giovedì 28 febbraio 2019

4 cose che si possono fare immediatamente per migliorare la propria leadership

Recentemente ho trovato questo articolo su LinkedIn (in inglese) che spiega quali siano le quattro cose da fare assolutamente se vogliamo migliorare la nostra leadership.

Riassumendo i concetti per sommi capi, dovremmo:
  1. Sorridere di più - Sorridendo si crea un'atmosfera positiva e si costruiscono migliori rapporti con i collaboratori;
  2. Ascoltare di più - Quando ascoltiamo, dimostriamo di avere rispetto di chi ci sta parlando e che teniamo in conto la sua opinione. Tutto questo aiuta a costruire un rapporto di fiducia, senza contare che è il modo migliore per venire a contatto con informaizoni utili;
  3. Parlare di più - Comunicare con i propri collaboratori è fondamentale per spiegare loro perché sia importante ciò che chiedete venga fatto. E' fondamentale parlare con le persone per farle sentire coinvolte e per renderle consapevoli;
  4. Rivolgere lodi più spesso - A chi non piace sentirsi dire che ha fatto un buon lavoro e che ha contribuito a raggiungere un obiettivo dell'azienda? Anche un piccolo riconoscimento come questo può avere un impatto enorme sulla soddisfazione dei nostri collaboratori
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mercoledì 27 febbraio 2019

Il lavoro sparito: 1,8 milioni di ore in meno che nel 2008

(Fonte: "Il Fatto Quotidiano")

Lavorare meno, lavorare tutti: chi invoca questo approccio come panacea non sa che l’economia italiana lo sta già applicando. Nel 2018, l’Italia ha recuperato il numero di occupati pre-crisi, cioè
del 2008, e ha anzi segnato un nuovo record: 23,3 milioni di persone al lavoro, 125.000 in più che
nell’anno del crac di Lehman Brothers. Ma nel 2018 mancano all’appello 1,8 milioni di ore lavorate rispetto a dieci anni fa, un buco del 5,1 per cento. E non perché gli italiani siano diventati più produttivi, cioè capaci di ottenere gli stessi risultati in minor tempo. L’economia, infatti, non è mai tornata al livello pre-crisi: il Pil dei primi due trimestri del 2018 era del 3,8 per cento più basso di quello del periodo corrispondente del 2008. Quindi lavorano più persone, ma per produrre meno.
 

Quello che è successo,  spiega il rapporto  "Il mercato del lavoro: un bilancio degli ultimi dieci anni"  presentato dall’Istat, è che la qualità del lavoro è peggiorata, si sono ridotti gli impieghi a tempo pieno e sono aumentati i tempi determinati e i part time involontari (imposti dal datore di lavoro a chi invece sarebbe ben felice di fare il turno pieno). Ma l’ossessione con cui la politica guarda al numero di occupati ha generato l’illusione che tutto fosse tornato a posto. Il nostro tasso di disoccupazione (la quota di chi cerca lavoro e non lo trova) al 10,6 per cento è più basso di quello di altri Paesi Ue, ma se l’Italia avesse un tasso di occupazione (la percentuale di popolazione con un lavoro sul totale) analogo a quello del resto dei Paesi d ell’eurozona, ci sarebbero 3,8 milioni di occupati in più.

In una prima fase, il calo delle ore lavorate si poteva spiegare con la scelta delle imprese di ricorrere
alla cassa integrazione per gestire i cali di domanda. Ma ora la cassa integrazione è tornata al livello del 2008, eppure continuano a mancare 1,8 milioni di ore lavorate. Questo si spiega in parte con il fatto che in dieci anni sono spariti 866.000 posti di lavoro a tempo indeterminato e c’è stata una ecatombe silenziosa anche di lavoratori indipendenti (-602 mila, il 10,2 per cento del totale del 2008).
Il vuoto lasciato è stato riempito soltanto in parte dalla carica dei tempi determinati: alla fine dei
primi nove mesi del 2018 ce n’erano 735.000 in più che nel 2008, il grosso dell’aumento si è registrato tra quelli di breve durata, sotto i sei mesi (+613.000). E poi ci sono i part time involontari: un milione e mezzo in più che nel 2008. Non soltanto un effetto collaterale della crisi che riduce tutele e opportunità, ma la spia di un mutamento strutturale (e preoccupante) dell’economia italiana,
spiega l’Istat: l’occupazione si sta spostando da settori dove dominavano i contratti a tempo indeterminato o comunque full time, come l’industria e le costruzioni, verso altri dove c’è una maggiore incidenza del tempo parziale: alberghi e ristorazione, servizi alle imprese, sanità e servizi alle famiglie.


A spiegare questo lavoro mancante c’è anche il blocco del turnover nella Pubblica amministrazione, che ha chiuso la strada alla più tipica delle occupazioni a tempo indeterminato. Ma c’è anche la debolezza del sistema delle imprese italiane nei settori più tecnologici che in altri Paesi trainano la crescita e offrono le opportunità più interessanti. Un dato riassume il problema: nel 2010 gli italiani con un dottorato di ricerca conseguito in un ateneo italiano che lavoravano all’estero erano il 14,7 per cento di quelli con un lavoro, nel 2018 la percentuale è salita al 18,8 per cento. E le generazioni più giovani risultano più propense alla mobilità, probabilmente anche perché di occasioni di sfruttare il loro titolo in Italia ce ne sono sempre di meno.


Se proprio si vuole vedere un segno positivo, nell’evoluzione del mercato del lavoro, si può notare
che nel 2018 le donne occupate sono mezzo milione in più che nel 2008 (+5,4 per cento), soprattutto
nel settore terziario. Da sempre gli economisti considerano una maggiore partecipazione femminile fondamentale per sfruttare il potenziale latente dell’economia italiana. Ma le mogli si sono messe
a lavorare soltanto perché i mariti non trovavano più nulla. Gli uomini occupati sono calati di
388.000 unità (-2,8 per cento), colpa del crollo di industria ed edilizia. Altro segnale drammatico:
la crisi ha spaccato ancora di più l'Italia. Il Centro-Nord ha 376.000 occupati in più che nel 2008, il Mezzogiorno 262 mila in meno. Il record degli occupati su base nazionale a 23,3 milioni su base nazionale, insomma, è ben magra soddisfazione


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martedì 26 febbraio 2019

In Italia un lavoratore su quattro è sovraistruito


Sottoccupati e sovraistruiti: nel 2017 circa un milione di occupati ha lavorato meno ore di quelle per cui sarebbe stato disponibile, mentre la schiera dei sovraistruiti ammonta a quasi 5,7 milioni: quasi un occupato su 4. Ce ne parla "La Stampa".

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lunedì 25 febbraio 2019

Una mappa mentale per un nuovo lavoro?

Se volete cambiare del tutto lavoro ma non avete idea di cosa andare a fare, provate a seguire il consiglio di questi due professori. Come si dice: tentar non nuoce!

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venerdì 22 febbraio 2019

Un elenco ben fatto migliora la vita

Le liste delle cose da fare...alzi la mano chi non è stufo di leggerne o chi non se ne sente inesorabilmente schiacciato! Eppure sono utili, anzi utilissime se si sa come usarle.
Questo articolo di "Business Insider Italia" ci dà una mano a capire qualche trucchetto per farne di migliori.

Buona lettura!

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giovedì 21 febbraio 2019

Premi aziendali, alle Pmi piacciono con più welfare

(Fonte: "Affari&Finanza")

Una ricerca Od&M rileva come il fenomeno sia in crescita, grazie anche all’ampliamento costante del paniere dei servizi detassabili


A utilizzarlo sono soprattutto le imprese di grandi dimensioni, anche se un numero crescente di piccole aziende sta progettando di inserirlo. Inoltre, se le prime lo prevedono per tutta la popolazione aziendale, le seconde lo riservano perlopiù a quadri e impiegati. A scattare la fotografia circa la diffusione e le modalità di utilizzo del premio di risultato nelle aziende italiane è un rapporto realizzato da Od&M Consulting, il primo su questo tema promosso dalla società di consulenza parte di Gi Group, che Affari & Finanza pubblica in anteprima. Lo studio è basato sui risultati di due survey condotte rispettivamente su un panel di 161 aziende e su un campione di oltre 500 lavoratori. I risultati dicono che l’87,5% delle imprese di grandi dimensioni ha introdotto un premio di risultato, mentre il 35% delle piccole aziende dichiara di essere in fase di progettazione del sistema. Quest’ultimo è diffuso soprattutto tra le imprese dell’industria, seguite da quelle dei servizi e del commercio e turismo. In media tra 1.000 e 1.500 euro Dando uno sguardo alla diffusione per categorie, nelle grandi aziende il premio è generalmente previsto per tutti i lavoratori (70,6%), così come anche all’interno delle medie imprese (due casi su tre). Mentre la situazione cambia in quelle più piccole dove il premio di risultato è riservato soprattutto a impiegati e quadri (38,9% dei casi). Quanto all’importo del premio, la fascia media che emerge con maggior frequenza risulta essere quella tra i 1.000 e i 1.500 euro, mentre il 7,4% delle aziende ha erogato importi superiori a 3mila euro. Le piccole imprese prevedono invece premi tendenzialmente più bassi: nel 63,9% dei casi sono al di sotto dei 1.500 euro. «Il tema della retribuzione variabile sta suscitando un rinnovato interesse soprattutto nelle piccole e medie imprese spiega Miriam Quarti, senior consultant e responsabile dell’area reward&performance della società di consulenza - La volontà di introdurre un sistema di retribuzione variabile si accompagna però a delle difficoltà operative nell’implementazione di un sistema premiale». Per aiutare la diffusione di questo strumento negli ultimi anni è intervenuto il legislatore che con la Legge di Stabilità 2016 ha riconosciuto un’agevolazione fiscale e contributiva. Un’ulteriore spinta è poi stata data dalla possibilità di convertire una parte o la totalità del premio in prestazioni di welfare. Dando così luogo a una soluzione vantaggiosa sia per il lavoratore, sia per l’azienda. Per il primo, infatti, il valore dei benefit non è soggetto a tassazione, in quanto non concorre a formare reddito da lavoro dipendente, mentre per la seconda è previsto un risparmio contributivo. Il menu dei servizi detassati tra cui scegliere si sta inoltre progressivamente ampliando. Anche la Legge di Bilancio per il 2018 è intervenuta ulteriormente, prevedendo ad esempio di poter convertire il premio in rimborsi per la retta dell’asilo, oltre che per l’acquisto di libri scolastici o degli abbonamenti per il trasporto pubblico. «Misure che - sottolinea Quarti - stanno indirizzando le aziende verso politiche di gestione del personale orientate sempre più al benessere e al coinvolgimento dei lavoratori. Se, infatti è possibile ipotizzare che alcune imprese abbiano introdotto il premio per un allineamento delle retribuzioni godendo del vantaggio fiscale, è anche vero che l’introduzione di ulteriori agevolazioni rispetto al coinvolgimento dei lavoratori e la possibilità di conversione del premio in welfare stanno diffo ndendo all’interno delle aziende un approccio e una cultura organizzativa nuova». A muoversi in questa direzione, secondo lo studio, sono soprattutto le aziende che non lo hanno ancora, ma vogliono introdurrlo in futuro per aumentare il livello di coinvolgimento dei lavoratori negli obiettivi aziendali. Mentre tra le aziende che lo hanno già introdotto l’intento è stato principalmente di aumentare la produttività.

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mercoledì 20 febbraio 2019

Una fotografia delle medie imprese italiane

(Fonte: "La Stampa")

Medie imprese sempre più forti. Secondo l’indagine annuale di Mediobanca eUnioncamere il loro valore è cresciuto negli ultimi vent’anni dal 12,4 per cento al18,6 del totale del settore manifatturiero. Non solo, anche il fatturato è passato dal 14,6 per cento al 19,8 con esportazioni balzate dal 15,6 al 18,7. Il 94 per cento delle medie imprese esporta destinando il 45 per cento del fatturato ai mercati esteri. L’export, in particolare,viene trainato dal made in Italy, che rappresenta il 61 per cento del loro valore aggiunto, ma anche dalla meccanica col 39 per cento del valore aggiunto e dal settore farmaceutico-cosmetico che vale il 15 per cento, raggiungendo la dimensione di quello alimentare e rappresentando così una nuova eccellenza italiana. 

In un caso su quattro, le medie imprese italiane sono guidate da un amministratore over 72. Un bilancio anagrafico che impone il tema del ricambio generazionale. Nei cda gli over 50 rappresentano la fascia di età più significativa, col 47 per cento, e nei prossimi anni una media impresa familiare su quattro dovrà rinnovare i vertici. Secondo la ricerca, la base produttiva resiste alle sirene della delocalizzazione: il rapporto tra manifatturiere estere e italiane è passato dal 14,6 per cento al 26,2. Il fenomeno è stato intenso fino al 2012, ma da allora la spinta centrifuga si è esaurita e le medie imprese aggrediscono i mercati esteri più con presidi commerciali e di assistenza postvendita. Inoltre, le basi produttive estere non sono necessariamente collocate in Paesi a basso costo del lavoro: il 49 per cento si trova nell’Unione europea ed il 10 in Nord America. Resta ovviamente un peso la tassazione con un carico fiscale per le medie imprese del 32,3 per cento nel 2016, circa cinque punti sopra quello delle grandi aziende, anche se l’irap scesa sotto il 20 per cento dal 2013 è una buona notizia.  

Ampi margini di miglioramento anche nella governance aziendale. Il 66,2 per cento delle medie imprese familiari è gestito da organi monocratici o con soluzioni che prevedono un cumulo di cariche con deleghe, quota che scende al 42,7 nelle medie imprese non familiari. E aprire i board a membri esterni rende: il ritorno sugli investimenti sale dal 10 per cento al 13.

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martedì 19 febbraio 2019

Consiglieresti il tuo capo? L’80% risponde «no»

Com'è il rapporto con il vostro capo? Lo consigliereste? Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

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lunedì 18 febbraio 2019

Ore pagate per curare il cane: così cambia il welfare in azienda

Per la prima volta in un’impresa metalmeccanica di Verona previsto anche il “maggiordomo” per le piccole commissioni. Ce ne parla "la Repubblica"

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venerdì 15 febbraio 2019

Controlla la voce, è la prima a tradirti

Sapete tenere alta l'attenzione di chi vi ascolta quando parlate in pubblico? "La Stampa" ci spiega qualche segreto per una buona comunicazione.

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giovedì 14 febbraio 2019

5 esercizi per avere successo nei colloqui di lavoro

Quale potrebbe essere una strategia per affrontare con successo la selezione per un nuovo lavoro? Ce lo racconta "D".

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mercoledì 13 febbraio 2019

Un mestiere dal volto umano per vincere la concorrenza dei robot

(Fonte: "la Repubblica")
 
Molte spariranno, tutte cambieranno. Parliamo di professioni e l’orizzonte è quello del 2030. La doppia profezia è contenuta nello studio Il futuro delle competenze che Pearson, preminente gruppo editoriale britannico specializzato in istruzione, ha commissionato poco più di un anno fa al centro studi sull’innovazione Nesta e alla Martin School di Oxford e che ora esce in italiano, per circolare nelle scuole e innescare un dibattito politico. 
 
Più in dettaglio i ricercatori concludono che il 10% delle professioni esistenti vedrà una crescita della domanda, il 20% una diminuzione e sul restante 70 non si pronunciano perché non ci sono indizi sufficienti. «Tuttavia» si legge «i nostri risultati suggeriscono che la ridefinizione delle mansioni, unitamente al riaddestramento della forza lavoro, potrebbe promuovere la crescita di queste occupazioni». E qui l’autorevole studio scricchiola. Perché preferisce ai dati (i suoi, che prevedono evoluzioni negative doppie di quelle positive) un’aspirazione. (...) 
 
Le competenze che renderebbero i mestieri a prova di futuro sono: percettività sociale (ascolto e comprensione), capacità cognitive superiori (originalità, prontezza di idee, apprendimento attivo), pensiero sistemico (analisi e valutazione di insiemi complessi). In una parola: quelle che ci rendono quintessenzialmente umani, in grado di apprezzare un’infinita scala di grigi rispetto al dualismo bianco/nero delle macchine. 
 
La ricerca è interessante per differenza rispetto al citatissimo The future of employment per cui quasi metà delle 702 occupazioni censite negli Stati uniti sarebbero state ad «alto rischio» di automazione entro vent’anni. I due autori Carl Frey e Michael Osborne sono diventate star accademiche e quest’ultimo è anche co-autore dello studio attuale. Cos’è cambiato? «Non molto» ci dice «ma lo studio del 2013 prendeva in considerazione solo l’automazione mentre qui analizziamo più fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione, la globalizzazione o la green economy, che incidono sulle prospettive occupazionali».
Anche il metodo è diverso. Le competenze sono state individuate dagli esperti. Ma la valutazione su quali professioni incorporano quelle competenze, dando loro una migliore aspettativa di vita, è (paradossalmente) demandata all’intelligenza artificiale. Lo studio rilancia un’obiezione classica: oltre ai lavori attuali che andranno distrutti bisogna calcolare anche quelli che non esistono e saranno creati. Se n’era occupato lo stesso Frey calcolando però che la quota di manodopera americana impiegata oggi in aziende nate dopo il 2000 è pari allo 0,5% del totale. «Google non sarà la prossima General Motors» concede Osborne «ma non ci sarà neppure un’apocalisse di lavori.
 
Soprattutto nei servizi il potenziale è illimitato. Molte cose che facevamo per conto proprio, come portare a spasso il cane o pulire casa, le facciamo fare ad altri, magari via app». Tra le occupazioni in rialzo in Gran Bretagna figurano barbieri, creatori di tessuti e birrai artigianali contro infermieri, badanti e insegnanti negli Stati Uniti. Mentre un vero boom potrebbe riguardare pet sitter, massaggiatori, artisti, vetrinisti, fiorai e sarti. Dunque quale facoltà consiglierebbe a un giovane? «Le materie scientifiche sembravano la chiave, ma anche alcuni ingegneri verranno rimpiazzati. Mentre restano le competenze umanistiche, la cultura, a differenziarci dai computer. Direi: fate ciò che vi piace e sforzatevi di trovare lì delle nicchie prospere».
Non fa una piega.

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martedì 12 febbraio 2019

Ancora sui social in ufficio...

Visto che qualcuno ha chiesto approfondimenti sull'uso dei social in ufficio, vi propongo questo articolo.

Comunque, davvero, è questione di buonsenso. Al lavoro si va per lavorare; la pausa ci sta e ci aiuta anche a lavorare meglio ma tutto va vissuto con equilibrio. Cosa ne pensate?

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lunedì 11 febbraio 2019

Scommettono sulle persone sono 102 le aziende premiate

(Fonte: "Affari & Finanza")

Ambiente di lavoro costruttivo e stimolante, investimenti in formazione e sviluppo, pianificazione delle carriere, strategie mirate per valorizzare i talenti, benefit su misura, politiche retributive personalizzate, cultura aziendale innovativa. Sono questi alcuni tratti distintivi delle 102 aziende italiane che hanno ottenuto la certificazione Top Employers 2019. 

Si tratta di imprese riconosciute come eccellenti in termini di condizioni di lavoro e per l’impegno a far crescere le persone non solo professionalmente, ma anche a livello personale sulla base di una metodologia oggettiva, che prende in considerazione circa 600 best practice. 

Di queste 102 realtà imprenditoriali, 17 sono le new entry e ben 41 sono quelle che hanno ottenuto anche la certificazione Top Employers Europe, riservata alle imprese che meritano il titolo in almeno 5 Paesi del Vecchio Continente. 
«Sembra paradossale di questi tempi dover parlare di eccellenze nel mondo del lavoro — premette Alessio Tanganelli, regional director di Top Employers Institute — I riflettori sono sempre accesi su tematiche legate alla crisi, alla perdita dei posti di lavoro, alle riforme, alle ristrutturazioni, agli accordi sindacali, che peraltro sono processi propri dello sviluppo economico delle imprese e quindi del nostro Paese. Sembra paradossale che ci si dimentichi invece di molte aziende che vanno in controtendenza e scommettono sulle proprie persone, le fanno crescere, creano delle condizioni adeguate al loro sviluppo non solo professionale ma anche personale». 

I numeri dell’Istituto di attestazione della qualità riportano che le aziende che hanno ottenuto la certificazione Top Employers (TE) sono quasi quadruplicate dal 2008 (28) ad oggi (102), registrando un incremento del 264%. Il risultato conferma il forte impegno delle imprese italiane ad investire sulla qualità delle loro offerte organizzative, sia per i propri dipendenti che per quelli futuri. 
«In termini di gestione HR — sottolinea Tanganelli — le grandi sfide delle imprese di oggi vanno dall’importanza sempre maggiore di farsi riconoscere come aziende attrattive (per scongiurare un trend anche qui paradossale del lavoro che non c’è e delle persone giuste che non si trovano), ad armonizzare una cultura aziendale sempre più frastagliata a causa di ristrutturazioni, cessioni e fusioni, a valorizzare qualità fino ad ora effimere come la leadership, fino a gestire il talento in tutte le sue forme, come massima priorità non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo». 

(...)

La Certificazione Top Employers dura un anno. Ogni volta che le aziende si candidano per la certificazione affrontano ex novo il processo di certificazione.
La ricerca è composta da tre fasi. La prima: “HR Best Practice Survey”, cioè un approfondito e dettagliato questionario che esamina politiche, strategie HR e analizza oltre 600 best practice in 10 macro aree: talent strategy, talent acquisition, workforce planning, On-boarding, learning&development, performance management, leadership development, career&succession management, compensation&benefits e culture. 
La seconda: validazione interna, ovvero il questionario compilato viene analizzato e validato dall’Istituto. 
La terza: i dati e i risultati, già validati dall’ente, vengono sottoposti ad un’audit esterna. 

Dopo la convalida dei risultati, i punteggi di performance vengono valutati seguendo uno standard internazionale. Le aziende che soddisfano i criteri e i livelli qualitativi richiesti ricevono la certificazione Top Employers. 

(...)

Solo quest’anno le new entry sono 17: Boehringer Ingelheim Italia, Canon Italia, Cassa Depositi E Prestiti, Edpr Renewables Italia, Emilgroup, Fineco Bank, Generali Italia, Goodyear Dunlop Tires, Gruppo Cap, Ima Group, Kelly Services Italia, Kuehne+Nagel Italia, Lagardère Travel Retail, Lavazza, Leaseplan Italia, Siemens Italia e Wind Tre. 
Nel complesso, delle 102 aziende certificate i settori più rappresentati sono: farmaceutico (15), beni di consumo (12), automotive (11), distribuzione-retail (11), bancario (10), servizi (10), produzione(8), IT (8) ed Energia (6). 

(...)

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venerdì 8 febbraio 2019

Sorpresa, per il 77% dei giovani lo stipendio è adeguato

Quali sono le aspettative professionali dei millennials? Che cosa cercano in un’azienda? Su quali elementi si basano le loro scelte professionali?  Ce ne parla: "Il Corriere della Sera".

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giovedì 7 febbraio 2019

Lavoro, il paradosso italiano

Invecchiamento della popolazione lavorativa, soprattutto nella pubblica amministrazione, e aumento della forbice nei salari hanno peggiorato il benessere degli occupati. Il welfare aziendale come possibile via di fuga. Ce ne parla: "la Repubblica".

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mercoledì 6 febbraio 2019

Strategie per sopravvivere al diluvio delle mail

Siate selettivi e ricorrete all’approccio zen. Ce lo racconta: "La Stampa".

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martedì 5 febbraio 2019

Occhio ai troppi social in ufficio

Non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo ma sembra che ai datori di lavoro non piaccia che le persone, durante le ore lavorative, se la spassino sui social... Rolling Eyes

Ce ne parla "la Repubblica".


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lunedì 4 febbraio 2019

Come fare una buona impressione al primo incontro

Il linguaggio del corpo è fondamentale per capire in un decimo di secondo se una persona appena incontrata è degna di fiducia. Ce ne parla "Il Corriere della Sera".

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venerdì 1 febbraio 2019

Quali sono i posti di lavoro più ambiti dagli italiani?

Dove vorrebbero lavorare gli italiani? Ce lo racconta "Il Corriere Innovazione".

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