giovedì 30 giugno 2011

Il cliente interno

In una perfetta logica di Total Quality Management (TQM), tutti noi professionisti della Qualità sappiamo che ci sono clienti interni e clienti esterni.  

Il concetto, però, non è facile da spiegare ad un non addetto ai lavori. 
Il cliente, infatti, è una delle parti interessate che hanno sottoscritto un impegno in cambio di alcuni benefici come, ad esempio, il possesso di un prodotto o l'esperienza di un servizio. 
Chi lavora all'interno di un'organizzazione, invece, non riceve un prodotto da utilizzare o un servizio di cui usufruire perché fa parte del processo. E', quindi, difficile credere che si possa definire come "cliente" (a meno che non ci sia stato ripetuto fino alla nausea in corsi, linee guida, articoli, QualitiAmo, ecc).

Provando a fare un esempio concreto, l'operatore che riceve un disegno dalla progettazione dovrebbe essere considerato come un cliente. Ma il nostro operaio non paga il progettista per avere il disegno e non ha alcun contratto con lui. 
 

Forse sarebbe più corretto parlare di utente interno ma anche qui rischiamo di ritrovarci davanti a contestazioni difficilmente eludibili.

Dunque perché non rimuovere la forzatura di questa "etichetta" di fornitori e clienti esterni e considerarsi come i giocatori di un'unica squadra con un obiettivo comune?
 

Così è molto più facile spiegare il concetto. In una squadra, infatti, ogni giocatore è importante tanto quanto l'altro e ogni giocatore si comporta in modo da consentire agli altri di giocare al meglio per raggiungere l'obiettivo finale: la vittoria. 

Cosa ne pensate?

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mercoledì 29 giugno 2011

I fattori chiave del cambiamento

Quali sono i fattori che garantiscono il successo di un progetto di change management?

La rivista "Quality and partecipation" ne identifica 7:

- chiarezza: chi è chiaro e risparmia ambiguità relativamente al cambiamento che vuole apportare, ha maggiori probabilità di successo

- impegno: chi riesce a creare nei collaboratori un senso di appartenenza al progetto, avrà meno difficoltà a coinvolgerli

- risorse: questo fattore è ovvio perché senza le necessarie risorse umane, tecnologiche, economiche, ecc. cambiare è davvero impossibile

- allineamento: questo fattore, invece, non è per nulla scontato. Quante volte capita che i processi interessati al cambiamento non siano, in realtà, ben allineati con esso? Fate attenzione in particolare alla formazione, alle informazioni e ai costi

- leadership: il cambiamento va guidato in ogni momento da qualcuno capace di ispirare i propri collaboratori

- comunicazione: facilitare una comunicazione top-down e bottom-up (dall'alto in basso e dal basso in alto) renderà più fluido lo scambio di informazioni, farà in modo che tutti siano a conoscenza delle problematiche e favorirà risposte puntuali

- monitoraggio: fissate obiettivi e verificate i vostri progressi nel raggiungerli. Se necessario, effettuate i necessari aggiustamenti

Secondo voi manca qualcosa a questa bella lista?

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martedì 28 giugno 2011

La responsabilità sociale danneggia le aziende?

L'economista Milton Friedman e la rivista "The Economist" sono solo due dei soggetti che hanno nutrito scarsa considerazione per la responsabilità sociale d'impresa (RSI) o corporate social responsibility. Friedman nel 1970 affermava che la responsabilità sociale di un'azienda consisteva nell'incrementare i suoi profìtti. "The Economist" lo ha definito un concetto nebuloso e pericoloso e ha pubblicato una tabella per spiegarne il significato, confrontando l'effetto della RSI sui profitti con quello sul benessere sociale.

Se la RSI aumentava il secondo e deprimeva i primi, non si trattava che di una virtù in prestito, mugugnava la rivista, e si faceva del bene a spese degli azionisti. Se aumentava i profitti e diminuiva il benessere sociale, era perniciosa, e se riduceva entrambi era un'autentica delusione.
Se però la RSI produceva un aumento win-win sia del benessere sociale che dei profitti, non dipendeva dalla RSI, ma da una buona gestione.

La rivista sosteneva che un'azienda non dovrebbe cercare di fare il lavoro del governo, e viceversa, il che è corretto. Ma date le preoccupazioni di una fetta crescente della società, il benessere sociale è una variabile più limitata rispetto alla RSI che, secondo qualsiasi definizione attuale, comprende ormai anche lo sviluppo sostenibile e la responsabilità ambientale.

La visione di un consiglio d'amministrazione vecchio stile, in sintonia con l'Economist, può essere probabilmente quella che considera la RSI poco più di una cassetta delle elemosine, da riempire nel migliore dei casi contribuendo agli hobby del presidente o alle attività caritatevoli di sua moglie. Ma i tempi stanno cambiando. Alla luce degli scandali di bilancio e dei disastri ambientali ricorrenti, l'opinione pubblica è incline a richiedere più regole di comportamento alle aziende, e può non essere tenera (almeno all'estero).

Ma che cos'è la RSI? Possiamo dire che riguarda il modo in cui le imprese gestiscono i processi aziendali
allo scopo di produrre un impatto complessivo positivo sulla società.

I sostenitori della RSI non sono aiutati dal fatto che essa abbia un significato in Europa e un altro negli Stati Uniti. La visione europea è più ampia e considera la RSI come un comportamento onesto e ragionevole attraverso il quale si tenta seriamente di migliorare il mondo. In America l'idea del "good corporate citizen", ossia delle imprese che si comportano da buoni cittadini, presenta due aspetti separati. L'equivalente più prossimo alla RSI europea è l'etica aziendale, ossia tenersi fuori dai guai e favorire norme etiche. La RSI è piuttosto un'attività caritatevole o filantropica, un modo di ringraziare per i profitti ottenuti senza aspettarsi niente in cambio - altrimenti non sarebbe filantropia.

Gli investitori istituzionali, ultimamente, prestano un'attenzione crescente al tema della responsabilità sociale e sempre più spesso chiedono alle aziende di mostrare le loro credenziali in materia di RSI. Gli investimenti
etici stanno mostrando di poter superare altri indicatori generali di confronto ed è l'effetto finale in termini di quotazione delle azioni che alla fine potrebbe sconfiggere le posizioni dei seguaci di Friedman.

Esistono dati che confermano l'impatto benefico della RSI sugli utili delle aziende, ma non sono ancora completamente convincenti. È più facile dimostrare i costi legati alla sua mancata adozione con un numero crescente di esempi di danno di immagine dovuto a una RSI negativa.

Nelle vostre aziende state iniziando a parlare di responsabilità sociale o ancora no?

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lunedì 27 giugno 2011

Il governo americano e il BPR

Sapete che il governo federale USA ha adottato già da molti anni il Business Process Reengineering su grande scala?

La sua Guida di valutazione del BPR, pubblicata nel 1996, indicava agli enti governativi le seguenti trasformazioni da adottare in qualsiasi processo di riprogettazione:


- passare da un prevalente uso di carta ad un uso prevalente dell'elettronica
- trasformare l'organizzazione gerarchica in un'organizzazione a rete
- impegnarsi a conquistare il potere con la condivisione delle informazioni invece che con il loro accaparramento
- sostenere il passaggio da un'impostazione basata sul controllo ad una basata sulle prestazioni
- caldeggiare un'impostazione basata sul benchmarking piuttosto che sul mero rispetto delle norme
- passare da singoli esperti interni a team di talenti
- sostenere gli organismi di preparazione piuttosto che quelli di sorveglianza
- impegnarsi a dare risposte veloci invece che fornire risposte in ritardo
- favorire un unico input di dati quando possibile invece che ripetere di continuo le loro immissioni
- non avere timore della tecnologia ma cogliere al volo i vantaggi che offre
- favorire le decisioni condivise che vanno a vantaggio della clientela invece di quelle prese a senso unico dai vertici

Mi sembrano suggerimenti ancora validissimi, nonostante siano passati molti anni.

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venerdì 24 giugno 2011

Contributi storici allo sviluppo del management

Sapete quali sono i fatti storici più importanti che hanno contribuito a far diventare il management quello che è oggi?
Ne abbiamo raccolto qualcuno davvero curioso. Seguiteci in questo viaggio nel tempo!

Nel 5000 a.C. i Sumeri mantenevano le registrazioni di alcuni dati, incredibile vero?

Tra il 4000 e il 2000 a.C. gli Egizi conoscevano già l'importanza di pianificare e organizzare il lavoro di costruzione delle piramidi. Molte richieste venivano inoltrate per iscritto e molte decisioni erano collegiali.

Nel 600 a.C. Nabucodonosor, re babilonese, offriva incentivi sulla paga e operava un rudimentale controllo sulla produzione.

Arriviamo al 500 a.C. per incontrare Sun Tzu, lo stratega autore del libro "L'arte della guerra" di cui abbiamo parlato tante volte. Fortissimo nel suggerire strategie e nell'individuare i punti forti e i punti deboli degli altri.

Solo nel 400 a.C., però, lo storico Senofonte individuò per la prima volta il management, ovvero l'arte della gestione delle cose, come una competenza a sé.

A Catone il Vecchio, invece, (175 a.C.) si devono le prime job description, veri e propri mansionari.

Nel 284 Diocleziano effettuò per primo deleghe di responsabilità. Da non credersi, vero, se pensiamo a quanto ancora oggi certi "manager" abbiano difficoltà a delegare?

Nel 1436 toccò ai Veneziani dare un input all'idea di management  mediante la standardizzazione delle parti e la loro intercambiabilità. Un'idea piuttosto precisa di come bisognasse gestire le cose, non pensate?

Terminiamo con il 1500 e Sir Thomas More che per primo effettuò critiche aperte a coloro che gestivano male le cose pubbliche e che non avevano leadership.

(Fonte: "Management" di Chuck Williams)

Chi volesse rispolverare ancora un po' di storia, può rileggersi il nostro excursus sulla Qualità.

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giovedì 23 giugno 2011

Interagire al meglio con gli altri

Chi fa il nostro mestiere deve per forza saper interagire al meglio con gli altri.
Vediamo, allora, qualche consiglio per farlo al meglio:

- lasciate le vostre certezze e gli assiomi fuori dalla porta.
Quando entrate nel luogo di lavoro, siate pronti a mettervi in gioco, ad accettare dubbi e, soprattutto, a prendere in considerazione proposte, idee e suggerimenti che arrivano dai colleghi

- cercate sempre di capire in quale contesto culturale (in senso lato) vi state muovendo.
Solo afferrando la cultura delle persone che interagiscono con voi, potrete comunicare al meglio con loro

- investite negli altri prima di chiedere

- sviluppate con le persone rapporti autentici nella prospettiva del lungo periodo.
Non limitatevi a sfruttare solo chi vi può essere utile. Alla lunga questo atteggiamento non paga

- fate in modo che le persone siano coinvolte in ciò che fanno, non lasciate che siano solo testimoni passivi del loro lavoro

- guidate le persone con il vostro esempio.
Non limitatevi ad enunciare verità e spunti di saggezza ma metteteli in pratica voi per primi

- relazionatevi con gli altri, non limitatevi a "tradurre" ciò che volete dire a seconda del contesto in cui operate

- anticipate il cambiamento e aiutate i vostri colleghi a fare la stessa cosa.
Vi saranno grati per essere stati preparati al meglio ad affrontare nuove sfide.


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mercoledì 22 giugno 2011

I ruoli dei diversi manager (3)

Terza e ultima parte della nostra discussione sui livelli del management.



I manager di primo livello


I manager cosiddetti di prima linea o di primo livello occupano posizioni quali Responsabili d'ufficio, supervisori o capireparto. 

La responsabilità primaria di questi manager è quella di gestire le performance dei dipendenti di cui sono direttamente responsabili. Sono i soli manager che non supervisionano il lavoro di altri manager. 

Le altre responsabilità dei manager di primo livello includono il monitoraggio del lavoro dell'area assegnata, la formazione delle risorse umane e la pianificazione a breve termine delle attività da svolgere.
I manager di prima linea realizzano piani operativi e programmi dettagliati basandosi su ciò che il middle management ha deciso (piani a 6-18 mesi) in base ai macrobiettivi del top management (piani a 2-5 anni).
I progetti affidati ai manager di primo livello, solitamente, sono di breve respiro e tesi a produrre risultati nell'immediato.


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martedì 21 giugno 2011

I ruoli dei diversi manager (2)

Seconda parte della nostra discussione sui livelli del management.


I manager di secondo livello


Con le parole "manager di secondo livello" o "middle manager" si definiscono, spesso, i quadri che occupano posizioni quali quella di Direttore di stabilimento o di Direttore di divisione.

Queste persone hanno la responsabilità di fissare obiettivi coerenti con i macrobiettivi del Top management e di pianificare e attuare le strategie della loro subunità. 

La seconda responsabilità di queste figure è quella di allocare le risorse necessarie al raggiungimento degli  obiettivi concordati e di coordinarle nel modo più efficace ed efficiente.
Una terza responsabilità dei middle manager è quella di monitorare e gestire le performance della subunità e dei singoli manager di primo livello che fanno riferimento a loro.



Appuntamento a  domani per l'esame delle figure dei manager di primo livello.

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lunedì 20 giugno 2011

I ruoli dei diversi manager

A volte, negli organigrammi e nei mansionari, si fa un po' di confusione nel definire i ruoli dei diversi manager.
Vediamo, dunque, di fare un po' di chiarezza partendo dalla terminologia:

Top manager (CEO, Presidenti, Vice Presidenti, Ammistratori Delegati)
Manager di secondo livello (Direttori generali, Direttori di stabilimento, Direttori regionali, Direttori di divisione)
Manager di primo livello (Capi dipartimento, Capiufficio, Supervisori)

Queste sono i tre livelli in cui si è soliti suddividere il management. Esaminiamo queste figure una ad una:

Top manager

I Top manager sono coloro che occupano posizioni chiave come, ad esempio,  i CEO, i Presidenti e gli Amministratori Delegati.Sono responsabili della direzione complessiva dell'organizzazione e hanno la responsabilità di creare una visione generale che le persone possano seguire.
Come ha dichiarato un CEO americano: "L'amministratore Delegato deve pensare al futuro più di chiunque altro in azienda".

Una volta imposta la vision e la mission, la seconda responsabilità del Top manager è quella di sviluppare e far crescere l'impegno dei dipendenti. I Top manager, cioè, sono responsabili di creare dipendenti fiduciosi, desiderosi di migliorarsi e di dare un contributo all'organizzazione per la quale lavorano.

In terzo luogo, i Top manager sono responsabili della creazione di una cultura positiva e di un ambiente di lavoro sereno. E' da loro che ci si aspetta che vengano trasmessi i valori aziendali, le strategie e le lezioni di vita non solo con le parole ma attraverso ciò che fanno e dicono agli altri, sia all'interno che all'esterno dell'azienda.

Infine, i Top manager sono responsabili del monitoraggio dei loro ambienti di lavoro.Questo compito, che per essere fatto al meglio necessita di competenze specifiche, è estremamente importante perché serve a collegare il mondo esterno con l'organizzazione interna. 

In fondo, seguire da vicino le esigenze dei clienti, osservare come si muove la concorrenza e studiare i flussi economici e le tendenze sociali non significa altro che questo.

Appuntamento a  domani per l'esame delle figure dei middle manager.

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venerdì 17 giugno 2011

Eisenhower ci insegna ad essere leader

Recentemente ci è capitato tra le mani un libro su Eisenhower che ci ha portato a fare qualche riflessione sulla leadership. 
La leadership va a coprire un'area tanto vasta quanto poco definita

Eisenhower, ad esempio, ebbe tra i suoi compiti principali quello di gestire i comandanti alleati, il loro ego e le loro ambizioni oltre a quello di affrontare e sconfiggere la Germania nazista.  
La sua formazione militare è stata costantemente influenzata dalle questioni umane e politiche che l'hanno portato a sviluppare la capacità, anche sotto la pressione di una guerra, di agire solo su ben fondate valutazioni. 
 
Nella metà degli anni '30, a Eisenhower fu assegnato il compito di andare in Francia per individuare tutti i cimiteri militari americani della Prima Guerra Mondiale. Non era certo un compito esaltante eppure, nonostante la grande delusione per non aver avuto un compito più strategico, l'uomo vi si dedicò con energia, percorrendo palmo a palmo tutta la Francia settentrionale.  

Fu proprio così che maturò una conoscenza diretta di quella geografia che avrebbe incrociato parecchi anni più tardi. Tutto questo ci insegna che un vero leader fa tesoro di ogni esperienza, anche la più insignificante.

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giovedì 16 giugno 2011

Alcuni consigli per operare un buon Benchmarking

Ricordate che cos'è il benchmarking? La Benchmarking Plus, un'agenzia di consulenza di Melbourne, fornisce i seguenti consigli per applicare al meglio questo strumento. Ho pensato di riportarveli perché mi sono sembrati molto interessanti:


Non confondete il benchmarking con una valutazione - Le agenzie di valutazione che si occupano della vostra industria possono informarvi sulla posizione che occupa la vostra azienda, ma non possono
migliorarla. Una valutazione può fornire numeri interessanti, ma il benchmarking ci dice cosa si nasconde dietro ad essi.

Non confondete il benchmarking con la ricerca - II benchmarking riguarda i processi esistenti. Se state avviando un nuovo processo e volete studiare le idee delle altre aziende a riguardo, questo è compito della ricerca.

Non allargate troppo il campo - Se un processo è costituito da un gruppo di attività e un sistema è un gruppo di processi, non cercate di sottoporre a benchmarking un intero sistema. Richiederebbe troppo tempo, avrebbe costi troppo elevati e sarebbe difficile concentrarsi sugli aspetti salienti.

Non sottovalutate la necessità di trovare il partner giusto - Individuate con cura il partner per il benchmarking. Non fate perdere tempo né a voi né agli altri.

Non trascurate i vostri compiti - Cercate di conoscere a fondo il vostro processo e di sapere cosa volete imparare prima di rivolgervi a un partner.

Non siate incoerenti - Non scegliete un aspetto che non sia coerente con gli obiettivi complessivi dell'azienda o che contraddice delle iniziative in corso.

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mercoledì 15 giugno 2011

I fondamenti del Lean thinking

Quali sono i fondamenti del Pensiero snello? A me ne sono venuti in mente 5 ma sarò felice se vorrete aggiungerne altri:

- identificare il valore all'interno dei nostri processi
- ricordarsi che è il cliente che stabilisce che cosa porta valore e che cosa non lo porta
- eliminare gli sprechi e far "scorrere" solo il valore
- lasciare che siano i clienti a "tirare" la produzione e ragionare in termini di just-in-time
- perseguire in tutti i modi la perfezione, esercitando il miglioramento in un ciclo continuo

Manca qualcosa?

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martedì 14 giugno 2011

I gap della Qualità (5)

Il quinto e ultimo gap della Qualità indicato nel modello di Parasuraman è dato dalla somma dei quattro visti in precedenza e lo possiamo definire come il gap tra la Qualità attesa e la Qualità percepita:

Il gap di soddisfazione

Il gap di soddisfazione si genera per i problemi organizzativi che troviamo in un'azienda. Se ciò che offro non viene riconosciuto dal cliente come valore, forse è solo uno spreco e occorre che io mi organizzi in modo tale da verificarlo ed eventualmente eliminare ciò che non offre valore aggiunto.

La Qualità attesa dal cliente si genera attraverso tre canali:

1) il passaparola
2) le esigenze personali
3) l'esperienza passata

Il compito principale di un'azienda, dunque, sarà capire esattamente cosa si aspetta il suo cliente.

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lunedì 13 giugno 2011

I gap della Qualità (4)

Il quarto gap della Qualità indicato nel modello di Parasuraman è:

Il gap di comunicazione

Il gap di comunicazione potrebbe nascere, ad esempio, se prometto troppo ad un cliente e poi non sono in grado di mantenere.

I tre fattori chiave che lo originano sono:

1) una comunicazione inadeguata tra il Marketing e i settori operativi
2) una differenza di politiche e procedure tra unità operative diverse

3) la tendenza a fare promesse esagerate


Quali altri fattori vi vengono in mente?


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venerdì 10 giugno 2011

I gap della Qualità (3)

Il terzo gap della Qualità, dopo quello di comprensione e quello di progettazione che abbiamo visto nei giorni scorsi è:


Il gap di prestazione erogata


Il gap di prestazione, terzo del modello di Parasuraman, riguarda le differenze che possono originarsi tra le specifiche di Qualità di un prodotto/servizio e il prodotto/servizio erogato.


Ad esempio, potrei aver progettato bene ma prodotto male. Il terzo gap è dovuto, essenzialmente, a quattro fattori:


1) la mancanza di un lavoro di gruppo efficace
2) una scarsa idoneità della tecnologia
3) sistemi di valutazione inadeguati
4) un conflitto di ruoli tra il personale


Quali altri fattori vi vengono in mente?

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giovedì 9 giugno 2011

I gap della Qualità (2)

Dopo aver esaminato il gap di comprensione (gap 1), vedremo oggi insieme il gap di progettazione (gap 2).

Il gap di progettazione

E' importante che un'organizzazione sappia tradurre le specifiche dei clienti in veri e propri progetti. Quando questo non avviene si viene a creare il secondo grande gap della Qualità: il gap di progettazione.

Questo scollamento tra la Qualità che vuole il cliente e quella che l'aziendaè riuscita a progettare è dovuto, essenzialmente, a quattro fattori:

1) un impegno inadeguato da parte di chi occupa di Qualità
2) la mancanza di un sistema formale per la definizione degli obiettivi di Qualità del prodotto/servizio
3) la standardizzazione inadeguata dei compiti
4) una sensazione di irrealizzabilità degli obiettivi perché le aspettative dei clienti non possono essere raggiunte

Un esempio di azienda che è stata capace di rilevare i suoi gap di progettazione è American Airlines che ha misurato quanto tempo impegavano i suoi collaboratori a:

1) rispondere al telefono
2) servire un cliente in coda
3) imbarcare i passeggeri
4) aprire il portello dell'aereo
5) ecc, ecc.

Vi vengono in mente altri esempi simili?

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mercoledì 8 giugno 2011

I gap della Qualità

Ricordate cosa sono i gap tra le diverse tipologie della Qualità e come si formano?
Il prof. Parasuraman fu il primo a studiare un vero e proprio modello dei gap. Proviamo a ricordare brevemente quali sono i 5 gap che ha individuato. Oggi vedremo il primo:

Il gap di comprensione

Questo gap riguarda la comprensione delle aspettative dei clienti e si materializza quando le organizzazioni non riescono a comprendere i bisogni della loro clientela.

I fattori chiave che lo determinano sono:

1) ricerche di mercato insufficienti e mancata analisi della concorrenza
2) un uso improprio dei risultati delle indagini
3) la mancanza di interazione tra il top management e i clienti
4) un'insufficiente comunicazione tra il personale di prima linea e i vertici dell'organizzazione
5) la presenza di troppi livelli gerarchici tra il personale di prima linea e i vertici dell'organizzazione

Per porre rimedio a questo gap possiamo, ad esempio, mettere il cliente in grado di reclamare e facilitargli il compito. Vi vengono in mente altre azioni preventive o correttive?

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martedì 7 giugno 2011

I servizi che aggiungono valore

Quali sono, a vostro giudizio, i servizi che forniscono valore aggiunto ai nostri clienti? E' vero che bisognerebbe partire dalla definizione di un'area di indagine ma anche ragionando in generale si possono trovare delle idee valide.

Di seguito vi elenchiamo le nostre:

AREA INFORMAZIONE - call center, sito internet ben strutturato, brochure, fiere, ecc.
AREA CONSULENZA - consulenza per finanziamenti, co-design, ecc.
OSPITALITA' - sale per i clienti, punti di ristoro, punti internet, ecc.
CUSTODIA - auto, bagagli, bambini, ecc.
PRESTAZIONI ECCEZIONALI - macchina sostitutiva, task force tra stabilimenti diversi, ecc.
FATTURAZIONE - inserimento riferimento ordine cliente, ecc.
PAGAMENTI - concordati con i clienti, ecc.

Cosa possiamo aggiungere?

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lunedì 6 giugno 2011

Costruire il valore per il cliente

Il flusso del Valore è l'insieme delle azioni (a valore aggiunto e non) normalmente richieste per portare un prodotto attraverso due flussi principali:

1) flusso di progettazione (dal concetto al lancio sul mercato)
2) flusso di produzione/erogazione

Il Valore è dato dai benefici divisi per i costi e viene sempre definito dal cliente.
Ricordiamoci, però, che non deriva solo da nuovi benefici del prodotto o del servizio ma anche dalla rimozione di tutti i problemi che il cliente deve affrontare durante l'acquisto o l'uso.

Le 5 tipologie di costi sono:

- denaro
- tempo
- sforzo fisico (es. parcheggio lontano)
- sforzo mentale
- affaticamento sensoriale (dovuto alla coda, ai rumori, al fatto che non ci siano posti per sedersi, ecc.)

Automaticamente, dunque, se riesco a risparmiare qualcuno di questi costi al mio cliente, ho creato per lui del valore.

Vi vengono in mente altre osservazioni da fare sull'argomento?

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venerdì 3 giugno 2011

Siete invidiosi?

L'invidia non è mai positiva e lo è ancor meno quando decidiamo di calarla in un ambiente di lavoro.

Su un vecchio numero di Harvard Business Review che mi è capitato tra le mani ho trovato questo interessante test che vi aiuterà a capire quanto siete invidiosi. Pronti? Via!

Una persona inquadrata al vostro stesso livello ha appena ottenuto un successo sul lavoro. Voi:

1) Vi congratulate? Sì (0 punti) No (1 punto)
2) Il suo successo come vi fa sentire? Felici (0), Non ve ne frega niene (1), Arrabbiati (2)
3) State pensando che i superiori potrebbero valutare meno il vostro lavoro? Sì (1) No (0)
4) Quando è stata l'ultima volta che avete affermato in pubblico la stima per il vostro collega? L'ultima volta che ha avuto successo (0), Non mi ricordo (1), Mai (2)
5) Vi capita mai di invidiare lo status raggiunto da questa persona? Sì (1) No (0)
6) Immaginate per un attimo che il vostro collega si trovi a dover subire un'umiliazione pubblica. Come vi sentireste? Triste (0), Indifferente (1), Felice per lui (2)

-----

Seconda parte del test:

7) Ammetti sempre quando sbagli? Sì (1) No (0)
8) Che tu sappia, sei mai stato odiato da qualcuno sul lavoro? Sì (0) No (1)
9) Sei spesso risentito quando non si fa a modo tuo? Sì (0) No (1)

Risultati domande da 1 a 6:


- da 0 a 1: non sei per nulla invidioso. Complimenti!
- da 2 a 3: sei un pochino invidioso
- da 4 a 6: se abbastanza invidioso
- da 7 a 9: sei terribilmente invidioso e lo sai benissimo

Risultati domande da 7 a 9:

- da 0 a 1: sei invidioso e non ti vergogni a dirlo
- da 2 a 3: ti sei soffermato parecchio a pensare a come vieni fuori da questo test perché non vorresti risultare invidioso

Forza, fuori i punteggi! ;o)

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mercoledì 1 giugno 2011

L'importanza dell'empatia nei rapporti di lavoro (3)

Terza parte del nostro ampio discorso sull'empatia. L'empatia si può imparare?
Continuiamo a leggere il libro di Albiero e Matricardi.

La necessità di completare i più consueti curricula scolastici con l’educazione affettiva è un’esigenza sentita a livello internazionale, tanto che addirittura l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha messo a punto delle linee guida per la strutturazione di training sull’educazione affettiva. 

(...)

In particolare, Marmocchi, Dall’Aglio e Zannini (2004) evidenziano quattro capisaldi utili per impostare corsi di educazione affettiva:

• Metodologia per l’insegnamento delle life skills: rispetto al metodo di insegnamento classico si sostiene un tipo di apprendimento attivo che «si costruisce con il contributo sinergico di discente e docente: è solo attraverso l’esperienza, il vivere in prima persona ciò di cui si parla, riflettendo e confrontandosi con gli altri che diventa possibile unire aspetti emotivi e cognitivi; apprendere dall’esperienza diventa l’unica strada per il cambiamento»
La proposta è, in sintesi, quella di un apprendimento partecipante che è facilitato dall’impiego di metodi attivi quali ad esempio il brainstorming (una tecnica in cui il gruppo esprime idee su un tema in modo libero e creativo) e il role playing (la messa in scena di una situazione in cui alcuni partecipanti svolgono il ruolo di attori e altri di osservatori).

• Competenze del conduttore: il conduttore dovrà essere in grado di padroneggiare una tecnica attiva per raggiungere gli obiettivi attesi, tenendo conto delle esigenze del gruppo a cui l’attività è proposta. In ragione di ciò un conduttore deve essere anche in grado di costruire con il gruppo regole condivise, di coinvolgere i partecipanti nelle attività, di essere un buon moderatore nelle discussioni di gruppo, di utilizzare in modo flessibile gli strumenti a sua disposizione, per creare e mantenere un clima armonioso, stimolante e responsivo rispetto ai bisogni del gruppo.

• Gruppo di progetto: un corso di educazione affettiva richiede il sostegno delle scuole e delle istituzioni preposte all’educazione per la sua attuazione, per cui è pensabile come un intervento di rete integrato e multiprofessionale. Sarà infatti necessario formare gli insegnanti, realizzare il materiale didattico e garantire la continuità degli interventi. In questo senso sarà utile costituire un vero e proprio gruppo di progetto che utilizzi le competenze di tecnici del settore con l’obiettivo di sviluppare il progetto in modo ottimale.

• Valutazione del training: un altro aspetto indispensabile riguarda la necessità di una valutazione dell’efficacia di questi programmi, sia nei termini dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi attesi sia nei termini del gradimento del corso da parte dei partecipanti e della scuola che ne ha permesso l’attuazione.

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