lunedì 30 novembre 2009

Le imprese sanno mettersi in ascolto?

Questa riflessione l'avevamo anticipata nei giorni scorsi, quando è venuto fuori il discorso di Twitter. Adesso vogliamo svilupparla per bene e sapere da ognuno di voi se ha esperienza diretta di qualche azienda che utilizzi queste nuove tecnologie per ascoltare i clienti.
Che sviluppo vedete per questi sistemi in un'ottica di Qualità?

(Fonte: "Nòva")

Nell'era del web partecipativo l'azienda italiana si trova oggi a dover compiere una scelta strategica, di fronte a un bivio che potrebbe influenzare in maniera decisiva il proprio futuro.

Da una parte si registra una tendenza al perseguimento di modelli consolidati, in cui l'azienda si assume l'onere delle decisioni importanti, lasciando successivamente al mercato dei consumatori la valutazione delle proprie scelte.


Dall'altra c'è la strada del coinvolgimento del cliente, visto come una persona e non più come semplce consumatore, al quale l'azienda affida un ruolo da protagonista nell'orientare lo sviluppo di prodotti e servizi.

Questa possibilità oggi è reale, più dei classici focus group o di ricerche di mercato tradizionali, grazie alle opportunità degli strumenti di ascolto e di coinvolgimento fino a qualche tempo fa non disponibili.


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Una piattaforma che consente agli utenti di proporre idee da discutere insieme è la soluzione adottata da chi sposa la strada del coinvolgimento.

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Tali ambienti virtuali aggregano e abilitano una community già esistente, costituita da clienti entusiasti e attivi, dando a questi il potere, nei fatti, di entrare a far parte del team di ricerca&sviluppo.


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L'azienda trasparente può avvalersi, inoltre, di strumenti gratuiti per entrare in relazione con il pubblico attivo della rete, quali sono molti dei social network attualmente più popolari.
Facebook, Myspace, Twitter offrono occasioni per comunicare e raccogliere feedback, con un investimento ridotto e alla portata delle PMI, purché ci sia la volontà di aprirsi e di mettersi in gioco fino in fondo.

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venerdì 27 novembre 2009

La metodologia 8D

Sull'ultimo numero di Quality Progress abbiamo letto la domanda di un lettore sull'"errore umano" e l'abbiamo trovata interessante, così come la risposta data da Keith Wagoner, esperto della metodologia 8D di cui abbiamo già parlato su QualitiAmo.

Ve le proponiamo:

D: In alcune aree di certi nostri processi di assemblaggio non è facile implementare sistemi a prova di errore (poka-yoke).
Capita che, a volte, un pezzo (più o meno ogni 10.000) venga scartato dal cliente per un errore che non è tecnico come, ad esempio, la mancanza di un'etichetta o un difetto visivo.
Sappiamo che si tratta di un errore umano ma alcuni clienti insistono nel volere individuare l'esatta causa che l'ha prodotto. 
C'è un metodo per farlo?

R. Uno dei modi per risolvere il problema è la tecnica del Team Oriented Problem Solving (TOPS) della Ford.
Negli anni '80, quando il suo motto era: "La Qualità è il lavoro numero uno", Ford sviluppò questa metodologia che prese il nome dalle TOPS 8 Discipline (8D), un lavoro sistematico per individuare le cause che hanno generato un problema.

l'8D è un eccellente strumento per documentare le attività di Problem solving (individuazione e risoluzione delle cause del problema) in una maniera sicuramente accettabile per i clienti.

Nella prima fase di applicazione dello strumento si dovrà pianificare un piano di progetto per eliminare il problema e migliorare il processo. Questo piano comprenderà uno scopo, l'ambito di applicazione, le attività chiave, le responsabilità, le tempistiche e le risorse a disposizione.

Nella seconda fase si descriverà il divario esistente tra la situazione "as-is" (così com'è) e i desideri dell'organizzazione. Ci si deve focalizzare su un problema specifico e capire come lo si vuole risolvere.

La terza fase è quella di contenimento in cui ci assicuriamo che il cliente non riceva altri prodotti difettosi.

A questo punto entriamo nella quarta fase e il team è pronto a determinare la causa che ha portato allo sviluppo del problema. Si può partire utilizzando, ad esempio, lo strumento del brainstorming

Avendo identificato le cause, il team è pronto a stabilire un'azione correttiva nella quinta fase e a pianificarne l'implementazione che andrà verificata nella sesta fase.

Il lavoro, però, non è ancora finito perché nella settima fase bisognerà assicurarsi di monitorare il processo per assicurarsi che il problema non si ripeta.

L'ottava e ultima fase è quella della comunicazione. Tutti coloro che sono stati coinvolti nel processo di individuazione e correzione del problema andranno citati e lo sforzo fatto andrà opportunamente celebrato.

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giovedì 26 novembre 2009

Un'organizzazione team based

Saturn Corporation ha inserito nella mission aziendale l'importanza del team:

"Per soddisfare i bisogni dei nostri dipendenti, noi creeremo un senso di appartenenza in un ambiente di lavoro imperniato sulla fiducia reciproca, sul rispetto e sulla dignità.

Noi crediamo che tutte le persone vogliano essere coinvolte nelle decisioni che riguardano il loro lavoro. Impiegheremo le modalità di formazione di cui ogni persona ha bisogno.

Le persone creative, motivate e responsabili che lavorano in team e che sono consapevoli che il cambiamento è un fattore critico di successo, sono il più importante asset aziendale".

Alle parole seguono i fatti: l'attività di formazione istituzionale è incentrata su corsi di project management e di team building, mentre le attività ad hoc sono mirate a sviluppare le competenze di team management (motivazione, comunicazione, decision making, negoziazione, ecc.). Inoltre il 10% della retribuzione totale annua è legata a misure di performance di gruppo.

E nella mission delle vostre organizzazioni è contemplata e sostenuta l'idea di "squadra"?

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mercoledì 25 novembre 2009

Un bravo manager

E' una cosa estremamente triste che molti di coloro che all'interno delle nostre organizzazioni ricoprono i posti chiave non siano, in realtà, adatti a fare i manager o ad avere la responsabilità della gestione di altre persone.

E' ugualmente triste che anche coloro che avrebbero le capacità per fare bene e per essere un valido supporto nell'ambiente di lavoro, non siano messi nelle condizioni di poter lavorare al meglio perché non trovano il giusto appoggio nel superiore o la formazione e le informazioni necessarie per riuscire ad adempiere ai propri compiti in maniera brillante .

In un articolo ricco di spunti, McCrimmon scrive per Suite101.com  che "I manager davvero validi non sono dei semplici esecutori ma mettono gli altri in grado di fare le cose da soli. Aiutano, infatti, i loro collaboratori a lavorare cercando di essere per loro dei maestri, dei supporter, delle persone che li fanno crescere e che li stimolano in continuazione".

C'è forse una definizione migliore di ciò che significhi essere un manager?

Essere un bravo manager vuol dire mettersi nella posizione di risolvere i problemi, diventare il punto di riferimento per coloro che sono in difficoltà o che hanno qualche questione da risolvere.

Se volete che i vostri collaboratori abbiano fiducia in voi e vi considerino un leader, cercate di essere presenti quando avranno bisogno di voi. Limitarsi a passare la palla e non farsi carico di certe situazioni, significa perdere il rispetto di coloro che lavorano con noi e fare in modo che diventino degli insoddisfatti.

Ricordatelo: sono troppi i manager che si preoccupano di fare colpo sul proprio boss e di centrare gli obiettivi a loro affidati senza coinvolgere in pieno i collaboratori per paura, un domani, di essere messi da parte o per semplice incapacità.

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martedì 24 novembre 2009

Six Sigma: la storia e la distribuzione normale

E' Motorola che rivendica di aver "inventato" il Six Sigma, ma i principi che regolano la metodologia risalgono addirittura al 1809.
In quella data, infatti, Carl Gauss, matematico tedesco, pubblicò "Theoria Motus Corporum Arithmeticae", un libro in cui introdusse il concetto di curva a campana, una forma che ben rappresenta la varianza insita nei processi sotto controllo.



La varianza non è altro che una deviazione dalle aspettative e dalle attese rispetto alla performance di un processo. Ogni processo e ogni attività hanno una varianza, seppure molto piccola.
Queste variazioni all'interno dei processi sono inevitabili e assolutamente certe. Il trucco, ovviamente, sta nel limitarle il più possibile.

Quando si raccolgono i dati relativi ad un processo tipico e si trasferiscono su un piano cartesiano, la natura della varianza diventa chiara.

Se, ad esempio, l'orario di ingresso dei dipendenti di un'azienda è dalle 8 alle 8.15, potrete raccogliere i dati relativi a quante persone entrano alle 7.50, quante alle 7.55, quante allo 8.00 e così via e poi costruire un istogramma e rappresentarlo in un piano cartesiano. Se l'istogramma darà luogo ad una forma a campana, saremo in presenza di una distribuzione normale, in caso contrario ci troveremo davanti ad una distribuzione anomala.

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lunedì 23 novembre 2009

Le metodologie della Qualità. E se il problema fosse il nome?

Quando dobbiamo iniziare ad utilizzare una nuova metodologia all'interno della nostra organizzazione, è facile trovare delle resistenze da parte di chi, non conoscendola, è prevenuto perché ne ha sentito parlare in termini poco lusinghieri.

Prendete, ad esempio, la metodologia Six Sigma. Le persone, per qualche strana ragione, la temono e cercano di girare alla larga da un tema che ricorda numeri, statistiche e matematica oltre che un pizzico di greco antico. :o)

Dunque, perché non focalizzarsi sul viaggio che ci attende, invece che sul nome?
Cercate di aggirare le barriere emozionali che possono frenare l'introduzione di qualsiasi cosa sia conosciuta con il nome di "ISO 9001", "Kaizen" e così via, iniziando a parlare, piuttosto, di "miglioramento continuo", "eccellenza" o "ricerca della Qualità", tutti termini familiari che non creano apprensione e allarmismi.

Pensate che in alcune aziende americane sono addirittura arrivati a dare un nome differente alle varie Black Belt e Green Belt (le cinture nere e verdi che identificano gli esperti della metodologia Sei Sigma) chiamandole, semplicemente "esperti di processo" o "esperti in Qualità".

Fa già meno paura il miglioramento se lo chiamiamo in un modo più semplice, no?

E voi? Nelle vostre organizzazioni usate nomi diversi da quelli conosciuti universalmente per identificare le classiche metodologie e gli strumenti della Qualità?

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venerdì 20 novembre 2009

Procedure e...giustizia

Cercate di ricordare l'ultima volta che avete subito un'ingiustizia procedurale ricevendo come spiegazione un semplice e laconico: "queste sono le regole e le politiche che noi applichiamo".

Sicuramente questa spiegazione non avrà contribuito a diminuire il senso di ingiustizia provato, vero?

Prendete il caso di una studentessa al secondo anno di Economia e Commercio che, durante un semestre seguito presso un'università straniera, inserì e sostenne un esame di organizzazione Aziendale.

Al suo rientro la ragazza chiese la convalida dell'esame nel piano di studi, ma la segreteria le comunicò che ciò non era possibile perché non rientrava nelle normali procedure universitarie.

A questo punto la nostra studentessa ne parlò, durante il ricevimento studenti, direttamente con il docente responsabile del corso. Era evidente come il corso svolto all'estero fosse simile al corso tenuto dal docente per numero di crediti, ore di lezione e tipologia di esame.
Nonostante ciò, il docente si rifiutò di convalidare l'esame sostenuto, concludendo il colloquio con la seguente frase: "Senta, cara signorina, non mi faccia perdere tempo: queste sono le regole e le politiche che noi applichiamo".

La Qualità, però, non si esprime barricandosi dietro a burocrazia e procedure.
Cosa ne pensate?

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giovedì 19 novembre 2009

L'importanza del feedback sul rapporto prestazione-obiettivi

Per ottenere buoni risultati, oltre a obiettivi chiari, partecipati, specifici, difficili ma raggiungibili, è necessario che le persone siano informate sul livello di prestazione raggiunto.

In uno studio condotto sul personale di servizio della Michigan Bell, vennero confrontate le prestazioni di due gruppi di lavoratori.
Uno dei due gruppi lavorava in base agli obiettivi ricevuti ma senza feedback sui risultati; l'altro gruppo era, invece, costantemente informato sui risultati raggiunti.

Il secondo gruppo registrò una prestazione migliore e minori costi del primo.

La mancanza di un feedback arriva addirittura ad annullare gli effetti positivi dati dall'assegnazione di obiettivi impegantivi e stimolanti.

Ricordatelo la prossima volta che discuterete con la Direzione e con i vostri colleghi gli obiettivi a medio e lungo termine.

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mercoledì 18 novembre 2009

Diagrammi causa-effetto o a lisca di pesce o di Ishikawa

I diagrammi causa-effetto, chiamati anche a lisca di pesce sono stati impiegati per la prima volta da Kaoru Ishikawa, esperto giapponese di Controllo Qualità.




Il più semplice di questi diagrammi parte da un effetto finale e cerca di determinarne le cause, suddividendole nei diversi fattori; quelli standard (cause principali) sono generalmente il personale, le attrezzature, i materiali e i metodi (o processi) e ognuno di essi viene rappresentato nel diagramma in modo tale da suggerire l'idea di una lisca di pesce.

Le cause minori vengono indicate con segmenti orizzontali e si prosegue finché non sono state individuate tutte le possibili cause e gli effetti.

Ma ricordate che non bisogna limitarsi alle categorie succitate.
Per esempio in un business di servizi le categorie potrebbero essere le politiche, le procedure, le persone o gli impianti (uffici, sedi).

Lo scopo è identificare tutte le possibili cause e determinare se esistono relazioni tra loro e l'effetto constatato.

Una volta completato il diagramma a lisca di pesce, potrete delineare le cause ritenute più rilevanti e sottoporle a uno studio ulteriore.
Per effettuare questa selezione, cercate cosa è cambiato drasticamente, cosa devia dalla norma o presenta schemi atipici di performance. Verificate, poi, come questi elementi influenzano la qualità del lavoro e il livello della soddisfazione dei clienti.

Forse varrebbe la pena di redigere un diagramma causa-effetto anche per la causa selezionata e risalire, così, alle sue origini, ripetendo il procedimento fino a quando lo si ritenga necessario.

Usate questo tipo di diagramma per identificare un'area che a vostro giudizio abbia bisogno di miglioramento, come per esempio i vostri tempi di risposta alle richieste di servzio, i metodi usati in caso di reclamo o per misurare la soddisfazione dei clienti.

Delineate la vostra lisca di pesce e decidete qual è la causa che necessita di uno studio più approfondito.
Passate, poi, alla fase di studio, cercate una soluzione e attuatela.

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martedì 17 novembre 2009

Formulare giudizi migliori (6)

Combattete l'errore fondamentale d'attribuzione.

Cercate le cause ambientali e situazionali per spiegare il comportamento di qualcuno, prima di ricorrere alle classiche scorciatoie legate al carattere e alla "personalità".

Questo è particolarmente importante laddove le tendenze e gli errori di giudizio causano problemi di ingiustizia di trattamento, specie in tema di gestione del personale.

Esempi classici sono le valutazioni delle performance e le decisioni relative all'assegnazione di incarichi o promozioni.

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lunedì 16 novembre 2009

Formulare giudizi migliori (5)

Non date per scontato che la vostra realtà sia anche quella degli altri.

La percezione degli eventi (selezione, interpretazione, organizzazione) varia da persona a persona e diventa la realtà individuale di ciascuno.

Molti elementi influenzano l'accuratezza di una percezione e il cercare la conferma degli eventi può rivelarsi efficace.

Se, per esempio, fate parte di un gruppo che deve risolvere un problema, cercate di risolvere una definizione consensuale del problema e della situazione.

State attenti, tuttavia, a non imbattervi in un modello di percezioni troppo consensuale, ma errato.

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venerdì 13 novembre 2009

Formulare giudizi migliori (4)

Applicate le teorie della percezione e dell'attribuzione delle cause e degli effetti.

Le teorie della percezione e dell'attribuzione dele cause e degli effetti sono di grande utilità in campo manageriale.

Nel problem solving, per esempio, possiamo risolvere solo quei problemi di cui siamo a conoscenza o che percepiamo.
Tuttavia, dietro al semplice riconoscere che il problema esiste, ci troviamo di fronte alla classica domanda: "Qual è la causa?". Lo stesso vale per la valutazione delle prestazioni di un collaboratore: occorre sapere perché una performance è elevata, mediocre o scarsa.

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giovedì 12 novembre 2009

Formulare giudizi migliori (3)

Valutate periodicamente gli atteggiamenti e la soddisfazione dei dipendenti.

Le organizzazioni dovrebbero valutare periodicamente gli atteggiamenti e la soddisfazione dei dipendenti, coinvolgendoli nella progettazione, raccolta e rielaborazione dei dati di studio.

Tuttavia, è meglio non iniziare mai queste attività se non si è intimamente coinvinti che, una volta acquisiti ed elaborati i dati (indagini di clima, interviste sugli atteggiamenti, ecc.), occorra comunicarli ed intervenire nelle aree individuate come particolarmente critiche.

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mercoledì 11 novembre 2009

Formulare giudizi migliori (2)

Cercate di comprendere come funzionano gli atteggiamenti sul lavoro

Atteggiamenti negativi nei confronti di una responsabilità o dell'organizzazione possono portare un collaboratore ad evitare il lavoro o a cercare addirittura di abbandonarlo.

Ciò è spiegabile poiché la soddisfazione sul lavoro è correlata negativamente al turnover e all'impegno.

Tuttavia non bisogna mai dare per scontato che un collaboratore soddisfatto sia sempre produttivo o che se è produttivo è anche soddisfatto.

Vi è una debole, sebbene statisticamente significativa, relazione tra gli atteggiamenti e la task performance.

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martedì 10 novembre 2009

Formulare giudizi migliori (1)

Nei giorni scorsi su QualitiAmo abbiamo ragionato tanto sul cambiamento e sugli errori di percezione che ci portano ad una valutazione non corretta delle situazioni.

Come fare, dunque, a formulare giudizi migliori?

Da oggi inizieremo a prendere in esame alcuni consigli, uno al giorno.

Ecco il primo!

Focalizzatevi sugli atteggiamenti specifici piuttosto che su quelli generali

Piuttosto che generalizzare, affermando che un collaboratore ha un atteggiamento positivo o negativo, è preferibile focalizzarsi sugli atteggiamenti in termini di oggetti più specifici, come l'atteggiamento verso la retribuzione, la supervisione, il lavoro di gruppo, ecc.

Questo vi aiuterà nel decidere ciò che dovete eventualmente cambiare, sia in termini di percezione delle persone, agendo sulla comunicazione interna, sia in termini di gestione del personale, agendo sui sistemi retributivi e di valutazione, e sulle leve di sviluppo organizzativo quali la formazione e l'affiancamento.

A domani per un nuovo consiglio sul tema!

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lunedì 9 novembre 2009

Leadership, valori etici e dissonanza cognitiva

David Norman Dumville nel 1997 scrisse questo testo che vi sottoponiamo per un vostro giudizio su contenuti e attualità:

Business is business.
La questione dell'etica degli affari può essere fonte di molte dissonanze cognitive (n.d.r. cioè di una mancata corrispondenza tra il comportamento e gli atteggiamenti, le credenze e i pensieri che una persona ha) per la maggior parte dei manager, specie quando l'etica personale si scontra direttamente con gli standard etici (o con la loro totale mancanza!) nell'impresa presso la quale lavorano.

Un manager non deve solo prendere decisioni e risolvere problemi, in coerenza con le politiche di impresa, ma dovrebbe, per un'ovvia pace, e serenità interiore, prendere decisioni appropriate per la sua morale.
E' possibile un compromesso simile?

Anzitutto occorre notare che la maggior parte delle decisioni manageriali non cadono certamente nelle categorie morali "giusto-sbagliato".

A volte i manager si trovano di fronte a decisioni che, se prese, vanno a beneficio dell'impresa e non sono illegali, ma possono creare tensioni morali.
E' però vero anche l'opposto e, cioè, che a volte i manager possono decidere per un percorso di azione che porta a una soddisfazione etica maggiore, ma che lasciano l'impresa in una situazione competitiva, economica o organizzativa più delicata.
E qui sorge il dilemma etico: in quale punto di questo continuum etico ci si deve posizionare per essere fedeli alla propria etica personale e, al contempo, mantenere un approccio professionale verso l'impresa nel suo insieme?

Una chiave generale per trovare il giusto compromesso etico consiste nella ripetuta considerazione delle implicazioni etiche anche nelle decisione di tutti i giorni.
Il considerare le implicazioni etiche di ciascuna decisione permette di comprendere il proprio livello etico soddisfacente.
Col tempo e con l'allenamento, le decisioni appariranno in modo più chiaro come etiche o non etiche.
Inoltre, ciò crea una maggiore consapevolezza anche tra i colleghi e il numero di azioni scorrette, da un punto di vista etico, diminuirà drasticamente.

Ovviamente, trovare questo equilibrio tra "business is business" ed etica personale non è uno sforzo banale.
L'abilità nel percepire e giudicare correttamente una simile situazione deve essere sviluppata e messa a punto col tempo e l'equilibrio non è impossibile da mantenere, se rinforzato da pratiche gestionali etiche, da una cultura d'impresa impostata sui valori e sulla dimensione dell'etica degli affari.


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venerdì 6 novembre 2009

Per capire la Produzione snella provate a pensarvi come un prodotto...

Il suggerimento del titolo ce lo dà Jay Arthur, autore di "Lean Six Sigma demystified", un libro molto interessante sull'applicazione pratica della Produzione snella e sulla sua integrazione con la metodologia Six Sigma.

L'autore suggerisce che, per capire a fondo i principi della Lean production, bisogna provare a pensarsi come un prodotto o un servizio in attesa di essere processato, analizzare quando tempo si aspetta che succeda qualcosa, vedere quante cose sbagliate accadono, quante rilavorazioni vengono fatte. In questo modo si evidenzieranno gli sprechi che vanno ad erodere quello che dovrebbe essere il valore aggiunto di ciò che produciamo.

Nella vostra analisi, non accontentatevi di risposte come "abbiamo sempre fatto così" ma andate al cuore del problema. Accorciate i tempi, diminuite le distanze, impedite che, terminata un'operazione, non inizi subito la successiva.

Se due macchinari possono essere avvicinati per ridurre il tempo speso dagli operatori per spostarsi da uno all'altro, perché non farlo subito? Questa è l'essenza della Lean manufacturing.

Non appena nella vostra analisi individuate uno spreco, cercate di porvi subito rimedio. Non studiate la situazione fino alla sfinimento. Agite!

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giovedì 5 novembre 2009

I punti fermi di Toyota: perché ha conquistato il mondo

I punti su cui si basa la filosofia di Toyota non sono molti e si possono definire come principi di semplice buon senso. Il problema, ovviamente, sta nell'applicarli con dedizione e costanza.

Vediamoli uno ad uno:

1) se il processo funziona, produce buoni risultati. Il processo "giusto" dà luogo a prodotti "giusti"

2) Formare, informare e far crescere le risorse umane e i fornitori aggiunge valore al nostro lavoro

3) Risolvere i problemi su base continua, cercando le cause che li hanno scatenati, porta ad un apprendimento continuo da parte di tutta l'organizzazione

4) I flussi che procedono "un pezzo alla volta" aumentano la produttività, i profitti e la qualità finale

5) Ai prodotti non piace aspettare quando sono sulla linea produttiva. I materiali, le parti, i prodotti sono tutti impazienti e vogliono avanzare nel ciclo produttivo

6) La sola operazione che aggiunge valore è la trasformazione fisica o a livello di informazioni che parte dalla materia prima e la trasforma in ciò che il cliente vuole

7) Gli errori sono solo opportunità per imparare

8) Il problem solving si compone per il 20% di strumenti e per l'80% di pensiero

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mercoledì 4 novembre 2009

Gli istogrammi

Anche gli istogrammi come il diagramma di Pareto sono grafici a barre ma con una differenza sostanziale.
Gli istogrammi forniscono informazioni numeriche sulla frequenza di distribuzione di dati continui, mentre i diagrammi di Pareto illustrano le caratteristiche di un prodotto, processo o servizio.

Per esempio, se volete costruire un grafico della distribuzione dei dipendenti della vostra azienda per giorni d'assenza per malattia all'anno dovrete, innanzitutto, raccogliere i dati sulle assenze per malattia con un modulo di controllo.

In secondo luogo dovrete calcolare l'escursione tra il maggiore e il minore numero di giorni d'assenza pro capite e decidere su quanti intervalli (colonne del grafico) volete distribuire i vostri dati.

Dividete poi il numero di intervalli per l'escursione (differenza) tra il numero massimo e quello minimo di assenze, così da fissare l'ampiezza di ciascun intervallo.

Il numero di intervalli determina la misura degli intervalli stessi con il numero degli episodi verificatesi in ciascuno di essi.

Infine occorre decidere la scala da usare per l'asse verticale (Y) e, una volta tracciato l'istogramma, calcolare i valori della tendenza centrale:

- media: media dei giorni di congedo per malattia, cioè il totale dei giorni diviso per il numero dei dipendenti
- mediana: punto centrale della distribuzione di dati, cioè punto al di sopra e al di sotto del quale cade il 50% di tutti i dati
- moda: valore della serie che si presenta nel maggior numero dei casi

A questo punto potete completare l'istogramma aggiungendo i nomi e le misure della tendenza centrale al grafico.

Poniamo, ad esempio, che il numero totale di dipendenti che hanno registrato assenze per malattia sia 49 e che il numero totale di giorni di assenza sia 248 così distribuiti:

Giorni di assenza N° dipendenti
1 2
2 3
3 6
4 10
5 7
6 8
7 5
8 8
----- ----
Tot. 248 Tot. 49

Il numero medio di giorni per dipendente sarà di 5,06 e la moda è 4 giorni perché è la cifra più ricorrente.

Il punto mediano è tra 4 e 5. L'istogramma si presenterà con 4 colonne, ciascuna avente un intervallo di due giorni (l'escursione di 8 divisa per 4 colonne).

L'istogramma fornisce una notevole quantità di dati desumibili dall'aspetto del grafico.
Se la maggior parte dei valori e delle colonne si trova al centro del grafico significa che c'è poca variazione nel vostro processo mentre quando le colonne sono distribuite lungo l'asse orizzontale X c'è una grande variabilità.

Quando la maggior parte dei valori si trova a sinistra del grafico, c'è un'asimmetria positiva, mentre in caso contrario c'è un'asimmetria negativa.

Se l'istogramma presenta due picchi significa che nel processo avvengono variazioni con due diverse origini, fatto che richiede un pronto intervento.

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martedì 3 novembre 2009

Mantenere "viva" la Produzione snella

Sono 9 i punti che possiamo applicare con regolarità all'interno delle nostre organizzazioni per mantenere alta l'attenzione sulla Lean manufacturing una volta che avviata.

Vediamoli brevemente, con l'augurio che possiate suggerircene degli altri.

1) Integrate i principi "lean" nel lavoro quotidiano

2) Ricordate che la Produzione snella è un processo che non finisce mai

3) Fornite disciplina, motivazione e incentivi

4) Fate in modo che il management mostri sempre grande impegno nella gestione della metodologia

5) Mantenete aperti i canali della comunicazione

6)Standardizzate le cose che funzionano in modo da non ritrovarvi al punto di partenza dopo aver fatto un progresso

7)Insistete sul fatto che bisogna sempre seguire degli standard "lean"

8) Utilizzate persone esperte della metodologia per avviare e sostenere il cambiamento in azienda

9) Ruotate i lavoratori e chiedete loro di svolgere compiti simili ma non uguali

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lunedì 2 novembre 2009

Schema dei principi della conoscenza Lean

La filosofia "lean" va applicata nelle organizzazioni secondo uno schema ben preciso che prevede il controllo di tre principi:

1) VALORE: occorre diventare customer centered

2) FLUSSO: bisogna coinvolgere le persone nei processi lean

3) MAESTRIA: ci si deve continuamente migliorare ed innovare

Per ognuno di questi tre principi dovremo farci 3 precise domande e, in base alle risposte, impostare il nostro lavoro.

Valore

a) Qual è il valore aggiunto che siamo offrendo ai nostri clienti?

b) Il valore che riusciamo a fornire è allineato con la nostra business strategy?

c) Il fornire valore al cliente fa parte integrante della nostra mission?

Flusso

a) La necessità di fornire valore aggiunto è stata declinata in attività ben individuate e precise?

b) In quale modo le attività a valore aggiunto sono state collegate una all'altra per ottimizzare qualità, costi e velocità del nostro lavoro?

c) A quale livello il personale è coinvolto nel fornire valore ai clienti e sente questa necessità come una vera e propria missione?

Maestria

a) Quali sono gli obiettivi stabiliti e le aspettative dell'azienda per ogni lavoratore e per dipartimento?

b) In cosa consiste il piano di formazione e sviluppo del personale? Si lavora sui punti di forza e di debolezza dei lavoratori?

c) Quali meccanismi sono stati posti in essere per migliorare le cose su base continua all'interno dell'organizzazione?

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