venerdì 28 novembre 2014

Diventare leader (5)

I leader esperti devono essere in grado di influenzare le persone per convincerle a seguirle volentieri. E arriviamo, così, al terzo blocco di competenze per chi vuole imparare a guidare gli altri.

La parole chiave è "disponibilità".
Una persona che si limita sempre e solo ad ordinare di fare qualcosa solo perché è il capo, non diventerà mai un leader perché chi è davvero in grado di guidare gli altri li porta ad impegnarsi e non ha bisogno di imporre quasi nulla. Chi la segue è perché ha voglia di farlo dato che crede in lei, non è un semplice subordinato che ubbidisce agli ordini.
 

Il leader ispira gli altri.
 
Nessuno segue volentieri un'altra persona. Il leader è colui che crea le condizioni necessarie per ottenere l'impegno da parte degli altri. I leader da sempre influenzano le nostre menti per farci abbracciare una particolare linea di condotta e sanno perfettamente come il contesto generale agisca sui loro sforzi per guadagnare seguaci.  


Creare un ambiente motivante è fondamentale per chiunque voglia guidare altre persone perché rafforza e stimola l'impegno dei follower.


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giovedì 27 novembre 2014

Diventare leader (4)

Il primo gruppo di competenze che abbiamo definito "fondamentali" per i leader, costituiscono i presupposti perché si possano sviluppare tutte le altre capacità. 

La padronanza delle competenze fondamentali fa in modo che ci sia una base sicura per essere più efficaci e per raggiungere un maggiore successo come guide.  
Vince Lombardi una volta disse che il successo viene da coloro che sono "brillanti nelle competenze basilari" perché senza fondamenta solide non si può costruire nulla. 

Per i leader le basi, come abbiamo detto ieri, sono la consapevolezza di sé, la capacità di costruire un rapporto con gli altri e la capacità di chiarire le aspettative.

Il secondo gruppo di caratteristiche è quello che permette ai leader di fornire una direzione chiara anche in periodi di grande incertezza.  
I leader sono coloro ai quali le persone si rivolgono quando la gente non sa cosa fare. Del resto, le persone non hanno bisogno di essere guidate se sono in grado di rilevare gli ostacoli da sole e se sanno come superarli. I leader occorrono e sono estremamente utili quando i problemi accecano gli uomini e li rendono incapaci di affrontarli. 
 
La gente ha bisogno di una direzione chiara e di un leader quando la struttura organizzativa non può o non è in grado di fornirla. Nessuna organizzazione è perfetta e nessun sistema organizzativo può offrire sempre indicazioni utili davanti a un cambiamento drammatico.  

Pensateci un attimo: quando si sente maggiormente il desiderio di un leader? Non certo quando le cose vanno bene! 

Domani vedremo insieme l'ultimo gruppo di competenze.A presto!

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mercoledì 26 novembre 2014

Diventare leader (3)

Vediamo da vicino quali sono le competenze che spesso ritroviamo nei leader:
 
"Combattivi", basta pensare a Jack Welch di General Electric Jack Welch.  

"Graffianti" come si narra sia Bill Gates di Microsoft.  
Ognuno di questi due capitani azienda è stato sostenuto dai suoi follower ma sono stati leader molto diversi uno dall'altro. 
Alcune persone, infatti, si adattano perfettamente al profilo classico del leader padroneggiando tutte quelle competenze che si rivelano importanti in alcune circostanze specifiche e con alcune persone. Altri puntano di più sul rapporto, sul costruire la fiducia, sul gestire nel modo migliore il cambiamento, il caos e l'incertezza. 
Non è detto che tutti i leader abbiano caratteristiche perfettamente sovrapponibili

Ognuno di voi ha già sviluppato alcune competenze specifiche e si è guadagnato dei follower per questo. Allo stesso modo, però, forse dovrà crescere in tante altre.
Per aumentare la vostra efficacia nel guidare gli altri è necessario conoscere tutte le competenze che servono a un leader perché è questo che farà la differenza.  

 
Le competenze di un leader si possono raggruppare in tre categorie:

  1. le competenze fondamentali: consistono, ad esempio, nel saper espandere la consapevolezza di sé, nel costruire rapporti con gli altri e nel chiarire le aspettative;
  2. le competenze direttamente legate alla leadership: ad esempio stabilire quale bisogno di essere guidati ci sia e far crescere le altre persone affinché diventino dei validi collaboratori e, magari, futuri leader;
  3. le competenze necessarie per influenzare gli altri: costruiire le basi per ottenere il consenso, portare gli altri a farci seguire, motivare le persone
Domani ne parleremo in maniera più approfondita. Non mancate!

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martedì 25 novembre 2014

Diventare leader (2)

La gente ha una capacità innata di imparare e crescere.  
Tutte le persone possono migliorare le loro capacità grazie all'apprendimento delle competenze necessarie e un modo intelligente di farlo - se ci si vuole concentrare sulla leadership - è imparare dai leader migliori.  

Mano a mano che il vostro livello di capacità crescerà e si evolverà, riuscirete ad otterrete sempre più follower. Alcuni arriveranno subito, spontaneamente, altri faranno più fatica ma poi questo passaggio sarà sempre più naturale.
 
Diventare un leader è una scelta e non è certo una delle più facili.  


Si può sempre cambiare ciò che si sa ma non si può cambiare ciò che si è. 
Se la pasta di una persona è "buona" potrà diventare un buon leader, se non lo è potrà comunque diventare un leader ma sarà un leader negativo e le pagine della storia sono piene di figure di questo genere quindi la leadership non è sempre e comunque qualcosa di positivo.
 
In base alla nostra natura, possiamo scegliere di crescere fino a diventare leader ma non possiamo scegliere in quale tipologia di leader incarnarci. 

L'acquisizione della conoscenza e delle competenze necessarie e le nostre capacità possono procurarci persone con la volontà di seguirci ma non è possibile effettuare una scelta consapevole relativa all'atteggiamento da adottare nei confronti del grande potere che eserciteremo su di loro.


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lunedì 24 novembre 2014

Diventare leader

Molti di voi non saranno d'accordo col titolo di questa riflessione perché, in passato, hanno affermato fortemente che leader non si diventi ma si nasca.

In parte, forse, questa affermazione è dettata dal fatto che alcune persone vengano etichettate come "leader naturali" ma questo, a mio giudizio, è dovuto semplicemente al fatto che hanno dimostrato senza grande sforzo, spontaneamente e con costanza alcune competenze specifiche che portano le altre persone a seguirle volentieri.
La leadership, però, non è una funzione innata e, anche se c'è una predisposizione di base, va appresa riconoscendo in maniera intelligente quali comportamenti possano generare una valutazione positiva da parte dei follower. 


Se nessuno segue un leader, infatti, il leader non esiste.  Sono i follower, in un certo senso, che lo rendono ciò che è.

Quanti leader nella storia, però, sono stati dimenticati?
Quanti, improvvisamente, non sono stati più seguiti dai loro seguaci?
Non dovrebbe accadere se avessero le capacità innate di farsi seguire sempre e in ogni situazione ma non è così.


I cosiddetti leader nati padroneggiano un insieme di capacità che sono semplicemente tese a guadagnare la fiducia di persone disposte a seguirli, di uomini e donne che sono naturalmente predisposti, loro sì, ad essere seguaci di qualcuno.
Certo, ci sono alcune attitudini comportamentali e legate alla personalità che influenzano questa capacità e che possono arrivare a far eccellere una persona in questo campo ma anche chi non è predisposto naturalmente alla leadership può imparare a guidare gli altri, esattamente come il leader che definiamo "naturale" può improvvisamente perdere il suo tocco magico semplicemente perché non ha la minima idea di come sia riuscito a tirarsi dietro un bel po' di gente.
 
Essere leader, insomma, non è una caratteristica innata come quella di avere gli occhi azzurri o le mani grandi perché una certa attitudine comportamentale o un certo temperamento non garantiscono che queste attitudini o comportamenti vengano davvero espressi al meglio.  

Occorrono le occasioni, ci vuole un po' di incoraggiamento e, importantissimo, è necessaria una formazione di base per padroneggiare ciò che succede.  

Anche i pianisti prodigio devono studiare; non nascono già completamente formati come artisti. Alcuni possono avere una capacità innata di imparare più facilmente di altri e di essere più portati alla musica ma non è affatto detto che un bambino che si dedichi anima e corpo allo studio del pianoforte, anche senza essere "predisposto", non possa raggiungere e superare i livelli di quello che viene considerato un piccolo genio fin dalla tenera infanzia.  
La predisposizione ci dà una possibilità in più rispetto agli altri ma questa possibilità può restare latente, inespressa. Al contrario, se c'è la volontà, se ci si dedica all'apprendimento e se si applica la costanza, ci possono essere grandi risultati in ogni campo, anche in quello della leadership.

Forse siamo portati a negare questa possibilità perché il leader viene sempre percepito dai follower più con l'istinto che con la ragione e questo istinto ci impedisce di riconoscere comportamenti appresi e poco "naturali".
La vera grandezza richiede capacità, pratica e dedizione.  


A partire da domani, vedremo come deve muoversi una persona che voglia imparare ad essere un leader. Nel frattempo, se volete, fuoco alle polveri!

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venerdì 21 novembre 2014

Cercare lavoro su internet

Quando scriviamo un articolo che riguarda la ricerca di lavoro vediamo che vi interessa sempre moltissimo tanto che ci invitate ogni volta a proporvi nuovo materiale sull'argomento.
E' interessante, secondo noi, considerare quali strategie adottare per trovare un lavoro su internet. Vediamone qualcuna:
  1. cercare: usate internet per acquisire informazioni sul mercato del lavoro e sulle opportunità di carriera che si presentano. Una ricerca ben condotta include l'individuazione delle fonti migliori disponibili online che possono aiutarvi in un avanzamento di carriera, nel cambiare lavoro, ecc.
  2. gestire gli annunci: utilizzate internet per rispondere agli annunci di lavoro, imparare come interagire al meglio con chi pubblica questi annunci, migliorare la lettera di accompagnamento, ecc.
  3. distribuire il curriculum: internet è utile anche per distribuire il proprio CV e proporsi autonomamente alle organizzazioni che vi interessano. Preparate un file in un formato leggibile su tutti i dispositivi elettronici e che possa essere distribuito facilmente su intermet, decidete dove inviarlo e a chi
  4. inserite il curriculum nei database: i database online possono esservi utili affinché vi leggano i cacciatori di teste e le aziende interessate ad assumere
  5. utilizzate i social network: usate la rete per cercare contatti che vi possano essere utili per trovare un lavoro. Imparate l'"etiquette" per mandare messaggi privati all'interno della vostra rete di contatti, usate i motori di ricerca e le directory online per identificare contatti, indirizzi, numeri di telefono e indirizzi e-mail delle persone che vi interessano, partecipate ai gruppi di discussione e ai forum per farvi conoscere, costruite una rete di relazioni
  6. usate internet per aumentare le vostre qualifiche professionali: la rete serve anche a migliorarsi in vista di futuri avanzamenti di carriera. Potete autoformarvi leggendo il materiale messo a disposizione dai diversi siti, potete partecipare a corsi a distanza, potete partecipare a discussioni che vi possano insegnare qualcosa di nuovo, ecc.
Voi usate la rete in maniera diversa? fate qualcosa in più o in meno?

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giovedì 20 novembre 2014

Un esempio di politica della qualità

In questi giorni ho avuto modo di leggere un po' di cose e ho trovato questo esempio di Politica per la Qualità che mi è sembrato interessante da condividere con tutti voi. E' di Pifco Holdings e anche se è un po' datata mi pare contenga un po' di cosine interessanti.

La leggiamo insieme? 
 
Il nostro gruppo esiste a beneficio dei:
suoi azionisti - ci adoperiamo per offrire loro un aumento annuale dei dividendi e del capitale a lungo termine
suoi clienti - lavoriamo per fornire loro prodotti che li delizino per il valore che hanno in termini di qualità, design, prestazioni, affidabilità e prezzo e li accompagniamo sempre con un servizio che ci auguriamo sia sempre di prima classe
suoi dipendenti - diamo loro un impiego a lungo termine, uno stipendio che riteniamo giusto ed equo, bonus legati alle prestazioni, incentivi, la possibilità di compiere un percorso di carriera sicuro e ritagliato anche sulle esigenze personali e un ambiente di lavoro piacevole e sereno
gli abitanti della comunità in cui operiamo- agiamo come buoni cittadini dando sostegno ai meno
fortunati e adottando politiche rispettose dell'ambiente sia all'interno della nostra società che all'esterno.


Secondo voi c'è tutto o manca qualcosa?


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mercoledì 19 novembre 2014

Affrontare i problemi con i clienti

Per aiutare un cliente a risolvere un problema occorre seguire alcuni passi che possiamo identificare in questo modo:

1. identificare chiaramente il problema
2. aiutare il cliente a determinare i suoi obiettivi rispetto alla problematica riscontrata
3. valutare la situazione nel suo insieme, i vincoli, i limiti, le risorse disponibili, ecc.
4. studiare e comprendere le interazioni tra l'ambiente dove si è sviluppata la problematica, la tecnologia di riferimento, il sistema, e le persone coinvolte
5. valutare le diverse soluzioni praticabili, le opzioni a disposizione e le politiche da seguire. Come si può soddisfare il cliente? Quali sono i costi, i benefici e i rischi legati ad ogni soluzione/opzione potenziale?
6. valutare la soluzione proposta nel lungo termine e nel breve termine. Esaminare qual è la sostenibilità della soluzione
7. una volta deciso quale soluzione adottare, comunicarlo nel modo migliore al cliente

8. attendere l'ok del cliente e, se non arriva, ripercorrere i passi precedenti
8. implementare la soluzione

9. valutarne l'impatto
10. lavorare in modo che la problematica non si verifichi più in futuro


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martedì 18 novembre 2014

L'ingegneria dei sistemi

Cos'è l'engineering dei sistemi?

L'ingegneria dei sistemi si distingue per la sua filosofia estremamente pratica che sostiene un approccio olistico nel processo decisionale e nei meccanismi cognitivi.  

Questa disciplina si fonda sulle scienze comportamentali ed è supportata da metodologie di modellazione, ottimizzazione e tecniche di simulazione e procedure per la gestione dei dati.  

Lo scopo è quello di comprendere la natura del sistema, il comportamento funzionale, l'interazione con l'ambiente, migliorare il processo decisionale (ad esempio nella pianificazione, progettazione, sviluppo, funzionamento, gestione, ecc.) e individuare, quantificare e valutare rischi, incertezze e la variabilità all'interno dei processi.

L'analisi di un sistema non può essere un processo selettivo, soggetto ad un singolo punto di vista ma va avviato con un approccio olistico capace di comprendere molteplici punti di vista e prospettive. Tale approccio sistemico è indispensabile per comprendere e affrontare con successo la complessità di un sistema.


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lunedì 17 novembre 2014

L'elevator pitch

Recentemente ho dato una lettura veloce al libro di Stefano Mini "I 7 segreti del colloquio di lavoro: come stupire il datore e frarti assumere" e vi ho trovato uno spunto interessante che ho pensato di proporvi per una vostra riflessione.

I più navigati conosceranno bene il concetto di elevator pitch, ma per i nostri lettori più giovani proponiamo questo brano estratto dal libro che riesce a sintetizzare bene cosa si intenda.

Immagina di essere nell'ascensore dell'azienda, pronto a fare un colloquio di lavoro importante. Sei a piano terra, e devi andare al quarto piano.

“Aspetti!”

Mentre le porte dell'ascensore si chiudono, un uomo con passo veloce cerca di raggiungerle prima che l'ascensore parta. Visto che sei gentile, fermi l'ascensore e lo lasci salire. Lui dice grazie, tu rispondi prego. Anche lui va al quarto piano.

Ti soffermi qualche secondo sulla sua figura, ti ricorda qualcosa. Poi ti viene un colpo: è il proprietario dell'azienda! Inizi a sudare freddo quando ti dice: “Lei è qui per il colloquio vero? Finché siamo in ascensore, mi parli un po' di lei.”


Come risponderesti? Cosa gli diresti per massimizzare le tue possibilità di fare una buona impressione ed essere assunto? Da qui nasce l'elevator pitch: un breve discorso di 30-60 secondi che condensa il meglio di te in pochi secondi.

Nella maggior parte dei colloqui, per rompere il ghiaccio il datore chiede di parlare un po' di te. La maggior parte dei candidati prendono l'occasione come un bonus per parlare della loro vita, i loro hobby, gli studi e quant'altro. Grave errore: al datore non interessa, lui vuole solo sapere come gli tornerai utile una volta assunto. Ed è di questo che devi parlare. L'elevator pitch va imparato a memoria e recitato all'inizio del colloquio.


(...)

Un buon elevator pitch contiene i seguenti elementi:

    - Sii breve e sintetico: hai 30 secondi, non sprecarli perdendoti a parlare di cose inutili. Vai dritto al punto e pensa ogni parola, per questo dovresti studiare a memoria il tuo pitch.
    - I primi secondi sono i più importanti: anche se l'introduzione dura poco, i primi 5-10 secondi sono quelli che fanno la differenza. Costruisci le tue competenze principali subito, poi espandile nei restanti 20 secondi.
    - Presenta te stesso, ma senza esagerare: trova un bilanciamento fra l'autopromozione e l'autocelebrazione. Devi dimostrarti sicuro di te e far capire che sei uno che non scherza, ma senza scadere a dire quanto sei bello e bravo. Dimostra ogni affermazione, usa numeri, fai esempi pratici.
    - Mantieni un elevator pitch dinamico: noterai che alcuni elementi sono più apprezzati di alti, quindi spostali nei primi secondi ed elimina il superfluo. Osserva la reazione del datore a ogni frase e cambia quelle che non ottengono l'effetto desiderato nei colloqui successivi. Ai datori piace un sacco parlare durante il colloquio, soprattutto se non sono esperti: puoi estrapolare tutte le informazioni che vuoi.
    - Ascolta le domande: a volte i datori interrompono il tuo elevator pitch con delle domande, tu rispondi subito e vai avanti. Se non sai rispondere, segnati la domanda e studiati una risposta. Se una domanda ti viene fatta da 3 persone diverse, includi la riposta nel pitch stesso.
    - Esercitati: il primo elevator pitch non sarà eccezionale, né lui né il modo in cui lo dici. Visto che lo studierai a memoria all'inizio suonerai robotico, impacciato, come un attore scadente. Con la pratica acquisirai fluidità e suonerai più realistico e disinvolto, comunicando una sensazione di sicurezza. Allenati con i tuoi amici, allo specchio o con dei colloqui di prova.
    - Adatta il pitch a seconda del lavoro che cerchi: così come ogni fase della ricerca del lavoro, anche l'elevator pitch varia a seconda di chi hai di fronte.
(...)

Usa questa frase che ti sei studiato appena entri in contatto con un datore, non solo al colloquio, idealmente ancora prima di consegnare il curriculum. Alcuni esempi sono:

    1. Quando sei a una fiera del lavoro.
    2. Quando telefoni a un datore che non conosci.
    3. Quando consegni un CV per rispondere a un annuncio.

Devi solo ricordare di parlare con il datore direttamente, non con un assistente. Solo chi ha il potere decisionale sarà ipnotizzato dal tuo pitching, un dipendente che deve solo scremare i curriculum  non lo ascolterà nemmeno


Qualcuno di voi ha preparato e utilizzato un discorso del genere? Funziona? Lo ritenete utile oppure rientra nelle strategie che considerate un po' troppo forzate e inflazionate per impressionare il potenziale datore di lavoro?

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venerdì 14 novembre 2014

SWOT, FMEA e ISO 9001:2015?

Dato che la bozza della nuova ISO 9001:2015 ha tra i suoi requisiti la valutazione dei rischi, ci si chiede quali possano essere gli strumenti migliori per affrontarla.

In rete si parla di SWOT (ma anche qui e qui) e crediamo che possa essere utile per analizzare i rischi legati al contesto in cui si opera.

Abbiamo poi l'FMEA che si rivela lo strumento adatto per analizzare i rischi legati, ad esempio, alla progettazione.

Conoscete altri strumenti che possano essere utilizzati? Credete che questa sia la metodologia giusta per procedere?


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giovedì 13 novembre 2014

Iniziare già a concentrarsi sulla ISO 9001:2015?

In questi giorni sto seguendo diverse discussioni in rete tra colleghi che sostengono che bisogna iniziare da subito a comprendere i futuri cambiamenti della ISO 9001:2015 e altri che ritengono che sia meglio aspettare la versione definitiva per non correre il rischio di sbagliare.

Voi cosa ne pensate?

Premesso che, ormai, siamo alle battute finali e che non credo che il documento finale presenterà grosse modifiche rispetto a quello che conosciamo oggi, non pensate sia meglio cambiare completamente punto di vista e strutturare un sistema qualità che si basi sulle esigenze dell'organizzazione e non su quelle della norma?
Discutere di requisiti senza calarli nelle nostre realtà non ha alcun senso secondo me e rischia, ancora una volta, di farci perdere di vista l'obiettivo finale di uno standard come questo.

Ormai abbiamo dato più di un'occhiata ai futuri requisiti della ISO 9001:2015 (questa è la pagina riassuntiva dove quotidianamente andiamo ad aggiungere nuovo materiale sull'argomento) e dovremmo aver capito che le novità inserite vanno a vantaggio di un miglioramento dell'organizzazione del lavoro. Se ne siamo convinti, e lo spero, perché non iniziare da subito ad adottarli? Per la paura che un requisito alla fine venga rimandato alla versione successiva della norma? Ma se pensiamo che funzioni, meglio metterlo in pratica subito, no?

Forse dovremmo semplicemente imparare a ragionare con un po' di buon senso e capire che non dovremmo implementare nulla che non serva alle nostre organizzazioni e che aggiunga costi senza aumentare il valore.
In fondo, l'evoluzione verso la ISO 9001: 2015 non rappresenta un cambiamento totale rispetto alla versione del 2008 ma lo sviluppo logico di un viaggio che va da anni in una certa direzione: un miglioramento continuo delle performance ma con un'attenzione sempre crescente alle necessità delle parti interessate e al contesto nel quale operiamo.

Siamo sulla strada giusta se ci concentriamo sull'innovazione e sulla gestione intelligente delle nostre conoscenze per creare un'intelligenza collettiva e un'organizzazione in grado di apprendere continuamente.

Ecco, vorrei ragionare con voi su questo argomento.


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mercoledì 12 novembre 2014

Un video sulla futura ISO 9001:2015

Questa mattina vi propongo un video che arriva direttamente dall'ISO e che ci spiega che la futura ISO 9001:2015 è in dirittura d'arrivo.

Se avete dei problemi con l'inglese, segnalatemelo qui sotto e cercherò di fare un breve riassunto in italiano.

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martedì 11 novembre 2014

Processi e BPM (4)

Se si vuole imparare ad applicare bene lo strumento del BPM, occorre capire prima di tutto che standardizzare i processi non significa compiere un'azione fine a se stessa.
Le organizzazioni, infatti, dovrebbero standardizzare i processi solamente quando questi hanno raggiunto una performance tale da poter rappresentare un punto fermo all'interno del sistema. Standardizzare quando si è arrivati a questo punto ha un senso per ciò che riguarda le prestazioni del processo.  


Cerchiamo anche di capire che "standardizzare" non significa necessariamente attuare dei cambiamenti all'interno del sistema. Al contrario, spesso un approccio BPM si utilizza per gestire e "fissare" un cambiamento che è già intercorso, in modo che sia in grado di soddisfare le esigenze di tutte le parti interessate.
 
L'obiettivo del BPM, se viene utilizzato da organizzazioni interessate alla creazione del valore, deve essere gestire l'intera struttura dei processi in un modo che consenta all'azienda nel suo complesso di ottenere prestazioni elevate.  


Nel  corso degli anni, si è visto le organizzazioni che hanno buone prestazioni possiedono alcune caratteristiche comuni:
 
si focalizzano sul mercato e cercano di migliorare la loro posizione al suo interno;
hanno capacità che le distinguono dalla concorrenza;
sono in grado di fare la differenza nel mercato di riferimento;
non hanno paura di innovare;

sono veloci nel rispondere ai cambiamenti;
mantengono monitorate le loro prestazioni; 
considerano strategici gli strumenti informatici; 
mettono le persone nelle condizioni di crescere; 
possono contare su leader validi
  Tutte queste caratteristiche possono, in qualche modo, essere influenzate da un approccio appropriato al BPM che offre tre risultati fondamentali per l'organizzazione:
 
una chiarezza per decidere quale direzione strategica seguire;
un valido strumento per allineare le risorse di un'organizzazione;
un supporto per migliorare la disciplina nello svolgimento delle attività quotidiane


Cosa ne pensate? Siete d'accordo? 

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lunedì 10 novembre 2014

Processi e BPM (3)

I cinque punti di vista che vi avevamo anticipato venerdì e che servono per descrivere adeguatamente un processo sono:
 
- il punto di vista dell'organizzazione che serve per individuare chiaramente chi (persone, dipartimenti, reparti, ecc) sia coinvolto all'interno del processo;
- il punto di vista funzionale che è necessario per capire quali funzioni vengano svolte all'interno del processo;
- il punto di vista dei dati che ci spiega quali informazioni siano necessarie perchè il processo possa svolgersi al meglio e quali dati dovranno essere prodotti come output del processo;

- il punto di vista del cliente finale che si concentrerà sugli output forniti per capire se vadano bene in base alle sue necessità;
- il punto di vista del controllo che dovrà verificare che tutto si incastri alla perfezione e che un'esigenza - tra quelle appene elencate - non superi in importanza le altre 

 
Per capire alla perfezione come strutturare e migliorare un processo, è fondamentale analizzarne ogni aspetto per capire, ad esempio, chi sia responsabile di certe attività compiute al suo interno e quale dipartimento utilizzi alcuni dati prodotti. La risultante di questi ragionamenti sarà una visione integrata dei vari aspetti di un processo che è poi la chiave per una sua buona gestione e deve diventare la base del BPM. 


Organizzazione e processi devono diventare un tutt'uno fino a originare una vera e propria disciplina per la loro gestione.


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venerdì 7 novembre 2014

Processi e BPM (2)

Ci sono processi che possono essere scomposti in sottoprocessi che costituiscono quasi dei processi a sé che si coordinano uno all'altro per costituire il processo nella sua interezza.

Ogni sottoprocesso è "attivato" dal sottoprocesso precedente e fornisce un risultato (ouput) per il sottoprocesso successivo. Ovviamente, il primo sottoprocesso avrà il suo input all'esterno del processo e l'ultimo fornirà un output per il cliente finale o per un altro processo interno.

Questa scomposizione gerarchica dei processi più complessi permette di esaminarli con un dettaglio maggiore.
Spesso ci viene chiesto quando si può smettere di scomporre un processo. La risposta è semplice: un processo aziendale può essere scomposto finché ogni sottoprocesso ha ancora un senso dal punto di vista organizzativo. Bisogna fermarsi quando, se si scomponesse ulteriormente il processo, si otterrebbero solamente una serie di attività prive di senso in un'ottica di BPM.



In un'organizzazione orientata ai processi, le persone si chiedono sempre come il loro lavoro influisca su quello degli altri. 
Ogni lavoratore sa perfettamente che non si limita semplicemente ad eseguire delle attività, ma contribuisce al sistema generale costituito da tutti i processi aziendali e al raggiungimento degli obiettivi complessivi.
 
Lunedì vedremo come un processo di business possa essere descritto grazie a cinque diversi punti di vista. Non mancate!


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giovedì 6 novembre 2014

Processi e BPM

Oggi il tema della gestione dei processi aziendali (BPM) è più caldo che mai nel nostro settore anche grazie alla nuova ISO 9001:2015 che, finalmente, ha rivisto persino la sua struttura per trasmettere in toto l'abbandono del ragionamento per funzioni a favore di un'impostazione del lavoro per processi.

Ormai sono molti anni che ragioniamo su questo tema eppure, anche se sembra incredibile, spesso svolgiamo ancora le nostre azioni in un'ottica di struttura per funzioni.  
Ancora oggi ci sono organizzazioni che non sanno nulla di Business Process Management e che credono di non averne bisogno.

Eppure i concetti di "processo" e di BPM sono estremamente utili e possono essere applicati all'interno di un'organizzazione per ottenere prestazioni migliori e produrre immediatamente
valore.  


Partiamo dalle definizioni

Il termine "processo" è usato in molti modi diversi, quindi è importante definire bene ciò che intendiamo quando parliamo di un processo aziendale.  
Un processo è  un insieme di azioni ordinate in una certa sequenza al fine di fornire un valore al processo a valle o a un cliente esterno.  
Il suo inizio è sempre chiaramente ben definito da un evento che può essere esterno (ad esempio l'ordine di un cliente che avvia il processo della sua gestione) o interno (ad esempio il termine del processo di produzione di un prodotto che avvia il processo logistico che sta alla base della sua consegna al cliente).



Ogni processo è un sottogruppo ben definito di una organizzazione complessiva del lavoro.
Ad ognuna di queste unità organizzative viene assegnato un responsabile, che viene generalmente chiamato il "proprietario del processo".  

Poiché il processo fornisce un valore per qualcuno che è ben definito, la sua prestazione può sempre essere misurata sulla base di questo valore. 

Il risultato di un'azienda che lavora per processi è un'organizzazione orientata al cliente perché è il cliente (interno od esterno) che stabilisce gli indicatori in base ai quali misurare il rendimento del processo.  
Quando si lavora per processi, inoltre, si è in grado di reagire rapidamente ai cambiamenti del mercato dato che si dovrebbe essere abituati a cambiare in base alle esigenze dei clienti.

Continueremo il nostro discorso domani, quando affronteremo l'argomento dei sottoprocessi.

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mercoledì 5 novembre 2014

La motivazione

Ogni organizzazione avveduta dovrebbe tendere costantemente ad una comprensione accurata dei meccanismi che scatenano la motivazione di ognuno dei suoi collaboratori. L'efficacia delle sue politiche dipende, infatti, dalla misura in cui le sue ipotesi sulla motivazione dei dipendenti sono accurate.
Se non lo sono, esse possono non avere alcun impatto o, peggio, trasformarsi in un vero e proprio boomerang capace di danneggiare l'organizzazione.  


La precisione di questa individuazione dipende non solo dalla saggezza di chi fa la valutazione e dalla sua esperienza, ma anche da una ricerca sistematica che deve aiutarci a proteggerci dai pregiudizi personali che ci porterebbero a vedere solamente ciò che vogliamo vedere, invece di quello che c'è realmente.

Le persone vanno motivate se vogliamo davvero che contribuiscano al benessere dell'organizzazione. Vanno incoraggiare a prendere decisioni per sentirsi davvero parte dell'azienda attraverso il loro contributo. Ovviamente, per riuscire al meglio in questo lavoro dovranno essere adeguatamente formate e sapere esattamente cosa ci si aspetta da loro.

Quali altri fattori ritenete siano fondamentali per motivare i collaboratori?

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martedì 4 novembre 2014

Knowledge management e ISO 9001:2015 (2)

Proseguiamo il discorso iniziato ieri provando a mettere a fuoco gli elementi che compongono la competenza. Sono quattro:
  1. conoscenza
  2. capacità
  3. esperienza
  4. attitudine
Tutto questo è facilmente comprensibile perché, quando sappiamo come fare qualcosa, non è così scontato che riusciremo a farla nel migliore dei modi. L'esperienza ci insegna a muoverci più velocemente ed efficacemente oltre che a prestare attenzione a tutto ciò che sembra non quadrare con ciò che sappiamo sull'argomento. L'attitudine, infine, è fondamentale perché possiamo sapere tutto, avere la capacità di metterlo in pratica, essere efficienti al massimo ma niente e nessuno ci convinceranno a fare qualcosa se non ne abbiamo voglia. Giusto?

La nuova ISO 9001:2015 ha incluso tra i suoi requisiti la gestione oculata della conoscenza perché vuole adattarsi ai tempi che cambiano e, per stare dietro a tutto ciò che sta cambiando in termini di tecnologia, infrastrutture, gestione delle comunicazioni ecc., occorre padroneggiare al massimo ciò che si sa, anche per condividerlo con tutti i collaboratori.

Per iniziare a fare un discorso serio di knowledge management dobbiamo, prima di tutto, avere una strategia che sia profondamente calata nel nostro contesto.

Perché parliamo di strategia?
Semplice, perché mettere a frutto ciò che abbiamo appreso nel tempo e fare in modo di non dimenticarlo dovrebbe essere la base da cui partire per impostare qualunque tipo di lavoro.

Iniziate, dunque, dalla vostra vision, determinate lo scopo che vi siete prefissati, individuate i vostri driver, cercate di capire come volete procedere per creare valore, mettete a fuoco quali aree sono più critiche tra le conoscenze che dovreste imparare a trattenere.

Chi ha iniziato a lavorare su questo aspetto? Lo ritenete ostico da applicare in un'ottica di ISO 9001:2015?


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lunedì 3 novembre 2014

Knowledge management e ISO 9001:2015

Qualche giorno fa in questo articolo abbiamo parlato di knowledge management e di ISO 9001:2015.
Abbiamo deciso di tornare sull'argomento perché si fa ancora troppa confusione sulla parola "conoscenza".

Per capire, dunque, come gestire al meglio le conoscenze all'interno della nostra organizzazione, partiamo da un semplice esempio.

Una persona che sa molte cose ha una conoscenza vasta ma questo non significa che abbia anche delle competenze altrettanto vaste.
Se, ad esempio, da giovane era abituata a guidare la motocicletta ma sono 40 anni che non monta in sella, continuerà a sapere moltissime cose sulle motociclette in generale ma forse non riuscirà più a guidare una moto con la competenza necessaria.

La stessa cosa vale per un'organizzazione che deve necessariamente sapere molte più cose di quelle che riguardano le sue competenze chiave. Sapere cosa NON fare, ad esempio, fa parte della conoscenza, non della competenza.
La competenza è l'atto di cercare tra le proprie conoscenze quelle più adatte ad essere messe in pratica in una certa situazione. Senza la competenza, una persona avrebbe solamente una marea di informazioni alle quali non saprebbe come attingere in maniera intelligente.

Facciamo un altro esempio e cerchiamo di chiarire una volta per tutte questi concetti che si prestano così facilmente ad essere fraintesi.
Sapere che il pomodoro è una verdura, fa parte delle nostre conoscenze. Ricordare, però, che è meglio non metterlo nella macedonia fa parte delle competenze che ci siamo guadagnati sul campo (...della cucina) preparando qualche buon pranzetto!

Ora è più chiaro?

Domani vedremo quali elementi compongono la competenza, cercheremo di capire perché la ISO 9001:2015 ha incluso il knowledge management tra i suoi requisiti ed elencheremo i punti da cui partire per impostare una strategia di gestione delle conoscenze.
A domani!



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