martedì 31 dicembre 2013

I posti dove si lavora bene (2)

Ritorniamo sul discorso dei posti dove si lavora bene, riportando alcuni estratti dal Corriere Economia.

"In Eli Lilly (...) siamo molto focalizzati sull'equità interna e sull'attenzione verso le persone
Il pacchetto di benefit è flessibile ed è cucito su misura dei bisogni dei singoli collaboratori, con attenzione alla famiglia e alla maternità, ma anche ai collaboratori single e conviventi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale"

(...)

"In Bricoman i valori aziendali, improntati alla trasparenza e allo spirito di squadra, si riflettono in un ambiente di lavoro a basso tasso di gerarchia e ad alto livello di rispetto reciproco, dove sbagliare è permesso e il divertimento non è un aspetto marginale. 
Condivisione del sapere che passa attarverso la diffusione capillare delle informazioni e il conferimento di autonomia decisionale alle persone e condivisione dell'avere realizzata attraverso leve retributive che vanno ad impattare sul breve, medio e lungo periodo."

(...)

"I momenti di ascolto sono previsti a tutti i livelli dell'organizzazione attraverso la strutturazione di una survey intermna cui seguono piani d'azione concreti.
Per facilitare le occasioni di contatto fra colleghi EMC ha lanciato un'iniziativa definita un caffé con...che prevede incontri di 30 minuti nella pausa caffé del dopo pranzo permettendo a chi lo desidera di condividere con gli altri passioni e hobby"

A presto per altri tre esempi virtuosi presi dalle organizzazioni dove si lavora meglio.

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lunedì 30 dicembre 2013

I posti dove si lavora bene

Oggi vi proponiamo una serie di articoli tratti da: "Il Corriere economia" che hanno per tema le organizzazioni nelle quali si lavora meglio.

Domani vi proporremo, invece, alcuni stralci degli spunti interessanti che abbiamo trovato in quelle pagine e che non sono compresi nei testi che vi riportiamo.

Dove si lavora meglio, eccole aziende che hanno la tripla A
Sono i dipendenti a dare la pagella
Se il clima è buono si sente meno la crisi
Gorman, "Siate trasparenti e accessibili"

A domani per continuare insieme il discorso.

 
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venerdì 27 dicembre 2013

I prodotti in garanzia (2)

Continuiamo il discorso iniziato qualche giorno fa, esaminando insieme le tre situazioni critiche di quando si chiede l'applicazione della riparazione in garanzia. Il testo, vi ricordo, è tratto dalla rivista: "Altroconsumo".

"A volte succede che la riparazione in garanzia venga negata dal centro di assistenza del negozio, che vi attribuisce la colpa del guasto."

(...)

"Dovete contestare immediatamente per iscritto la versione del negoziante e sollecitare la riparazione inviando al venditore e, per conoscenza, anche al centro riparazione, una lettera raccomandata."

(...)

"In questi casi, le possibilità di spuntarla sono più alte se il prodotto è relativamente nuovo. Infatti, se il guasto si è verificato entro sei mesi dalla consegna, il venditore è obbligato ad applicare la garanzia, a meno che non dimostri (con tanto di prove) che il guasto l'avete davvero provocato voi.
Se invece il difetto si è manifestato dopo i sei mesi dalla consegna, dovrete essere voi a dimostare che il prodotto non è conforme."

(...)

"Vediamo il caso in cui il venditore accetta di ripararvi il prodotto difettoso, ma l'operazione prende più tempo del previsto: il centro riparazioni tergiversa e non vi comunica alcun termine per la consegna.
La soluzione migliore è quella di concordare preventivamente, per iscritto, con il venditore o il centro di assistenza, una data entro la quale il lavoro deve essere finito. Così, in caso di ritardo, diventa più facile intimare l'esecuzione del lavoro.
Se non avete stabilito alcuna data, lo potete fare in un momento successivo con una cosiddetta lettera di messa in mora".

(...)

"E come comportarsi se portate un prodotto in garanzia a riparare e poi questo si rompe di nuovo, manifestando lo stesso problema a distanza di qualche mese?
Il tema è delicato, perché di fatto non ci sono sentenze che affrontano questo tipo di situazione. In linea di massima, non è prevista una garanzia della garanzia, però se il guasto si ripresenta mentre la copertura è ancora operante, il venditore deve intervenire nuovamente e se la riparazione non è possibile, dovrà proporre una soluzione alternativa."
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martedì 24 dicembre 2013

I prodotti in garanzia

Vi riporto i tratti più interessanti del lungo articolo tratto dalla rivista: "Altroconsumo" che ha per tema la gestione dei prodotti in garanzia.
Mi piacerebbe leggere le vostre esperienze in merito, professionali e personali, così potremmo completare meglio l'argomento. Cosa ne dite?

"Quando compriamo un prodotto, può capitare che non funzioni a dovere o che presenti caratteristiche diverse da quelle promesse sulla confezione o vantate dalla pubblicità. E' in casi come questi che va fatta valere la garanzia.

Queste le regole base: la garanzia copre il prodotto per due anni dalla sua consegna e bisogna farla valere nei confronti del venditore (non del produttore) entro due mesi a partire dal momento in cui si manifesta il problema. A vostra scelta, potete chiedere che il prodotto sia riparato oppure sostituito: in entrambi i casi non dovete pagare alcuna spesa.

La legge non stabilisce un termine fisso entro il quale il venditore deve riparare il bene o sostituirlo, ma prevede che il tempo debba essere congruo, tenendo conto soprattutto della natura del bene e del motivo per cui il consumatore lo ha acquistato. Se il prodotto non può essere riparato né sostituito, avete diritto a restituirlo ed essere rimborsati o a una riduzione del prezzo se il difetto è lieve".

(...)

Venerdì vedremo insieme come affrontare tre situazioni tipiche quando si parla di garanzia:
  1. il venditore vi accusa di essere la causa del guasto
  2. il venditore ci mette troppo per effettuare la riparazione
  3. sul prodotto riparato si ripresenta il medesimo problema


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lunedì 23 dicembre 2013

La definizione di Qualità secondo Peter Senge

Qualcuno di voi ricorda il nome di Peter Senge, il teorico della learning organization?
Recentemente, ci siamo imbattuti nella sua definizione di Qualità che - tradotta dall'inglese - suona più o meno così:

"la Qualità è una trasformazione che porta a pensare e a lavorare insieme, a creare valore e a ricompensare le persone oltre che a misurare i nostri successi. 

Tutti collaborano per progettare e rendere operativo un sistema che fornisca valore aggiunto su base continua e che incorpori il controllo qualità, il servizio al cliente, il miglioramento dei processi, le relazioni con i fornitori e le buone relazioni con le comunità di persone che si servono e con le quali si collabora, tutto allo scopo di ottimizzare il lavoro per raggiungere uno scopo comune".

Cosa ne pensate? Ritenete che sia più centrata rispetto alle definizioni della Qualità degli altri guru, già riportate su QualitiAmo?

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venerdì 20 dicembre 2013

Imparare le lingue gratis

Dato che è un argomento che vi sta particolarmente a cuore, vi riporto alcuni suggerimenti per imparare le lingue gratuitamente letti in un articolo tratto da: "Il Venerdì".

(...)

"Con Skype e internet l'apprendimento di una lingua straniera è un'impresa stimolante che va oltre i verbi da coniugare. 

Il consiglio è quello di scegliere il geniale baratto di tempo e competenze fra persone ai quattro angoli del pianeta offerto dai siti di scambio linguistico. 
Il principio di base non è nuovo, anzi la glottodidattica se ne occupa da tempo: si tratta del cosidetto tandem formato da una coppia di madrelingua, ciascuno dei quali studia la lingua dell'altro. Ci si dà appuntamento davanti alla webcam e si parla per 30 minuti (o per il tempo concordato) in un idioma, poi si usa l'altra lingua nella mezz'ora successiva.

Una volta iscritti, i database incrociano i dati e forniscono una lista di persone compatibili. Ad esempio, un madrelingua francese interessato a migliorare l'italiano sarà felice di contattare un madrelingua italiano che miri a un francese fluente."

(...)

"Eccovi un esempio di sito scelto per l'immediatezza del servizio: con Italki si ha uno scambio gratuito con istruzioni parzialmente in italiano".

(...)

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giovedì 19 dicembre 2013

Le università-aziende

Ultimo spunto dal libro di Nuccio Ordine "L'utilità dell'inutile".

Dopo gli studenti-clienti vediamo cosa scrive il nostro autore sui professori-burocrati e sulle università-aziende. Ovviamente, ogni vostro commento sarà il benvenuto.

(...)

"Istituti secolari e atenei, insomma, sono stati trasformati in aziende. Niente da eccepire, se la logica aziendalistica si limitasse a eliminare gli sprechi e a mettere sotto accusa le gestioni allegre dei bilanci pubblici. Ma, all'interno di questa nuova visione, il compito ideale di presidi e rettori sembrerebbe essere soprattutto quello di produrre diplomati e laureati da immettere nel mondo del mercato.

Spogliati dei loro panni abituali di docenti e forzati a indossati quelli di manager, sono costretti a far quadrare i conti nel tentativo di rendere competitive le imprese che governano.
Anche i professori si trasformano sempre più in modesti burocrati al servizio della gestione commerciale delle aziende universitarie."

(...)

"Sembra che nessuno si preoccupi, come si dovrebbe, della qualità della ricerca e dell'insegnamento."

(...)

"Non ci si rende più conto che separando completamente la ricerca dall'insegnamento si finisce per ridurre i corsi a una superficiale e manualistica ripetizione dell'esistente.

Le scuole e le università non possono essere gestite come aziende. (...) L'essenza della cultura si fonda esclusivamente sulla gratuità: la grande tradizione delle accademie europee (...) ci ricorda che lo studio è innanzitutto acquisizione di conoscenze che, libere da ogni vincolo utilitaristico, ci fanno crescere e ci rendono più autonomi. E proprio l'esperienza dell'apparentemente inutile e l'acquisizione di un bene non immediatamente quantificabile si rivelano investimenti i cui profitti vedranno la luce nella longue durée."

(...)

"Privilegiare esclusivamente la professionalizzazione degli studenti, significa perdere di vista la dimensione universale della funzione educativa dell'istruzione: nessun mestiere potrebbe essere esercitato in maniera consapevole se le competenze tecniche che richiede non fossero subordinate a una formazione culturale più vasta, in grado di incoraggiare i discenti a coltivare autonomamente il loro spirito e a lasciare libero corso alla loro curiositas.
Far coincidere l'essere umano esclusivamente con la sua professione sarebbe un errore gravissimo: in qualsiasi uomo c'è qualcosa di essenziale che va molto al di là del suo stesso mestiere. Senza questa dimensione pedagogica, completamente lontana da ogni forma di utilitarismo, sarebbe ben diffcile, per il futuro, continuare a immaginare cittadini responsabili, capaci di abbandonare i propri egoismi per abbracciare il bene comune, per esprimere solidarietà, per difendere la tolleranza, per rivendicare la libertà, per proteggere la natura, per sostenere la giustizia..."

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mercoledì 18 dicembre 2013

Gli studenti-clienti

Vi propongo un nuovo spunto dal libro di Nuccio Ordine "L'utilità dell'inutile".
Questa volta riguarda gli studenti-clienti e, in generale, le scuole che - in molte parti del mondo - sono diventate dei posti dove si vendono lauree e diplomi.

"A Harvard (...) le relazioni tra professori e studenti sembrano essere sostanzialmente fondate su una sorta di clientelismo: pagando molto cara la sua iscrizione a Harvard, lo studente non si aspetta solo che il suo professore sia dotto, competente e valido: si aspetta che sia sottomesso, poiché il cliente è re. 

In altri termini: i debiti contratti negli USA dai discenti per finanziare i loro studi, pari quasi a mille miliardi di dollari, li costringono a essere più alla ricerca di reddito che di sapere. 
I soldi, infatti, che gli iscritti versano nelle casse universitarie occupano un posto di primo piano nei bilanci predisposti dai rettori e dai consigli d'amministrazione. E questo dato comincia a essere molto importante anche negli atenei statali, dove si cerca di attirare gli studenti con ogni mezzo, fino a promuovere, come accade per le automobili e per i prodotti alimentari, vere e proprie campagne pubblicitarie. 

Le università, purtroppo, vendono diplomi e lauree. E li vendono insistendo soprattutto sull'aspetto professionalizzante, offrendo cioè ai giovani corsi e specializzazioni con la promessa di ottenere lavori immediati e redditi allettanti."

Cosa ne pensate?

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martedì 17 dicembre 2013

Perché la cultura è utile, anche quando non sembra

Ho terminato di leggere il bel libro di Nuccio Ordine "L'utilità dell'inutile" che è stato scritto per spiegarci come non sia vero che le cose utili sono solamente quelle che producono un profitto.

Il libro raccoglie citazioni e pensieri di autori famosi che servono a farci comprendere "l'utile inutilità della letteratura e gli effetti disastrosi prodotti dalla logica del profitto nel campo dell'insegnamento, della ricerca e delle attività culturali in generale".

Ve ne riporto qualche stralcio, sperando di fornire qualche input utile alla discussione.

(...)

"(...) considero utile tutto ciò che ci aiuta a diventare migliori.

Ma la logica del profitto mina alle basi quelle istituzioni (...) e quelle discipline (...) il cui valore dovrebbe coincidere con il sapere in sé, indipendentemente dalla capcità di produrre guadagni immediati o benefici pratici."

(...)

"In questo brutale contesto, l'utilità dei saperi inutili si contrappone radicalmente all'utilità dominante che, in nome di un esclusivo interesse economico, sta progressivamente uccidendo la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, l'istruzione, la libera ricerca, la fantasia, l'arte, il pensiero critico e l'orizzonte civile che dovrebbe ispirare ogni attività umana.
Nell'universo dell'utilitarismo, infatti, un martello vale più di una sinfonia, un coltello più di una poesia, una chiave inglese più di un quadro: perché è facile capire l'efficacia di un utensile mentre è sempre più difficile comprendere a cosa possano servire la musica, la letteratura o l'arte".

(...)

Vi lascio con due splendide frasi tra le tantissime riportate dall'autore nelle pagine del suo libro:

"Osservate la gente correre indaffarata, nelle strade. Non guardano né a destra, né a sinistra, preoccupati, con gli occhi fissi a terra, come cani. Tirano diritto, ma sempre senza guardare davanti a sé, poiché coprono un percorso, già risaputo, macchinalmente. In tutte le grandi città del mondo le cose stanno così. L'uomo moderno, universale, è l'uomo indaffarato, che non ha tempo, che è prigioniero della necessità, che non comprende come una cosa possa non essere utile; che non comprende neppure come, in realtà, proprio l'utile possa essere un peso inutile, opprimente. Se non si comprende l'utilità dell'inutile, l'inutilità dell'utile, non si comprende l'arte; e un paese dove non si comprende l'arte è un paese di schiavi o di robot, un paese di persone infelici, di persone che non ridono né sorridono, un paese senza spirito; dove non c'è umorismo, non c'è il riso, c'è la collera e l'odio" (Eugène Ionesco)

"Quando intuì l'uso che si poteva fare dell'inutile, l'uomo fece il suo ingresso nel regno dell'arte" (Kakuzo Okakura)

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lunedì 16 dicembre 2013

Le "cose" necessarie per lavorare in Qualità

Se doveste fare una lista di "cose" che per voi sono necessarie per poter lavorare seriamente in Qualità, cosa includereste?

Noi vi proponiamo questo elenco che ci piacerebbe completaste voi:
  1. una leadership visionaria ed efficace che sia votata alla Qualità
  2. un'idea chiara di ciò che si deve fare e una strategia focalizzata sulla Qualità
  3. una comprensione delle necessità della clientela e la disponibilità ad accoglierle per soddisfarle
  4. una cultura guidata dalla Qualità
  5. le persone giuste con la formazione giusta e la giusta motivazione
  6. le conoscenze necessarie
  7. gli strumenti necessari
  8. i migliori sistemi e la tecnologia necessaria
  9. un buon livello di capacità di lavorare in squadra e di volontà di collaborare
  10. una vera e propria passione per l'innovazione che consiste nello spostare l'asticella sempre un po' più in alto per affrontrare nuove sfide
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venerdì 13 dicembre 2013

I processi speciali

Molti di voi ci hanno chiesto ulteriori lumi sui processi speciali e noi ritorniamo molto volentieri su questo argomento che, ci siamo resi conto, spesso viene abbondantemente frainteso.

I processi speciali sono quei processi i cui risultati non possono essere verificati tramite misurazioni e monitoraggi perché eventuali difettosità risulterebbero evidenti solamente dopo l'utilizzo del prodotto. Pensiamo, ad esempio, ad una saldatura che - se fatta male - si evidenzierà solamente con una rottura o all'erogazione di un servizio quale, ad esempio, un consulto medico o la prenotazione online di un albergo.

La validazione, come specifica il punto 3.8.5 della ISO 9000, è una "conferma, sostenuta da evidenze oggettive, che i requisiti relativi ad una specifica utilizzazione o applicazione prevista sono stati soddisfatti" quindi, ad esempio, il processo di saldatura andrà validato grazie a test distruttivi e non distruttivi condotti su saldature campione che rendano confidenti in merito alla bontà del lavoro effettuato e, soprattutto, alla sua replicabilità futura. A scelta, questi test potranno essere condotti a campione per ogni "lotto" di lavorazione (con tutti i costi relativi) oppure potranno riferirsi ad una validazione iniziale le cui variabili, però, dovranno essere monitorate ad ogni lavorazione.

Queste variabili saranno:
  • gli operatori addetti al processo
  • i macchinari e gli strumenti
  • i materiali
  • le condizioni ambientali
per i quali andrà verificato se:
  • siano stati definiti i criteri per la revisione e l'approvazione del processo speciale
  • questi criteri siano in linea con la validazione iniziale che è stata effettuata
  • come siano stati approvati macchinari e strumenti
  • come sia stato qualificato il personale
  • quali documenti e procedure vengano utilizzati
  • quali registrazioni siano disponibili
  • se il processo venga validato nuovamente in presenza di qualsiasi modifica
Resta da aggiungere qualcosa sull'argomento? Riportateci le vostre esperienze!

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giovedì 12 dicembre 2013

Le difficoltà ad ammettere un errore

Ammettere un errore non è facile per nessuno ma è fondamentale saperlo fare per poterlo insegnare agli altri e per poter creare le condizioni affinché un errore non venga nascosto ma possa essere utilizzato al fine di migliorare.

Su "Donna Moderna" ho letto un articolo che trattava proprio questo argomento e ho pensato di proporvene qualche stralcio per stimolare una discussione.

(...)

"La vita è punteggiata di piccoli e grandi sbagli che il nostro giudice interiore tende a censurare perché li considera fallimenti."

(...)

"E se provassimo a rovesciare la prospettiva e a dichiarare apertamente le sviste?

Gli errori non sono un segno di debolezza ma di forza. Nei curricula dei candidati le grandi aziende americane vogliono leggere anche i fallimenti, perché dimostrano che il candidato sa imparare, ricominciare e valutare altre strade."

(...)

"Oltretutto, dire che si è compiuto un errore dispone le persone alla comprensione e alla collaborazione.

Se li analizzi con serenità, scoprirai che alcuni errori ti hanno semplicemente portato su una strada diversa da quella che ti aspettavi. Prova a considerarli come un altro punto di partenza."

(...)

"Le esperienze dei primi anni di vita condizionano il modo in cui ognuno di noi giudica le sue azioni da adulto. Sono filtri che spesso non fanno vedere oggettivamente le cose."

(...)

"Se anche tu tendi a nascondere un errore, individua una persona che stimi e chiedi la sua opinione: scoprirai che a volte quello che per te è un errore grave, per l'altro è solo una sciocchezza."

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mercoledì 11 dicembre 2013

Imparare a dire "no" (3)

Concludiamo la lettura del lungo articolo pubblicato su "D",  dando un'occhiata alle sei regole della psicologa Judith Sills che dovrebbero aiutarci ad imparare a dire qualche no in più.
  1. Rimpiazza il tuo "sì" automatico con un "ci penso su". Aiuta a riprendere il controllo, a riflettere e a preparare il terreno per un no ragionato che fa meno male di quello impulsivo
  2. Ammorbidisci il linguaggio, indora la pillola. Usa espressioni come "Preferirei di no", "Non sono a mio agio con...", "E' molto interessante ma non sarei capace di..."
  3. Contieni le tue emozioni. Un no arriva meglio a destinazione se accompagnato da un'aria di calma zen, anche se finta. E' molto più efficace di uno tsunami di rabbia.
  4. Cita la tua responsabilità verso altri. Ad esempio: "Mi piacerebbe aiutarti, ma ho già promesso a X di..."
  5. Pensa, o immagina, che tu stia facendo qualcosa anche nell'interesse di qualcun altro, come la tua famiglia o la tua azienda. Ad esempio: "Non posso prestarteli, perché con quei soldi devo..."
  6. Se insistono, ripeti il tuo no. Davanti a un capo che pretende un certo lavoro da te (...) ripeti con calma la frase con cui lo stai respingendo. E se non cede, rimani in silenzio, finché non capisce che non c'è niente da fare. Il tuo no è no
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martedì 10 dicembre 2013

Imparare a dire "no" (2)

Continuiamo la lettura dell'articolo iniziato ieri e tratto dalla rivista "D".

(...)

Ma perché, insomma, preferiamo dire sì? Per evitare conflitti. (...) E perché, soprattutto, vogliamo piacere, essere popolari.
Crediamo di celebrare gli altri dicendo loro sì, e invece non facciamo che celebrare noi stessi, la nostra immagine fasulla di persone buone.

(...)

Alcuni no sono inutili o addirittura dannosi, altri no costituiscono invece una spinta vitale: ci permettono di stare al mondo, di relazionarci proficuamente.

(...)

Certo, spesso è tutt'altro che facile opporre un no (...). Secondo i neuroscienziati, un no è sempre più potente di un sì: il cervello reagisce più rapidamente, con più intensità, lo sente di più.

(...)

Il cammino che conduce verso un libero e sano alternarsi di sì e di no è tortuoso, ma è una battaglia cruciale.Dire di no è fondamentale per stabilire un equilibro vita/lavoro, ma è anche la cartina di tornasole della nostra moralità.

(...)

Domani concluderemo questo discorso leggendo insieme i sei suggerimenti offerti da una psicologa per imparare a dire "no", ovviamente quando serve.

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lunedì 9 dicembre 2013

Imparare a dire "no"

Vi riporto alcuni stralci di un articolo interessante pubblicato su "D" che spiega perché il "no" sia sempre stato meno popolare del "sì" e come liberarsi dalla schiavitù del sentirsi costretti a pensarla sempre in positivo.

Buona lettura!

C'è chi dice no. Ma è un'eccezione. Perlomeno oggi, per tutta una serie di ragioni, tendiamo a dire di sì.

(...)

Non ci sarebbe nulla di male. Se non fosse che troppo spesso diciamo sì ma vorremmo dire no.

(...)

Raramente si celebra il no, questa specie di grata di metallo con cui muriamo la finestra tra noi e l'influenza degli altri.

(...)

Il sì ha, per così dire, un ufficio stampa migliore: passa per la risposta di chi rischia, di chi vanta coraggio e un cuore buono, Mentre il no viene confuso con la negatività.
Ma è un errore. E' vero, a volte no e negatività sono sinomini: di impotenza, scontetezza petulante, paura inforndata. Ma il no può essere anche altro: è un momento di scelta chiara, sa annunciare, seppure indirettamente, qualcosa di positivo che è in noi.

(...)

Il no dice: "Io sono questo, ecco i miei valori".
Definisce il limite tra noi e gli altri, e rappresenta una consapevolezza potente, solitaria e adulta, che protegge dagli abusi altrui.

(...)

Il no sembra essere uno strumento che allontana le persone e impedisce di consolidare i rapporti (...) invece è il modo adeguato per incontrare gli altri, sostanziare i rapporti ed esercitare in modo sano la propria disponibilità.
Siamo vittime del mito del sì, di una presunta disponibilità totale.

(...)

La maggior parte delle persone ricorda quanto sia stato importante dire sempre sì all'inizio della carriera. Ma oggi viviamo una fase dominata da internet e dai social media, entrare in contatto è più facile, siamo bombardati da richieste e proposte, ed è fondamentale sapere scegliere le più importanti.
Fateci caso, chi ha successo, chi è al vertice di una società, non è che ha meno cose da fare...è che sa scegliere meglio a quante e quali cose dedicarsi.

Domani leggeremo insieme la seconda parte di questo articolo che ci spiega perché siamo così abituati a dire sì.
Nel frattempo, mi piacerebbe che interveniste sull'argomento. Cosa ne pensate?

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venerdì 6 dicembre 2013

Alle aziende serve più intelligenza

Ultimo articolo tratto dal numero più recente de: "Il Corriere Economia". Riguarda la preparazione informatica delle organizzazioni italiane.

Vediamone insieme gli estratti più interessanti.

Tutto è concatenato: sviluppo tecnologico e organizzativo delle aziende, nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato, egovernment, banda larga.
Uno dei meriti del terzo Rapporto di Nomisma sulla business intelligence (...) è quello di mostrare l'interdipendenza dei fattori che concorrono a formare la competitività dei Paesi in una fase dello sviluppo economico in cui la collaborazione tra i diversi attori è fondamentale.

(...)

Il successo della Germania come innovation leader dipende in buona parte dal fatto di saper gestire al meglio questa interdipendenza.

(...)

Sull'Italia, l'analisi del Rapporto (...) è impietosa: senza una svolta nei comportamenti, sia delle aziende che della pubblica amministrazione, la nostra posizione competitiva è destinata a peggiorare.

(...)

E' clamoroso, ad esempio, che le varie banche dati delle pubbliche amministrazioni siano ancora scollegate tra loro.
Ma i ritardi delle aziende private nel dotarsi di strumenti efficaci di business intelligence (...) non sono meno gravi.

(...)

I freni sono sostanzialmente due: i costi di informatizzazione, alti soprattutto per le piccole imprese e la scarsa qualità dei dati a disposizione, un effetto della mancanza di collegamento tra i database privati e pubblici.
La crisi fa il resto,. Se si chiede alle aziende che cosa intendano per innovazione, spiegano i ricercatori, si riceve una risposta scoraggiante: da un lato danno poca importanza agli investimenti in soluzioni informatiche; dall'altro, pungolate dalla bassa capitalizzazione e dal difficile accesso al credito, dedicano sempre maggiore attenzione al taglio dei costi di produzione e distribuzione come primo (e spesso unico) obiettivo di innovazione aziendale.

(...)

La crisi del mercato nazionale induce le aziende a concentrarsi sulla ricerca di nuovi mercati (38%), lasciando l'acquisizione di nuove tecnologie agli ultimi posti (il 12%, raggiunto solo grazie alle realtà di maggiori dimensioni).

(...)

Se si guarda più nel dettaglio, ci si accorge che l'esiguità degli investimenti si riflette sull'organizzazione dei dati produttivi e contabili: il grosso delle aziende si affida ai sistemi gestionali, che rappresentano, per così dire, la tradizione dell'informatica (61%), mentre soltanto il 14% usa i più evoluti software applicativi di business intelligence.

(...)

La sottovalutazione dei sistemi più sofisticati (...) deriva dalla non sufficiente conoscenza di strumenti come il geo marketing (...) e la location intelligence.

(...)

Non si può escludere, naturalmente, che nel gioco delle priorità pesi anche, da un lato, la valutazione negativa per i dati a disposizione e, dall'altro, un certo (fondato) pessimismo sullo sviluppo della banda larga e, di conseguenza, sulla velocità di connessione.

(...)

Si torna così a quanto detto all'inizio: tutto è correlato, tecnologia, decisioni politiche, aspetti culturali.

(..)

Cosa ne pensate?

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giovedì 5 dicembre 2013

Suggerimenti per l'Alimentare

Un altro articolo interessante tratto dalle pagine dell'ultimo numero de: "Il Corriere Economia". Questa volta riguarda il comparto Alimentare.
Eccovi i passaggi più significativi.

Contraffazione e italian sounding sono due tra i più letali nemici dell'agroalimentare. Si tratta di due facce della stessa medaglia: la contraffazione riguarda vere e proprie imitazioni illegali di marchi o ricette effettivamente registrati da un'impresa, o anche di prodotti Dop o Igp che, in quanto tali, devono rispettare disciplinari e regole ben definite a livello comunitario.

L'italian sounding è una forma di imitazione, il richiamo improprio all'Italia attraverso l'uso di segni grafici e fotografici che evocano chiaramente il nostro Paese: la bandiera tricolore, il disegno dello Stivale, immagini riferite ai nostri monumenti o località.
Altra tipologia è l'impiego di nomi italiani: nomi generici di prodotti italiani (...); marchi di prodotti, nomi di imprese produttirci, cognomi italiani

(...)

In tutti questi casi viene evocato il nome del nostro Paese, senza che esista alcun contatto con la nostra produzione.

Il valore della contraffazione dei prodotti agroalimentari, alcolici e bevande ha una dimensione stimata in 1,1 miliardi di euro.

(...)

Le stime Ismea sui dati Istat prevedono per il 2013 un aumento delle esportazioni agroalimentari in valore di oltre 6%, trainate da quelle dei prodotti dell'industria alimentare e delle bevande (...)
In un simile scenario sono proprio le Pmi a guidare l'export di prodotti alimentari ma a differenza delle grandi imprese hanno maggiori difficoltà nella penetrazione dei nuovi mercati.

L'estrema frammentazione del comparto ostacola l'espansione dei Paesi emergenti, sarà per questo che da tempo si parla di forme aggregative capaci di favorire l'internazionalizzazione.

(...)

Per aggredire i mercati esteri servono risorse e capacità produttive, distributive e commerciali.
Bisogna lavorare per rafforzare la capacità delle imprese agricole di esportare e investire all'estero creando strumenti normativi ad hoc, semplificando e razionalizzando le risorse e lavorando sulla frammentazione dei soggetti coinvolti.

Ottimi suggerimenti e non solo per l'Alimentare, non pensate?

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mercoledì 4 dicembre 2013

Il deficit di credibilità si supera con la comunicazione

Sull'ultimo numero del "Corriere Economia" ho letto un articolo interessante che, forse, potrà aiutarci a fare qualche ragionamento utile per dare qualche suggerimento alle nostre organizzazioni che si trovano a dover fronteggiare questa brutta crisi.

Vi riporto, come al solito, i passaggi che ho giudicato più interessanti.

"Nel confronto con l'Europa, il dato che emerge in modo più drammatico è l'incapacità delle aziende italiane di fornire una prospettiva sul proprio futuro, parlare dei progetti di innovazione, delle proprie strategie di crescita e del modo sostenibile di fare business."

(...)

"Spesso quello che ci manca non è la sostanza ma le best practice nella comunicazione."

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"Le aziende italiane soffrono di un deficit di credibilità all'estero."

(...)

Molte società, ad esempio, credono che sia sufficiente creare una versione Html del proprio bilancio o un'app per raggiungere un pubblico più ampio. Un bilancio di 300 pagine pensato per essere stampato, non diventa più leggibile se replicato online.
Fare corporate storytelling, termine ormai abusato, non significa solo raccontare belle storie dell'azienda, ma trasmettere il proprio modo di fare business e la propria visione del futuro."

(...)

"Le aziende lanciano app, bilanci interattivi e account social media quasi più per moda, per sentirsi al passo con i concorrenti e le aziende europee. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non investono nella costruzione sul web di messaggi chiari e coerenti, nella definizione di obiettivi di comunicazione e nell'integrazione dei social media con tutti i canali di comunicazione".

Cosa ne pensate? Il quadro che emerge è realistico a vostro giudizio?

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martedì 3 dicembre 2013

Le 10 competenze da avere nel 2020

La rivista "Focus"riporta uno studio dell'Institute of the Future dell'Università di Phoenix relativo alle competenze da avere nel 2020, in un mondo destinato a essere sempre più globalizzato e basato sull'informatica.

Eccole:
  1. intelligenza sociale - capacità di entrare in contatto con gli altri in modo diretto e profondo, per stimolare l'interazione
  2. pensiero adattivo - capacità di trovare soluzioni che vanno oltre le regole prestabilite
  3. competenze cross-culturali - capacità di operare in contesti multiculturali
  4. mentalità computazionale - capacità di tradurre grandi quantità di dati in concetti astratti
  5. competenze new media - capacità di sviluppare contenuti persuasivi attraverso i nuovi media
  6. transdisciplinarità - capacità di comprendere i concetti di discipline molto diverse tra loro
  7. mentalità orientata al design - capacità di rappresentare graficamente i processi per raggiungere un determinato obiettivo
  8. collaborazione virtuale - capacità di essere produttivo e lavorare come membro di un team virtuale
  9. gestione del sovraccarico cognitivo - capacità di filtrare in modo critico le informazioni
  10. sense-making - capacità di cogliere il significato profondo di un contenuto

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lunedì 2 dicembre 2013

Quattro siti utili per imparare

Torniamo a leggere insieme l'ultima "Guida Lavoro" di Focus per scorrere un trafiletto che ho trovato estremamente interessante per chi abbia voglia di ampliare i propri orizzonti culturali, indipendentemente dalla materia di studio scelta.

La rivista presenta quattro siti utilissimi per imparare qualcosa di nuovo in campi molto differenti tra loro. Ovviamente la fruizione del materiale è completamente gratuita com'è nello stile delle segnalazioni che trovate su QualitiAmo.

Eccovi l'elenco:
  1. Oilproject - sito italiano con centinaia di corsi online, dalle arti tecniche (design, videomarketing) all'economia (marketing, gestione di impresa), passando per l'informatica e le lingue. Ogni corso offre videolezioni ed esercizi da completare
  2. Khan Academy - con oltre 4.300 video-corsi, è la più grande scuola online. Si spazia dalla matematica alle lingue straniere, passando per la cosmologia. Tutti i contenuti sono in inglese e spesso mettono a disposizione strumenti per l'auto-verifica
  3. Open Course Consortium - consorzio universitario che punta a rendere accessibili i materiali di decine di facoltà di tutto il mondo. Solo in inglese, sono disponibili 5.000 corsi. Imperdibili quelli del Mit
  4. Alison - Ha un approccio più pragmatico e specialistico, con contenuti in inglese, francese e tedesco. I corsi, gratuiti, vanno dalle competenze digitali (i software di foto-ritocco e di montaggio) a come garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro.
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