giovedì 31 ottobre 2013

La teoria dei 3 fattori della motivazione umana (4)

Il cameratismo è l'ultimo dei tre fattori che scatenano la motivazione dei lavoratori perché avere il privilegio di poter lavorare in un ambiente caldo, interessante e collaborativo permette di costruire relazioni professionali e personali solide e di tirare fuori il meglio da qualsiasi sinergia.

Gli esseri umani sono animali sociali: una buona interazione con gli altri non è solamente gratificante ma essenziale per la salute mentale.
Il posto di lavoro deve essere in grado di soddisfare i bisogni sociali ed emozionali delle persone che lo frequentano. L'aspetto fondamentale è rappresentato dai colleghi, visto che è con essi che trascorriamo la maggior parte delle nostre ore lavorative. Persone intelligenti, amichevoli, professionali e disponibili a collaborare e a scambiarsi informazioni sono un bel biglietto da visita per un'ambiente di lavoro e possono, a tutti gli effetti, essere considerate un vantaggio competitivo.

Ora che siamo arrivati in fondo, vorremmo sapere da voi quali sono i tre fattori che influenzano maggiormente la vostra motivazione professionale. Coincidono con quelli che abbiamo elencato oppure no? Magari cambiano in qualche sfumatura? Ce lo raccontate?

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mercoledì 30 ottobre 2013

La teoria dei 3 fattori della motivazione umana (3)

Il secondo dei fattori che portano i lavoratori ad essere soddisfatti è la possibilità concreta di raggiungere degli obiettivi che comporta la possibilità di essere orgogliosi di ciò che si fa e di come lo si fa.

Come abbiamo visto ieri, un senso di equità è la base sulla quale costruire una relazione professionale ma da sola non può bastare. Ecco perché il secondo livello deve essere la possibilità di poter raggiungere certe performance, essere soddisfatti di ciò che si fa e ricevere complimenti anche da chi lavora con noi.

Molte persone entrano in una nuova organizzazione piene di entusiasmo, desiderose di lavorare e di contribuire in qualche modo e vogliono sentirsi orgogliose di ciò che fanno. Ciò nonostante, molti manager fanno davvero di tutto per demotivarle.

L'orgoglio di un lavoratore si stimola in sei differenti modi:
  1. con un lavoro che rappresenti una vera e propria sfida per l'intelligenza, le capacità e le competenze della persona
  2. permettendogli di acquisire nuove competenze
  3. mettendolo in grado di lavorare bene attraverso la giusta formazione, le direttive necessarie, le risorse indispensabili, il giusto grado di autorità, le informazioni che servono e la collaborazione di tutti
  4. facendo in modo che possa percepire chiaramente quale importanza viene data al suo lavoro dall'organizzazione e dai clienti
  5. dando un riconoscimento alla performance svolta bene. Come abbiamo visto molte volte in passato, anche un semplice "grazie" può contribuire a rendere una persona soddisfatta
  6. fare in modo che possa lavorare per un'organizzazione della quale i collaboratori sono orgogliosi per i suoi valori, per i prodotti che fa, per i servizi che offre, per la soddisfazione dei clienti, ecc.

A domani per l'ultimo fattore: il cameratismo.

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martedì 29 ottobre 2013

La teoria dei 3 fattori della motivazione umana (2)

Riprendiamo il discorso che abbiamo iniziato ieri, occupandoci del primo dei tre fattori che sono alla base della teoria della motivazione umana: l'equità.

"Equità" significa essere trattato giustamente in relazione alle regole del mondo del lavoro, dato che è lecito attendersi certe condizioni di base, semplicemente in virtù della relazione di lavoro che si è venuta a costituire. 

Queste condizioni sono definite da standard etici e di legge, generalmente accettati, che comprendono, ad esempio:
  • poter lavorare in un ambiente di lavoro sicuro
  • gestire un carico di lavoro che non crei problemi alla salute
  • non essere sottoposti a pressioni psicologiche che potrebbero sfociare in problemi fisici
  • avere un certo grado di sicurezza economica che preveda uno stipendio sufficiente per vivere decentemente
  • poter contare su una ragionevole certezza del posto di lavoro
  • essere trattati con rispetto
  • poter gestire con sufficiente elasticità le esigenze personali e della famiglia
  • poter contare su un management credibile e sempre presente
Domani analizzeremo il secondo fattore: la possibilità di raggiungere obiettivi. Non mancate! 

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lunedì 28 ottobre 2013

La teoria dei 3 fattori della motivazione umana

Qualcuno di voi conosce la teoria dei tre fattori della motivazione umana?

L'argomento di cui si occupa è quello di individuare i primi tre obiettivi che le persone vogliono raggiungere nell'ambiente professionale nel quale lavorano e cioè che:
  1. rappresentano le cose che la maggioranza dei lavoratori vuole, a prescindere da età, genere, anzianità professionale, livello culturale, ecc.;
  2. non sono mai cambiati nel tempo;
  3. una volta compresi, possono diventare la chiave per migliorare il morale dei lavoratori e le performance dell'organizzazione, dato che non c'è alcun conflitto tra questi obiettivi e le necessità delle aziende
I tre fattori, che analizzeremo meglio e nel dettaglio a partire da domani, sono:
  1. l'equità: attenzione al benessere dei lavoratori che devono essere trattati con uguaglianza
  2. la possibilità di raggiungere obiettivi: significa riuscire a fare un buon uso delle proprie competenze e capacità per centrare dei risultati importanti per l'organizzazione ma anche per il lavoratore
  3. il cameratismo: un buon ambirente di lavoro è fondamentale per riuscire a collaborare bene con gli altri
Immagino che qualcuno di voi sarà stupito da quanto riportato sopra. Cosa vi sareste aspettati di diverso?

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venerdì 25 ottobre 2013

Adriano Olivetti

In occasione del film sulla vita di Adriano Olivetti (che, per gli interessati, andrà in onda su Rai Uno il 28 e 29 ottobre), la rivista "Sette" ha pubblicato un articolo che parla del famoso imprenditore.
Vi riportiamo i brani che abbiamo trovato più interessanti perché relativi alla sua concezione di azienda e di lavoro.

(...)

"Aveva un’idea dell’industria che non era quella tipica italiana. In Italia si ha, spesso, un’idea parassitaria dell’industria: si privatizzano gli utili e si socializzano le perdite. Lui socializzava gli utili"

(...)

"Aveva trasformato una piccola fabbrica di Ivrea nell’industria leader delle macchine per scrivere arrivando a comprare il colosso americano Underwood (quello delle macchine per scrivere nere e imponenti che si vedono nelle foto degli scrittori Raymond Chandler e Dashiell Hammett). Ma le Olivetti non erano solo macchine per scrivere. La più famosa e rivoluzionaria delle creature olivettiane, la Lettera 22, è stata considerata un’opera d’arte (lo rimane) ed esposta nel museo d’arte moderna di New York. A suo tempo si classificò al primo posto nella lista dei 100 oggetti da salvare degli ultimi 100 anni."

(...)

"Quando nel quartiere generale di Ivrea decisero di produrre una macchina portatile fu fatta una ricerca di mercato. Come avrebbe voluto la gente una macchina per scrivere portatile? Le risposte furono concordi: solida, robusta. Olivetti fece il contrario e chiese ai tecnici di realizzare una macchina leggerissima, colorata, aerodinamica. I suoi collaboratori gli fecero presente che era da pazzi andare nella direzione opposta a quella indicata dalla ricerca di mercato, significava votarsi a un sicuro insuccesso. Olivetti non volle sentire ragioni e spiegò che quel tipo di inchieste fotografano il passato e non il futuro, sono, per loro natura, conservatrici (la gente è conservatrice fino a quando non gli dai l’occasione di sognare qualcosa di nuovo). E ragionando così (sragionando, secondo i suoi critici) Olivetti votò a sicuro successo la sua prima macchina da scrivere portatile arrivando ad aumentare la produttività del 500% e le esportazioni del 1300%.

Il punto di vista di Olivetti non era originale solo riguardo alle ricerche di mercato ma a ogni aspetto del lavoro di fabbrica. Così ben presto si diffuse la leggenda (che era realtà) di un datore di lavoro preoccupato che i suoi dipendenti avessero a disposizione asili nido, scuole elementari, ambulatori medici, palestre, case con orto e garage acclusi, biblioteche, cinema, circoli culturali. Gli operai venivano invitati a usare, se ne avevano la necessità, i servizi culturali anche durante l’orario di lavoro. Ed è celebre l’aneddoto della delegazione sovietica che venne a visitare la fabbrica di Ivrea. Gli ospiti si stupirono non vedendo gente incatenata alla postazione di lavoro ma libera di muoversi e così chiesero: «Ma è un giorno di sciopero?».

La leggenda (che era realtà) di una fabbrica con grandi vetrate al posto delle pareti di mattoni (secondo la lezione di Le Corbusier) perché la luce del sole inondasse gli interni. Un’idea di fabbrica che Olivetti (attentissimo all’architettura) realizzò nella sede di Pozzuoli: «Di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo, perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza»."

(...)

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giovedì 24 ottobre 2013

Concassage: una tecnica per la creatività

Ricordate il libro "Creatività for ever" di Francesca Romana Gianandrea, di cui avevamo parlato tempo fa?
Ci offre l'occasione per parlare di un'altra tecnica per stimolare la creatività che è forse ancora poco conosciuta: il concassage.

Eccovi la descrizione che ne fa l'autrice:

(...)

"Il termine concassage è traducibile con scuotimento, infatti il problema viene analizzato scuotendolo con una lista di domande sui vari elementi che lo compongono in modo da analizzarlo sotto prospettive divergenti e insolite."

(...)

"L'animatore introduce il problema da risolvere o l'idea da generare e verifica la comprensione del gruppo. Spiega loro che il principio sottostante la tecnica è quello di modificare sistematicamente la questione in oggetto, cambiandone il punto di vista attraverso un certo numero di chiavi di lettura. Partendo dal problema l'animatore pone al gruppo le seguenti domande:
  • che cosa succederebbe se volessimo ingrandire...?, per esempio la forma, il peso, il prezzo, l'uso;
  • che cosa succederebbe se volessimo ridurre...?, per esempio il volume, il peso, il prezzo, la durata, l'impiego, la quantità;
  • che cosa succederebbe se volessimo migliorare...?, per esempio le prestazioni, i materiali, il design, il packaging, il processo produttivo;
  • che cosa succederebbe se volessimo associare...?, per esempio un altro oggetto o funzione con qualcosa di completamente diverso;
  • che cosa succederebbe se volessimo utilizzare un processo tecnologico diverso...? per esempio sostituire dei componenti, delle strutture, delle macchine;

(...)

Le idee prodotte vengono annotate in una lista. Al termine, l'animatore le rilegge al gruppo, le idee simili vengono cancellate o accorpate.

(...)

Successivamente si passerà alla valutazione delle idee.

(...)

Qualcuno di voi conosce e ha adottato questa tecnica?

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mercoledì 23 ottobre 2013

L'importanza del contatto visivo

Ognuno di noi sa benissimo quanto sia importante un buon contatto visivo con le persone. Nel mondo occidentale esso significa onestà, rispetto, interesse, intelligenza, candore, fiducia e molto altro. Nonostante tutto questo, però, alcuni trovano davvero difficile guardare negli occhi il proprio interlocutore abbastanza a lungo da creare con lui una "connessione".

Per rafforzare questa capacità ed allenarvi a migliorare il contatto visivo che riuscite a stabilire con gli altri, potete seguire uno o più dei seguenti suggerimenti che abbiamo selezionato per voi.

1 - Di che colore?

Mentre parlate con il vostro interlocutore, cercate di capire di quale colore abbia gli occhi senza fermarvi a "castani" / "azzurri" o "chiari" / "scuri" ma cercando di individuare quante più sfumature possibile, ad esempio se il bianco che circonda la pupilla è davvero bianco o un po' arrossato.
Se vi sembra una cosa stupida, provate a pensare a una persona  (non amica o parente) che vedete spesso e chiedetevi di quale colore abbia gli occhi. Con grande probabilità, non saprete rispondere. Quanto poco l'avete guardata negli occhi?

2 - Di quale forma?

La seconda volta che avrete bisogno di stabilire un contatto visivo con la stessa persona, provate a concentrarvi sulla forma dei suoi occhi. Sono rotondi, ovali, a mandorla? Sono vicini o lontani tra loro? Sono simmetrici?

3 - Lunghe oppure no?

La terza volta le cose iniziano a diventare difficili ma dovete imparare a stabilire nuovamente un  contatto visivo con il vostro interlocutore. Cercherete, quindi, di concentrarvi sulla lunghezza delle sue ciglia (lunghe o corte), sulla loro forma (dritte, incurvate) e sul loro colore.

4 - Quanti battiti?

Sempre più difficile...al quarto contatto visivo cercate di concentrarvi su quanti battiti di ciglia eseguono gli occhi del vostro interlocutore. Difficile? Certo, ma state portando avanti una sfida, giusto? ;o)

5 - Lenti?

Gli occhi che state fissando portano le lenti a contatto oppure no? Non è così difficile scoprirlo, coraggio...
Provate anche a stabilire se le lenti sono neutre oppure colorate

6 - Occhiali?


Questo consiglio potete utilizzarlo solamente se il vostro interlocutore porta gli occhiali. Chiedetevi di che colore sia la montatura, osservatene la forma, il materiale che la compone, le sfumature, lo spessore delle lenti...

7 - Solo per donne che parlano con donne!

Signore, parliamoci chiaro, noi donne quello che sto per descrivere lo facciamo abbastanza istintivamente, basterà renderlo sistematico ed ecco che avremo maturato un grande vantaggio nel nostro controllo visivo.
Studiate il trucco della vostra interlocutrice: quanto mascara porta? Che sfumatura di ombretto utilizza? Ha un tratto di matita oppure di eyeliner?
Uomini! Smettetela di ridere e meditate, invece, sul fatto che avete un consiglio in meno da poter seguire. ;o)

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martedì 22 ottobre 2013

La sinettica: una tecnica creativa


Il termine "sinettica" deriva dal greco e significa unire tra loro elementi differenti e che, apparentemente, non hanno alcuna relazione tra loro e divenne famoso negli anni '60, quando William J. J. Gordon pubblicò il libro: "Synectics".

La sinettica, simile al brainstorming ma decisamente meno conosciuta, si basa sul principio che la creatività possa essere insegnata combinando tecniche volte a creare interazione all'interno dei gruppi con un processo creativo centrato sull'uso di metafore e analogie.
L'idea di base è che innescando nuove associazioni possano nascere idee e riflessioni in grado di portare a nuovi prodotti, servizi, ecc.
Il compito è, dunque, quello dapprima di rendere familiare ciò che appare strano (per comprendere meglio il problema) e poi far intendere come strano ciò che risulta familiare allo scopo di considerare il problema da una prospettiva inedita per provare a risolverlo.

Le analogie impiegate sono di quattro tipi: 
  1. Analogia diretta: si mette in relazione il problema con mondi estranei a quello di chi sta utilizzando lo strumento (ad esempio con il mondo animale o vegetale, con quello della musica, ecc.)
  2. Analogia simbolica: si crea una relazione tra il problema e immagini casuali o i simboli
  3. Analogia fantastica: si cerca di far immedesimare i partecipanti in situazioni di fantasia
  4. Analogia personale: i membri del gruppo sono invitati a identificarsi con il problema stesso

Le tre fasi in cui si articola la metodologia sono:

1) definire il soggetto o l'ipotetico problema su cui vogliamo lavorare

2) manipolarlo in modo da esplorare eventuali alternative, soluzioni e trasformazioni partendo da una parola e compiendo diverse azioni quali, ad esempio:
  • aggiungere
  • sottrarre 
  • ripetere
  • combinare
  • trasfgerire
  • enfatizzare
  • animare
  • sostituire
  • frammentare
  • isolare
  • distorcere
  • contraddire
  • parodiare
  • prevaricare
  • trasformare
  • ecc.
3) reinventare e trasformare fino ad arrivare ad una soluzione condivisa


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lunedì 21 ottobre 2013

Il Sistema Qualità e l'innovazione

Il solo vantaggio competitivo che ha oggi un'organizzazione è quello di creare e mettere in pratica nuove conoscenze più velocemente dei suoi concorrenti.
Per riuscirci e stabilire un flusso ottimale di informazioni, diventando così una vera e propria learning organization, occorre che i singoli processi di un'azienda facciano rete e costituiscano un vero e proprio sistema.
E' proprio un sistema di gestione - infatti - che può rendere di successo un'organizzazione, permettendo un flusso rapido delle informazioni e la creazione di nuova conoscenza tra le persone.

Un Sistema di Gestione della Qualità, dunque, è essenziale per qualsiasi organizzazione che voglia proporsi come innovatrice. La migliore idea, infatti, è del tutto inutile se non si riuscirà ad ottimizzarla per il mercato e questo compito può essere svolto al meglio solamente se si può contare su un sistema snello, flessibile e capace di seguire il processo di innovazione in ogni sua fase di sviluppo.

La Qualità, normata dalla famiglia delle ISO 9000, si basa su una filosofia che dovrebbe essere la base per qualunque innovatore. Basti pensare, ad esempio, ad uno degli 8 principi della Qualità e, precisamente, al primo che è quello dell'orientamento al cliente.
L'innovazione nasce proprio da una capacità di focalizzarsi sulle necessità odierne e future della clientela e il lavoro che deve riuscire a fare la Direzione è quello di mantenere alta l'attenzione alle esigenze del cliente, proprio come ci insegna la Qualità.
Se gli obiettivi della Qualità verranno pensati nell'ottica di aggiungere valore a ciò che i clienti ricevono dallla nostra organizzazione anche in un'ottica di futuro prossimo, ecco che diventeranno lo strumento migliore per supportare l'intero processo di innovazione.

Non dimentichiamo, poi, che la Qualità ci insegna anche che le persone sono il fondamento di tutto. E non sono forse le persone ad essere l'essenza stessa dell'innovazione?
Il modo più efficiente per utilizzare le risorse umane di un'azienda è proprio quello di gestirle attraverso un sistema ben organizzato di processi. Un Sistema Qualità efficace, infatti, è in grado di costruire competenza basata sullo scambio di conoscenze tra le singole persone che è poi il primo gradino per imparare a fare innovazione.


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venerdì 18 ottobre 2013

Le priorità dei manager nel XXI secolo (3)

Ultima parte di questa lunga discussione sui manager del nuovo millennio.


3 - Le persone al centro dell'organizzazione

Un bravo manager deve impegnare molto del proprio tempo lavorando con le persone, avendo ben chiaro in testa che sono loro a costituire il vantaggio competitivo dell'organizzazione.

Avendo ben presente l'idea del futuro che vogliono sviluppare, questi professionisti cercheranno di far crescere i collaboratori in modo da sostenere le sfide che hanno previsto per poter, così, contare su conoscenze, talenti e competenze adatti ad affrontare il cambiamento nel migliore dei modi.

I manager devono imparare a dedicare molto del loro tempo alla ricerca di persone che possano fornire un reale valore aggiunto all'organizzazione e allo sviluppo del lavoro di gruppo per sfruttare tutte le sinergie.

Dare alle persone compiti che possano svolgere bene, permettere loro di crescere e di imparare, portarle a sfidare lo status quo e a prendersi dei rischi è uno dei tanti importanti compiti di un bravo manager.

4 - Integrarsi con la strategia dell'organizzazione

La strategia dell'iorganizzazione comprende i suoi valori, i principi, gli obiettivi.Tutto il lavoro di un manager deve sempre e comunque fare riferimento alla strategia della propria organizzazione per supportarla, integrarla e coordinarla.

Valori e principi sono fondamentali in ogni realtà e il management deve non solo allinearsi ad essi ma costituire un esempio della loro costante applicazione.

I valori non possono essere imposti perché sono il risultato di un costante dialogo con le parti interessate e di un continuo esercizio di bilanciamento di coerenza ed esigenze interne ed esterne.
Le azioni quotidiane dei manager servono a gettare le fondamenta di una cultura che farà capire in un batter d'occhio ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
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giovedì 17 ottobre 2013

Le priorità dei manager nel XXI secolo (2)

Riprendiamo il discorso iniziato ieri, esaminando le prime due cose che un manager moderno è chiamato a fare.

1 - Creare il futuro e comunicarlo agli altri

Tutti i manager vivono con una certa apprensione il futuro, soprattutto in questo momento di grande crisi. Quello che è emerso dalla ricerca fatta da "The European Business Review" è che un bravo manager dovrebbe portare la compagnia per la quale sta lavorando in una posizione migliore rispetto a quella in cui era quando ha iniziato a lavorare per lei e questo per permetterle di fronteggiare con più sicurezza il futuro.

Questo significa saper anticipare i cambiamenti, cogliere le opportunità, cercare nuovi spazi nei mercati, ecc.

Se non sono i manager a pensare al futuro, infatti, chi deve farlo?

Per prepararsi ad anticipare il futuro, un manager deve conoscere molto bene il proprio ambito di business, l'organizzazione per la quale lavora, i clienti, le parti interessate, i concorrenti, ecc. perché tutte queste conoscenze contribuiranno ad aiutarlo a creare un'idea di futuro vincente che andrà articolata in una vision a lungo termine e declinata in obiettivi chiari a breve termine.

2 - Costante adattamento al cambiamento

Competere nel ventunesimo secolo è tutt'altro che facile. I concorrenti arrivano da ogni Paese e settore, le nuove idee nascono continuamente anche grazie a strutture come internet che ne permettono uno sviluppo più rapido, i modelli di business invecchiano a ritmi vertiginosi e ciò che va bene oggi non andrà più bene domani.

In questa battaglia continua i manager hanno bisogno di ripensare continuamente le loro strategie per riconfigurarle e adattarle agli scenari che mutano senza preavviso.
Occorrono un adattamento costante, un continuo cambiamento e un rinnovamento puntuale così come esser consci che niente è destinato a durare per sempre.

Adattarsi è un processo che cambia enormemente da una realtà all'altra ma ci sono alcuni tratti dominanti che lo caratterizzano come, ad esempio, la ricerca continua di una differenziazione, l'attenzione spasmodica alla Qualità, l'importanza data all'innovazione, la cura per i dettagli e la ricerca continua dell'eccellenza.

Scoprire nuovi modelli di business per sviluppare la sostenibilità della propria organizzazione nel futuro è fondamentale per qualsiasi manager che voglia davvero definirsi "moderno".

A domani per gli ultimi due punti!

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mercoledì 16 ottobre 2013

Le priorità dei manager nel XXI secolo

Sull'ultimo numero della rivista: "The European Business Review" ho letto un articolo interessante che ha per tema ciò che debbano fare i manager nel ventunesimo secolo per essere considerati professionisti validi.

La risposta, ovviamente, non è né facile né immediata perché i manager si differenziano enormemente uno dall'altro a seconda delle loro responsabilità, dello stile che decidono di adottare, del tipo di problemi che si trovano a dover fronteggiare, del settore nel quale operano, della strategia adottata dalle organizzazioni per cui lavorano, delle caratteristiche delle loro aziende, ecc.
Ci sono così tante variabili da considerare che generalizzare è estremamente difficile e anche fuorviante.

Anche ricorrere alla vasta letteratura tecnica che ha trattato l'argomento non ci aiuta particolarmente. Peter Drucker, ad esempio, si focalizza su tre aree:
  1. prendersi al responsabilità dei risultati economici dell'organizzazione
  2. gestire la struttura e le competenze
  3. organizzare le attività e il lavoro per massimizzare l'efficienza
Per fare tutto questo, un manager deve fissare obiettivi, organizzare, motivare, comunicare, misurare e gestire le persone.

Mintzberg affronta alcuni miti relativi al lavoro dei manager spiegando che queste persone sono spesso molto meno prevedibili di quanto i modelli vorrebbero far apparire, meno sistematiche nel loro agire e, soprattutto, portate spesso a decidere con pochissime informazioni a loro disposizione. Per fare il manager, dunque, conta spesso più l'esperienza della conoscenza perché il management non può essere limitato ad una competenza che si possa imparare sui libri.

Kotter sostiene, invece, che i bravi manager abbiano una visione chiara di ciò che occorre fare in futuro e una buona rete di conoscenze (interne ed esterne) che possono aiutarli a raggiungere gli obiettivi che si sono posti.

Più di recente, Barlett e Ghoshal hanno spiegato che strategia, struttura e sistemi sono stati sostituiti da scopo, processi e persone.

Come vedete, non esiste una risposta univoca alla nostra domanda ed è per questo che la rivista ha deciso di rivolgerla direttamente ai manager di oggi, sperando di avere risposte più organiche e riconducibili a un modello.

Ciò che ne è derivato è che oggi, per essere considerati buoni manager, occorre fare fondamentalmente quattro cose che inizieremo a considerare a partire da domani.
Non mancate!

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martedì 15 ottobre 2013

I problemi più comuni nella gestione dei progetti

I problemi più comuni che possiamo riscontrare nella gestione dei progetti ricadono tutti in una delle otto categorie seguenti:
  1. risorse insufficienti o inadeguate
  2. programmazione non realistica delle attività da svolgere
  3. obiettivi poco chiari
  4. membri del team di progetto poco coinvolti
  5. pianificazione dei lavori inadeguata
  6. comunicazioni lacunose
  7. variazioni degli obiettivi e delle risorse messe a disposizione
  8. conflitti tra le parti
La lista parte dai problemi che si riscontrano maggiormente (che si trovano nelle prime posizioni) e termina con quelli meno comuni.

Non sorprende affatto che il problema più comune sia la mancanza di risorse adeguate allo svolgimento ottimale del progetto (sembra che il mercato ci spinga a fare sempre di più come meno risorse a disposizione ma spesso siamo noi ad utilizzare male ciò che abbiamo) e che il secondo sia la mancanza di una programmazione realistica del lavoro da svolgere (perché cerchiamo di cogliere immediatamente il bisogno di un cliente oppure perché abbiamo promesso una consegna troppo anticipata rispetto alle nostre reali possibilità), vero?

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lunedì 14 ottobre 2013

L'intelligenza emotiva o emozionale (2)

Ecco le domande che vi avevamo promesso venerdì scorso e che vi serviranno per scoprire il vostro livello di intelligenza emozionale.

In realtà, i test più affidabili sono molto più articolati di questo ma per avere un'idea e capire se dobbiamo lavorare su questo aspetto questo questionario va benone.

Rispondete "" o "no":
  1. A volte pensi che dovresti essere molto più eccitato per un evento speciale di quanto tu in realtà sia?
  2. Ti scopri a non piangere quando succede qualcosa che farebbe piangere altre persone?
  3. Sei orgoglioso del fatto che non ti arrabbi mai?
  4. Ti è mai stato detto da qualcuno che sei duro, insensibile e indifferente?
  5. Ti sorprendi spesso del fatto che ciò che ti aspetti dagli altri sia alquanto diverso da ciò che effettivamente capita?
  6. Credi che la maggioranza dei problemi che hanno gli altri sia per colpa loro?
  7. Trovi difficile lavorare con le persone che hanno un backgroung diverso dal tuo?
  8. Trovi difficile lavorare e prestare attenzione a qualcosa quando qualcuno della tua famiglia, un amico o un membro del tuo gruppo di lavoro è sconvolto per qualche motivo?
  9. Ti capita mai di arrabbiarti moltissimo quando un membro della tua famiglia o un collega ti fa notare qualcosa che, in fondo, non è poi così importante?
  10. Le persone che ti sono vicine ti hanno mai detto che hai problemi a gestire le emozioni?
  11. Scherzi spesso anche utilizzando il sarcasmo?
  12. Ti capita spesso che le tue emozioni sgorghino solamente a riunione conclusa quando ti ritrovi a sbattere la porta e a scrivere e-mail di fuoco?
  13. Le tue relazioni con colleghi e capi sono molto superficiali e si limitano strettamente all'ambito lavorativo?
  14. Ti capita di pensare che con alcuni individui di un certo tipo hai meno schermaglie?
  15. Ti sei mai ritenuto vittima degli altri anche solo per aver detto "sì" quando avresti voluto dire "no"?
  16. Ti è mai capitato che le persone avessero problemi con te anche fino a lasciare il gruppo di lavoro?
  17. Trovi difficile comunicare con gli altri?
  18. Ti stupisci se il tuo team non capisce gli obiettivi che hai in mente?
  19. Sperimenti mai situazioni conflittuali che sembrano non volersi risolvere?
  20. Hai mai avuto la voglia di migliorare il tuo carisma e di provare ad essere un collega migliore?
 Ora contate i "no" e leggete quale livello di intelliegenza emotiva avete:
  • da 17 a 20: grande! Fai parte della minoranza di persone che capiscono l'intelligenza emozionale e la applicano ogni giorno nell'ambiente dove lavorano
  • da 13 a 16: non male ma puoi migliorare in alcune aree
  • da 7 a 12: in alcune aree la tua intelligenza emozionale è fortissima ma devi decisamente migliorare in altre. Lavorare su questo aspetto ti aiuterà ad essere un collega o un capo migliore
  • da 1 a 6: non ci siamo! Devi assolutamente migliorare la tua intelligenza emotiva. Ricorda che un investimento di tempo in questo lavoro ti ripagherà enormemente in termini di successo professionale
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venerdì 11 ottobre 2013

L'intelligenza emotiva o emozionale

Il termine "intelligenza emozionale" o "intelligenza emotiva", al contrario di quello che molti credono, fu coniato nel 1990 da due psicologi, Peter Salovey e John D. Mayer che ne diedero la seguente definizione:

"l'abilità di monitorare i sentimenti e le emozioni propri e degli altri, in modo da riuscire a riconoscerli e distinguerli per utilizzare queste informazioni al fine di guidare pensieri e azioni".

Fu solo nel 1995 che Goleman scrisse il suo famossimo best seller sull'intelligenza emozionale, portando il suo cognome a diventare quasi un sinonimo del concetto.
Una delle definizioni che Goleman diede dell'intelligenza emotiva, come vedete abbastanza simile a quella precedente, è:

"l'abilità di riconoscere e regolare le emozioni in noi stessi e negli altri".

L'intelligenza emozionale è fondamentale negli ambienti di lavoro perché conoscere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri ci aiuta a lavorare meglio e a migliorare le performance del gruppo.

Voi che livello di intelligenza emozionale avete? Ci avete mai pensato?
Se non avete mai fatto un test del genere, forse potrete trovare utile quello che vi proporremo lunedì. Rispondendo ad alcune semplici domande potrete vedere, infatti, quanto dovete ancora lavorare su questo aspetto importantissimo della vostra figura professionale.

A presto!

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giovedì 10 ottobre 2013

Le tre attività del management

Nel famosissimo libro "Lean Thinking" del 1996, James Womack e Daniel Jones identificano le tre attività la cui gestione è più a rischio in tutte le organizzazioni:
  1. problem solving
  2. gestione delle informazioni
  3. trasformazione fisica
Per gli autori, il flusso del valore è l'insieme di tutte le azioni richieste per portare un prodotto o un servizio attraverso questi tre step critici che hanno una fortissima relazione tra loro.
Ad esempio, una progettazione difficile (problem solving) avrà sicuramente un impatto negativo sul flusso del valore della trasformazione fisica. Ancora, una gestione delle informazioni insufficiente si rifletterà negativamente sul flusso del valore della risoluzione di un problema.

In un'azienda produttiva, dunque, occorre prestare la massima attenzione a tutte e tre queste attività mentre per le aziende che si occupano di servizi possono bastare, ovviamente, le prime due.

Le vostre organizzazioni mantengono un'attenzione alta su queste attività?

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mercoledì 9 ottobre 2013

Misurare il ritardo nella nostra organizzazione (3)

Oggi esamineremo gli ultimi due flussi dove è possibile riscontrare le inefficienze maggiori che ci portano ad accumulare un importante ritardo nei confronti della concorrenza.

Flusso delle informazioni

Il flusso delle informazioni è strettamente associato con quello delle singole attività e con quello decisionale perché, affinché il lavoro venga svolto bene e vengano prese le decisioni giuste, è fondamentale che alle persone arrivino informazioni corrette e puntuali.

Trattare il flusso delle informazioni come se fosse qualcosa a sé non potrà che incrementare il famoso ritardo delle organizzazioni meno avvedute perché è importantissimo che ciò che permette di identificare meglio un problema o di capire a fondo una situazione venga condiviso immediatamente.
Il paragone più calzante che mi viene in mente è quello con i bollettini del traffico che aggiornano in tempo reale gli automobilisti in merito alle arterie stradali problematiche, in modo che essi possano studiare percorsi alternativi. Se questi bollettini arrivassero quando gli automobilisti sono già incolonnati e senza possibilità di uscire dall'ingorgo sarebbero inutili, giusto? Ecco, la stessa cosa vale per le informazioni che, se non arrivano sulla scrivania giusta in tempo utile, diventano superflue.

Flusso dell'innovazione

L'introduzione di nuovi prodotti o servizi implica spesso grandi cambiamenti all'interno di un'organizzazione e questi cambiamenti possono portare momentanei malfunzionamenti nei flussi che abbiamo esaminato precedentemente.

Per evitare tutto questo, le aziende cercano spesso di prolungare all'infinito la vita dei loro prodotti o servizi, rimpiazzandoli solamente quando non possono più farne a meno ma, ve ne accorgete certamente da soli, questo non è il modo corretto di innovare e si rischia, ancora una volta, di arrivare tardi rispetto alla concorrenza.

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martedì 8 ottobre 2013

Misurare il ritardo della nostra organizzazione (2)

Esaminiamo i ritardi imputabili ai quattro flussi che vi abbiamo presentato ieri concentrandoci su ognuno di loro singolarmente.

Flusso delle attività lavorative

E' questo il primo flusso al quale pensiamo quando parliamo di "creazione del valore": un insieme di singole attività coinvolte nella trasformazione di materie prime, idee, requisiti, progetti in semilavorati, prodotti oppure servizi.

Se consideriamo i flussi tradizionali, i ritardi maggiori si annidano nella mancata sincronizzazione dei materiali presenti a magazzino con quelli necessari nei reparti, nelle attività necessarie a mantenere livelli di lavoro costante, ecc.
Quando la domanda aumenta all'improvviso, i magazzini si svuotano e le programmazioni saltano causando ritardi che vanno ad influenzare le tempistiche di consegna e offrendo il fianco a qualunque concorrente che abbia la capacità di arrivare al cliente in meno tempo di noi.

Flusso delle decisioni

Il flusso decisionale è caratterizzato dall'insieme di decisioni che le persone all'interno dell'azienda prendono ad ogni livello.
Queste decisioni, spesso, sono le responsabili della creazione di valore.

Organizzazioni pensate per decidere bene in tempi normali, potrebbero rivelarsi enormemente lente in tempo di crisi perché le strutture troppo gerarchiche lasciano ai collaboratori una visione troppo ristretta della situazione e questo non consente loro di prendere decisioni rapide che possano rivelarsi anche buone.
Coordinarsi per avere una visione completa e decidere costa del tempo che spesso queste aziende non possono permettersi e che le porta ad arrivare in ritardo rispetto alla concorrenza.

Domani esamineremo insieme gli ultimni due flussi. Intanto mi piacerebbe molto leggere le vostre osservazioni al riguardo.

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lunedì 7 ottobre 2013

Misurare il ritardo della nostra organizzazione

Perché certe organizzazioni funzionano bene e sanno adattarsi in un batter d'occhio alle mutate condizioni dei mercati di riferimento ed altre arrancano perennemente in difficoltà?

La risposta semplice è che le prime accumulano meno ritardi delle seconde potendo così permettersi di avere più tempo a disposizione per:
  • fare eventuali cambi di programma nel modo più indolore possibile
  • adattarsi alle nuove richieste della clientela 
  • sfruttare le difficoltà altrui cogliendo al volo nuove opportunità

Le aziende che basano il loro modo di lavorare su magazzini pachidermici, pianificazioni molto estese nel tempo, distanze geografiche enormi da coprire velocemente, ecc. tendono ad amplificare gli effetti di qualunque piccolo cambiamento o incertezza e a subire un impatto maggiore rispetto alle loro concorrenti più snelle.

Riconoscere l'origine dei nostri ritardi è il primo passo per migliorare.
Tipicamente, possiamo perdere tempo lungo i flussi delle informazioni, nella sinergia tra le singole attività lavorative, durante i processi decisionali e nel fare innovazione ed il modomigliore per capire come tutti questi ritardi inneschino un ciclo di perdite sempre più grande è ragionare sull'impatto di ognuno di questi flussi singolarmente, cosa che faremo a partire da domani.

Non mancate!

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venerdì 4 ottobre 2013

In azienda come in barca a vela?

Questo è l'ultimo articolo tratto dal numero di settembre della rivista "Il Dirigente" che abbiamo pensato di proporvi per avviare con voi qualche piccolo ragionamento.

Visto che siete a dir poco entusiasti all'idea di leggere finalmente qualcosa anche in italiano, ci tengo a ricordare che, se non vi segnaliamo più spesso spunti in lingua italiana, non è certo perché ci piaccia fare riferimento ai media inglesi o americani ma perché, a volte, il panorama nazionale di aggiornamento nel campo del management è ancora un po' scarso e spesso fornisce testi che non riteniamo essere di grande validità né per i più esperti né per i più giovani.

L'articolo di oggi, invece, ha qualche concetto che i ragazzi potranno trovare interessante (non certo i vecchi lupi di mare, permettetemi la battuta!).
Guidare un'azienda è assimilabile al governo di una barca a vela. Non ci credete? Leggete il testo!

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giovedì 3 ottobre 2013

L'impegno sociale delle aziende in Italia

La rivista "Il Dirigente", nel suo ultimo numero, ci propone un interessante approfondimento sulla Corporate Social Responsibility e sull'impegno sociale delle aziende italiane.

Uno spaccato che spero vi possa essere utile anche in un'ottica di sistemi integrati.

Buona lettura!

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mercoledì 2 ottobre 2013

Sharing economy: non possiedo ma condivido

Proprietà contro accumulo di esperienze. Cosa ve ne pare? E' ancora una chimera anche per gli italiani di nuova generazione oppure, secondo voi, siamo già pronti?

Vi propongo la lettura di questo articolo tratto dall'ultimo numero della rivista: "Il Dirigente" per fare con voi qualche riflessione e perché credo che sia fondamentale rimanere al passo con l'informazione per seguire anche i nuovi trend che oggi si stanno sviluppando all'estero ma che, fra qualche anno, busseranno in modo prepotente alla nostra porta.

Questo nuovo modo di vivere cambierà il mondo del lavoro e lo renderà meno stagnante? Secondo voi quanto peserà per gli italiani una cultura tradizionalista che si basa sul paradigma "casa di proprietà - lavoro e vita a pochi chilometri da dove si è nati" sulla capacità di mollare tutto per fare esperienze formanti capaci di pagare anche nel mondo del lavoro?

Il dibattito è aperto! :o)

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martedì 1 ottobre 2013

Scegliere il grafico giusto per veicolare un messaggio che si basa su dati (4)

Osservando i grafici che si vedono in giro, notiamo che spesso il più utilizzato è il diagramma a torta mentre il meno apprezzato risulta essere il diagramma a barre. A volte, poi, ci sono situazioni che si spiegano bene solo utilizzando un'accoppiata di grafici come - ad esempio - un diagramma a punti e uno a colonne o un diagramma a torta con uno a barre.

A seconda di come è disegnato ogni diagramma, però, è più o meno utile nel rappresentare le cinque alternative che abbiamo illustrato ieri.

In caso di confronti tra componenti, infatti, sarebbe bene utilizzare un diagramma a torta, se facciamo un paragone per ottenere una classifica è bene utilizzare, invece, un diagramma a barre.

Diagrammi a colonne e diagrammi a punti sono adatte a rappresentare un confronto tra tempistiche e frequenze di distribuzione.

Per la correlazione sono perfetti, invece, diagramma a barre e diagrammi a punti.

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