venerdì 31 luglio 2015

Parliamo del rischio e di come si può gestire (5)

Possibilità di controllare il rischio

Un altro aspetto di cui tenere conto quando si analizza un rischio è la possibilità di tenerlo sotto controllo tramite certe azioni.  


Se il rischio non può essere gestito o mitigato, si spera che possa essere compreso al meglio per poterlo almeno controllare.

Nel considerare tutti questi concetti, possiamo vedere come il rischio nel contesto del businesscoinvolga molti aspetti diversi uno dall'altro. Per questo, per gestirlo al meglio, possiamo avvalerci di modelli utili per affrontarne la complessità e per coglierne le opportunità

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giovedì 30 luglio 2015

Parliamo del rischio e di come si può gestire (4)

Gravità o impatto

Il secondo elemento che caratterizza il rischio è la sua gravità o l'impatto che potrebbe avere sulle attività di un'organizzazione.


Per assicurare il viaggio di una nave transatlantica, ad esempio, bisognerebbe valutare la potenziale perdita di tutto il suo carico. 

Complessità e imprevedibilità
 I manager devono essere consapevoli anche di altri aspetti del rischio, oltre ai due già trattati. La sua complessità è uno di questi ed è il quarto aspetto che dobbiamo prendere in esame.  
 
Un rischio non è mai isolato ma può essere considerato come multi-dimensionale dato che mostra  relazioni e interdipendenze con altri rischi. 
Questo significa che la capacità di misurare il rischio (o la comprensione del suo impatto sul nostro business) è limitato dalle informazioni disponibili in uncerto momento e dalla nostra capacità di comprenderne la complessità.  
 
La complessità di un rischio può sopraffare la capacità di prevederne il risultato. Tutto ciò che è sconosciuto può essere considerato un rischio. Tuttavia, il rischio può essere ridotto nel momento in cui le informazioni e la nostra capacità di analizzarle e comprenderle a fondo possono svelare quella parte di incertezza che ci fa brancolare al buio.  
 
Negli affari, l'incertezza tipica dei sistemi complessi è aumentata anche grazie alla globalizzazione, all'interconnessione e alla dipendenza da sistemi automatici.  
 Sviluppare una comprensione della complessità significa, dunque, provare a comprendere il percorso e la natura del rischio.

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mercoledì 29 luglio 2015

Parliamo del rischio e di come si può gestire (3)

Il rischio, nell'ambito del business, coinvolge molti concetti che si sovrappongono e interagiscono fra loro.Partiamo dal primo.
Probabilità di accadimento

 Dal momento che il rischio è legato alla probabilità che un evento incerto si verifichi o meno, laprobabilità di accadimento misurata da 0 a 100% fornisce una comoda misurazione per sapere come affrontarlo

Il calcolo delle probabilità può derivare dall'analisi di dati storici (il passato ha spesso una forte attinenza rispetto a ciò che succederà dopo e ci possiamo concedere di credere che il futuro, in molti casi, possa essere simile al passato) o dalla condivisione delle opinioni di un gruppo di esperti.  

Fermandoci alla prima possibilità, una volta che avremo guadagnato la fiducia necessaria a professare un potente atto di fede che consiste nel credere che - analizzando i dati storici - si possa fare una previsione per il futuro, sarà fondamentale prendere in considerazione i dati in sé e per sé.  
Si sarà tentati, probabilmente, di trattare i dati storici come una sequenza casuale di eventi e questo implica che gli eventi siano indipendenti e che il rischio derivi dalla casualità del sistema.Tuttavia, molte situazioni sfidano questa ipotesi circa l'indipendenza degli eventi legati a un rischio. 

Si consideri la famosa analisi di Harold Hurst sui flussi del fiume Nilo.  
Hurst esaminò i livelli minimi annui del fiume per un periodo storico di circa 800 anni (622-1469) per determinare quali fossero le dimensioni ottimali dei serbatoi da costruire per soddisfare il bisogno di consumo di acqua da parte della popolazione. 
Il dimensionamento di un serbatoio è un'eccellente analogia fisica che può spiegare come vengano prese molte decisioni relative alla gestione del rischio. Nell'esempio, il livello minimo che il fiume raggiungerà negli anni a venire è sconosciuto ma dobbiamo comunque garantire acqua sufficiente per soddisfare la domanda di tutti negli anni a venire. Analizzando i dati storici possiamo, dunque, provare a calcolare la dimensione ottimale dei serbatoi.  
Analogamente, nel caso di sistemi finanziari, dovremo esaminare i flussi di cassa (avanzi e disavanzi), il tempo intercorso tra questi flussi e assicurarci le riserve di capitale necessarie per affrontare il periodo negativo che, storicamente, si è dimostrato come il più lungo.

Durante la sua analisi, Hurst si accorse anche che l'ordine dei dati storici era particolarmente critico e che i flussi fluviali non erano del tutto casuali
Il fatto che il Nilo avesse mostrato una tendenza ad avere ivelli di acqua estremamente bassi in anni sequenziali non era statisticamente casuale. Questo significava che i serbatoi giusti dovevano avere dimensioni tali da poter accumulare eccedenze di acqua per un lungo periodo di tempo. 
Quello che oggi ci pare così evidente, allora fu una grande rivelazione perché fece capire che la gestione dei rischi deve prendere in considerazione anche la correlazione con il tempo.  
L'importante lavoro compiuto da Hurst mise in evidenza l'importanza di considerare l'ordine dei dati per capire se un processo sia o meno "casuale" e se il processo studiato abbia o meno una certa ricorrenza nel tempo.

Questo concetto modificò nella sostanza il panorama del risk management in moltissimediscipline, dall'idrologia alla cardiologia. La grande lezione da Hurst è che i dati possono mostrare un certo ordine e che individuarlo è fondamentale per prendere le decisioni giuste.Queste misurazioni sono utilizzate dagli esperti per capire la probabilità di accadimento di un certo rischio.


A domani per il secondo concetto che ci aiuta a identificare bene il rischio.

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martedì 28 luglio 2015

Parliamo del rischio e di come si può gestire (2)

Chi si occupa di affari si trova ad affrontare l'incertezza e il rischio in ogni attività.Il famoso economista americano Frank Knight ci spiega che il rischio incorpora più elementi tra i quali l'incertezza e che il rischio, a differenza dell'incertezza, è misurabile.
L'incertezza, dunque, ha un senso che è radicalmente diverso da quello che identitica il rischio con il quale spesso viene - invece - confusaSe un'incertezza è misurabile si deve parlare di "rischio" che è un termine molto diverso da quello che identifica qualcosa che è ignoto e, dunque, non calcolabile.


Nel contesto degli affari non è una differenza da poco e costituisce un concetto profondo.  
Le organizzazioni possono misurare l'impatto dei rischi grazie a studi probabilistici e i singoli responsabili aziendali devono fare i conti con questi rischi misurabili e con una buona dose di incertezza che, invece, non è misurabile.
Il compito di misurare la probabilità di accadimento di un certo rischio serve a gestire con più accortezza il margine di incertezza che va ridotto ricercando tutte le informazioni necessarie che possono ricondurlo ad essere gestito all'interno di un processo di risk management.

Le informazioni possono eliminare o ridurre il margine di incertezza e una buona gestione a livello organizzativo delle informazioni, oltre all'approccio sistematico alla gestione dei rischi, sono competenze chiave per qualunque responsabile.

A domani per un ulteriore approfondimento di questo discorso.

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lunedì 27 luglio 2015

Parliamo del rischio e di come si può gestire

Che cos'è il rischio?

Il concetto di rischio è stato familiare in tutte le civiltà ma come concetto nell'ambito del businesssi è evoluto solamente negli ultimi secoli fino ad avere una grandissima attenzione nel mondo degli affari di oggi.  


La complessità sempre crescente dei commerci e dei trasporti, per citare solamente due settori nei quali la gestione del rischio è fondamentale, ha fornito una grande profondità ai concetti contenuti in questa parola.  

Gli studiosi sono divisi sull'origine della parola "rischio" ma concordano nel dire che potrebbe derivare dalla parola araba "risq" o da quella latina "riscum".Il "risq" arabo era una parola che aveva lo scopo di identificare tutto ciò che veniva dato all'uomo da Dio e dal quale si poteva ricavare un profitto. La parola "riscum", invece, nacque come termine marittimo per descrivere l'azione di aggirare un pericolo.  
La parola di origine araba, dunque, ha un legame chiaro e distinto con la prosperità, mentre quella di origine latina mostra una maggiore attenzione alle conseguenze negative. Sapendo che le culture arabe e latine si sono sovrapposte nel Mediterraneo, non è una sorpresa che il concetto di rischio si sia evoluto nella cultura europea con una connotazione negativa ma anche positiva, specialmente in merito al commercio e agli affari.

Questo duplice aspetto lo ritroviamo anche nella struttura degli ideogrammi che identificano la parola cinese "crisi" e che che sono formati dalla combinazione degli ideogrammi delle parole "pericolo" e "opportunità" perché è proprio questo che accade quando c'è una crisi: pericolo e opportunità si presentano insieme.


Continueremo il discorso domani.

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venerdì 24 luglio 2015

Imparare l'autodisciplina (4)

L'autodisciplina non significa che tutto debba essere per forza di cose negativo. Se - infatti - come abbiamo visto ieri nell'abbandonare abitudini che consideravamo piacevoli dobbiamo prepararci a uno sforzo notevole, dovremo anche essere in grado di premiarci per ogni piccolo risultato raggiunto per non rischiare di andare incontro a fallimenti e delusioni.  

Durante i nostri esercizi per autodisciplinarci, dunque, prevediamo degli step specifici e piccoli obiettivi da raggiungere che ci permettano di accedere ad altrettanto piccole ricompense.  
Tornando all'esempio della dieta, dopo sei giorni di alimentazione perfetta un gelato alla frutta ci può tranquillamente stare. Ecco, il principio è lo stesso anche nel lavoro: troviamo qualcosa che ci piacerebbe ricevere come premio e associamolo al raggiungimento di ogni obiettivo lungo il nostro percorso. 

Premiare gli sforzi fatti è fondamentale!

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giovedì 23 luglio 2015

Imparare l'autodisciplina (3)

Il secondo consiglio che vi diamo per provare ad autodisciplinarvi è quello di non aspettarvi subito di stare bene scegliendo le nuove abitudini. E' normale, ad esempio, che, iniziando una dieta, durante i primi giorni ci si senta affamati. Migliorare la vostra autodisciplina significa cambiare la vostra normale routine e questo potrebbe rivelarsi scomodo e mettervi persino a disagio.  

Le abitudini sono regolate da una parte del cervello che è associata alle emozioni, alle fantasie e ai ricordi e che è diversa da quella nella quale si formano le decisioni.  
Quando un comportamento diventa un'abitudine, smettiamo di utilizzare le nostre capacità decisionali e mettiamo in funzione il pilota automatico. Di conseguenza, rompere con una cattiva abitudine e costruirne una nuova ci impone di prendere decisioni che spesso ci portano a stare male perché dobbiamo mantenerci forti.  

Il nostro cervello dovrà imparare a resistere al cambiamento convincendosi che stare un po' male è necessario in questi casi. Ci vorrà un po' per sentirci di nuovo bene ma succederà e l'autodisciplina ci permetterà di arrivare là dove vogliamo. 

A domani per il terzo consiglio.

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mercoledì 22 luglio 2015

Imparare l'autodisciplina (2)

L'autodisciplina è più semplice se si rispetta il vecchio detto "lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Rimuovere dal vostro ambiente di lavoro tutte le tentazioni e le distrazioni che non vi permettono di concentrarvi su ciò che vi interessa è un primo passo fondamentale quando si lavora per migliorare la propria autodisciplina.  

Se, ad esempio, state provando ad essere più efficienti nel lavoro, potreste spegnere il telefono cellulare e provare a non leggere le e-mail per un'ora per cercare di dedicarvi interamente al compito che state svolgendo. 

Anche rimuovere il disordine dalla vostra scrivania è utile per evitare distrazioni se siete soliti avere a portata di mano giornali, riviste, fotografie, agende personali, ecc.  

Se poi avete veramente dei problemi a stare lontani da un'altra grande fonte di distrazione come i social, provate a scaricare un'applicazione che vi aiuti ad autocontrollarvi bloccando per un certo periodo di tempo quei siti che potrebbero distrarvi.  

Abbandonate le cattive influenze che tutto questo ha su di voi e avrete compiuto il primo passo verso l'autocontrollo. Quale sarà il secondo? Ne parleremo domani...

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martedì 21 luglio 2015

Imparare l'autodisciplina

Spesso si cade nell'errore di credere che le persone che mostrano di avere una certa autodisciplina ce l'abbiano come "regalo", una sorta di caratteristica che le distingue fin dalla nascita.

La verità, invece, è che tutti noi possiamo autodisciplinarci. La vera domanda da farci è se ne abbiamo davvero voglia. 

L'autodisciplina è un po' come lo studio di una nuova lingua. Ogni persona può impararla se ha voglia di studiare e di mettere in pratica ciò che ha imparato. 
 
Iniziamo, dunque, a pensare che l'autodisciplina è qualcosa che si usa, non qualcosa che si ha a prescindere e che potremmo utilizzarla per realizzare quasi qualsiasi obiettivo ci venga in mente.  


L'autodisciplina è uno strumento che va semplicemente conosciuto. Ecco perché i leader illuminati ottengono il meglio dalle persone, semplicemente perché sanno che ognuna di loro ha tutto ciò che serve per centrare un certo obiettivo, basta semplicemente metterla in grado di accorgersene.


Si può iniziare leggendo ciò che ci propone la rete o, magari, seguendo dei piccoli consigli che possono apparire abbastanza scontati ma sono formidabili se messi davvero in pratica.
Ve li daremo domani. Nel frattempo, ci raccontate se voi siete autdisciplinati e come siete riusciti ad esserlo?


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lunedì 20 luglio 2015

La gestione delle attrezzature - 8

Per organizzare al meglio il carico di lavoro relativo alla manutenzione bisognerà valutare periodicamente e su base regolare ciò che occorre fare per gestire al meglio le risorse a disposizione e garantire che gli interventi siano il più produttivi possibile.

Occorrerà anche fare uno sforzo per garantire la manutenibilità e l'affidabilità delle singole apparecchiature, studiandole bene per capire come intervenire.
Un altro aspetto importante da tenere ben presente sono le procedure da stabilire per l'acquisto, il ritiro e l'eventuale reso dei materiali stoccati utili al processo di manutenzione.



L'Ufficio Tecnico, la Produzione e la Manutenzione dovranno poi imparare a collaborare pergarantire che i progetti quali la costruzione o l'installazione di dispositivi necessari per la manutenzione, la modifica di impianti, la delocalizzazione, ecc. vengano opportunamente riesaminati per valutarne la necessità e fattibilità e progettati prima dell'inizio dei lavori.




Ecco, ci sembra sia tutto. Secondo voi manca ancora qualcosa per raccogliere le idee e riorganizzare il processo relativo alla Manutenzione?


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venerdì 17 luglio 2015

La gestione delle attrezzature - 7

La manutenzione, come accennato ieri, va pianificata e programmata, almeno per ciò che riguarda lavori quali le revisioni periodiche, la sostituzione di componenti soggetti ad usura, ecc. 
Questo modo di procedere garantirà che il lavoro sia ben organizzato e completato nel periodo di tempo più breve possibile.
 
Bisogna stabilire:

  • i criteri per determinare quale lavoro debba essere programmato per primo;
  • a questo proposito,  si dovrà determinare una procedura per definire le priorità in base all'importanza del lavoro da fare, della macchina sul quale bisogna farlo e dell'allocazione delle risorse;
  • definite le priorità, occorrerà specificare entro quanto tempo i lavori dovranno essere completati
La Manutenzione si occuperà anche di raccogliere e utilizzare nel migliore dei modi le informazioni relative allo svolgimento dei lavori, ai costi e alla storia dei singoli interventi per assicurare un controllo efficace delle sue attività e delle decisioni economiche connesse alla sostituzione delle attrezzature.

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giovedì 16 luglio 2015

La gestione delle attrezzature - 6

Una procedura di riferimento per condurre in maniera efficace un programma di manutenzione non può non tenere conto della manutenzione preventiva.






A tale scopo, occorrerà:

  • che la Manutenzione conduca un programma di rilevamento dati che preveda l'ispezione e il monitoraggio delle condizioni delle singole apparecchiature e attrezzature allo scopo di individuarne eventuali carenze che potrebbero condurle ad un fermo prematuro. Stiamo parlando di operazioni semplici quali: la lubrificazione, la pulizia, la regolazione, la taratura e la sostituzione di componenti minori; 
  • che la manutenzione preventiva abbia la precedenza su ogni altro aspetto della manutenzione tranne i lavori urgenti;
  • che il programma generale relativo alla manutenzione preventiva venga valutato ogni anno per assicurarsi che copra tutte le apparecchiature che richiedono servizi di questo tipo e che gli interventi siano appropriati e applicati ad intervalli corretti;
  • che gli operatori che lavorano su ogni macchina si mettano a disposizione della Manutenzione per garantire il funzionamento affidabile delle apparecchiature;
  • che il rispetto del programma di manutenzione preventiva venga segnalato alla direzione
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mercoledì 15 luglio 2015

La gestione delle attrezzature - 5

Vediamo quali sono le linee guida principali per stabilire una buona politica relativa alla manutenzione da inserire in un'eventuale procedura.
 
Partiamo con le responsabilità delle aree che possono essere così riassunte:

  • I responsabili dei singoli reparti garantiranno il rispetto delle politiche relative alla manutenzione;
  • La Produzione sarà responsabile dell'effettivo utilizzo dei servizi di manutenzione;
  • La Manutenzione sarà responsabile dello sviluppo di un programma di manutenzione che sia pertinente e della sua applicazione e della formazione degli operatori che, lavorando quotidianamanete sulle macchine, si occuperanno di condurre interventi semplici;
  • Sarà anche cura della Manutenzione fare un uso efficiente delle risorse che ha a disposizione per garantire che venga eseguito un lavoro di qualità

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martedì 14 luglio 2015

La gestione delle attrezzature - 4

Le politiche contenute nella strategia di produzione sono destinate principalmente ad impedire qualsiasi fraintendimento a livello dipartimentale su ruoli e responsabilità. 
A loro volta, le politiche sono la base per lo sviluppo delle procedure di interazione tra le diverse aree.

Il programma generale di manutenzione sarà valutato ogni anno per assicurarsi che copra tutte le apparecchiature che richiedono interventi periodici e che la manutenzione più appropriata sia applicata ad un intervallo di tempo corretto

Periodicamente, inoltre, si verificherà che un programma come questo sia efficace nel ridurre i guasti alle apparecchiature e che la vita delle attrezzature si estenda nel tempo.

Tali politiche specificheranno, inoltre, come debba essere svolta la manutenzione nel migliore interesse dello stabilimento.


Domani vedremo come redigere una procedura di questo tipo.

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lunedì 13 luglio 2015

La gestione delle attrezzature - 3

Un processo di manutenzione di successo si basa su una cooperazione interdipartimentale e sul sostegno di tutte le parti in gioco.



L'obiettivo primario della manutenzione è quello di mantenere le apparecchiature di produzionein una condizione di funzionamento efficace in modo che gli obiettivi di produzione possano essere soddisfatti secondo le tempistiche previste e al costo più basso possibile.

L'assenza di obiettivi chiari può produrre conseguenze nefaste. Vediamo, dunque, quali possono essere un paio di obiettivi tipici assegnati ai dipartimenti di gestione delle attrezzature:

  1. mantenere a magazzino i materiali per la riparazione di determinati componenti e i materiali di consumo al fine di garantire che siano disponibili al momento del bisogno
  2. far utilizzare le attrezzature in modo corretto per soddisfare gli obiettivi di produzione,
    di qualità e di costo stabiliti. Incorporare la sensibilizzazione dell'operatore alla manutenzione nelle attività principali del dipartimento di manutenzione
Nell'ottica di una piena collaborazione tra la Produzione e la Manutenzione, vediamo quali sono i compiti di entrambe.

La Manutenzione:
  • consiglia alla Produzione quali procedure seguire per la gestione quotidiana delle attrezzature;
  • fornisce un servizio di manutenzione preventiva;
  • sostituisce i principali componenti che si usurano e fa riparazioni urgenti;
  • pianifica i lavori più importanti che possono essere programmati;
  • consiglia la manutenzione necessaria;
  • fornisce tutte le informazioni necessarie su eventuali decisioni che riguardino le riparazioni da effettuare
La Produzione:
  • comprende e sostiene il programma elaborato dalla Manutenzione;
  • informa la Manutenzione dei programmi della Produzione;
  • specifica la disponibilità delle attrezzature;
  • impone agli operatori di eseguire i controlli caldeggiati dalla Manutenzione;
  • si impegna ad insegnare a tutti gli operatori ad utilizzare correttamente le apparecchiature;
  • segnala tempestivamente i problemi alla Manutenzione;
  • rispetta gli orari che sono stati approvati per gli interventi di manutenzione
Da voi come funziona? Produzione e Manutenzione riescono a lavorare in questo modo oppure ci sono difficoltà oggettive?

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venerdì 10 luglio 2015

La gestione delle attrezzature - 2

Le dichiarazioni di intenti della maggioranza delle organizzazioni spesso si riferiscono alla realizzazione di prodotti di qualità, alla soddisfazione della clientela, al miglioramento costante delle competenze dei dipendenti, alla creazione di buone condizioni di lavoro e, in generale, alla realizzazione di un profitto che possa far affrontare il futuro con tutto l'ottimismo necessario.  

Difficilmente, però, troveremo in queste dichiarazioni di intenti qualcosa che riguardi la manutenzione ed è per questo che un bravo direttore di produzione dovrà impegnarsi per trasformare gli obiettivi aziendali in una strategia di produzione per il suo impianto e riconoscere la manutenzione come un'attività che richiede un forte sostegno manageriale, una solida cooperazione durante lo svolgimento delle attività e un servizio di prim'ordine svolto da persone competenti.

Il risultato di un approccio illuminato alla produzione è un programma di manutenzione ben compreso da tutti e supportato da informazioni di qualità.

Un programma di manutenzione efficace, infatti, non è altro che la diretta conseguenza di una strategia di produzione ben concepita.  

Spesso, invece, la realtà dei reparti di manutenzione è quella di non poter contare su un programma adeguato, di dover combattere ogni giorno con una profonda confusione e di utilizzare male le risorse messe a disposizione.
Ancora, spesso mancano procedure di manutenzione ben documentate, le persone non vengono istruite sulle procedure di controllo degli impianti e, addirittura, manca un programma di formazione ben definito per evitare errori.
Anche il sistema informativo spesso crea più danni che altro perché le persone risultano incapaci di utilizzarlo sfruttandone in pieno il potenziale e ne ricavano confusione e frustrazione. 
Completano il quadro l'assenza di obiettivi e di politiche in materia di manutenzione e questo è spesso il motivo principale di molti problemi che si verificano in quest'area. 

Ne parleremo ancora. Nel frattempo ci piacerebbe leggere le vostre osservazioni.

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giovedì 9 luglio 2015

La gestione delle attrezzature

L'obiettivo principale della gestione delle attrezzature è quello di creare un processo di manutenzione efficace e capace di soddisfare le crescenti esigenze di affidabilità di un complesso moderno costituito dalle apparecchiature di produzione.  

Per troppo tempo, la manutenzione è stato vista come ultima risorsa per il ripristino delle attrezzature trascurate, piuttosto che come un fattore chiave per un funzionamento efficace dell'impianto.  

I reparti di manutenzione, naturalmente, non possono modificare questo approccio da soli ma hanno bisogno che manager illuminati comprendano il potenziale del mantenimento della qualità delle attrezzature. La manutenzione, insomma, deve cambiare in meglio e si devono padroneggiare le nuove tecnologie, l'intera organizzazione del lavoro e la gestione delle competenze dei singoli attori del processo.  

L'industria moderna è entrata in un'era in cui la manutenzione non può più essere un "male necessario", caratterizzata da una testarda aderenza a pratiche del passato. Le apparecchiature diventano ogni giorno più complesse e mantenere efficienti nel tempo attrezzature di questo tipo è diventato molto difficile. 
Oggi, dunque, si richiede che i responsabili della manutenzione possano essere dei validi tecnici ma anche dei bravi professionisti capaci di imparare le tecnologie che stanno alla base dell'affidabilità degli impianti e che, una volta apprese, evitano che le attrezzature si logorino prima del tempo.

A sorvegliare e a guidare da vicino questa profonda trasformazione dovrà essere un direttore di stabilimento illuminato capace di creare un ambiente di lavoro in cui la manutenzione avrà il successo desiderato e sarà capace di rendere l'impianto redditizio.  


A partire da domani vedremo come muoverci per centrare questo risultato.

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mercoledì 8 luglio 2015

La comunicazione interna

Negli ultimi anni, in molte organizzazioni si è iniziato a prestare più attenzione ad una comunicazione interna di stampo manageriale.  

La comunicazione che si svolge all'interno di un'organizzazione ha lo scopo di informare meglio i dipendenti sulle strategie adottate e sugli obiettivi che si vogliono raggiungere.  
Comunicare bene serve anche a motivare le persone per farle aderire ai valori della società.  

Come potete facilmente intuire, non è affatto un compito trascurabile per qualsiasi organizzazione che voglia migliorare ed evolversi!  

Comunicare bene con i collaboratori è diventata una sfida strategica per qualsiasi organizzazione, uno strumento essenziale per una buona gestione.Se la comunicazione interna viene condotta in modo ottimale, l'efficienza generale verrà rafforzata e se l'efficienza migliorerà, il desiderio di lavorare ancora meglio crescerà con essa, il clima di lavoro verrà consolidato e la comunicazione andrà sempre meglio.  
Questo è ciò che gli esperti chiamano il circolo virtuoso della comunicazione.  

In molti Paesi si sta facendo riferimento ai metodi di lavoro elaborati da alcuni giganti statunitensi che si concentrano sul benessere personale e sullo sviluppo dei lavoratori per aumentarne la produttività e il senso di appartenenza all'organizzazione.  
In questo tipo di approccio, la comunicazione ha un ruolo enorme nel benessere e nello sviluppo dei dipendenti. Per contro, la mancanza di informazioni e l'assenza di scambi contribuiscono alla demotivazione e contribuiscono a guastare il clima che c'è al lavoro.  

Nelle vostre realtà si comunica bene? Oppure riscontrate degli errori? 

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martedì 7 luglio 2015

L’idea nasce, ma non cresce

(Fonte: "Corriere Economia")

L’Italia non è un Paese per geni imprenditoriali: non perché i talenti manchino, ma perché spesso non vengono trainati.
Mancano infatti le startup adulte (in gergo: scaleup), cioè le promesse del mercato pronte a fare il
salto a impresa vera.


Lo rivela il rapporto Sep Monitorrealizzato dalla Startup Europe Partnership.



(...)

In tutto, i Paesi analizzati (Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna e Italia) hanno totalizzato
990 scaleup per 23 miliardi di investimenti.
L’Italia non solo ha il minor numero di imprese di questo tipo (72), ma anche gli investimenti più bassi (480 milioni di dollari tra venture capitalist e Ipo). All’opposto c’è la Gran Bretagna, prima della classifica, che è riuscita a far maturare 399 startup con investimenti pari a 11,1 miliardi.
Il numero delle startup adulte britanniche è sei volte il nostro, mentre il volume degli investimenti
è 28 volte quello registrato in Italia. 


Anche il dato relativo all’investimento medio per impresa aggiudica, di nuovo, la maglia nera
all’Italia. Ogni scaleup nostrana è riuscita ad ottenere 5,6 milioni contro i 31,7 delle tedesche, i
27,8 delle inglesi, i 17 delle spagnole e i 15,1 delle francesi. Il 90% delle aziende tricolori esaminate, infatti, è riuscito a ottenere finanziamenticompresi tra uno e dieci milioni di dollari.
 

Visti gli investimenti bassi, non sorprende che il nostro Paese non sia riuscito a produrre nemmeno
una scaler, cioè una startup capace di arrivare a superare il traguardo dei 100 milioni di dollari di
investimento. Nei cinque Paesi esaminati ce ne sono in tutto 37: 19 in Gran Bretagna, nove in Germania, sei in Francia e tre in Spagna. E zero, appunto, in Italia.



(...)

Come analizza il rapporto Sep, le startup adulte italiane sono per la maggior parte di piccole dimensioni.
Il nostro Paese si piazza ultimo in classifica anche se si esamina il numero di fusioni e acquisizioni.
In Spagna ne sono state registrate 37, in Francia 75, in Gran Bretagna 85 e in Germania 125. In
Italia, invece, si arriva soltanto a 28. Il 32% di queste è finita nell’orbita di altre aziende italiane, il
25% di società europee e un altro 25% di aziende americane.
Queste ultime, sottolinea lo studio, hanno avuto uno sviluppo più rapido: trasferire la proprietà Oltreoceano pare essere per ora la migliore soluzione per aiutare le società innovative nostrane ad affermarsi sul mercato. 


(...)

In una categoria, però, l’Italia non finisce in fondo: quella delle Ipo, i debutti in Borsa. Ben due
startup adulte nostrane sono riuscite infatti a quotarsi, entrambe l’anno scorso. 


(...)

La Gran Bretagna ha totalizzato 12 quotazioni e la Francia sette, ma in tre anni. La Spagna ne ha
avute solo due, entrambe l’anno scorso come le nostre. Mentre in Germania, a dispetto dei grossi numeri complessivi, se ne è quotata una sola.


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lunedì 6 luglio 2015

Ecco perché le nostre aziende non riescono ad essere attrattive

(Fonte: "Corriere Economia")

Secondo una larga maggioranza degli associati all’Aspen Institute Italia (69%), le imprese italiane non sono in grado di valorizzare le risorse umane che hanno a disposizione.

Non sono inoltre in grado di promuovere ed attrarre i talenti italiani (79%) tanto meno di promuovere e attrarre talenti esteri (92%).


Secondo la ricerca Ascesa e declino dei tradizionali driver dello sviluppo: nuovi scenari futuri,
alle difficoltà di abbinare le capacità individuali all’impiego più adatto (job mismatch) si aggiunge
la scarsa capacità di attrarre nuove abilità e competenze che sarebbero in grado di aumentare la competitività del sistema.


Economie emergenti come la Cina stanno investendo molto nell’istruzione universitaria, un settore che ha visto gli studenti raddoppiare nel corso del decennio 2000-2010 a un totale di 4 milioni. Paesi come Canada, Australia, Stati Uniti e Regno Unito sono in grado di attrarre un numero di talenti ben superiore a quanto non riesca a fare l’Italia.

È una pesante ipoteca sul futuro. Nella sola Unione europea si è passati da 800 mila a 1,7 milioni di studenti internazionali. Negli Stati Uniti i visti per studenti cinesi erano 22 mila nel 2005 e 189 mila nel 2012.

Quello dell’istruzione si rivela essere un mercato estremamente dinamico e sensibile a una pluralità di fattori (non ultime le conseguenti opportunità di lavoro) che difficilmente vedono l’Italia agganciare il trend dei migliori.
Il saldo migratorio netto dell’Italia in rapporto alla popolazione è — su dati 2010 — vicino al pareggio: per quanti talenti che arrivano per lavorare ve ne sono poco meno che escono per cercare altre destinazioni.
E non vi è motivo di ritenere che negli ultimi cinque anni la tendenza sia sostanzialmente mutata.


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venerdì 3 luglio 2015

Stilare un piano per comunicare bene (3)

Anche se rimane poco utilizzata nel campo della comunicazione, la pianificazione è uno strumento estremamente usato nell'ambito del management perché si propone di tracciare una sorta di linea guida per agire in base a scenari futuri

Solo definendo, infatti, i mezzi necessari per ottenere il futuro riconosciuto come desiderabile per l'organizzazione possiamo metterci nelle condizioni di raggiungerlo davvero.

Per fare un buon piano della comunicazione occorre analizzare l'ambiente di riferimento cogliendolo nella sua evoluzione, bisogna poi esaminare i punti di forza e di debolezza nel campo della comunicazione ed eventuali vincoli.
Il risultato di questo confronto dovrebbe essere una sorta di piano strategico in grado di presentareobiettivi e mezzi necessari per agire.

La fase di analisi è di fondamentale importanza perché determina le strategie e i mezzi d'azione. 
 

Un buon piano dovrebbe essere in grado di rispondere almeno alle seguenti cinque domande:
  • che cosa si dovrebbe fare?
  • quali minacce e opportunità cogliamo nell'ambiente di riferimento?
  • che cosa possiamo fare?
  • quali sono i nostri punti di forza e di debolezza?
  • che cosa vogliamo fare?
Un'altra condizione essenziale per l'efficacia di un piano è che la pianificazione effettuata deveessere flessibile e permettere l'inserimento di nuovi input. Essa, infatti, deve permettere l'integrazione di nuovi elementi capaci anche di mettere in discussione le scelte strategiche fatte e di diventare il centro di una nuova analisi per prendere le decisioni migliori nel nuovo assetto.

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giovedì 2 luglio 2015

Stilare un piano per comunicare bene (2)

Per redigere un buon piano della comunicazione occorre farsi cinque domande:
  • chi dice?
  • cosa dice?
  • a chi lo dice?
  • attraverso quali canali?
  • con quale effetto?
Occorre poi fare le seguenti quattro osservazioni:
  • la comunicazione si intende per lo più come trasmissione di informazioni;
  • in quest'ottica, il piano della comunicazione va inserito in un sistema più ampio; 
  • ogni comunicazione, breve o lunga che sia e in qualunque forma venga pensata dovrà contenere la risposta alle cinque domande viste prima; 
  • oltre a queste cinque domande, bisognerà sforzarsi di rispondere anche a queste altre: "dove?", "quando?" e "perché?"
In questo modo può iniziare ad emergere una bozza del nostro piano della comunicazione.
Occorerrà, poi, considerare quattro parametri fondamentali per la preparazione del documento:
  • chi dovrà ricevere il nostro messaggio, cioè i destinatari della comunicazione;
  • i canali utilizzati per la trasmissione (voce, internet, lettera, ecc.);
  • il contenuto del messaggio e il suo significato;
  • il contesto in cui avviene la comunicazione
Domani parleremo della comunicazione al servizio del management e completeremo questo discorso.

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mercoledì 1 luglio 2015

Stilare un piano per comunicare bene

Un piano è composto da tutte le disposizioni da prendere per l'esecuzione di un progetto o per il raggiungimento di un certo obiettivo. 
E' in questa prospettiva che il piano deve essere adattato alla comunicazione ed essere visto come unostrumento metodologico.Il piano, definito come un metodo per migliorare la coerenza delle azioni verso uno scopo, a nostro avviso, nel campo della comunicazione aziendale è valido indipendentemente dal tipo di attività svolta dall'organizzazione e qualunque sia la sua dimensione.

Il piano per la comunicazione fornisce un quadro generale all'interno del quale l'azienda dovrà muoversi per specificare cosa intende fare in questo ambito.


Prima di tutto cerchiamo di capire se la comunicazione sia o meno un lavoro a tempo pieno e, di conseguenza, pianificabile come tutte le altre attività svolte all'interno dell'organizzazione.

La comunicazione, come tutto il resto, si evolve ed un piano strutturato dedicato a gestirla al meglio è il sostegno indispensabile per renderla efficace.

Ci sono due grandi filoni che riguardano la comunicazione:

  • tutto ciò che serve per organizzare meglio il lavoro (ad esempio una revisione delle risorse stanziate per essa, una rifocalizzazione del lavoro nelle aree più strategiche quali quelle delle relazioni col pubblico, con i media e con il personale interno, la ricerca di professionisti del settore che possano, con la la loro formazione specifica, darci una mano a migliorare la nostra capacità di comunicare, la creazione di una struttura per la valutazione dei progressi fatti nel campo della comunicazione, ecc.) 
  • tutto ciò che è legato alla messa in pratica della comunicazione (l'apprendimento di nuove pratiche in questo campo, l'ampliamento dei temi della comunicazione, la valutazione di nuove tecnologie che possano supportarci in questo lavoro, l'uso di una comunicazione più sobria e mirata al raggiungimento dell'obiettivo, ecc.)
Domani ci concentreremo sul piano specifico.

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