.
Pensateci su per un attimo: quali sono le strutture (aziende, scuole, ospedali, banche, negozi, ecc.) che vi sembrano funzionare meglio? Sicuramente quelle dove si sente una forte presenza di una supervisione, di un progetto che appartiene a tutti, di obiettivi, di condivisione, di attenzione a coloro che ci danno il pane (ovvero clienti e utenti).
Come coinvolgere, dunque, il boss nei progetti di miglioramento?
Non c'è niente da fare, dovrete fargli vedere vantaggi concreti.
Chi è a capo di qualcosa è abituato a fissare obiettivi tangibili, ad elaborare strategie con uno scopo ben preciso. I progetti legati alla Qualità, invece, sono spesso confusi, fumosi e non vengono illustrati bene.
Rivedete, dunque, il vostro materiale, fate una buona pianificazione dell'intervento di miglioramento, evidenziate i vantaggi che ne deriveranno e cercate di coinvolgere chi vi dovrà supportare. Vedrete che il capo vi appoggerà e che i vostri colleghi ne percepiranno l'impegno in prima persona.
Da domani inizieremo a esaminare gli altri 4 errori che spesso si fanno quando si vuole migliorare.
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martedì 19 luglio 2011
Il ruolo del professionista della Qualità nella ISO 26000 (3)
Terminiamo il lungo discorso relativo alla ISO 26000 esaminando gli ultimi 4 aspetti.
Ambiente
L'impatto sull'ambiente esterno è associato alle abitudini dell'organizzazione, al suo utilizzo delle risorse, alla localizzazione delle sue attività, alla produzione di inquinamento, alla realizzazione di sprechi, ecc.
Questa è forse l'area dove il professionista della Qualità può avere maggiore voce in capitolo perché stiamo parlando della scelta delle materie prime, della progettazione dei processi e dell'impatto che avranno i prodotti risultanti dal nostro lavoro.
Un'idea per iniziare ad affrontare l'argomento potrebbe essere quella di diminuire il volume di materiali utilizzati semplicemente risucendo gli sprechi o imparando a riciclare ciò che si può.
Buone pratiche nel rapporto con gli altri
In questo punto si tratta della condotta etica che l'organizzazione adotta quando si rapporta con gli altri (organizzazioni e individui).
Chi si occupa di Qualità dovrebbe caldeggiare l'integrità delle persone e degli atteggiamenti anche ricordando che solo dipendenti e fornitori trattati eticamente permetteranno all'azienda di raggiungere gli obiettivi stabiliti
Problematiche legate ai consumatori
Chi fornisce prodotti ai clienti ha grandi responsabilità nei loro confronti. Tra queste responsabilità ricordiamo la necessita di fornire informazioni e formazione sul prodotto in modo trasparente, il promuoverne un consumo/utilizzo responsabile, lo spiegare come ridurre i rischi durante il suo utilizzo.
Chi si occupa di Qualità è già portato a massimizzare il valore per il cliente diminuendo gli errori e migliorando la funzionalità dei prodotti.
Coinvolgimento della comunità
La ISO 26000 caldeggia un atteggiamento proattivo nei confronti della comunità all'interno della quale si svolge il nostro lavoro. Questo significa prevenire e risolvere problematiche, collaborare con le istituzioni locali e con gli stakeholder e aspirare ad essere buoni cittadini all'interno della comunità.
I professionisti della Qualità possono fare in modo di garantire che le necessità degli stakeholder vengano recepite e integrate nei processi decisionali dell'organizzazione.
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lunedì 18 luglio 2011
Il ruolo del professionista della Qualità nella ISO 26000 (2)
Continuiamo il discorso iniziato venerdì prendendo in esame i principi della ISO 26000.
Governance
La governance è un sistema tramite il quale un'organizzazione prende e mette in pratica decisioni per cercare di centrare gli obiettivi che si è posta.
I professionisti della Qualità possono giocare un ruolo fondamentale integrando il modello della Responsabilità Sociale con i processi aziendali
Diritti umani
L'attenzione della ISO 26000 ai diritti umani si articola su due fronti:
- diritti civili e politici di chi lavora per noi
- diritti economici, sociali e culturali (diritto al lavoro, al cibo, alla salute, all'educazione, alla sicurezza, ecc.)
Chi si occupa di Qualità gestisce il processo di selezione e qualificazione dei fornitori e dovrebbe fornire supporto alle attività di valutazione dell'impatto delle azioni dell'organizzazione sulle performance dei colleghi.
Chi meglio di lui dovrebbe essere sensibile a queste argomentazioni?
Procedure
Con il termine generico di "procedure" intendiamo in questo caso tutte le politiche, le pratiche e le istruzioni legate al modo di lavorare all'interno di un'organizzazione. Sono incluse in questo punto le indicazioni relative alle singole responsabilità interne e al controllo sul lavoro affidato all'esterno.
I professionisti della Qualità possono avere voce in capitolo assicurando che i singoli processi siano sicuri ed efficienti, all'interno dell'organizzazione così come all'esterno.
Domani esamineremo gli ultimi 4 punti.
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venerdì 15 luglio 2011
Il ruolo del professionista della Qualità nella ISO 26000
Nell'aprile scorso il "Journal for Quality & Partecipation" si è chiesto quale potesse essere il ruolo di un professionista della Qualità all'interno del processo di implementazione della ISO 26000, lo standard che riguarda la Responsabilità Sociale.
ASQ e Manpower Professional hanno preparato un documento dal titolo: "Social Responsibility and the Quality Professional: the Implications of ISO 26000" per parlare proprio di questo argomento e per spiegare come il ruolo di chi si occupa di Qualità possa essere massimizzato nelle iniziative relative alla Responsabilità Sociale.
Secondo la ISO 26000 la Responsabilità Sociale non si applica semplicemente facendo "qualcosa" al termine del ciclo produttivo (o di progettazione del servizio) ma è un atteggiamento proattivo che deve esistere a tutti i livelli dell'organizzazione e che si deve riscontrare in ogni attività.
I professionisti della Qualità hanno l'atteggiamento e le conoscenze giusti per collaborare al progetto di implementazione della norma e, in fondo, potrebbero rendersi conto che le due attività non differiscono poi di molto perché la ISO 26000 promuove:
- la conoscenza dei rischi, e un miglior percorso decisionale
- la fiducia e la reputazione con un conseguente aumento della forza competitiva
- le buone relazioni con gli stakeholder
- l'innovazione
- la sicurezza dei collaboratori, la loro fidelizzazione e una maggiore serenità
- un migliore reclutamento dei collaboratori e gli sforzi per convincerli a continuare a lavorare per noi
- una maggiore efficienza dei processi, la diminuzione degli sprechi
- trattative trasparenti, assenza di corruzione
- un successo di lunga durata attraverso una politica di sostenibilità
Lunedì vedremo insieme quali sono i principi guida della ISO 26000 e come i professionisti della Qualità possono fornire valore aggiunto nell'applicazione di ognuno di essi.
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giovedì 14 luglio 2011
Fidelizzare i collaboratori
In questo periodo in cui molti ci scrivono raccontandoci che vogliono cambiare lavoro, ci è sembrato giusto fornire qualche input a quelle aziende che non vogliono rischiare di vedere i propri "cavalli di razza" andare a pascolare nel recinto della concorrenza.
Dunque cosa vuole davvero chi lavora con noi e quali sono gli elementi che possono spingerlo a restare, rifiutando una nuova offerta di collaborazione?
Ecco quelli che abbiamo individuato noi ma voi potrete trovarne molti altri, magari partendo proprio da ciò che vorreste e non avete ancora ottenuto.
1) valori personali allineati con quelli dell'organizzazione
2) clienti felici dei prodotti/servizi aziendali che riconoscono la bravura dell'organizzazione
3) consapevolezza che le proprie opinioni vengano ascoltate e contino qualcosa
4) quadro chiaro di ciò che ci si aspetta da noi, del nostro ruolo, della nostra autorità e dei doveri
5) valutazioni a tutti i livelli gerarchici e riconoscimenti per il buon operato svolto
6) rispetto dovuto a tutti i collaboratori, indipendentemente dalla loro posizione gerarchica
7) ambiente sereno che offra capacità di concentrazione
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mercoledì 13 luglio 2011
La valutazione dei fornitori alla Boeing
Quality Progress, la rivista edita da ASQ, nel suo numero dell'aprile scorso ha pubblicato un articolo molto interessante su come Boeing abbia impostato la valutazione delle forniture.
Da quelle pagine ricche di dati e di riferimenti, vi propongo uno schema che mi è piaciuto molto e che riassume, visivamente, i 5 livelli di classificazione dei fornitori del gigante dell'aeronautica.
Come premessa, il GPA (General Performance Assessment) è un indice che si basa sulle performance dei fornitori secondo 4 criteri:
- produzione
- sviluppo
- supporto al cliente (parti di ricambio, modifiche, formazione, ecc.)
- servizi condivisi (site-service, ecc.)
Spedizioni: 100% on time su un periodo di 12 mesi
Qualità: 100% su un periodo di 12 mesi
GPA maggiore o uguale a 4,8 e nessuna segnalazione gialla o rossa
Spedizioni: 98% on time su un periodo di 12 mesi
Qualità: 99,8% su un periodo di 12 mesi
GPA minore di 4,8 ma maggiore di 3,8 e nessuna segnalazione gialla o rossa
Spedizioni: 96% on time su un periodo di 12 mesi
Qualità: 99,55% su un periodo di 12 mesi
GPA minore di 3,8 ma maggiore di 2,8 e nessuna segnalazione gialla o rossa
Spedizioni: 90% on time su un periodo di 12 mesi
Qualità: 98% su un periodo di 12 mesi
GPA minore di 2,8 ma maggiore di 1
Spedizioni: meno del 90% on time su un periodo di 12 mesi
Qualità: meno del 98% su un periodo di 12 mesi
GPA minore di 1
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martedì 12 luglio 2011
Il TPS - La manutenzione preventiva
L'ultimo pilastro del Toyota Production System (TPS) è la manutenzione preventiva (Total Productive Maintenance o TPM).
La strategia alla base della TPM è quella di eliminare i problema potenziali degli impianti produttivi, ovvero eliminare un problema prima che questo si verifichi.
Gli elementi della Total Productive Maintenance sono:
1. massimizzare l'efficacia delle attrezzature e dei macchinari
2. stabilire un sistema rigoroso di manutenzione preventiva per tutta la loro durata
3. farla attuare da diversi dipartimenti aziendali (engineering, operations, manutenzione vera e propria)
4. coinvolgere ogni singolo dipendente, dal top management ai lavoratori della linea
5. motivare la forza lavoro attraverso attività in piccoli gruppi
La manutenzione nello stile occidentale vede come unico responsabile il dipartimento addetto, in una logica di chiara divisione del lavoro.
La manutenzione in stile giapponese, invece, si basa sulla partecipazione di tutti e sull'autonomia degli operatori nella cura della propria attrezzatura.
Secondo il TPS, questo personale costituisce una risorsa vitale per l'azienda perché diagnostica e ripara i problemi ma pratica anche una sorta di "medicina preventiva", fermando le "malattie" (i problemi) prima che questi si verifichino.
Ma cosa succede quando si verifica un problema o un'anomalia? I dettami TPM standard sono:
FERMARE LA MACCHINA (importante perché non si producano anomalie e sprechi)CHIAMARE QUALCUNO CHE POSSA FORNIRE SUPPORTO ATTENDERE
Il personale designato:
- indaga sull'anomalia
- ne identifica la causa
- prende le misure appropriate per risolverla
- mantiene una registrazione dell'intervento al fine di operare un intervento Kaizen (ora o in futuro) per fare in modo che la problematica non si ripresenti in futuro
Obiettivo della TPM è ottenere un'efficienza globale degli impianti, eliminando i tre grandi sprechi che sono ostacoli enormi all'efficacia attrezzature:
down time (macchine ferme)
rallentamenti del lavoro
difettosità (scarti e difetti ma anche rendimento ridotto)
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lunedì 11 luglio 2011
Il TPS - Parliamo di Jidoka
Il Jidoka è un componente centrale del Sistema di Produzione Toyota.
Le origini dell'autonomazione (automazione con una componente umana), o Jidoka come viene chiamata in giapponese, possono essere ricondotte al fondatore di Toyota: Sakichi Toyoda.
Obiettivo di questo strumento è creare prodotti migliori a costi inferiori. Per raggiungerlo il Jidoka si avvale di due principi:
- nel processo di produzione le macchine si fermano ogni volta che si verificano anomalie. Il sistema è pensato in modo che la causa di un problema possa essere facilmente localizzata o identificata e che si possa, poi, facilmente impedire il ripetersi della problematica.
- risparmiare fatica umana risparmiando ai lavoratori la supervisione sulle macchine. Le attività devono essere ben chiare e distinte: ci saranno quelle che dovranno essere fatte dalle persone e quelle eseguibili in maniera automatica dalle macchine
Aggiungere un elemento umano (l'autonomazione) significa che le macchine hanno la possibilità di interrompere la produzione in caso di anomalie o problemi.
Le regole di base del Jidoka sono:
1. fermare la linea (o progettare la linea in modo che si fermi da sola in caso di malfunzionamenti)
2. rendere facile la rilevazione di malfunzionamenti
3. separare i lavori che devono essere fatti dalle persone da quelli delle macchine
Ma in cosa differiscono l'autonomazione (Jidoka) e l'automazione? Verdiamolo insieme:
Jidoka
1. in caso di malfunzionamento, la macchina deve rilevare la problematica e fermarsi 2. non viene prodotta nessuna parte difettosa
3. deve essere facile individuare la causa di eventuali malfunzionamenti e attuare misure volte a prevenire il loro ripetersi
Automazione
1. in caso di malfunzionamento, la macchina continua a funzionare fino a quando qualcuno non la spegne
2. possono essere prodotte parti difettose che verranno individuate con ritardo
3. è difficile individuare subito la causa dei malfunzionamenti così come attuare misure per prevenire il loro ripetersi.
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venerdì 8 luglio 2011
Il TPS - Il Just In Time
Il secondo grande pilastro del Sistema di Produzione Toyota è il Just In Time (JIT), ovvero creare o trasmettere solo quello che serve, quando serve, nella quantità necessaria per evitare accumulo di materiale.
I principi di base del Just In Time sono:
1. flusso continuo
2. takt time fissato in base alle quantità necessarie
3. sistema pull (sono le richieste del cliente che "tirano" i processi e, di conseguenza, le quantità di parti necessarie)
Per produrre in modo efficiente grandi volumi di prodotti, è necessario avere un piano preciso per l'approvvigionamento e la produzione delle parti. Se siamo in grado di rispondere a questo piano di produzione e di fornitura "just-in-time" è possibile eliminare molti sprechi e incongruenze all'interno dei processi.
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giovedì 7 luglio 2011
Il TPS - La standardizzazione
Senza la standardizzazione non si può fare Kaizen mantenendo nel tempo gli interventi di miglioramento eseguiti.
Taiichi Ohno, ideatore del Toyota Production System, scrive:
I fogli di lavoro standardizzati e le informazioni in essi contenute sono elementi importanti nel Toyota Production System. Perché una persona della produzione compili un foglio di lavoro che gli altri lavoratori possano capire, deve - però - essere davvero convinta della sua importanza.
Il classico foglio di lavoro standard utilizzato da Toyota combina efficacemente le informazioni riguardanti i materiali, i lavoratori e i macchinari di produzione.
Usare grafici, dati e standard significa lavorare in modo più efficiente rispetto all'avere un supervisore che ci dica come lavorare, in base alla sua esperienza personale.
Secondo Shigeo Shingo, il Toyota Production System insegna ai nuovi assunti a lavorare in modo indipendente in soli tre giorni. Tre giorni!
Ovviamente questo è possibile solo grazie ad un'elevata standardizzazione. Dice Shingo: "Questo approccio aumenta anche l'efficienza di apprendimento perché gli operai tendono a fare riferimento ai fogli di lavoro standardizzati anche quando non hanno familiarità con le tecniche".
Secondo Kaoru Ishikawa, "Un metodo di lavoro deve essere utile a tutti e privo di difficoltà. Una volta trovato, va standardizzato proprio per questo motivo. Un individuo può scegliere di fare le cose a modo suo e questo modo di operare può rivelarsi il migliore per lui. Ma un'organizzazione nel suo insieme non può basarsi su un metodo che poggi su queste basi. Anche se si trattasse di una tecnica superiore, risponderebbe alle esigenze di un solo individuo e non potrebbe essere adottata come metodologia da parte di tutta la forza lavoro"
Lo scopo della standardizzazione è quello di massimizzare l'efficienza riducendo gli sprechi.
Ci sono tre aree alle quali indirizzare la nostra attenzione:
1. takt time: la quantità di tempo stabilita per la realizzazione di un'azione
2. sequenza di lavoro: i passi secondo i quali viene svolto un processo
3. standard di magazzino di processo: il numero di parti che dovrebbero essere "in process" in un dato momento.
Stabilire la sequenza migliore per ogni processo aiuta a raggiungere il takt time ideale e a stabilire uno standard negli stock.
Per stabilire uno standard occorre:
1. raccogliere i dati per trovare la sequenza di lavoro più efficiente
2. mettere in pratica la sequenza più volte. Se i dipendenti possono ripeterla esattamente come è stata pensata, allora probabilmente è una sequenza valida
3. creare uno standard di lavoro per aiutare i dipendenti a ripetere la sequenza ottimale di lavoro.
Terminiamo con un avvertimento: gli standard non sono perfetti.
Kaoru Ishikawa: "Norme dettagliate e regolamenti sono inutili se vengono stabiliti dal quartier generale e da specialisti che non sanno dove andranno applicati e non conoscono le necessità delle persone che dovranno usarli. Non è affatto raro trovare tecnici che amino mettere le persone nelle condizioni di fare cose scomode attraverso la creazione di standard e regolamenti del tutto inutili. Alcune persone nascono con la voglia di regolamentare tutto. Amano stabilire regolamenti in modo da costringere il maggior numero di persone a lavorare nel modo che loro ritengono più giusto".
Attenzione, quindi, a standardizzare nel modo giusto!
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mercoledì 6 luglio 2011
Il TPS (Toyota Production System o Sistema di produzione Toyota)
Il Toyota Production System (TPS) è una filosofia di gestione e una vera e propria strategia che contiene tutti i fondamenti della Produzione snella.
Si tratta di un sistema orientato alle persone perché accetta e caldeggia il fatto che siano proprio le persone ad operare sul sistema.
Il rispetto per i collaboratori, dunque, costituisce la base del TPS.
Un utilizzo efficace del tempo delle persone, la partecipazione totale al lavoro e l'incoraggiamento a contribuire al processo di miglioramento sono gli elementi chiave del sistema.
In un'ottica TPS, ogni azione dei membri del team deve aggiungere valore al processo produttivo e contribuire ad aumentare la produttività generale.
Aggiungiamo che una comunicazione efficace e la gestione "a vista" dell'andamento del lavoro sono al centro del successo della TPS.
Da domani inizieremo ad esaminare uno per uno i pilastri del TPS. Non mancate! ;o)
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martedì 5 luglio 2011
Il Kaizen blitz (2)
Oggi vedremo insieme quali sono le attività del Kaizen blitz, suddivise per quelli che - solitamente - sono i 5 giorni canonici di applicazione.
Giorno 1 = DEFINIRE
Organizzare la struttura dell'evento
Selezionare l'area di destinazione dell'intervento
Dichiarare il problema, l'obiettivo e le metriche per il monitoraggio
Elaborare i documenti di supporto, le procedure e le presentazioni dei dati
Selezionare la squadra Kaizen e il suo leader (la persona con la migliore conoscenza del processo)
Riunire la squadra composta da 5-10 membri
Preparazione di un piano formale e delle tattiche di intervento
Kick-off da parte della direzione per dimostrare impegno e sostegno
Giorno 2 = MISURARE
Documentare il 'prima' (ad esempio scattando foto) per contrapporlo, in seguito, al 'dopo' intervento
Misurare e raccogliere i dati necessari per analizzare il problema
Mappare il processo
Giorno 3 = ANALIZZARE
Analizzare i dati e cercare insieme una soluzione al problema
Utilizzare un diagramma causa-effetto, un diagramma di Ishikawa o altri strumenti utili all'analisi
Dare priorità alle possibili soluzioni
Pianificare l'azione correttiva e formalizzarla
Fare un'analisi costi / benefici dell'intervento progettato
Giorno 4 = MIGLIORARE
Implementare la soluzione scelta
Fare formazione sul processo di miglioramento
Ottimizzare i parametri
Convalidare la capacità del processo e la sua stabilità
Giorno 5 = CONTROLLO
Preparare delle procedure che descrivono la nuova realtà
Preparare un piano di controllo
Scattare le foto del 'dopo'
Stabilire il prossimo passo per un ulteriore miglioramento
Presentare il lavoro fatto
Chiusura dei lavori
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lunedì 4 luglio 2011
Il Kaizen blitz
Un Kaizen blitz, come sappiamo, è un miglioramento operato su scala brevissima.
Proviamo a scomporlo nei suoi elementi principali per capirlo meglio:
Obiettivo: migliorare un sotto-processo, la resa di una macchina, ecc.
Applicazione: quando la qualità o le tempistiche sono fuori controllo, ecc.
Processo: progettare e realizzare un miglioramento veloce
Durata: massimo 5 giorni
Impatto: da letteratura sull'argomento da +10% a +30% di guadagno negli indicatori chiave
Il Kaizen blitz è un programma altamente concentrato per aumentare le prestazioni di un processo e il controllo su di esso.
Solitamente si rivolge ad un target specifico: i parametri CTQ, ovvero i "Critical-To-Quality" (parametri critici per la Qualità).
Esempi di Kaizen blitz possono essere:
- un inventario ottimizzato per evitare accumuli o mancanze
- una manutenzione programmata per eliminare i guasti
- un'ottimizzazione del flusso documentale per ridurre i tempi di approvazione
Domani vedremo i singoli programmi dei 5 giorni canonici del blitz. Nel frattempo chi ci racconta se ha mai partecipato a qualcosa del genere?
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venerdì 1 luglio 2011
Customer service: a volte la lentezza è preferibile
Sull'ultimo numero di "Inc." ho letto una riflessione interessante sul servizio clienti che vorrei riproporvi.
Il mensile si chiede cosa costituisca davvero un buon customer service. A volte basta essere veloci e sorridenti, altre (hotel di lusso, saloni di bellezza, ecc.) serve un'attenzione particolare a qualunque esigenza del cliente con conseguente dispendio di tempo.
Il problema, a questo punto, è trovare il giusto equilibrio tra il fattore soddisfazione e il fattore tempo perché troppo veloce potrebbe significare clienti insoddisfatti mentre troppo lento porterebbe i clienti che attendono il loro turno a stufarsi.
La risposta, ovviamente, ci arriva dall'esperienza. Basta guardarsi attorno per capire che chi ha scelto di offrire un servizio dedicato e personalizzato ha accettato di servire pochi clienti e di farlo su appuntamento in modo da non creare code di clienti inviperiti.
Tutto questo, però, non basta perché i nostri imprenditori vogliono guadagnare sempre di più. Cosa fare dunque?
Uno studio fatto di recente, "The Quality-Speed Conundrum: Trade-offs in Customer-Intensive Services" ci fa un esempio pratico che parrebbe andare in controtendenza rispetto a ciò che vediamo tutti i giorni.
Poniamo di avere un salone di bellezza e di stabilire sessioni di lavoro di 45 minuti per ogni cliente. Il prezzo che pagherà ogni signora sarà di 57 dollari. Si potrebbe pensare di ridurre leggermente le sessioni di lavoro mantenendo il prezzo costante e aumentando, così, il nostro guadagno (più sessioni nel corso della giornata) ma il nostro studio ci spiega che sarebbe meglio, invece, allungare il nostro lavoro ad un'ora per sessione portando il prezzo addirittura a 85 dollari.
Vi risparmio i calcoli complicati che stanno alla base del ragionamento dei nostri cari studiosi (in ogni caso potrete approfondire il discorso on line) ma vi chiedo: cosa ne pensate di queste considerazioni?
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