lunedì 30 settembre 2013

Scegliere il grafico giusto per veicolare un messaggio che si basa su dati (3)

Individuato il messaggio che volete venga comunicato con i dati che presenterete tramite un grafico (come abbiamo visto nei giorni scorsi), non resta che individuare il confronto tra dati che vogliamo mettere in evidenza.

Mettiamo, ad esempio, che il confronto sia tra componenti (ad esempio il prodotto "A" che ha contribuito per il 74% al fatturato aziendale e il prodotto "B" che ha contribuito solamente per il 7%) e che l'interesse sia quello di mostrare la grandezza di ogni componente come percentuale del totale. Ogni volta volta he esamineremo una parte sul totale ricadremo nel confronto tra parti che compongono un insieme.

Se, invece, confrontiamo alcune grandezze per creare una sorta di classifica e utilizziamo espressioni quali: "più grande di" (o "più piccolo di") o "uguale a" allora rientriamo nel confronto teso ad una classificazione.
Ad esempio possiamo avere il prodotto "A" che a maggio ha venduto più del prodotto "B" o del prodotto "C", o i reclami dei clienti che a novembre hanno raggiunto il secondo valore più alto di sempre, ecc.

Confrontare le tempistiche, invece, significa non concentrarsi su una grandezza rispetto al totale o su un punteggio in una classifica ma su come qualcosa cambia nel tempo. Quando esaminiamo i trend settimanali, mensili o annuali rientriamo in questo caso perché utilizziamo termini quali: "aumenta", "diminuisce", "oscilla", "rimane costante", ecc.

Un confronto tra le frequenze di distribuzione, invece, mostra quanti "voci" ricadano in una serie di intervalli numerici progressivi.
Ad esempio, quando diciamo che tot impiegati guadagnano meno di 2000 euro al mese e che un altro tot guadagna di più rientriamo in questo caso.
Un altro esempio è dire che la maggioranza delle spedizioni richiede tra i 5 e i 6 giorni per arrivare al cliente.

In ultimo, possiamo concentrarci sulla correlazione per vedere se la relazione tra due variabi segue (oppure no) il modello che ci aspetteremmo.
Ad esempio, ci si aspetterebbe che, al crescere delle vendite, aumentassero anche i profitti o che le vendite aumentino con l'aumentare dello sconto proposto alla clientela.

Restate con noi perché domani vedremo l'ultimo step di questo processo e, finalmente, scopriremo come scegliere il grafico giusto per rappresentare i nostri dati.

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venerdì 27 settembre 2013

Scegliere il grafico giusto per veicolare un messaggio che si basa su dati (2)

Determinare il messaggio che si vuole trasmettere col grafico

Come abbiamo visto ieri, il primo step per decidere quale grafico rappresenti meglio i dati in vostro possesso è quello di stabilire quale messaggio volete giunga alle persone che osserveranno il diagramma.

Ora è possibile, anzi estremamente probabile, che dobbiate rappresentare i vostri dati utilizzando diagramma diversi per poter poi scegliere liberamente quale veicoli meglio il vostro messaggio.
L'approccio migliore è quello di individuare l'aspetto che vi sembra più importante e strutturare il messaggio in modo che emerga la rappresentazione dei dati che maggiormente lo mette in luce.

Spendere un po' più di tempo ed energie in questo step vi farà risparmiare sforzi in seguito per far recepire il vostro messaggio che potrebbe, addiritttura, diventare il titolo del diagramma.
Ecco un altro argomento interessante: il titolo!
Dite la verità, i grafici che vedete più spesso non hanno titoli simili a questi:
- "trend delle vendite"
- "produttività per regione"
- "distribuzione dei collaboratori per età"
ecc.?

Titoli simili descrivono il soggetto del grafico ma non aggiungono nulla di davvero importante ad esso. Tenere il segreto non vi aiuterà ad essere chiari, dunque esplicitate i titoli dei vostri grafici!
In questo modo centrerete due obiettivi in un colpo solo:
  • eviterete che i vostri interlocutori possano equivocare i dati
  • farete in modo che essi si concentrino sull'aspetto che vi sta più a cuore
Capite che c'è una bella differenza nell'intitolare un grafico:
- "profitti per regione"
- "la metà dei profitti si deve alle regioni dell'est"
- "le regioni ad ovest generano il profitto più basso"
perché il focus cambia radicalmente e il titolo può contribuire a chiarirlo fin dalle prime battute.

Siamo d'accordo su questo primo punto? Volete aggiungere qualche considerazione?
In caso contrario, ci aggiorniamo a lunedì per identificare il confronto che vogliamo emerga all'interno della nostra serie di dati.

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giovedì 26 settembre 2013

Scegliere il grafico giusto per veicolare un messaggio che si basa su dati

Non importa quanti grafici conosciate e quanti siate in grado di riprodurne partendo dai dati che volete rappresentare, quando si tratta di veicolare in modo efficace un messaggio i grafici più efficienti risultano cinque:
  • il diagramma a torta

  • il diagramma a barre


  • il diagramma a colonne


  • il diagramma a linee
 
 
  • il diagramma a punti

Ma come si può scegliere il diagramma giusto? Attraverso tre semplici step:
  1. determinare il messaggio che si vuole trasmettere: occorre utilizzare un diagramma che vi permetta di essere chiari riguardo ai punti specifici che vi stanno a cuore nella rappresentazione dei dati che avete raccolto
  2. identificare il confronto che volete emerga e che può riguardare componenti, articoli, tempistiche, distribuzioni di frequenza, correlazioni, ecc.
  3. scegliere il diagramma migliore
A partire da domani, inizieremo a esaminare ogni step nel dettaglio. Non mancate!

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mercoledì 25 settembre 2013

Il management per eccezioni

Il cosiddetto "management per eccezioni" è un sistema che fa suonare una sorta di allarme solamente quando, per risolvere una certa situazione, è richiesto l'intervento del manager.

Questo modo di operare fu inventato dal padre dello scientific management, Frederick Taylor, che nel 1911 scrisse che un manager dovrebbe ricevere dai suoi uomini solamente brevi report capaci di coprire tutti gli elementi che ricadono all'interno della sua sfera di responsabilità. Questi prospetti dovrebbero riassumere in pochi minuti come si sta svolgendo il lavoro, eventuali eccezioni positive e negative e aree che richiedono un intervento immediato del superiore.

Il management per eccezioni lascia piena libertà al manager di occuparsi di ciò che davvero dovrebbe fare senza perdersi nell'operatività che i suoi collaboratori che, lasciati liberi di formarsi e crescere (empowerment), riescono a gestire in completa autonomia.

Ovviamente, per poter lavorare in questo modo, occorre che il sistema di gestione sia monitorato attraverso una serie di indicatori e che i singoli operatori siano coscienti di ciò che ricade al di fuori dello standard di esecuzione previsto per le singole attività.
Oltre a questo, ogni cambiamento significativo nei trend degli indicatori dovrà essere analizzato e compreso a fondo per evitare in futuro di ripristinare le stesse condizioni che l'hanno originato.

Da voi funziona così? 

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martedì 24 settembre 2013

Come essere autorevoli

Nel nostro lavoro, proprio come in molti altri, occorre essere autorevoli per riuscire a guidare gli altri conducendoli là dove vogliamo.
Le persone autorevoli, infatti, vengono ascoltate con facilità ed è per questo che i manager più in gamba si impegnano nel dimostrare la loro autorevolezza attraverso comportamenti ed abitudini forgiati nel tempo.

Mostrare autorevolezza non significa imporsi grazie al potere ma conviuncere tramite le proprie conoscenze, l'esperienza e la saggezza maturata nel corso degli anni.
Imparare ad essere autorevoli è uno dei compiti più duri per un manager (è decisamente più semplice imboccare la deriva autoritaria) ma vogliamo comunque offrirvi qualche suggerimento da seguire:
  • cercate di fare ogni lavoro al meglio, non importa quale sia
  • definite sempre in modo chiaro cosa vi aspettate dai vostri collaboratori e poi non cambiate idea sui risultati che vi attendete da loro
  • dimostrate che sapete perfettamente in quale situazione vi trovate, dove volete andare e perché
  • se necessario, spiegate il perché delle vostre azioni e fate in modo di essere persuasivi
  • guidate le persone con l'esempio senza pretendere da loro cose che voi per primi non siete in grado di fare
  • accettate che la vostra autorevolezza non esiste in termini assoluti ma solo se viene riconosciuta dagli altri
  • siate decisi ma non butattevi nelle cose senza averci prima riflettuto bene sopra
  • siate affidabili e fate in modo che le persone si fidino di voi
  • comunicate sempre in modo chiaro con i vostri uomini senza prestare il fianco a fraintendimenti

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lunedì 23 settembre 2013

Indicatori e controllo visuale: come siete messi? (2)

Completiamo il discorso iniziato venerdì, esaminando gli aspetti ancora mancanti di un sistema di visual management.

Responsabilità per la gestione degli indicatori
  • non sono definite le responsabilità per la raccolta degli indicatori: il sistema è sviluppato a un livello insufficiente
  • sono definite le responsabilità per la raccolta di indicatori che vengono gestiti con puntualità: è il minimo sufficiente
  • tecnici e operatori hanno la diretta responsabilità di raccogliere più volte al giorno gli indicatori di loro competenza: decisamente abbiamo uno sviluppo medio di questo aspetto del sistema
  • gli indicatori sono monitorati di continuo da una squdra di uomini che gestisce direttamente l'attività di riferimento. Questo gruppo di persone ha la responsabilità di renderli pubblici: siamo in uno stadio avanzato
  • il team suggerisce nuovi indicatori da analizzare: il sistema è stato sviluppato in maniera eccellente, almeno per ciò che riguarda questo aspetto
Pubblicazione degli indicatori
  • gli indicatori raccolti non vengono resi pubblici: insufficiente
  • gli indicatori sono condivisi in maniera visuale in modo da comunicare il raggiungimento di obiettivi e le relative performance: requisiti minimi rispettati
  • performance, obiettivi, informazioni dei clienti, piani d'azione, ecc. sono appesi ai muri in modo da spiegare chiaramente come sta procedendo il lavoro: sviluppo medio
  • ogni zona individuata per la visualizzazione degli indicatori serve come supporto ad un obiettivo stabilito dal management: stato avanzato del progetto
  • si cerca continuamente di migliorare la comunicazione visuale degli indicatori: eccellenza
Obiettivi
  • gli indicatori raccolti non sono legati ad alcun obiettivo: insufficiente
  • ogni indicatore ha un proprio obiettivo di riferimento ma le regole per fissare i valori degli indicatori non sono conosciute: sufficiente
  • esistono obiettivi realistici e ambiziosi fondati sui dati storici raccolti e sui progressi fatti: sviluppo medio
  • gli operatori gestiscono in autonomia le performance degli indicatori studiando in quali parti si differenzino dagli obiettivi posti e apportando le necessarie correzioni alle attività lavorative: stadio avanzato
  • gli obiettivi vengono centrati con regolarità: siamo all'eccellenza
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venerdì 20 settembre 2013

Indicatori e controllo visuale: come siete messi?

Sappiamo che molti di voi hanno implementato all'interno delle loro aziende il visual management e che, tramite questo strumento, mantengono monitorato il lavoro e gli indicatori corrispondenti.
Ma come siete messi nello specifico? Vi siete mai chiesti a che punto siete nel lungo percorso verso una gestione della Qualità di tipo visuale?
Proviamo a cercare di capirlo insieme.

Indicatori
  • se gli indicatori non esistono o non sono compresi a fondo dagli operatori, lo stato di implementazione del vostro progetto visuale è decisamente insufficiente. La stessa cosa vale se avete indicatori ma non li raccogliete in maniera equilibrata ordinandoli almeno secondo tre tematiche: qualità, costi e ritardi
  • se gli indicatori esistono e gli operatori li comprendono ma la cosa si ferma lì, allora avete implementato il minimo indispensabile per gestire un sistema di controlli visuali
  • indicatori resi pubblici all'interno del reparto (ad esempio tramite cartelloni appesi) indicano uno stato di sviluppo medio 
  • Quando gli operatori si sentono coinvolti nel lavoro e rappresentati dagli indicatori di loro competenza, ecco che siamo in presenza di uno stadio di sviluppo decisamente avanzato
  • in ultimo, se gli operatori suggeriscono nuovi indicatori interessanti per lo sviluppo del sistema in modo che esso possa evolversi a seconda del contesto e delle necessità, ecco che il nostro sistema visuale ha premesse decisamente eccellenti
Lunedì continueremo questo discorso prendendo in esame altri aspetti, non mancate!


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giovedì 19 settembre 2013

Uno dei difetti peggiori del mondo del lavoro: la pigrizia

 La pigrizia è forse uno dei difetti peggiori che possiamo incontrare nel mondo del lavoro perché identifica l'atteggiamento di una persona che rifiuta qualsiasi sforzo legato alle attività che le sono state affidate, preferendo ozio e inattività.

Le persone pigre sono facilmente identificabili perché il loro comportamento danneggia i colleghi e ha una forte incidenza sul livello generale del servizio fornito. Spesso, infatti, questi individui creano veri e propri colli di bottiglia oppure spingono i colleghi più volenterosi e desiderosi di far proseguire il lavoro ad occuparsi in autonomia di attività che non sono del tutto in grado di svolgere e che non sarebbero di loro pertinenza. In entrambi i casi, come vedete, rappresentano un grosso problema.

Una persona pigra spesso ha spesso atteggiamenti del genere:
  • arriva sistematicamente in ritardo o si attarda a chiacchierare
  • lascia sempre il lavoro al termine dell'orario previsto dal suo contratto
  • alla fine della pausa pranzo si attarda alla macchina del caffé 
  • passa molto tempo al telefono con amici e parenti a spese dell'azienda
  • passeggia per i corridoi per trovare qualcuno con cui chiacchierare
  • cerca ogni giorno un pretesto per non lavorare
  • si lamenta sempre di non avere gli strumenti o le informazioni per poter lavorare
  • accusa gli altri di non metterlo in grado di svolgere le attività che gli sono state affidate
  • spesso ha uno strumento o un documento sul tavolo in modo da simulare un'attività in corso ma, se ci si presta attenzione, si vedrà che è lo stesso in diversi momenti della giornata
  • lascia la luce e il computer accesi in ufficio per non far vedere che è già andata via, a volte aggiunge anche una giacca buttata sulla sedia per far pensare che, se la giacca è lì, da qualche parte c'è anche la persona
  • parcheggia in uno spazio defilato del posteggio per fare in modo che, una volta usciti dal lavoro, non si noti lo spazio libero lasciato dall'automobile 
  • programma l'invio automatico delle sue e-mail un'ora dopo che ha lasciato l'ufficio per non dare nell'occhio
Ci raccontate se nel vostro ambiente di lavoro esiste qualche pigro e come siete riusciti (ammesso ci siate riusciti!) a farlo collaborare in un'ottica di lavoro di gruppo?

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mercoledì 18 settembre 2013

La Qualità secondo la ISO 9000

La ISO 9000 ci insegna che la Qualità è: "il grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisi".

La definizione sembra chiara ma siamo davvero sicuri di averla ben compresa in ogni suo aspetto?

Partiamo dai requisiti che possono riguardare:
  • un prodotto (un documento amministrativo, un corso di formazione, il telaio di un'automobile, ecc.)
  • un'attività o un processo (l'assemblaggio su una catena di montaggio, un servizio post vendita, la preparazione di un atto notarile, ecc.)
  • un organismo (una compagnia, una società, un'istituzione, ecc.) o una persona
Si tratta, dunque, dei requisiti degli utilizzatori o dei clienti che, attenzione, possono essere anche interni (ricordate i discorsi sul cliente interno)?

Il grado, invece, è sicuramente più difficile da comprendere perché può essere caratterizzato da:
  • le performance (ad esempio il tempo necessario ad un'automobile per passare da 0 a 100 Km/h)
  • la sicurezza nel funzionamento (ad esempio avere una vettura che funziona bene e che, quando si rompe, può contare su un'infrastruttura che la ripara in poco tempo)
  • la sicurezza nell'utilizzo 
  • il rispetto dell'ambiente (ad esempio molti produttori riciclano i materiali con i quali sono fatti i loro prodotti)
 A questo si aggiunge che il grado può essere condizionato anche da:
  • il costo (il cliente vuole un buon prodotto ma ad un prezzo giusto)
  • la disponibilità (molti fornitori sono in grado di fornire prodotti simili. Ciò che fa la differenza spesso è la velocità nel consegnarli al cliente)
Tutto chiaro? ;o)

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martedì 17 settembre 2013

Il cliente al centro delle organizzazioni

All'inizio degli anni '50 Peter Drucker scrisse la famosa frase "è il cliente che determina ciò che è un'organizzazione" e, come risulta da questa acuta osservazione, la competitività di molte aziende dipende proprio dalla capacità di gestire i loro processi in modo da modellarli in base alle esigenze della clientela.

Un cambiamento culturale del genere è lungo e complicato e richiede che l'attenzione spinta al cliente sia presente in ogni fase del processo per mettere in pratica l'idea di base di servire la clientela fornendo valore aggiunto e trattando ogni cliente come individuo unico.

Questo significa estendere la responsabilità di avere a che fare con i clienti dalla funzione Marketing e Commerciale all'intera azienda (ovviamente con la necessaria formazione) ma anche portare avanti questo cambiamento trasformando le entità separate che gestiscono tradizionalmente la clientela (Marketing, Vendite e Servizio Clienti) in un'unica struttura ben integrata che si occupi genericamente di tutte le attività connesse direttamente al cliente.

Qualcuno di voi lavora o ha lavorato in realtà strutturate secondo questi principi?

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lunedì 16 settembre 2013

Cambiamento: le fasi necessarie per poterlo giudicare un successo

Quando un cambiamento può definirsi davvero un successo?

A noi sono venute in mente le seguenti fasi, ne abbiamo dimenticata qualcuna?
  1. si fissa l'obiettivo da raggiungere
  2. si determina cosa si vuole cambiare per raggiungerlo
  3. si progetta nei dettagli il cambiamento
  4. si implementa il cambiamento in un'area ristretta (progetto pilota) per studiarne gli effetti
  5. se gli effetti sono quelli sperati, si estende il cambiamento all'intera area prevista
  6. ci si assicura di aver centrato gli obiettivi stabiliti
  7. si lavora per sostenere il cambiamento nel tempo agendo sulla cultura dell'organizzazione

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venerdì 13 settembre 2013

La Qualità in Occidente

Perché spesso noi occidentali ci troviamo a discutere di quanto la Qualità sia ancora così lontana da quel modello ideale che ci arriva dalla letteratura e dai molti esempi pratici orientali?
Attenzione, non sto dicendo che noi lavoriamo sempre male o che loro lavorino sempre bene ma che, tradizionalmente, Oriente e Occidente abbiano idee un po' differenti su cosa si debba davvero intendere per Qualità.

Atteniamoci al nostro modo di pensare che è quello di cui abbiamo un po' più esperienza e iniziamo a scrivere qualche osservazione random che non ha assolutamente la pretesa di trasformarsi in verità assoluta ma semplicemente di far decollare la discussione:
  1. la dirigenza spesso non è affatto coinvolta nel progetto
  2. la Direzione non fornisce alcuno stimolo a fare meglio
  3. solitamente la Qualità non fa parte delle decisioni strategiche ma di quelle operative
  4. si trascura di studiare quali siano i fattori che realmente determinano la soddisfazione del Cliente
  5. si ritiene che la Qualità sia responsabilità solo della funzione dedicata
  6. si fa poca prevenzione
  7. non si punta sull'organizzazione del lavoro
  8. ci si concentra sui problemi solamente quando, ormai, sono troppo grossi per continuare a trascurarli e, spesso, si fatica a risolverli perché non li si definisce accuratamente
  9. i fornitori non sono visti come collaboratori ma come avversari da fregare appena possibile
  10. spesso si tende a trascurare la qualità dei materiali
  11. tendenzialmente ci si accorge della Qualità quando inizia a diventare un problema
  12. si dà per scontato che ci sia una percentuale di errori, scarti
  13. si prova a migliorare solo quando i clienti iniziano a scappare
  14. ogni volta che costi e consegne rischiano di lievitare per "colpa" della Qualità, la si mette da parte
  15. si ritiene che Qualità e produttività siano due concetti antitetici
  16. si dà per scontato che la Qualità costi
Cosa ne pensate? Credete che sia una visione troppo drastica?

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giovedì 12 settembre 2013

I diversi modelli e tipologie di produzione delle aziende (3)

Terminiamo il discorso relativo ai modelli, esaminando l'ultimo.

Produzione in flusso (push) e tirata (pull)

Di produzione in flusso (o spinta) e tirata chi frequenta QualitiAmo da anni ha sentito parlare moltissime volte perché questi due modelli produttivi hanno fatto consumare agli esperti di Qualità fiumi di inchiostro.

La produzione push, spinta verso il cliente,  è caratterizzata dal fatto che i prodotti vengono fabbricati in base a semplici previsioni di vendita.

La produzione a flusso tirato, invece, si basa sul principio che si debbano fabbricare solamente quei prodotti necessari a rimpiazzare quelli venduti, seguendo la domanda di mercato.

Vediamo ora, all'interno di questi modelli, quali tipologie produttive possono essere individuate.

Produzione per lotti

In questo tipo di produzione si fabbrica una gran varietà di prodotti simili ma non identici e la grandezza del lotto di fabbricazione può andare da qualche unità a diverse centinaia di singoli prodotti.
Ogni variazione di lotto comporta un nuovo attrezzaggio della macchina necessaria per realizzare il prodotto e questo si traduce sovente in un abbassamento del tasso di fabbricazione e in  un aumento del costo del prodotto.

Produzione unitaria

La produzione unitaria non è altro che un caso particolare di produzione per lotti. In questa tipologia di produzione il prodotto viene fabbricato nell'ordine dell'unità o delle piccolissime serie, in base a un bisogno specifico.

Produzioni di questo tipo richiedono, solitamente, molta mano d'opera e un ciclo di produzione relativamente lungo.

Produzione di massa

Questa tipologia di produzione prevede che i prodotti vengano realizzati in grandi quantità.
Si tratta, solitamente, di prodotti standard.

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mercoledì 11 settembre 2013

I diversi modelli e tipologie di produzione delle aziende (2)

Come anticipato ieri, vediamo insieme altri tre modelli di produzione tipici delle nostre aziende.

Produzione flow-shop e job-shop

In una produzione di tipo flow-shop i diversi prodotti subiscono la stessa sequenza di operazioni, eventualmente con tempistiche differenti. E' questo il caso delle catene di montaggio con le macchine disposte a seconda della sequenza di lavorazione dei semilavorati.

In una produzione job-shop, invece, il prodotto può subire lavorazioni in una sequenza differente in funzione del suo lotto e del suo processo di elaborazione. E' il caso delle celle produttive e delle lavorazioni su commessa con un elevato numero di personalizzazioni.

Produzione ibrida

La maggioranza dei sistemi produttivi odierni sono organizzati attorno a una catena di produzione fortemente automatizzata.

Un sistema del genere può scomporsi, a sua volta, in tre diversi sottosistemi:
  • un sottosistema di produzione discontinua: si trova a monte della catena automatizzata e serve per preparare i componenti necessari alla produzione in catena
  • una parte di produzione continua in catena
  • un ultimo sistema di produzione discontinua: si trova a valle della catena e si occupa della personalizzazione del prodotto
Tra uno di questi sottosistemi e l'altro troviamo stock di materiali e semilavorati e un esempio tipico di aziende che lavorano seguendo questo modello sono quelle agroalimentari e le produzioni manifatturiere in grandi serie.

Domani esamineremo gli ultimi due modelli di sistemi produttivi e avvieremo il discorso relativo alle diverse tipologie di produzione. Non mancate!

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martedì 10 settembre 2013

I diversi modelli e tipologie di produzione delle aziende

I diversi modelli di produzione caratterizzano i processi di realizzazione di un prodotto e capire come si realizzano può aiutare a comprenderli meglio.
Passiamoli, dunque, in rassegna uno ad uno.

Produzione continua

La produzione continua è tipica delle cosiddette "industrie di processo" che non possono permettersi di interrompere la trasformazione dei materiali tra una postazione di lavoro e l'altra.

In questo modello produttivo solitamente riscontriamo le seguenti caratteristiche:
  • una velocità di trasformazione e di avanzamento del processo regolari
  • un sistema di approvvigionamento estremamente efficace
  • un volume importante di produzione
  • una certa stabilità nella domanda
Esempi tipici di questo modello di produttività sono le raffinerie e i cementifici

Produzione discontinua o discreta

In questo modello di produzione ogni prodotto viene realizzato grazie a un processo produttivo che può essere suddiviso in diversi step che permettono di riprendere il lavoro in ogni momento a partire dal semilavorato.

La produzione discontinua può essere sequenziale oppure no e può essere ottimizzata riducendo al minimo i WIP (work in progress o in process, cioè materiali in corso di lavorazione) e cercando di impegnare tutti i lavoratori.

Tipici esempi di questo modello sono le industrie manufatturiere.

Domani esamineremo altri tre modelli di produzione: la flow-shop, la job-shop e quella ibrida.

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lunedì 9 settembre 2013

Cambiare la cultura grazie alle soft skill (4)

Come abbiamo visto la scorsa settimana, con le premesse elencate uno dei cambiamenti più difficili da implementare è il passaggio da una cultura reattiva ad una proattiva.  

Esaminiamo insieme alcune delle ragioni per cui questo cambiamento è così difficile proprio alla luce della definizione di cultura che dovrà diventare il nostro faro illuminante ;o)
Supponiamo, ad esempio, che il nostro cambiamento miri ad attuare un processo di manutenzione preventiva in modo da prevedere l'attuazione della manutenzione come parte integrante del lavoro di produzione e non come attività accessoria. 

Poniamo che la situazione di partenza sia la seguente: la manutenzione non viene programmata fino a quando la macchina non si rompe e solo in quel momento la si ferma affinché venga riparata. 


La nostra iniziativa di cambiamento, come potete bene immaginare, si troverebbe a lottare contro una serie di presupposti culturali quali:
  • "la cosa importante è produrre, non fare manutenzione"
  • "la Manutenzione esiste per servire la Produzione"
  • "quando una macchina si rompe occorre ripararla al più presto"
  • "gli uomini della Manutenzione devono essere a disposizione quando servono e non perdere tempo in attività prive di valore aggiunto come la manutenzione preventiva"
Come possiamo vedere, la nuova iniziativa non potrà mai decollare perché entra in conflitto con ciò che l'organizzazione crede fermamente sia vero relativamente alla manutenzione.

Cosa ne pensate?

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venerdì 6 settembre 2013

Cambiare la cultura grazie alle soft skill (3)


Come accennato ieri, oggi proveremo ad analizzare le singole parti della definizione che ieri abbiamo dato di "cultura" e che vi riproniamo per vostra comodità:

"modello composto da diversi presupposti condivisi che un gruppo di persone ha fatto propri perché, con l'esperienza, ha visto che li portava a risolvere alcuni problemi. Questo modello ha lavorato abbastanza bene nel tempo tanto da essere considerato valido e, di conseguenza, insegnato ai nuovi membri del gruppo (i nuovi assunti, nel caso di un'organizzazione) come il modo corretto di procedere e pensare"

Partiamo con il nostro esame dalla prima riga:
"...modello composto da diversi presupposti condivisi..." ci indica chiaramente che la cultura si costruisce su una serie di presupposti condivisi. Proprio per il fatto che essi sono stati condivisi dalle persone, quando si cerca di cambiarli occorre cambiarli in ogni persona che faccia parte dell'organizzazione.

"...un gruppo di persone ha fatto propri perché, con l'esperienza, ha visto che li portava a risolvere alcuni problemi..." questa seconda parte della definizione spiega che questi presupposti non sono invenzioni delle persone ma si basano su qualcosa che è stato testato nel tempo e che ha portato a risolvere problemi che, in qualche modo, affliggevano seriamente la loro serenità lavorativa.

"...Questo modello ha lavorato abbastanza bene nel tempo tanto da essere considerato valido..." questa parte della definizione ci dice una cosa molto importante: questi presupposti sono stati ritenuti validi dall'intera collettività, dunque - se si cercherà di apportare cambiamenti nel modo di risolvere i problemi e se questi cambiamenti entreranno in conflitto con ciò che la gente ritiene giusto fare - ecco che nasceranno delle importanti resistenze.

"...e, di conseguenza, insegnato ai nuovi membri del gruppo (i nuovi assunti, nel caso di un'organizzazione) come il modo corretto di procedere e pensare" l'ultimo punto della definizione è fiondamentale per capire che anche introducendo nuovi elementi nello staff, non riusciremo a cambiare nulla perché chi lavora in azienda da più tempo si preoccuperà immediatamente di spiegare come si lavora da quelle parti se non si vogliono avere grane.

Lunedì vedremo come, alla luce di tutte queste premesse, uno dei cambiamenti più difficili da portare avanti è il passaggio da una cultura reattiva ad una di tipo proattivo.

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giovedì 5 settembre 2013

Cambiare la cultura grazie alle soft skill (2)

Come abbiamo accennato ieri, le hard skill vanno costruite su una solida base di soft skill ma non capire a fondo la cultura aziendale con la quale si andrà a lavorare è controproducente e spesso porta a non riuscire a cambiare ciò che vorremmo.
La cultura aziendale, infatti, lavora in maniera invisibile dietro le quinte per ricostruire lo status quo originario che noi, con tanti sforzi, ci sforziamo di cambiare.

L'iter giusto per avviare qualsiasi progetto di cambiamento, introduzione di un Sistema Qualità compresa, è - dunque - la seguente:
  1. agire sulla cultura
  2. poter contare su responsabili del progetto dotati delle necessarie soft skill
  3. costruire le hard skill che occorrono per mantenere nel tempo il cambiamento apportato
Il punto di partenza, dunque, è definire la cultura di un'organizzazione in modo che sia facilmente comprensibile da tutti.
Da qui, potremo poi suddividere la definizione nelle sue componenti e provare a comprenderle a fondo ad una ad una. Vi possiamo  assicurare che non si tratta di un esercizio fine a se stesso perché questo è il punto di partenza per capire le tipologie di cultura con le quali dovremo imparare a rapportarci e come ognuna di esse impatti sulle soft skill di cui abbiamo bisogno per implementare un cambiamento positivo all'interno della nostra realtà.

Possiamo provare a seguire i suggerimenti dei maggiori esperti e a definire la cultura come un modello composto da diversi presupposti condivisi che un gruppo di persone ha fatto propri perché, con l'esperienza, ha visto che li portava a risolvere alcuni problemi. Questo modello ha lavorato abbastanza bene nel tempo tanto da essere considerato valido e, di conseguenza, insegnato ai nuovi membri del gruppo (i nuovi assunti, nel caso di un'organizzazione) come il modo corretto di procedere e pensare.

Domani, a partire da questa definizione, ne esamineremo tutte le parti per comprenderle meglio.

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mercoledì 4 settembre 2013

Cambiare la cultura grazie alle soft skill

Quasi tutte le organizzazioni vorrebbero migliorare e, se necessario, cambiare le cose che potrebbero farle lavorare meglio, migliorarne efficacia ed efficienza e aumentarne i profitti.
Esse provano a raggiungere questi risultati in molti modi: spesso cambiano i manager oppure riprogettano i loro processi con l'aiuto di costosi consulenti. Tutto questo, però, non porta a nulla se non si impegnano a cambiare la cosa più importante: la loro cultura.

Il grosso problema, però, è che il top management spesso si è formato sul campo, così come molti dei consulenti ai quali si appoggia e con i quali si trova in perfetta sintonia, e non ha la più pallida idea di quale sia la strada da percorrere per agire sulla cultura aziendale. Queste persone, spesso molto preparate, sono fortissime per ciò che riguarda le cosiddette "hard skill" come la pianificazione del lavoro, l'implementazione della manutenzione preventiva e altre attività specifiche che, se portate avanti correttamente, possono davvero cambiare il modo di lavoro di un'organizzazione. 
Questo lavoro e il cambiamento ad esso associato sono importantissimi per la buona salute delle aziende ma qualcuna di queste iniziative è destinata a fallire e spesso questi professionisti si chiedono come mai.

I progetti falliscono quando la Direzione si distrae oppure quando passa la supervisione del progetto a qualcuno che non ha lo stesso entusiasmo nei confronti del lavoro da fare e non si impegna da subito a gestire eventuali resistenze.
Quello che spesso manca in questi casi, però, è una formazione accurata in tutto ciò che riguarda le soft skill come, ad esempio, la capacità di creare una vision, la bravura nel mantenere i collaboratori concentrati sui loro obiettivi, la leadership, la capacità di comunicare bene, la costanza nel costruire relazioni durature, ecc.

Per evitare che un'organizzazione vada incontro a delusioni profonde è importante che chi la guida metta costantemente all'opera tutte queste competenze perché le soft skill, contrariamente a quanto molti credono, sono il fondamento delle hard skill e tutti noi sappiamo cosa può capitare quando le fondamenta sono deboli, vero?

Applicare quotidianamente le soft skill, però, ancora non basta perché abbiamo in campo forze che possono contrapporsi alla vision del top management e che si riuniscono tutte sotto il nome di "cultura aziendale".
Ne parleremo in maniera approfondita domani, non mancate!

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martedì 3 settembre 2013

La piramide della vision

Come abbiamo illustrato tempo fa, la vision non è altro che una visione del futuro che si desidera per un'organizzazione e che può realizzarsi solamente quando vengono fissati alcuni standard relativi alle performance desiderate e si è in grado di portare i collaboratori a seguirli.

Le Direzioni più avvedute e competenti sono, dunque, in grado di fare previsioni e di sostenerle con le necessarie decisioni strategiche e con i conseguenti progetti di supporto.

Se volessimo disegnare tutto questo in forma di piramide per riassumere tutti gli step da tenere ben presenti per assicurare una vision attuabile, la forma sarebbe la seguente:


Cosa ne pensate? Volete discutere qualche punto particolare della piramide?

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lunedì 2 settembre 2013

Non c'è più il tempo per pensare

Oggi vi proponiamo la lettura di qualche stralcio dell'articolo: "Oblomov, la futura bibbia dei manager" pubblicato su "Sette".

Avete voglia di dirci cosa ne pensate?

(...)

Quasi certamente anche voi lavorate - se lavorate - troppo. E questo sta diventando uno dei grandi problemi della vita delle aziende: le persone sono trascinate ogni giorno da una riunione all'altra; devono rispondere a decine di richieste, spesso inutili, perché è d'obbligo mostrarsi cooperativi; sono subissate da email che richiedono risposte tanto immediate quanto vuote di contenuto.

(...)

La perdita di tempo è qualcosa che ognuno di noi sperimenta quotidianamente sul posto di lavoro. In Italia, si tende a stare in ufficio più che in altri Paesi europei, probabilmente perché la carriera è spesso giocata più sulla fedeltà (anche apparente) che non sui meriti.

(...)

Una ricerca negli Stati Uniti ha misurato che più dell'80% delle persone continua a lavorare anche dopo aver lasciato la scrivania, che il 69% non riesce ad addormentarsi se non ha controllato la posta elettronica e che il 38% abitualmente scruta le email durante la cena.
In Italia le percentuali sono probabilmente inferiori, ma chiunque sia entrato in un ristorante negli ultimi cinque anni sa che la tendenza è la stessa.
Non è che questo rovini solo il tempo libero e irriti famigliari e amici. Alimenta l'apparenza (e forse il senso del dovere) ma crea un vortice nel quale diventa impossibile prendere le distanze e avere una visione di quel che si sta facendo.

Uno dei più grandi manager degli ultimi decenni, Jack Welch della General Electric, per un'ora al giorno guardava fuori dalla finestra. E i migliori strateghi sono coloro che non vivono rispondendo agli eventi e alle richieste ma impongono la loro agenda, nella quale c'è sempre spazio per riflettere.

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