venerdì 30 ottobre 2015

I difetti della scuola visti dai manager

(Fonte: "Affari & Finanza")

Molta teoria e poca pratica. Nozionismo in eccesso e scarsa capacità di analizzare, di dialogare, di lavorare in gruppo e di confrontarsi con il mondo delle aziende.
La scuola italiana, almeno nell'impostazione tradizionale, non insegna ai giovani a mettere in atto le competenze acquisite in aula.

Nell'indagine di AstraRicerche per ManagerItalia (...) i manager bocciano il sistema formativo italiano. Pensano, infatti, che la scuola attuale non sia meritocratica, non valorizzi e non metta in evidenza le qualità degli studenti migliori.
Il 74,3% degli intervistati suggerisce ai giovani di cominciare a svolgere piccoli lavori durante la scuola superiore e all'università e il 71,6% di studiare all'estero con i progetti Erasmus.
La metà del campione coinvolto (45,4%) invita gli studenti a non fermarsi alla laurea e di scegliere un master/formazione post università.

L'81,7% dei manager respinge l'aproccio dei giovani entrati in azienda negli ultimi anni e di questi il 28,2% si dice molto deluso, giudicando inferiori alle attese soprattutto le soft skill realizzative, ossia la capacità di comunicare, mettersi in relazione, dialogare sul piano imprenditoriale e manageriale, di organizzare e decidere. Inoltre il 75% giudica insufficienti le competenze linguistiche.

(...)

La scuola fornisce sicuramente la capacità di approfondire e interpretare tematiche e materie, ma manca quel pezzettino in più che serve a contestualizzarle e applicarle.

Non serve solo sapere ma anche saper agire.

(...)

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giovedì 29 ottobre 2015

Focus sulla sostenibilità (3)

Ed eccovi l'ultimo estratto sulla Csr, tratto dall'articolo: "La Csr entra nella fase due integrata nei processi interni".

La parola d'ordine è integrazione. (...) Ernst & Young rilancia sulla responsabilità sociale d'impresa in un'ottica radicalmente nuova.

(...)

Perché oggi c'è bisogno di un cambio di passo. (...) Serve una versione aggiornata della Csr che guardi al futuro in modo diverso rispetto a quella che ha dominato nei primi dieci anni del secolo. L'iniziativa (...) si propone infatti di agevolare il percorso di integrazione della Csr in tutti gli ingranaggi aziendali. 

La questione non è di lana caprima. Perché il tema delle competenze in questo campo è ancora molto vivo, in bilico tra l'assegnazione delle direttive del ceo all'ufficio marketing e comunication oppure una reale pervasività della Csr in tutte le funzioni d'impresa.

(...)

Questo è il momento giusto per ripartire. Perché tutte le grandi crisi aziendali hanno sempre un legame, quasi in un rapporto causa effetto, con la scarsa attenzione all'ambiente o alla comunità di riferimento. Al contrario, i grandi successi imprenditoriali nascono dalla capacità di trovare soluzioni ai più complessi social issue del nostro tempo. Da uno studio condotto dalla Harvard Business School (...), ad esempio, è emerso come, a parità di investimento, il ritorno delle aziende high-sustainability sia superiore rispetto a quelle low-sustainability.

La tradizionale dicotomia profitto-sostenibilità (...) è stata superata e le aziende ne stanno prendendo piena coscienza. Le strategie di sostenibilità integrate nel business sono un obiettivo conseguibile ed è necessario ora individuare il metodo migliore per attuarlo concretamente.

(...)

Secondo le stime di EY, in tutto il mondo sono oltre tremila le aziende, tra cui più del 66% di quelle del FortuneGlobal 500, che riportano le proprie performance di sostenibilità e di responsabilità d'impresa. Rendicontare i propri risultati di sostenibilità, da iniziativa puramente volontaria, è oggi considerato un elemento di importanza strategica per il successo d'impresa.

Ma oggi bisogna passare alla fase due della responsabilità sociale d'impresa che proceda oltre la rendicontazione per integrarsi in tutti i processi aziendali.
Fino a ieri, la Csr è stata spesso un fenomeno calato dall'alto, e in molti casi da relegare, in mancanza di competenze, al marketing. Giocoforza molte iniziative in questo ambito non si sono spinte oltre al territorio del green washing, un abbellimento dell'immagine aziendale che però raramente ha avuto la forza di cambiare lo sviluppo aziendale. E allora è il momento di rilanciare sull'integrazione, su di una Csr diffusa in tutte le funzioni d'impresa e vissuta come parte del core business.

(...)

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mercoledì 28 ottobre 2015

Focus sulla sostenibilità (2)

Eccovi un estratto del secondo articolo: "La responsabilità sociale sarà una chiave del business".

"Chi stacca un robusto assegno per comprare un'auto elettrica Tesla, non pensa di fare un favore all'ambiente, ma di acquistare un veicolo efficiente con ottime performance di guida e notevoli risparmi sul carburante". 

Tanto per chiarire oggi cosa sia la responsabilità sociale d'impresa Christopher Laszlo, docente di Organizational behavior alla scuola di management Weatherhead di Cleveland nonché guru di corporate sustainability, prende in esame il caso di successo dell'azienda a quattro ruote di Elon Musk. La sostenibilità d'impresa è innanzitutto business. E le sfide ambientali, come quelle sociali, che fino a ieri erano ritenute come ostacoli all'esercizio imprenditoriale, sono opportunità per fare affari.

(...)

Per risucire a centrare il traguardo del business sostenibile però bisogna avere le idee chiare sulla posta in gioco. "L'80% degli asset di un'azienda - ha detto Laszlo - sono composti da valori intangibili". Il che significa che "reputazione, impatto ambientale, rapporto con i lavoratori e le comunità di riferimento sono parte integrante del core business aziendale".
Fino a ieri, se uno di questi ingranaggi si inceppava, l'azienda poteva anche fare finta di niente e tirare dritto. Oggi, ogni minimo passo falso finisce dritto nella Rete, sbandierato ai quattro venti online, generando un danno di immagine che inevitabilmente si ripercuote sul business, dalle campagne di boicottaggio alla rottura di fiducia con i consumatori. Inoltre "non è più sufficiente fare buoni prodotti e comportarsi bene, seguendo le regole. Le aziende devono comprendere che business e sostenibilità sono diventati sinonimi".

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martedì 27 ottobre 2015

Focus sulla sostenibilità

Sul tema della sostenibilità, "Affari&Finanza" ha pubblicato tre articoli che abbiamo trovato molto interessanti e che vi proporremo a partire da oggi.
Eccovi un estratto dal primo: "Effetto dieselgate sulle imprese. Aperto il cantiere per un'etica nuova".

Responsabilità sociale d'impresa: anno zero.
Non può essere altrimenti. Le lancette dell'orologio della Csr si sono fermate alle ultime settimane di settembre quando è scoppiato lo scandalo sulle emissioni truccate dei motori diesel Volkswagen.

Il costruttore tedesco è stato un campione riconosciuto e applaudito della Csr mondiale.

(...)

Per certi versi la vicenda sembra la fotografia del report sociale di BP improntato sul green e mandato alle stampe nel 2009, prima di affondare nel peggior disastro ambientale di sempre, nel golfo del Messico, o quelli ben assortiti di Lehman Brothers.

Oggi i detrattori della corporate social responsability, e ce ne sono tanti, sia nel sindacato che nei think tank conservatori, festeggiano derubricando la Csr a un ferro vecchio, che avrebbe dovuto promuovere l'autoregolamentazione delle aziende e la loro trasformazione in multinazionali dalla forte impronta sociale, e che invece si è dimostrata, in molti casi, un grande bluff.

Ma è da qui, dal fallimento, che la responsabilità sociale d'impresa prova a ripartire trovando le sue ragioni proprio negli scivoloni dei big.
Il perché lo spiegano bene gli effetti collaterali della vicenda Volkswagen, quando la Germania si trova ad abbassare le stime di crescita e della fiducia delle imprese e un bel pezzo di Europa al volante scopre che le emissioni di CO2 sono più alte del 40% rispetto a quando si credeva. Insomma, se la Csr avesse funzionato, ci troveremmo in uno scenario opposto, con la sostenibilità che lascia da parte il marketing per diventare driver di business.

(...)

Oggi, gli esperti ne sono convinti, c'è sempre più bisogno di Csr. Non solo nel vecchio mondo. ma soprattutto in quelle economie emergenti che, dopo anni di crescita vorticosa, cominciano a confrontarsi con l'impatto sull'ambiente e sul sociale delle proprie attività.
E poi c'è un mercato finanziario che basandosi sul paradigma Esg (ambiente sociale e governance) ha conquistato la fiducia di piccoli e grandi investitori.

(...)

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lunedì 26 ottobre 2015

Una panoramica sul Knowledge Management (4)

I dati, di solito, sono di tipo numerico, alfabetico o testuale.Le informazioni sono, invece, elementi che descrivono situazioni così come vengono raccontate e che non è detto siano veritiere e corrette perché possono essere state interpretate in maniera soggettiva. Pertanto, le informazioni possono essere più o meno corrette e andrebbero sempre interpretate e contestualizzate in base ai dati a cui bisognerebbe fare riferimento.
La conoscenza, infine, è un insieme di informazioni ben strutturate all'interno della mente delle persone e che risultano preziose per formulare nuove idee, avere intuizioni e fare interpretazioni.
Le persone trasformano costantemente la conoscenza in diverse forme di informazioni quali memo, e-mail, manuali e report mentre acquisiscono a loro volta informazioni dagli altri per migliorare la loro conoscenza.  

Questa rigenerazione perpetua della conoscenza in informazioni e delle informazioni in conoscenza è necessaria visto che le persone non sono sempre in grado di condividere le proprie conoscenze con gli altri a causa di vincoli come il tempo, il numero di persone che sono realmente informate, la posizione geografica, ecc.
La conoscenza, proprio come le informazioni, non ha alcun valore per le imprese se non viene applicata alle decisioni che devono prendere. Ricercare, archiviare e conservare le informazioni più utili è, infatti, fondamentale se si vuole competere ma non è sufficiente. Le informazioni devono generare conoscenza e questa conoscenza deve essere interiorizzata nei collaboratori per essere funzionale e deve coesistere con l'attitudine umana del prendere decisioni intelligenti.  

L'interiorizzazione della conoscenza dovrebbe poi tradursi in azioni che riflettano un cambiamento nel comportamento delle persone e nella cultura dell'organizzazione. 
 
La creazione di conoscenza, la sua applicazione e il suo utilizzo sono questioni complesse determinate dalla cultura aziendale, dai sistemi premianti, dalla struttura dell'organizzazione, dalla sua strategia, dalle competenze delle persone, dai loro valori e dalla progettazione dei processi di lavoro.
 

Le informazioni sono trasformate in conoscenza attraverso un processo sociale di condivisione ecomprensione ma bisogna prestare attenzione alla differenza che esiste tra la conoscenza tacitae quella esplicita. 
La conoscenza esplicita è la conoscenza formale che è stata catturata dalla memoria aziendale. Definisce le attività intellettuali di un'organizzazione, indipendentemente dai suoi dipendenti, quindi è la conoscenza strutturata. La conoscenza tacita, invece, è una conoscenza pratica che è in grado di produrre le azioni e che è la chiave per fare le cose. Essa ha una dimensione cognitiva importante che è costituita dai modelli mentali, da ciò in cui crede ogni persona e dalle sue prospettive. La conoscenza tacita è una conoscenza personale che è difficile da formulare e misurare.
Il knowledge managemente si traduce nell'azione sinergica delle conoscenze tacite e di quelle esplicite perché si basa sulle conoscenze e sulle intuizioni soggettive tacite che, però, devono poi essere messe a disposizione di tutta l'organizzazione per poter essere elaborate e acquisite. 


La combinazione della conoscenza tacita e di quella esplicita migliora l'utilizzo e il riutilizzo delle conoscenze e aiuta a sviluppare le migliori pratiche e a creare nuove conoscenze attraverso la revisione e la distruzione di quelle esistenti che risultano superate.  
Questo flusso si basa su azioni innovative che producono un vantaggio competitivo.

La conoscenza che non scorre non cresce e alla fine diventa obsoleta, ecco perché questo meccanismo è così importante.
Il ruolo primario del knowledge management è proprio quello di stimolare il flusso di conoscenze in tutta l'organizzazione


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venerdì 23 ottobre 2015

Una panoramica sul Knowledge Management (3)

La gestione della conoscenza, in pratica, comprende l'identificazione e la mappatura del patrimonio intellettuale dell'organizzazione, la produzione di nuove conoscenze per ottenere un vantaggio competitivo, l'accesso per chi di dovere alle informazioni aziendali necessarie, la condivisione delle pratiche migliori, ecc. 

In estrema sintesi, il knowledge management è la leva di saggezza collettiva che serve per aumentarela reattività e la capacità di innovazione, il processo attraverso il quale l'organizzazione genera ricchezza.
Ora riflettiamo su alcuni concetti estremamente importanti:

  • la conoscenza è un flusso di informazioni collegate le une alle altre in modo consapevole. Deriva dalla relazioni tra le persone e dai loro contributi;
  • le conoscenze maturate sono applicabili in nuovi ambienti. Le informazioni utilizzate per  affrontare una situazione nuova per la quale non esistono risultati precedenti, si articoleranno - a loro volta - in nuove conoscenze, aumentata capacità di competere con la concorrenza e nuova crescita;
  • la gestione della conoscenza è sempre rilevante per l'ambiente in cui si opera;
  • le soluzioni scelte per la gestione delle conoscenze dipendono dalla cultura di base dell'organizzazione
Uno dei problemi principali nella gestione della conoscenza è che spesso si fa una grande confusione tra i dati, le informazioni e le conoscenze che vengono considerati sinonimi l'uno dell'altro frustrando la capacità di sviluppare i requisiti necessari per la loro buona gestione. 
Benché tutti questi fattori siano, infatti, collegati tra loro, manifestano differenze sostanziali e sono proprio queste differenze la chiave per consentire una loro identificazione, assimilazione e utilizzo corretto. 
Nei prossimi giorni vedremo meglio queste differenze e impareremo a distinguere bene questi elementi.


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giovedì 22 ottobre 2015

Una panoramica sul Knowledge Management (2)

Partendo dalle definizioni viste ieri, il knowledge management può essere considerato come un'attività che ha due aspetti principali:
  • trattare le componenti che riguardano la conoscenza delle attività relative al business aziendale all'interno della strategia, delle politiche e della pratica quotidiana a tutti i livelli dell'organizzazione;
  • sforzarsi di creare una connessione diretta tra le attività intellettuali di un'organizzazione e la sua crescita 

La conoscenza oggi è considerata una risorsa strategica e un fattore di stabilità perché riesce a portareun vantaggio decisivo all'interno della "lotta" con la concorrenza. 
La gestione della conoscenza permette all'azienda di innovare prodotti, processi e servizi e consente allo stesso tempo di ridurre i costi di progettazione, produzione, distribuzione, ecc. 
In futuro, la differenza la faranno proprio le aziende capaci di gestire la conoscenza secondo un approccio consapevole, controllato e volontario.
Quella del knowledge management è una disciplina che è nata in risposta ad una vasta gamma di problemi derivanti dalle perdite di conoscenza a causa del pensionamento di alcune persone, dello sviluppo delle tecnologie che può portare al mancato accesso ad alcune informazioni che risiedono su sistemi diventati obsoleti e all'innovazione in generale che - quando non è gestita al meglio - può creare problemi. 


La necessità di gestione della conoscenza è aumentata anche a causa dei rapidi cambiamenti nel contesto imprenditoriale. Oggi, ad esempio, occorrono conoscenze approfondite relative alle diverse esigenze dei clienti e alle loro preferenze. 
 

Il knowledge management è un processo complesso, lungo e difficile perché riguarda la gestione del percorso di trasmissione della conoscenza nel caso di pensionamenti, formazione di nuovo personale, gestione di progetti di formazione per affiancamento, lavori di gruppo, gestione dei feedback.
A seconda dei casi, si tratta di gestire le lezioni apprese dal passato per capitalizzarle, imparare dal presente per anticipare il futuro e garantire la sopravvivenza della società in un ambiente fortemente concorrenziale

Nei prossimi giorni vedremo come gestire la conoscenza in pratica.


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mercoledì 21 ottobre 2015

Una panoramica sul Knowledge Management

La capacità di innovazione delle organizzazioni è un punto fondamentale per il loro successo, visto che oggi operano più che mai in un ambiente estremamente concorrenziale.  
Così, per assicurarsi di ricoprire un ruolo importante all'interno del mercato globale, è necessario combinare - ancora più di prima - la soddisfazione dei clienti, la produttività e la competitività.  

Ovviamente non si può trascurare nemmeno di affrontare la crescita della tecnologia che, con l'aumento del volume delle informazioni disponibili e accessibili che ha portato, può renderne difficile la gestione da parte delle organizzazioni meno preparate. 
Queste informazioni vengono diversificate, delocalizzate e non sono sempre facilmente controllabili ma vanno elaborate e gestite tenendo conto del loro senso all'interno di una strategia aziendale perché questo significa gestire la conoscenza o, per dirla con gli americani, "knowledge management".  

La conoscenza è un insieme di intuizioni, ragionamenti, esperienze correlate relative ai clienti, ai prodotti, ai processi, ai mercati, alla concorrenza e così via che permette azioni mirate ed efficaci.La gestione della conoscenza è un approccio organizzato e sistematico che mira a creare, diffondere, applicare, rinnovare e aggiornare la conoscenza per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

Domani continueremo il discorso analizzando i due aspetti principali del knowledge management.
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martedì 20 ottobre 2015

5 competenze per chi inizia un nuovo lavoro

Chi arriva in un nuovo ambiente, come - ad esempio, chi inizia a lavorare in una nuova organizzazione, ha bisogno di fare almeno cinque cose per trovarsi bene da subito, trarre ogni vantaggio possibile dal nuovo posto che frequenta, integrarsi, ottenere tutte le informazioni che possono tornargli utili e ricevere consigli.

Queste cinque cose a molti appariranno logiche e naturali ma, spesso, trascuriamo di metterle in pratica anche perché ci procurano un po' d'ansia.


Vediamole subito:
  1. presentarci agli estranei: è l'unico modo per conoscere i nuovi compagni di lavoro e per fare una buona impressione. Non dobbiamo aspettare che siano gli altri ad avvicinarci a noi;
  2. imparare e ricordare i nomi di tutti: questo passaggio ci farà entrare subito in sintonia con tutti;
  3. fare domande: è un sistema per capire da subito cosa ci aspetta e per avvicinare le persone, farle parlare, chiedere aiuto o consigli;
  4. cercare e avviare nuove relazioni: le persone che vi circondano saranno le vostre nuove compagne per almeno otto ore al giorno. Tanto vale cercare di instaurare con loro la migliore relazione possibile;
  5. eseguire cose nuove di fronte agli altri: non bisogna avere la paura di sbagliare perché è comprensibilissimo che chi sta imparando qualcosa di nuovo commetta errori. Tra l'altro, sbagliare davanti ai vostri nuovi colleghi vi permetterà di essere subito messi sulla strada giusta e di correggere imemdiatamente l'errore
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lunedì 19 ottobre 2015

L'importanza degli errori

Nelle realtà dove vige una cultura della paura, la gente fa di tutto per nascondere i propri errori e per fare il minimo indispensabile perché - lo sappiamo bene - la paura demotiva e impedisce persino alle persone di fare bene quello che sarebbero in grado di fare. 
La paura di essere sgridate,  criticate o trattate come sciocche crea persone il cui unico obiettivo sarà non fare nulla di sbagliato e non farsi notare.

La paura di sbagliare è il più grande ostacolo al successo ma limitarsi a fare quello che si dovrebbe fare quando si suppone si debba farlo nel mondo del lavoro non porta al successo ma, semplicemente, a una difficile sopravvivenza.

Il problema è che è quasi impossibile fare qualcosa di giusto se non si è mai fatto niente di sbagliato.  

Se un'organizzazione vuole provare a crescere e diventare un riferimento nell'ambiente deve essere disposta a correre dei rischi e a tollerare possibili errori.  
Se la paura di sbagliare è maggiore del desiderio di successo, si finisce per non fare nulla. 
 
Bisogna avere il coraggio di lasciare andare le cose come devono e di permettere ai collaboratori anche di commettere errori perché questo è il primo passo per farli crescere e per creare una cultura che supporti il cambiamento e la crescita.

Fare errori fa acquisire esperienza perché impariamo molto di più dai nostri errori che dal non fare nulla. L'unica cosa di cui dovrete essere certi è che i vostri collaboratori non facciano gli stessi errori più volte perché questo non è un buon percorso di apprendimento.Un'altra delle vostre responsabilità, se siete un manager, è quello di segnalare alle persone che sbagliano come correggere gli errori.



Puntate alle critiche costruttive e ricordate che ogni critica viene comunque vissuta dalle persone come un rifiuto e presa sul personale. Sta alla vostra bravura di manager riuscire a toccare le corde giuste per spingere le persone a correggersi senza offenderle. 
E' difficile? Certamente ma nessuno ha mai detto che avere la responsabilità di altre persone fosse un compito facile!


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giovedì 15 ottobre 2015

Torniamo a parlare di garanzia

 (Fonte: "Altroconsumo")

La legge parla chiaro: il venditore (e non il produttore) deve offrire ai clienti la garanzia di conformità, della durata di due anni, su tutti i prodotti acquistati. In pratica, se qualcosa non va, deve rimediare.

(...)

Nerl caso in cui il prodotto venduto risulti difettoso, se sono passati meno di due anni dall'acquisto, dobbiamo rivolgerci al punto vendita dove abbiamo fatto l'acquisto.
La garanzia copre qualsiasi difetto di conformità esistente al momento dell'acquisto, anche se il difetto si manifesta dopo.

Quando ci presentiamo al nostro venditore con il prodotto difettoso, se sono passati meni di due anni dall'acquisto, possiamo scegliere tra queste alternative, tutte lecite:
  1. il venditore ci sostituisce il prodotto
  2. il venditore lo porta in riparazione e ce lo restituisce funzionante e in tempi ragionevoli
  3. se non è possibile né sostituirlo né ripararlo o se il venditore impiega troppo tempo a farlo riparare o a sostituirlo, o se la riparazione ha portato degli inconvenienti notevoli al prodotto, possiamo scegliere di farci restituire una parte dei soldi spesi per l'acquisto, o l'intera somma spesa purché il difetto non sia di lieve entitià
  4. il venditore ci restituisce l'intera somma che avevamo pagato al momento dell'acquisto e noi gli restituiamo il prodotto

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mercoledì 14 ottobre 2015

Movimento in ufficio

(Fonte: "Test salute")

Contro la sedentarietà, che mette a rischio la nostra salute, è utile alzarsi dalla scrivania e muoversi un po'.

30 minuti al giorno
La sedentarietà, insieme a una dieta poco sana e al fumo, è uno dei più importanti fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, il diabete e i tumori.
Per combatterla bastano 30 minuti al giorno di attività fisica: non è necessario dunque fare sport a livello agonistico, ma semplicemente tenere il corpo in movimento durante tutta la giornata (scegliendo le scale al posto dell'ascensore, scendendo dall'autobus una fermata prima e raggiungendo il posto di lavoro a piedi, preferendo la bicicletta alla macchina).

Una pausa alla scrivania
Concedersi brevi pause: anche solo alzarsi e camminare a passo normale per 2-5 minuti ogni ora (per esempio andare a bere un bicchiere d'acqua o parlare con un collega invece di telefonargli) durante un lavoro di otto ore alla scrivania porta a bruciare dalle 60 alle 130 calorie.
Un altro escamotage per muoversi in ufficio può essere quello di alzarsi dalla sedia e lavorare ad intervalli alterni stando in piedi.

Riunione? Falla in piedi
Oltre a un vantaggio per la salute, secondo alcuni studi programmare le riunioni in piedi migliorerebbe anche la concentrazione e la creatività dei partecipanti.
In futuro grazie alla tecnologia, si potrebbe incominciare a pensare postazioni di lavoro attive (in piedi o in movimento), incoraggiando le persone a muoversi di più e più spesso.

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martedì 13 ottobre 2015

Qualità in tutti i processi

Perché un'organizzazione sia veramente efficace, ogni componente deve funzionare correttamente insieme a tutti gli altri. Ogni parte del sistema, ogni attività, ogni persona nell'organizzazione ha qualche effetto su tutte le altre e viceversa.  
Il mancato rispetto dei requisiti da qualche parte del sistema, infatti, può creare problemi imprevisti altrove, portando ad errori spesso imprevedibili.

I benefici che derivano dal fare le cose bene al primo tentativo in ogni processo del sistema sono enormi ma, per esperienza, le persone spesso accettano di avere problemi durante la giornata lavorativa e si rassegnano a conviverci e a spendere gran parte del loro tempo in attività inutili tesi a correggerli, a rettificare il lavoro fatto male, a rielaborare ciò che non funziona e a scusarsi con i clienti per gli errori, la scarsa qualità ei ritardi.  
La lista è infinita, e si stima che circa un terzo dei nostri sforzi siano sprecati in questo modo.
 
La Qualità, se progettata per soddisfare le esigenze del cliente, dà alle persone che lavorano sui diversi processi di un'organizzazione un linguaggio comune teso al miglioramento. Esso consente a tutti i lavoratori con differenti abilità, conoscenze, competenze e priorità, di comunicare prontamente uno con l'altro e di perseguire un obiettivo comune.  
Mano a mano che il business si fa più complesso, infatti, occorrono così tante competenze diverse e specialistiche che ogni persona deve fare affidamento sull'attività degli altri per fare il suo lavoro. 
Nell'organizzare il nostro sistema, cerchiamo di ricordare che la maggior parte dei problemi sono interdipartimentali e non sono dovuti alla cattiva volontà delle persone.L'impegno di tutti i membri di un'organizzazione è un requisito per il miglioramento della qualità a tutti i livelli ma per riuscire in questo, tutti devono lavorare insieme per ottenere prestazioni migliori.

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lunedì 12 ottobre 2015

Le 4P e le 3C nella gestione della Qualità

Le 4P che caratterizzano una corretta applicazione della Qualità derivano dalle iniziali delle quattro parole inglesi: planning (pianificazione, cioè lo sviluppo e l'implementazione di politiche e strategie, la creazione di partnership e l'utilizzo di risorse adeguate, la progettazione, la costruzione di un quadro di riferimento per la misurazione delle performance, lo svolgimento di test per l'autovalutazione, ecc.), process (processo che comprende la comprensione dei processi che andranno a costituire il sistema qualità, la loro progettazione o riprogettazione, la loro gestione e il miglioramento continuo), performance (prestazione) e people (persone cioè la gestione delle risorse umane, l'approccio al cambiamento culturale che deve supportare l'introduzione di un sistema qualità, la predisposizione al lavoro di squadra, il miglioramento del processo di apprendimento, ecc.) mentre le 3C riassumono i concetti di culture (cultura), communication (comunicazione) e commitment (impegno, coinvolgimento). 

Il concetto è un po' quello che le 4P costituiscano la struttura sulla quale iniziare a costruire il nostro sistema mentre le 3C rappresentino la linfa necessaria affinché funzioni bene perché è solo attraverso una cultura solida, una comunicazione affidabile e un impegno serio da parte di tutti che si potranno comprendere a fondo i processi, pianificarne lo sviluppo e raggiungere le performance desiderate attraverso il lavoro delle persone.
Questo è un quadro semplice che, però, permette prestazioni eccellenti dato che va a coprire tutti gli aspetti di un'organizzazione e a sviscerarne il funzionamento.


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venerdì 9 ottobre 2015

Il magazzino (2)

Sono molti i ruoli che oggi può ricoprire un magazzino all'interno di una catena di approvvigionamento.  
I magazzini, infatti, possono contenere materie prime, componenti e prodotti finiti, servire a grossisti e rivenditori o entrare nel ciclo della logistica di ritorno.  

Vediamo, uno ad uno, tutti questi ruoli.
 
Stoccaggio di materie prime e componenti 

Questa tipologia di magazzini conserva al suo interno le materie prime e i componenti o semilavorati.

Le materie prime vengono conservate al fine di garantire una produzione continua e possono includere tutte le tipologie di materiali.
Componenti e semilavorati, invece, stazionano in magazzino nelle fasi intermedie della loro lavorazione, in attesa di una personalizzazione o di far parte dell'assemblaggio di una nuova struttura.
Stoccaggio prodotti finiti

 I magazzini dei prodotti finiti possono essere quelli dei negozi che stoccano prodotti pronti per la vendita, oppure spazi che immagazzinano prodotti per conto dei produttori, dei grossisti e dei dettaglianti.  

Forniscono una sorta di scorta di sicurezza per le aziende che intendano costruire uno stock in preparazione del lancio di nuovi prodotti, dell'attesa per l'aumento della domanda di mercato o per affrontare i periodi legati alla stagionalità.
Centri di consolidamento e magazzini di transito 

I centri di consolidamento ricevono prodotti provenienti da diversi posti e, una volta assemblati, li consegnano al cliente o li fanno arrivare fino alla linea di produzione corretta.  
Un tipico esempio sono i centri just-in-time dove alcune parti per automobili vengono consegnate in un magazzino dove vengono riunite e sequenziate per la consegna alla catena di montaggio.Un altro esempio è rappresentato da quei magazzini che raccolgono i prodotti di diversi fornitori per consegnarli poi tutti insieme ai negozi. 
Nei magazzini di transito, invece, i prodotti possono stazionare per un certo periodo di tempo in attesa di venire richiamati dalla destinazione finale.
 

Centri trasbordo 

I centri trasbordo sono magazzini che ricevono prodotti in grandi quantitativi dai fornitori e li dividono in quantità gestibili per poi consegnarle ai vari clienti.
I prodotti tipici che vengono gestiti all'interno di questi spazi sono quelli deperibili come frutta e verdure, carne e pesce che devono essere spostati rapidamente attraverso la catena di fornitura.
 

Centri di smistamento 
I centri di smistamento sono usati per lo più per le lettere e dei pacchi. Le merci vengono raccolte da tutte le parti del Paese e consegnate negli hub o nei centri di smistamento, ordinate per codice di avviamento postale.
Centri per la logistica di ritorno 

La crescita dell'e-commerce porterà presto le aziende a focalizzarsi per tempo sulla logistica di ritorno.Oggi, le aziende riconoscono che permettere facilmente il reso del prodotto può influenzare positivamente il flusso di cassa.Come risultato, sta nascendo una serie di magazzini pensati in maniera specifica per avere a che fare con questi oggetti restituiti. I clienti possono restituire gli articoli indesiderati o difettosi ai negozi che, quando ne hanno un certo numero, li inviano a questi centri dove vengono controllati, riparati, riconfezionati, riciclati o smaltiti.
Altri processi gestiti dalla logistica di ritorno sono la restituzione degli imballaggi riutilizzabili come gabbie, botti, barili, pallet, ecc. In questo caso, i servizi aggiuntivi includono lavaggio e sanificazione degli articoli prima che rientrino nella catena di fornitura.


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giovedì 8 ottobre 2015

Il magazzino

In passato i magazzini sono stati visti più come centri di costo che come un valore aggiunto.  

Lo spostamento di molte produzioni in Estremo Oriente, la crescita del commercio elettronico e la crescente domanda da parte dei consumatori ha visto un cambio di passo nelle operazioni di magazzino e oggi questi spazi sono visti come un collegamento vitale all'interno delle catene di fornitura.

I magazzini, dunque, non sono più considerati un male necessario ma un'entità che può arrivare addirittura a guidare la differenziazione competitiva e ad aumentare la crescita del reddito di ogni organizzazione.

Il ruolo di una supply chain è quello di fornire i prodotti giusti, nella giusta quantità, al cliente giusto, nel posto giusto, al momento giusto, nelle giuste condizioni, al giusto prezzo.Il magazzino, ovviamente, ha un ruolo significativo in tutto questo.  

Per consegnare il prodotto giusto nella giusta quantità ci si affida al magazzino prelievi e spedizione. Fornire qualcosa al cliente giusto nel posto giusto, richiede che il prodotto venga etichettato correttamente e caricato bene sul veicolo che lo porterà dal cliente e che tutto questo avvenga in un tempo sufficiente per rispettare la scadenza di consegna. Il magazzino deve, inoltre, assicurare che il prodotto lasci il magazzino pulito e senza essere danneggiato. Infine, se parliamo di prezzo giusto, sappiamo che questo ragionamento richiede che si lavori in maniera efficiente e, dunque, anche in questo il magazzino è cruciale perché se è in perfetto ordine, tutto viene trovato più velocemente e facilmente.  

In passato, i magazzini sono stati visti soprattutto come punti di stoccaggio, nel tentativo di adeguare l'offerta alla domanda e di farli agire come un cuscinetto tra la necessità di materie prime e le tempistiche dei fornitori. La visibilità lungo la filiera di approvvigionamento era limitata e il flusso di informazioni era molto lento quindi, di conseguenza, le aziende tenevano a magazzino più del necessario
Del resto, terreni ed edifici costavano relativamente poco e il costo legato ad un grosso magazzino era considerato assolutamente nella norma e ritenuto accettabile. 
Stiamo parlando di tempi in cui i cicli di produzione erano spesso molto lunghi perché si riteneva che fosse costoso intervenire durante un processo per cambiare modello, colore, stile, ecc.  e nei quali l'economia era vista solamente dalla parte dei produttori che producevano nella speranza che i rivenditori facessero scorta dei loro prodotti e che i consumatori li comprassero (logica push, contrapposta all'odierna pull).

Di conseguenza, c'è stata una grande proliferazione di magazzini e le scorte sono aumentate sensibilmente. Nel mercato di oggi tutto questo non è più sostenibile perché i margini sono i ridotti, i costi (dei terreni, dell'energia necess
aria per mantenere in piena efficienza gli edifici e della manodopera) sono aumentati e perché molte aziende sono diventate concorrenziali grazi a logiche come il just in time (JIT) ed una risposta efficiente ai consumatori. Anche le imprese meno avvedute si sono, quindi, ritrovate a dover cercare di ridurre al minimo la quantità di materiali stoccati e a velocizzare i processi di approvvigionamento.

Domani inizieremo ad esaminare quali tipologie di atrtività si svolgano all'interno di un magazzino.

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mercoledì 7 ottobre 2015

La leadership è un dialogo, non un monologo

La leadership è un dialogo, non un monologo.

Parlate con qualsiasi leader e vi confermerà che i risultati più positivi ottenuti dai collaboratori sono passati tutti attraverso la base del dialogo.

Le discussioni sono alla base della parte sana di qualsiasi relazione e l'ambito professionale non fa eccezione. Non dobbiamo tacere quando ci sembra che qualcosa non funzioni e non dovremmo mettere gli altri nelle condizioni di farlo.

Ecco perché i leader (ma anche semplicemente i manager...) devono incoraggiare la discussione.
Le persone devono avere il permesso di esprimere le proprie opinioni e di esplorare soluzioni non ancora presentate. E' solamente in questo modo che si scopriranno eventuali valori, interessi e una visione in comune. 




Incominciamo, dunque, a pensare a quante volte il nostro stile di management/leadership sia stato più un monologo che un dialogo. Credo che molti di noi saranno costretti ad ammettere, seppure a denti stretti, che sono stati spiacevolmente sorpresi di scoprire che spesso sono gli unici a parlare.  
Questa piccola presa di coscienza potrebbe spingerci, in futuro, a coinvolgere maggiormente le altre persone nei discorsi che facciamo.
Ricordiamoci che siamo manager o leader non perché abbiamo tutte le risposte ma perché, per la nostra materia, ne abbiamo qualcuna, spesso anche parecchie se siamo bravi ma - di sicuro - non confrontandoci con gli altri perdiamo ogni possibilità di crescere e di imparare. 
Ernest Hemingway una volta diede a tutti un ottimo consiglio: "Quando le persone parlano, mettetevi in ascolto. La maggior parte della gente non ascolta mai gli altri".
Ricordiamoci che tutti siamo in grado di sentire ma pochi sono davvero capaci di ascoltare e che, senza ascolto, la nostra leadership o il nostro management rimarranno un triste monologo che non porterà da nessuna parte.

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martedì 6 ottobre 2015

Servizio ai clienti e potere decisionale.

Come cliente, non credo che ci sia niente di più frustrante che un rappresentante del servizio clienti  privo di capacità decisionale. L'ultima cosa che un cliente che sta sperimentando un problema vuole sentirsi dire è che dovrà aspettare che la sua pratica venga presa in esame da qualcun altro autorizzato a prendere una decisione. Tutto questo è reso ancora più frustrante dal fatto che la maggior parte dei clienti crede che nessuno li richiamerà mai e si aspetta di dover sopportare ancora più disagi di quelli già vissuti.

A volte sembra quasi che gli uffici che si occupano di customer care siano stati progettati apposta per essere un comodo cuscinetto tra l'azienda e i clienti. A cosa servono se non possono decidere nulla in autonomia?


Uno dei motivi principali per cui le persone che sono più vicine ai clienti non possono prendere decisioni è che i loro responsabili o datori di lavoro hanno paura che facciano troppi errori e, magari, offrano ai clienti più di quanto avrebbero diritto a ricevere come risarcimento danni.

Mi verrebbe da rispondere: e allora? Certo che faranno errori! Non li fanno forse tutti?  
Purtroppo fare errori è una delle strade migliori per imparare e ai superiori spetta aiutare queste persone a correggersi per imparare dall'esperienza vissuta.

Spingere la responsabilità decisionale più in basso possibile, assicura decisioni e risoluzioni più rapide e fa in modo che i lavoratori siano più motivati. 

Adesso provate a riflettere un attimo: secondo voi è più facile trovare organizzazioni che permettono ai loro uomini di sbagliare per migliorare o aziende che non lo fanno?
Ovviamente la risposta giusta è la seconda. Scegliere di appartenere a questo secondo gruppo significa essere in minoranza e distinguersi dalla concorrenza. E questo vi darà una grande opportunità per incrementare i vostri affari e la quota di mercato. 

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lunedì 5 ottobre 2015

Un pensiero sciocco

L'altro giorno ho avuto modo di ascoltare una riflessione che ho considerato un po' sciocca e persino infantile. Ve la propongo per confrontarmi con voi e, se possibile, avviare una discussione sul tema.

La frase "incriminata" è questa:  "Perché dovrei preoccuparmi di formare e far crescere chi lavora con me? Perché poi mi lasci per andare a cercare un lavoro migliore?" 

La prima cosa che mi è venuta in mente, ascoltando queste parole, è stata come si possa scegliere di lavorare con persone scarse che non sono state messe nelle condizioni di migliorarsi quando si potrebbe trasformarle in collaboratori capaci di dare il meglio e di fornire valore aggiunto all'intera organizzazione?
Tutto questo solamente perché c'è il rischio che le persone in gamba possano diversificare le esperienze di lavoro (sì, anche andandosene da un'azienda per cercarne una nuova) mentre gli incapaci non trovano alternative?  
Quale persona sana di mente vorrebbe lavorare tutta la vita con dei mediocri? E come si ritiene possibile che i clienti siano felici di avere a che fare con persone incapaci quando potrebbero interagire con personale ben formato e in grado di fare del proprio meglio?  

Cosa c'è di male nel diventare un'organizzazione in cui i lavoratori possano ottenere il tipo di formazione e di crescita professionale che permetterà loro di dare il meglio là dove si trovano per poi andare altrove a fare cose più grandi e impegnative?

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venerdì 2 ottobre 2015

La motivazione (2)

Il modo migliore per iniziare a dare alle persone che lavorano con voi gli strumenti giusti per automotivarsi è ricordare che i vostri uomini sono i vostri primi clienti. Il vostro atteggiamento verso di loro sarà il loro atteggiamento verso i clienti dell'azienda. 

Cosa state facendo per sviluppare all'interno del vostro team l'atteggiamento e lo spirito giusti da infondere nel lavoro quotidiano a contatto con la clientela interna ed esterna?
Che le persone lavorino nel servizio ai clienti, nelle vendite, nei servizi di segreteria, in contabilità, all'installazione o nel reparto spedizioni, ognuna di loro ha la capacità di avere un impatto positivo o negativo sulla vostra organizzazione. La scelta di quale prevarrà è solamente vostra.

Una delle prime cose che vengono insegnate al personale commerciale è che, al fine di potersi assicurare nel lungo termine clienti di qualità, è necessario parlare con loro, fare loro domande, scoprire i loro bisogni e poi trovare il modo per soddisfare con continuità le necessità che hanno palesato.  

Con i vostri uomini dovrete provare a fare la stessa cosa: sondateli per scoprire le loro esigenze, chiedete loro quali sono gli obiettivi che vogliono raggiungere e cosa avrebbero piacerebbe di realizzare nella vita professionale. Una volta fatto tutto questo, mostrare loro come possono usare il lavoro per raggiungere gli obiettivi che hanno a cuore.

L'unico grande motivo per cui le persone non riescono ad auto-motivarsi ​​è che loro stesse non sanno che cosa le motivi, non hanno obiettivi e nessun piano per la loro vita o carriera.  


Qualunque amministratore delegato sa che, se non si lavora duro, le aziende non funzionano ma questa consapevolezza è del tutto inutile se i collaboratori pensano: " Chi se ne frega! Che vantaggio ne ricavo a lavorare duro per qualcosa che non mi interessa?" Del resto, come possono essere entusiasti del successo dell'azienda, se non vedono come contribuisca al loro successo?

La cosa su cui lavorare è aiutare le persone a stabilire gli obiettivi di vita e carriera che stanno loro a cuore e supportarle nello sviluppo dei piani necessari per raggiungerli. Sembra una cosa semplice ma la maggior parte persone non ha mai fatto tutto questo, quindi lo trova difficile da affrontare.  

Programmate, poi, delle riunioni trimestrali per vedere che tipo di progresso stanno facendo i vostri collaboratori e per seguirli da vicino nel loro percorso verso l'auto-motivazione.

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