venerdì 31 ottobre 2014

C'era bisogno della ISO 9001:2015?

Nei prossimi mesi la futura ISO 9001:2015 sarà l'argomento del giorno per chi fa il nostro lavoro ma molti "forzati della revisione dei sistemi gestionali" si chiedono se davvero ci fosse bisogno di questa nuova versione del famoso standard.

La risposta è "" perché, quando il lavoro di revisione viene fatto bene, serve a cogliere tutti quei cambiamenti intercorsi tra la pubblicazione della precedente revisione e questa nuova.

Dal 2008 ad oggi le organizzazioni hanno cambiato profondamente il loro modo di lavorare. Basta che ognuno di voi si fermi per un attimo a pensare a come viveva la propria giornata di lavoro sei anni fa per vedere che è era parecchio diversa da quella odierna.
I sistemi integrati stanno sostituendo il vecchio sistema di gestione della Qualità, i documenti sono in formato digitale, i clienti si aspettano sempre di più in termini di qualità e velocità, la comunicazione è sempre più rapida, i cambiamenti tecnologici sono diventati continui, i fornitori e i clienti spesso stanno dall'altra parte del mondo e il miglioramento continuo è diventato una vera e propria necessità per chiunque voglia sopravvivere sul mercato.
E ancora non basta perché questi sono anni caratterizzati da una forza lavoro che è ormai multietnica e multiculturale e perché l'attenzione ad ambiente e sicurezza sta diventando sempre più impellente.

Anche prestare più attenzione ai rischi è diventato fondamentale per avere successo mentre ci si è resi conto che l'abbinata "comando e controllo" non funziona più perché, per tirare fuori il meglio dalle persone, bisogna imparare a interagire con loro e bisogna apprendere come farlo al meglio.

La Qualità sta diventando sempre più una "strategia" e, se ci pensate per un attimo, è logico che sia così se davvero la si vuole far diventare uno strumento per migliorare il nostro modo di lavorare.

Rivedere periodicamente uno standard per adattarlo a tutto questo è un processo complesso che coinvolge una moltitudine di fattori sociali, politici ed economici ma è qualcosa che, se fatto bene, ci permette di rimanere al passo con i tempi e di avere a portata di mano un concentrato di consigli e suggerimenti che, messi a frutto come input per fare ogni giorno meglio del giorno prima, possono sicuramente aiutarci a fare la differenza nel nostro settore.
Certo, se si prende in considerazione la nuova norma solo per cercare quali siano i nuovi requisiti ai quali adempiere per confermare il nostro pezzo di carta (la certificazione), allora non possiamo dare la colpa alla ISO 9001 che cambia di continuo solamente per farci impazzire ma alla nostra poca voglia di migliorarci davvero.

Cosa ne pensate?

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giovedì 30 ottobre 2014

La ISO 9000:2015

Il draft della ISO 9001:2015 non cita la ISO 9000 tra le normative di riferimento ma nella sua versione finale, naturalmente, lo farà.

Attualmente, per la comodità di chi ci sta lavorando, la bozza della 9001 comprende una gran quantità di termini accompagnati dalle loro rispettive definizioni e tutti questi termini, più qualcuno nuovo, sono stati presi dalla ISO 9000.

Tra le novità più interessanti in fatto di terminologia abbiamo il passaggio dalla parola "prodotto" alle parole "beni e servizi" e quello dalle parole "documenti" e "registrazioni" alla definizione "informazioni documentate".

Abbiamo poi un'attenzione tutta nuova ai termini "risk management", "change management" e "knowledge management".

Alcune definizioni sono cambiate rispetto alle attuali, parliamo di:
"organizzazione"
"parti interessate"
"sistema di gestione"
"competenza"
"azione correttiva"
"miglioramento continuo"

mentre alcune sono del tutto nuove:

"policy"
"obiettivo"
"rischio"
"performance"
"outsource"
"monitorare"
"misurare"


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mercoledì 29 ottobre 2014

Scrivere un'e-mail


In questi giorni sto leggendo un libro davvero godibilissimo, "Come dire. Galateo della comunicazione" di Stefano Bartezzaghi, e ho deciso di riportarvi qui qualche spunto relativo alle e-mail.

Buona lettura!

Una rivoluzione in quattro parole: “Ti mando un’e-mail”. È la rivoluzione della chiocciola. 

(...)



Fin da pochi anni dopo la sua nascita la posta elettronica ha cominciato a manifestare le sue proprie malattie e disfunzioni: i mali esantematici dello spam e dei virus, le maggiori velocità e intrusività conferite alla stupidità e alla malignità umane. Se uno ha un indirizzo e-mail pubblico, la percentuale di messaggi appropriati e opportuni che riceve scende ogni momento di qualche frazione di punto. Oggi come oggi l’esperienza personale fissa tale percentuale al quindici per cento, e il resto è spazzatura o inezia: quell’ammontare di materia inerte, ma potenzialmente pericolosa e attualmente fastidiosa che il gergo milanese chiama efficacemente “fuffa”. Contro la fuffa occorre dotarsi di santa pazienza e di un buon filtro antispam, che però ogni tanto si mangerà misteriosamente messaggi personali importantissimi. 

Ma al di là delle patologie io proclamo che per utilità e diffusione la posta elettronica è la maggiore invenzione umana del nostro tempo. Sarebbe stucchevole ancor più che futile elencare un’altra volta i suoi vantaggi: la possibilità di contatti internazionali comodi, frequenti e gratuiti, la maggiore circolazione di idee che ne deriva, il brusco ridimensionamento della necessità di usare il petulante telefono e il farraginoso fax e in generale la certezza di poter entrare in contatto pressoché con chiunque senza rompergli le delicate palle. La discrezione, appunto.

La rivoluzione vera e propria riguarda la scrittura. 

(...)


Che si fosse imparato a organizzare un testo o no, con destinatario personale o impersonale, fuori dalla scuola la scrittura diventava un oggetto misterioso. 
Prima dell’e-mail le occasioni non scolastiche di praticarla non erano poi frequenti, salvo per chi scriveva per mestiere: ed era un gran peccato, perché chiunque ha un contatto via e-mail con un pubblico vasto oggi sa che esiste un mucchio di gente che ama scrivere e lo fa bene. Gente che prima aveva di rado il tempo e la voglia di prendere carta, penna, busta, francobolli, e che ora ha trovato il mezzo giusto per dedicare il giusto tempo ai piaceri sociali donati dall’alfabeto (e dall’alfabetizzazione), con l’agio di rivolgersi a uno o più destinatari scelti.

Occorrerebbe studiare bene la differenza fra il tipo di scritture che si trovano nei forum (altro nome che ricorda il vuoto) pubblici di Internet, o nei commenti dei blog, e quelle che invece viaggiano via e-mail. L’intervento pubblico scatena una folkloristica gamma espressiva che è l’analogo (per iscritto) delle forme di comunicazione da assemblea di condominio: sarcasmo, insolenza, iattanza, sconforto veicolati con spreco di maiuscole ed esclamativi, destrutturazione sintattica, tendenza epidemica all’interiezione. L’e-mail invece invita (mediamente) al carattere minuscolo, a una strutturazione più articolata della comunicazione, a un’interlocuzione nel complesso migliore.

L’e-mail ha cambiato molte cose: soprattutto ha dato una possibilità inedita di rapporto fra i mass media e i loro utenti, trasformando radicalmente l’interazione del pubblico con giornali, radio e televisione. Ha inoltre messo in contatto persone abituate a lavorare singolarmente e a scornarsi con problemi che messi in rete vengono risolti facilmente. La richiesta di un aiuto a un amico può innescare una reazione a catena che a volte si conclude in capo a poche ore con una risposta dal maggior esperto mondiale del problema (è una felice esperienza personale).

A fronte di queste festose opportunità c’è naturalmente il cumulo spaventoso di e-mail a cui rispondere: non ce la si fa e i mittenti giustamente si offendono. L’e-mail, così umile e discreta, sotto sotto pensa di noi che parallelamente alle nostre ventiquattro ore nel mondo reale – in cui dormiamo, leggiamo, lavoriamo, andiamo a trovare i nostri parenti, facciamo da mangiare, accompagniamo i figli a scuola – ci sono altre ventiquattro ore che viviamo come titolari di uno o più account di posta elettronica. La chiocciola, malgrado le apparenze inoffensive, ha su di noi delle ambizioni tiranniche. 


(...)


Prima che ci si mettessero le e-mail (e, a maggior ragione, gli SMS) al mondo c’era una certezza: verba volant, scripta manent. Questi due principi, di classica inoppugnabilità, sancivano i diversi destini del discorso scritto e del discorso orale, una differenza che non era affatto smentita dai ghirigori retorici di modi di dire come: “Parlare come un libro stampato”, “Carta canta” o “Parole come pietre”. 

Il nero su bianco rimaneva, il flatus vocis si perdeva. 

Ma poi sono arrivate le e-mail, e qui il nero su bianco c’era e non c’era: c’era perché era sul video, non c’era perché non si toccava più. L’epistolomania, che fino a pochi anni prima era un’eccentricità riservata a pochi, diventava epidemica, anche se perdeva il valore di feticcio della lettera toccata dalla mano del mittente e da quella – distante nello spazio e a volte anche nel tempo – del destinatario. 
Quante e-mail abbiamo inviato e abbiamo ricevuto? Il numero è francamente incalcolabile.Tentare una collezione di questi scritti volanti è un’impresa che richiede la carica utopistica e visionaria che è ormai possibile solo a una grande istituzione. 

È vero che molti non cancellano le e-mail in partenza e in arrivo, per rileggersele in futuro e perché “non si sa mai”. Ed è altrettanto vero che lo scambio di e-mail non sempre si nutre di un’informalità che è paragonabile più a quella del discorso parlato che di quello scritto: c’è anche chi configura l’e-mail come una lettera vera e propria, dal luogo e la data ai convenevoli di apertura e di chiusura.
Il paradosso delle parole che volano è quello della vicinanza fra lontanissimi e della lontananza fra vicinissimi. Incertezze e inaccuratezze linguistiche, gergalità e facilità di entrare in medias res sono spesso conversazionali, senza però che toni linguistici ed espressioni facciali aiutino a trovare l’interpretazione più corretta. All’improvviso sorgono così sgarbi magari non voluti, slanci magari non ben calibrati: la brevità può essere presa per distacco brusco, la mancata risposta per indifferenza anche quando dipende magari da un problema tecnico. Per e-mail non si sa mai quanto si stia davvero andando d’accordo, o quanto convintamente si stia litigando.

(...)

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martedì 28 ottobre 2014

ISO 9001:2015 - Annex C: la ISO 10003

Con la ISO 10003, "Gestione per la qualità - Soddisfazione del cliente - Linee guida per la risoluzione delle dispute all'esterno delle organizzazioni", continuiamo il discorso relativo ai rapporti tra la ISO 9001:2015 e le linee guida che aiutano a comprendere meglio i paragrafi della futura norma che fanno riferimento alla clientela.

La ISO 10003, in particolare, si occupa dei reclami relativi ai prodotti e ai servizi per tutto ciò che riguarda eventuali contenziosi dando consigli che, nelle intenzioni del documento, possono supportare le organizzazioni in un percorso di risoluzione quanto più "pacifica" possibile delle controversie con i clienti. Ovviamente il tutto va inquadrato nell'ottica del condice di condotta ben descritto nella ISO 10001.

Un concetto che viene fortemente sottolineato nella linea guida è che l'organizzazione che si appresta a gestire al meglio un contenzioso con un cliente debba essere disponibile a cercare di trovare la migliore risoluzione possibile per le parti.

I contenuti della linea guida sono utili soprattutto alle organizzazioni che si trovino per la prima volta a dover gestire un contenzioso con i clienti. Non vengono forniti, ovviamente, consigli legali ma si riassumono le attività che andrebbero svolte quando ci si trova a dover gestire una situazione del genere.
Il testo è interessante da leggere per farsi una cultura generale sull'argomento.

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lunedì 27 ottobre 2014

ISO 9001:2015 - Annex C: la ISO 10002

Appare logico che, dopo aver fatto cenno alla linea guida ISO 10001, la nuova ISO 9001:2015 ritenga che anche la ISO 10002 possa fornire un supporto a quanti vorranno comprendere e implementare meglio i paragrafi che fanno riferimento ai rapporti con la clientela e alla sua soddisfazione.

La ISO 10002, alla quale avevamo dedicato l'articolo che potete leggere cliccando sul link, è stata pubblicata nel suo ultimo aggiornamento proprio quest'anno anche se le modifiche apportate non hanno cambiato la sostanza della linea guida.

Già il titolo, "Gestione per la qualità – Soddisfazione del cliente - Linee guida per il trattamento dei reclami nelle organizzazioni", ci fa capire che il documento è complementare alla ISO 10001 perché si occupa nello specifico del trattamento dei reclami.

Non abbiamo molto da aggiungere rispetto a quanto vi avevamo già descritto nel nostro precedente articolo se non che questa linea guida appare nel complesso più interessante della ISO 10002 perché può fornire input utili alla realizzazione di un sistema per la gestione dei reclami, soprattutto a chi non ha grande esperienza in questo campo.

Anche in questo caso tre delle otto appendici riportate in coda al documento forniscono alcuni input interessanti.

L'annex B fornisce un esempio di modulo per la registrazione dei reclami utile per chi non ne abbia mai realizzato uno.

L'annex C offre qualche riflessione importante su come garantire l'oggettività nella gestione dei reclami. Ecco, forse è questo il punto della linea guida che fornisce maggiore valore aggiunto, almeno secondo noi.

L'annex D riporta un esempio di modulo per la gestione dei reclami (dopo il primo modulo, quello per la registrazione, questo si occupa in maniera specifica di tutto ciò che occorre fare per gestirlo).

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venerdì 24 ottobre 2014

ISO 9001:2015 - Annex C: la ISO 10001 (2)

Riprendiamo il discorso che abbiamo iniziato ieri, cercando di capire come mai la nuova ISO 9001:2015 spieghi che, per comprendere a fondo come soddisfare i nostri clienti e come comunicare con loro, la linea guida ISO 10001 ci può essere di grande aiuto.

Analizziamola insieme.

Partiamo col dire che la ISO 10001 ritiene che un codice di condotta nei confronti del cliente debba comprendere aspetti importanti quali:
  • le promesse che facciamo alla clientela riguardo la consegna dei prodotti;
  • le procedure per la gestione dei resi;
  • la gestione delle informazioni che riguardano i clienti;
  • le promesse pubblicitarie relative a prodotti e servizi;
  • la gestione dei reclami (reclami che devono comunque, sempre, essere evitati il più possibile gestendo al meglio i rapporti con la clientela);
  • la capacità di individuare i bisogni dei clienti (ma anche quelli degli altri stakeholder) al fine di soddisfarli
Per costruire il nostro codice di condotta nei confronti della clientela dovremo:
  • determinare quali obiettivi vogliamo raggiungere tramite esso;
  • raccogliere tutte le informazioni che riguardano la gestione della clientela;
  • scrivere e diffondere il codice di condotta in modo che possa essere facilmente compreso da tutti;
  • preparare indicatori utili a far sì che si possa facilmente verificare se l'applicazione del codice di condotta porti a un miglioramento delle performance nei confronti della clientela;
  • stanziare tutte le risorse necessarie per sostenerlo;
  • valutare periodicamente se gli obiettivi che ci siamo posti sono stati raggiunti e, in caso contrario, apportare al codice di condotta tutte le correzioni necessarie
Fatte tutte queste premesse, a nostro giudizio la linea guida fornisce un reale valore aggiunto solo con tre delle sue nove appendici. Il resto del testo è interessante ma non contiene nessuna informazione che non possa essere ipotizzata con un po' di esperienza e tanto buonsenso.

Nell'annex A si forniscono degli esempi di codice di condotta, declinandoli per le diverse tipologie di organizzazione. Si tratta di input sicuramente validi.

Nell'annex C si fornisce, invece, qualche consiglio intelligente per poter realizzare un codice di condotta nei confronti della clientela in realtà piccole che non hanno molte risorse da investire in questo campo. Un supporto interessante per le piccole organizzazioni.

Nell'annex H, infine, c'è una raccolta di consigli pratici e operativi per progettare il proprio codice di condotta.

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giovedì 23 ottobre 2014

ISO 9001:2015 - Annex C: la ISO 10001

L'Annex C che troviamo in fondo alla bozza della nuova ISO 9001:2015 non è altro che un'introduzione all'insieme di norme conosciuto come ISO 10000 ed è un'aggiunta interessante per chiunque voglia approfondire il discorso della Qualità.

Già la norma attualmente in vigore, la ISO 9001:2008, rimandava alle norme della serie ISO 10000 anche se non lo faceva in maniera così completa.
Nell'ottica ISO, tutti questi documenti facilitano la comprensione e l'applicazione di alcuni punti specifici della norma. Per sottolineare fortemente questo concetto, la futura ISO 9001 fornisce uno specchietto riassuntivo che collega i punti specifici della norma ai documenti della serie ISO 10000 ai quali possono essere associati per approfondire il discorso.

Il Subcommittee SC3 del Comitato Tecnico 176 si occupa di preparare le linee guida che possono costituire una risorsa eccellente per chiunque voglia applicarle al proprio Sistema di gestione della Qualità.
Se qualcuno di voi ha intenzione di spostare in alto l'asticella della comprensione e dell'implementazione della Qualità per migliorare il proprio modo di lavorare, in questa appendice troverà una sinossi dei principali documenti che potrebbero essergli utili.

Partiamo dalla ISO 10001 "Soddisfazione del cliente - Linee guida per i codici di condotta" che, come viene presentata direttamente dall'ISO, è una vera e propria guida per pianificare, progettare, sviluppare, implementare, mantenere e migliorare il proprio modo di rapportarsi ai clienti al fine di accrescere la loro soddisfazione.

Secondo la futura ISO 9001:2015, la ISO 10001 ha a che fare soprattutto con i paragrafi relativi alla comunicazione col cliente e alla soddisfazione del cliente. Domani vedremo perché.

Per ora, è interessante soffermarsi un momento sul concetto di "codice di condotta" che viene definito come un insieme di promesse fatte ai clienti da parte di un'organizzazione relativamente al proprio comportamento, che sono dirette ad accrescere la soddisfazione del cliente.
Discorso interessante, non trovate? A domani per maggiori approfondimenti!


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mercoledì 22 ottobre 2014

Chi tocca lo smartphone a cena paga il conto

(Fonte: "D")

Il problema, con gli smartphone, è che adesso le email non rimangono più confinate in ufficio. Ci seguono: in palestra, a cena, a letto. Però esistono modi sempre più ingegnosi di respingere questo attacco. Come il gioco della "montagna di telefonini" durante le cene fra amici: tutti posano il loro smartphone al centro del tavolo, e chiunque controlli il suo prima della fine del pasto è costretto a pagare il conto.

(...)

Tirare fuori il telefono durante un pasto in famiglia, con i colleghi, gli amici e soprattutto in presenza di bambini, a casa come al ristorante, intacca la sacralità del pasto, l'invisibile cupola rituale al riparo della quale il genere umano costruisce la civiltà.

(...)

Il direttore della rivista Scene, Peter Davis, ha raccontato di una cena in cui il padrone di casa aveva offerto agli ospiti la possibilità di lasciare gli smartphone all'ingresso. Forse i dispositivi mobili dovrebbero essere trattati proprio come i soprabiti, che di solito vengono portati in una stanza appartata o riposti altrove fino a quando gli ospiti stanno per andarsene.

(...)

Uno studio condotto da alcuni ricercatori della University of California di Irvine e dall'esercito statunitense ha evidenziato che tenersi alla larga dalla casella della posta in arrivo - prendersi una "vacanza dalle email" - riduce lo stress e permette di migliorare la concentrazione.

(...)

L'esperienza di recuperare la socialità senza l'interruzione dei messaggi è ancora più necessaria fuori dall'orario d'ufficio. Alla Volkswagen è in vigore una regola precisa per i dipendenti dotati di smartphone che non fanno parte del management: il loro telefono è programmato per disconnettersi automaticamente dalle email fra le 18 e le 7 del mattino, cosicché i lavoratori possano dedicarsi a se stessi e alla famiglia senza sentirsi in obbligo di rimanere collegati al lavoro.

(...)


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martedì 21 ottobre 2014

La nuova ISO 9001:2015 e gli input derivanti dagli altri settori

Di ISO 9001:2015 e di ISO 9001:2015 e risk management abbiamo già iniziato a parlare ma non abbiamo ancora accennato al fatto che l'introduzione del concetto di "rischio" nella nuova norma farà in modo che i suoi contenuti possano finalmente andare a colmare il grande ritardo che molti settori sottolineavano da anni.
Introdurre per la prima volta questo discorso e calarlo profondamente in ogni aspetto del Sistema Qualità porterà, finalmente, i professionisti che utilizzeranno questa nuova norma ad aprire la mente e a comportarsi come altri professionisti in altri ambiti fanno già da tempo.

Del resto, la futura ISO 9001:2015, nella sua nuova struttura, andrà a costituire le nuove fondamenta per tutti coloro che la utilizzano come spunto per lo sviluppo di altri standard come, ad esempio, il TL9000 (telecomunicazioni), l'AS9100/EN9100 (aerospaziale) e l'ISO 13485 (dispositivi medici).
I rappresentanti di ognuno di questi e di altri standard hanno partecipato alle riunioni del Comitato Tecnico che si sta occupando della revisione della ISO 9001 proprio per offrire osservazioni e commenti.

Chi si occupa di Qualità, del resto, non può manifestare segnali di chiusura nei confronti dei settori che faticano a calare i requisiti della ISO 9001 nelle loro realtà.


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lunedì 20 ottobre 2014

La cassetta per i suggerimenti e il Kaizen

La cassetta che molte organizzazioni utilizzano per raccogliere i suggerimenti dei collaboratori può, in qualche modo, essere paragonata ad alcuni aspetti del Kaizen.

Facendo un veloce parallelo tra i due strumenti vediamo che:
  1. Raccolta dei suggerimenti:  nel caso della cassetta il suggerimento è anonimo, col Kaizen, invece, ogni suggerimento, proposta, ipotesi di miglioramento ha una paternità ben precisa
  2. Tempistiche: nel primo caso (cassetta dei suggerimenti) possono passare molti mesi prima della lettura delle singole proposte e l'eventuale realizzazione. Nel caso del Kaizen, invece, le proposte di miglioramento vanno esaminate con una frequenza giornaliera o settimanale e prese in carico (se giudicate valide) al più presto
  3. Ci si focalizza su: nel primo caso l'attenzione è tutta indirizzata all'idea mentre nel caso del Kaizen ci si allarga a considerare la problematica che il suggerimento porterebbe a risolvere
  4. Percentuale di implementazione: di solito nel primo caso vengono implementati pochi suggerimenti (tipicamente il 2-5%) mentre nel secondo si sfiorano percentuali del 90%.

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venerdì 17 ottobre 2014

La standardizzazione del lavoro

Standardizzare un processo, un'attività o un lavoro serve per:
  • mantenere alta la produttività
  • garantire la stabilità di un processo
  • assicurare la qualità del lavoro svolto
  • garantire la sicurezza del lavoratore e del prodotto
  • fornire una base per la formazione dei lavoratori
  • stabilire chiaramente un punto di inizio e una fine per ogni lavoro
 Per standardizzare qualcosa bisogna:
  1. definire e organizzare in sequenza gli elementi che comporranno il nostro processo, l'attività o il lavoro che ci accingiamo a standardizzare
  2. rendere questi elementi facilmente ripetibili in sequenza da qualunque operatore
  3. avere come obiettivo il Kaizen perché, se il lavoro standardizzato non cambia mai al fine di migliorarsi, significa che stiamo regredendo

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giovedì 16 ottobre 2014

Strategie di apprendimento che funzionano (5)

Ed eccoci arrivati all'ultimo appuntamento con le tecniche di apprendimento segnalate come efficaci dalla rivista "Mente & cervello".

(...)

Pratica intercalata

Come funziona
Gli studenti tendono a memorizzare per blocchi, finendo un argomento o un tipo di problema prima di passare al successivo.

Recenti ricerche hanno invece mostrato i benefici della pratica intercalata, in cui lo studente alterna diversi tipi di informazioni o problemi.

(...)

Il fatto di intercalare consente agli studenti di esercitarsi a scegliere il metodo giusto e li spinge a confrontare i diversi tipi di problemi.

Quando funziona
Quando i tipi di problemi sono analoghi, forse perché la giustapposizione rende più facile capire le differenze.
Lo studio a blocchi (...) può essere più efficace quando gli esempi non sono molto simili perché sottolinea ciò che hanno in comune.

E' possibile che la pratica intercalata sia utile solo a chi ha già una certa competenza.
I risultati dipendono anche dal tipo di contenuto.

Il metodo migliora le prestazioni per i problemi algebrici, ed è risultato efficace in uno studio in cui alcuni studenti di medicina imparavano a interpretare le registrazioni dell'attività elettrica per diagnosticare i disturbi cardiaci.


E' pratico?
Pare di sì. Uno studente motivato può usare facilmente il metodo anche senza istruzioni.
(...)

Dopo aver presentato un tipo di problemi (o un argomento), i primi esercizi sono dedicati a esso. Una volta introdotti i problemi successivi, poi, si mischiano i relativi esercizi con alcuni esempi di quelli precedenti.


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mercoledì 15 ottobre 2014

Strategie di apprendimento che funzionano (4)

Grazie a "Mente & cervello",  siamo arrivati a parlare della quarta potente tecnica di apprendimento.


(...)

Auto-spiegazione

Come funziona
Gli studenti devono dare spiegazioni di ciò che apprendono ripercorrendo i propri processi mentali con domande come "quali nuove informazioni hai da questa frase?" e "che rapporto c'è con ciò che già sapevi?"

Analogamente all'interrogazione/elaborazione, l'autospiegazione può servire a integrare nuove informazioni e conoscenze precedenti.


Quando funziona
E' utile dall'asilo al liceo, e aiuta nella soluzione di problemi di matematica e ragionamento logico, nell'apprendimento da testi narrativi e persino nell'impadronirsi delle strategie per il gioco degli scacchi.

(...)

Questa tecnica migliora la memoria, la comprensione, la capacità di risolvere i problemi, una gamma di risultati davvero notevole.
Nella maggior parte degli studi, però, gli effetti sono stati misurati nel giro di qualche minuto, e non si sa se durino più a lungo in chi aveva conoscenze precedenti o in chi ne aveva poche.

E' pratico?
Non possiamo ancora dirlo con certezza.
Da una parte la maggior parte degli studenti richiede solo un minimo di istruzioni e al massimo un po' di esercizio (...), di contro alcuni studi riferiscono che questa tecnica richiede parecchio tempo, allungando i tempi di studio dal 30 al 100 per cento.

Questa tecnica appare più debole rispetto alle altre ma offre anch'essa qualche vantaggio.
A domani per l'ultimo strumento!

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martedì 14 ottobre 2014

Strategie di apprendimento che funzionano (3)

Oggi "Mente & cervello" ci trasporterà nel mondo dell'interrogazione/elaborazione, la terza tecnica che sembra funzionare per apprendere cose nuove.

(...)

Interrogazione/Elaborazione

Come funziona
Curiosi per natura, siamo sempre in cerca di spiegazioni per il mondo che abbiamo intorno.

Un notevole corpus di evidenze suggerisce che anche spingere gli studenti a rispondere ad alcuni perché può facilitare l'apprendimento.

Con questa tecnica, l'interrogazione con elaborazione, lo studente deve dare spiegazioni, rispondendo a domande come "perché è ragionevole?" o "come mai è vero?".

In un esperimento alcuni studenti leggevano frasi come "l'uomo affamato entrò in macchina". I soggetti assegnati al gruppo dell'interrogazione/elaborazione dovevano dire il perché, mentre quelli di un altro gruppo trovavano una spiegazione già data, come "l'uomo affamato entrò in macchina per andare al ristorante". Un terzo gruppo leggeva le frasi e basta.
Alla richiesta di ricordare chi aveva compiuto l'azione ("chi entrò in macchina?") il gruppo dell'interrogazione/elaborazione diede il 72 per cento di risposte corrette, a fronte del 37 per cento degli altri.


Quando funziona
Quando si studiano nozioni fattuali - in particolare se l'argomento è già conosciuto, almeno in parte.

Maggiori sono le conoscenze precedenti, maggiori sono le possibilità che il metodo diventi potente.

(...)

E' possibile che le conoscenze precedenti consentano agli studenti di spiegare a se stessi come mai un certo fatto sia vero in modo più appropriato.

(...)

L'interrogazione/elaborazione agevola chiaramente il ricordo dei fatti, ma è meno certo che serva anche a migliorare la comprensione, e non vi sono informazioni conclusive sulla persistenza nel tempo delle cognizioni acquisite.

E' pratico?
Sì. L'addestramento richiesto è minimo, e l'impegno di tempo ragionevole.

(...)


Conoscevate già questo metodo? L'avete trovato utile?

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lunedì 13 ottobre 2014

Strategie di apprendimento che funzionano (2)

Continuiamo a leggere: "Mente & cervello" e a parlare di apprendimento analizzando la seconda tecnica che garantisce risultati in questo campo.

(...)

Pratica distribuita

Come funziona
Spesso gli studenti si riducono all'ultimo momento per poi darsi a grandi "abbuffate" di studio.
Distribuire lo studio nel tempo, però, è assai più efficace.


(...)

Analizzando 254 studi, con oltre 14.000 partecipanti, si è visto che gli studenti ricordavano di più dopo uno studio intervallato (47 per cento) che dopo uno studio continuo (37 per cento).

Quando funziona
Ne beneficiano sia i bambini di appena tre anni, sia studenti universitari e adulti.
La distribuzione dello studio nel tempo è utile nell'apprendimento di vocaboli stranieri, delle definizioni delle parole e persino nell'acquisizione di abilità come quelle richieste dalla matematica, dalla musica e dalla chirurgia.


E' pratico?
Sì. Anche se di solito i libri raggruppano i problemi in base all'argomento, lo studente può alternarli per conto proprio.

E' necessario programmare in anticipo e superare la tendenza a rimandare lo studio.

Come usarlo?
In genere sono più efficaci gli intervalli lunghi.

In uno studio, un intervallo di 30 giorni migliorava le prestazioni più di un intervallo di un solo giorno.

In uno studio on line sull'apprendimento di informazioni semplici, il massimo delle prestazioni si è ottenuto quando gli intervalli tra le sessioni di apprendimento erano tra il 10 e il 20 per cento dell'intervallo di ritenzione.

Per ricordare qualcosa per una settimana, le sessioni dovrebbero essere separate da 12-24 ore; per ricordare per cinque anni, l'intervallo dovrebbe essere tra i sei e i 12 mesi.

Sembra strano, ma effettivamente le informazioni restano nella mente anche nel corso di questi lunghi intervalli, e quel che si dimentica si impara di nuovo in fretta.
Intervalli lunghi tra i periodi di studio sono l'ideale per tenere a mente i concetti fondamentali su cui si fondano le conoscenze avanzate.

(...)

A domani.

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venerdì 10 ottobre 2014

Strategie di apprendimento che funzionano

Sull'ultimo numero della rivista: "Mente & cervello",  si parla di apprendimento e, in particolare, si citano cinque tecniche che funzionano e che permettono di apprendere più facilmente le cose.

Dato che credo fortemente che non si debba mai smettere di imparare, ve le riporto.

(...)

Interrogazioni di riepilogo

Come funziona
Contrariamente agli esami scritti con cui si valutano le conoscenze, le interrogazioni di riepilogo sono condotte dallo studente per conto suo, fuori dalla classe.

Fra i possibili ausili vi sono schede didattiche - fisiche o digitali - con cui verificare ciò che si ricorda e le domande esemplificative alla fine dei vari capitoli del libro di testo.

Anche se molti studenti preferiscono ridurre al minimo gli esami, centinaia di esperimenti mostrano che questo metodo migliora apprendimento e ritenzione delle nozioni.

(...)

Una teoria è che l'interrogazione inneschi una ricerca mentale nella memoria a lungo termine che attiva altre informazioni correlate, formando molteplici cammini mnemonici che rendono la nozione più accessibile.

Quando funziona
Tutti, dai bambini in età prescolare agli studenti di medicina del quarto anno, fino agli adulti di mezz'età, possono trarne beneficio. Può servire per memorizzare ogni genere di informazione fattuale, come l'apprendimento di parole straniere, l'ortografia o l'elenco delle parti dei fiori.

(...)

Le più efficaci sono le sessioni di interrogazione brevi e frequenti, soprattutto quando poi si dà un riscontro sulle risposte esatte.

E' pratico?
Sì. Non prende molto tempo ed è facile da imparare.

Come usarlo?
Gli studenti possono interrogare se stessi mediante schede didattiche o applicando il sistema Cornell: quando si prendono appunti in classe, in una colonna separata a lato della pagina si scrivono parole chiave o domande. In seguito si può svolgere una verifica coprendo gli appunti e rispondendo alle domande (o spiegando le parole chiave) scritte sull'altro lato.

(...)

Cosa ne pensate? Avete già usato questo metodo qualche volta? Ci raccontate come?

Continueremo questa discussione lunedì. Non mancate!

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giovedì 9 ottobre 2014

Su cosa si basa il Kaizen (4)

L'ultimo dei tre pilastri sul quale si basa il Kaizen è rappresentato dalla standardizzazione. 

Ogni organizzazione si trova a dover rispettare degli standard di riferimento ma anche a crearne di propri. Questi riferimenti sono utilissimi per uniformare il modo di lavorare e per evidenziare immediatamente se ci sono dei problemi ma devono essere in grado di poter essere cambiati ogni volta che ce ne sia la reale necessità (ad esempio quando l'ambiente di riferimento cambia o quando cambiano altre condizioni che hanno un impatto diretto sul nostro lavoro).  
Gli standard, dunque, vanno verificati, rivisti ed - eventualmente - corretti al fine di migliorarli e questo è un processo che non dovrebbe avere mai fine, in un'ottica di miglioramento continuo.

Le aziende possono ottenere miglioramenti enormi semplicemente mettendo mano agli standard che hanno deciso molto tempo fa e che non hanno più provveduto a controllare nel tempo per accertarsi che siano ancora al passo coi tempi.

Gli standard dovrebbero sempre:
  • rappresentare il modo migliore, più semplicee più sicuro di svolgere un lavoro
  • essere il modo migliore per preservare know how e conoscenze 
  • offrire un modo per misurare le prestazioni 
  • mostrare il rapporto tra causa ed effetto 
  • fornire una base per il mantenimento e per il miglioramento di ciò che si fa 
  • fornire una base per la formazione
  • creare una base per il controllo delle attività svolte 
  • fornire un mezzo per prevenire gli errori
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mercoledì 8 ottobre 2014

Su cosa si basa il Kaizen (3)

Il secondo pilastro del Kaizen è la sistematica riduzione degli sprechi che in giapponese si chiamano "Muda".

Ad ogni step dei processi è possibile aggiungere valore al prodotto o servizio che stiamo progettando / costruendo oppure non aggiungerlo.
 
Qualsiasi attività non a valore aggiunto può essere classificata come un muda.






Alcuni esempi classici di sprechi sono:
  • spostarsi, trasportare
  • spedire ai clienti parti difettose che dovranno poi essere sistemate o che verranno rifiutate
  • avere in magazzino un eccesso di merci che impedisce di trovare facilmente ciò che serve
  • attendere per poter proseguire lungo il flusso del processo
  • dover attendere un'approvazione o una firma
  • far avanzare lungo il processo un lavoro che contiene errori (ad esempio un documento sbagliato che passa da un ufficio all'altro)
  • fare copie, produrre carta
Nella filosofia Kaizen, l'obiettivo è quello di eliminare tutti gli sprechi che appartengono alle famose sette classi individuate da Ohno. Ve li ricordate?


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martedì 7 ottobre 2014

Su cosa si basa il Kaizen (2)

Il primo dei pilastri necessari per implementare al meglio il Kaizen in qualsiasi organizzazione, secondo Masaaki Imai, è - come abbiamo visto - la pulizia e l'ordine dell'ambiente di lavoro.

Imparare a gestire il proprio "Gemba'' (letteralmente significa "luogo reale" e indica la postazione di lavoro) come lo chiamano i giapponesi, è importantissimo ai fini del miglioramento.
Il gemba, per ogni lavoratore, è il luogo dove si aggiunge valore ai materiali, ai semilavorati, ai prodotti e ai servizi prima di passarli al processo successivo. E' fondamentale che venga mantenuto nelle condizioni ideali per poter lavorare bene.

Se non sapete da che parte incominciare per imparare a gestire bene la vostra postazione di lavoro, provate a utilizzare il prezioso strumento delle 5S. 
Una regolare applicazione delle 5S fornisce una visione immediata di ogni eventuale anomalia della zona di lavoro e migliora la sicurezza e l'ergonomia della postazione.
Rendere tutti i lavoratori partecipi di un progetto 5S, inoltre, contribuisce a farli stare meglio nell'ambiente di lavoro, migliorandone notevolmente il morale e la motivazione.

Partendo dalle 5S, si riduce al minimo la necessità di ricercare strumenti, materiali, documenti (tutto sarà al posto giust
o) e si tende anche a ridurre la fatica perché gli spazi vengono meglio ridistribuiti. Tutto questo porta ogni persona a trovare più piacevole l'ambiente di lavoro.

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lunedì 6 ottobre 2014

Su cosa si basa il Kaizen

Secondo Masaaki Imai, uno dei guru della Qualità e del management, il Kaizen si basa su tre

pilastri:

1. la pulizia e l'ordine dell'ambiente di lavoro

2. la riduzione continua degli scarti fino alla loro completa eliminazione

3. le standardizzazione

Secondo Imai, il management e i dipendenti devono lavorare insieme per soddisfare i requisiti di ciascuna categoria perché, per arrivare ad avere all'interno della propria organizzazione un Kaizen ben funzionante, occorre che sia garantito il succ
esso in tutti e tre questi settori.

Occorre, però, considerare anche altri tre elementi:

 
1. la gestione visuale;

2. il ruolo del supervisore;

3. l'importanza della formazione, per creare un'organizzazione capace di apprendere.

Ci torneremo su domani.


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venerdì 3 ottobre 2014

Superlavoro e produttività

(Fonte: "D")

(...)

Il rapporto tra superlavoro e calo della produttività è una costante che non conosce differenze di nazionalità o cultura.

Secondo i dati 2012 dell'OECD (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) la Grecia era, fra tutti i paesi europei, quello con il maggior numero di ore lavorative pro capite. Al secondo posto veniva l'Ungheria, al terzo la Polonia. Nella classifica della produttività, però, questi paesi si piazzavano al diciottesimo, ventiquattresimo e venticinquesimo (ahimè ultimo) posto.
Quelli che lavoravano meno ore erano olandesi, tedeschi e norvegesi, che si piazzavano quinti, settimi e secondi per produttività.

Sempre più aziende si rendono conto che la salute dei loro dipendenti è anche uno dei più efficaci indicatori per prevedere la salute aziendale futura.

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giovedì 2 ottobre 2014

Quanti cartellini ci servono per avviare il sistema Kanban?

Se volete introdurre lo strumento Kanban nella vostra azienda, la prima cosa da determinare è quanti cartellini Kanban vi serviranno per gestirlo.
 
In primo luogo, bisognerà determinare la velocità di produzione, oraria o giornaliera, che dovrà essere costante.

 
In secondo luogo, determinerete il tipo di contenitore più adatto a contenere le parti o il materiale che vi servono per gestire il processo. Se i contenitori vengono gestiti manualmente, assicuratevi che abbiano un peso ragionevole.  

A questo punto potrete calcolare quante parti verranno messe in ogni contenitore.
 
Come terza cosa, determinerete quanto tempo vi serve per rifornire di parti ogni contenitore che, relazionato con la velocità di produzione oraria, vi farà ottenere l'esatto punto di riordino.

 
Come quarto step, determinate quanti cartellini in più vi servono come scorta di sicurezza.


La formula da applicare, a questo punto, sarà:

Produzione media giornaliera dei pezzi x Tempo necessario a riapprovigionarli x (1+Eventuale scorta di sicurezza) 
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Numero di pezzi contenuti in un contenitore 

Se, quindi, la vostra linea deve produrre 200 pezzi al giorno (giorno composto da 8 ore lavorative), il tempo per riapprovvigionare il materiale è di 2 ore (2 ore sulle 8 totali giornaliere corrispondono a 0,25, basta dividere 2 per 8) e in ogni contenitore avete stimato che ci stiano 5 pezzi, posto che la scorta di sicurezza sia pari al 50%, calcolerete facilmente il numero di kanban necessari in questo modo:

200 x  0,25 x (1+0,5)
------------------------- = 15
5


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mercoledì 1 ottobre 2014

Trova lavoro online evitando truffe e raggiri (2)

Eccoci alla seconda parte dei suggerimenti di ComputerIdea per difenderci dalle truffe legate al mondo della ricerca di lavoro su internet.


Supponiamo adesso di aver trovato un annuncio di lavoro che può sembrare in regola: l'azienda è chiaramente reperibile, non sospettiamo alcun imbroglio nell'ambito dell'attività che andremo a svolgere e ci sono stati dati ragguagli esaustivi sul compenso.

Bene, decidiamo quindi di approfondire e passare al contatto. A questo punto dobbiamo però fare ancora più attenzione, perché abbiamo passato il primo livello di valutazione (quello dell'annuncio). A tal proposito, infatti, le insidie si moltiplicano, perché oltre a poter cadere preda di attività illegali, ci sono anche casi in cui, pur rimanendo nella legalità, si viene in qualche modo ingannati.

Il punto di forza su cui fanno leva questi dubbi inserzionisti è ancora una volta la nostra posizione di debolezza dovuta alla necessità di trovare un impiego. Una delle truffe più utilizzate è quella delle inserzioni lavorative che nascondono l'iscrizione a corsi di formazione a pagamento. Dobbiamo tenere presente che l'apprendistato e la preparazione di un dipendente o di un collaboratore dovrebbe sempre essere sostenuta dall'azienda che assume. Infatti, una persona professionalemnte preparata per un compito viene considerata un valore aggiunto per l'azienda che se ne serve.

Se vi propongono di essere assunti solo dopo aver frequentato un corso economicamente gravoso, che dovrete sostenere voi stessi, lasciate perdere immediatamente. Si tratta senza dubbio di un modo per raggirarvi, incrementando il numero di iscritti a un'attività di dubbia natura.

(...)

Sempre negli annunci palesamente falsi, che richiedono un investimento da parte nostra per accedere a una posizione professionale, troviamo quelli che promettono il lavoro a domicilio ma con la necessità di acquistare del materiale indispensabile per operare.

(...)

Purtroppo le insidie non si fermano qui. Infatti, i soldi non sono tutto ciò che attrae chi si rivolge in modo non sempre trasparente verso le persone intente a cercare un lavoro. Anche i nostri dati personali sono oro per quelle attività che le rivendono a scopi commerciali.

(..)

Cadere preda di una truffa è piuttosto consueto nel mondo di internet e ancor più se stiamo cercando lavoro. In qualsiasi caso, però, possiamo rivolgerci alla Polizia Postale o Polizia delle Comunicazioni: un ramo specializzato della Polizia di Stato, creato appositamente per contrastare la criminalità online.

Nel caso dovessimo venire a conoscenza di un annuncio truffaldino ed essere quindi oggetto di un raggiro, rivolgendoci agli uomini di questo speciale gruppo operativo, potremo far valere i nostri diritti. Dopo aver sporto denuncia, si occuperanno di recuperare tutte le infromazioni circa l'accaduto ed eventualmente rigireranno la segnalazione al locale ispettorato del lavoro.

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