lunedì 31 ottobre 2011

Le caratteristiche vincenti dei manager

Quali sono, a vostro giudizio, le caratteristiche che rendono vincente un manager?
Abbiamo provato a raccoglierne un po': voi quali possedete?

Competenze relative al Problem solving

- raccolta dei dati
- analisi dei problemi
- progettazione di soluzioni
- capacità decisionale
- sviluppo e implementazione della soluzione scelta

Competenze interpersonali

- capacità di ascolto
- dialettica
- buona capacità di scrittura
- coaching
- risoluzione dei conflitti
- negoziazione
- persuasione
- capacità di diventare facilitatore all'interno di un gruppo

Abilità

- costanza
- consapevolezza
- autocontrollo
- empatia
- predisposizione ad imparare
- predisposizione alla crescita e al miglioramento continuo
- motivazione
- orientato all'azione
- integrità

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venerdì 28 ottobre 2011

Le aziende dove si lavora bene (3)

Terza e ultima parte dell'articolo tratto da Internet Magazine di ottobre sulle aziende capaci di creare un buon ambiente di lavoro in Italia.
Eccovi un estratto del testo:

Cosa accade in Italia?


La classifica dei migliori ambienti di lavoro italiani prevede che i partecipanti abbiano almeno 50 addetti tra personale a tempo pieno e parziale.


(...)


Vengono raccolti dati sull'organizzazione, sulla gestione delle persone, la filosofia e l'ambiente di lavoro dell'azienda. Per completare la descrizione dell'azienda sono poi graditi materiali integrativi quali manuali del dipendente, materiali di orientamento e di reclutamento, newsletter e video per i dipendenti e così via.


(...)


Il questionario destinato ai dipendenti rileva quantità sì intangibili ma che si sono rilevate molto importanti per determinare come si lavora in un'azienda.
Questo strumento di indagine misura, ad esempio, il livello di fiducia e cameratismo all'interno dell'ambiente di lavoro e le risposte fornite dai dipendenti "pesano" in maniera maggioritaria nella determinazione del punteggio di un'organizzazione.
Il questionario consiste in circa 50 affermazioni su credibilità, rispetto, equità, orgoglio e cameratismo ed il dipendente deve indicare in che misura è d'accordo (o in disaccordo) con quelle affermazioni.


(...)


Ci possono poi essere questionari che vengono utilizzati per capire il livello di cultura generale dell'organizzazione. Le domande previste cercano di comprendere la composizione della forza lavoro (notizie sul numero di dipendenti nel Paese, turnover volontario, composizione etnica, anzianità aziendale, ecc.) oltre che di raccogliere informazioni generali sull'azienda, ad esempio l'anno di fondazione o il fatturato.

Altre informazioni raccolte riguardano i benefici offerti ai dipendenti come la palestra, la percentuale di premio assicurativo pagato dall'azienda, il numero di giorni di ferie e altro ancora.

Altre domande ancora possono essere di tipo aperto per dare all'azienda la possibilità di far conoscere la propria cultura manageriale e lavorativa. Le componenti fondamentali che si vanno a verificare sono la credibilità, il rispetto, l'equità, l'orgoglio e il cameratismo.
(...)

Cosa ne pensate? Qualcuno di voi lavora in aziende così attente all'ambiente di lavoro?

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giovedì 27 ottobre 2011

Le aziende dove si lavora bene (2)

Continuiamo il discorso sulle aziende dove si lavora bene, esaminando le domande che vengono rivolte ai dipendenti.
L'articolo è stato pubblicato su Internet Magazine di ottobre. Di seguito alcuni stralci:

Le domande rivolte ai dipendenti considerano elementi come il gradimento dei corsi di formazione e aggiornamento, i benefit, il bilanciamento vita/lavoro, lo stato d'animo degli impiegati. 
Non mancano poi domande sulle carriere in azienda, sul comportamento del management e sul grado di uguaglianza  nel trattamento degli impiegati.


(...)


Lo scopo di tutto questo non è soltanto il miglioramento delle prestazioni sociali aziendali ma anche sostanziali duraturi vantaggi per il business. In effetti è ormai ampiamente dimostrato che, se l'ambiente di lavoro è amichevole, collaborativo ed in grado di trasmettere fiducia, i risultati aziendali sono più elevati della media. 
La mentalità "padronale" di vecchio tipo è, infatti, non soltanto poco rispettosa degli impiegati e poco consona alle relazioni industriali moderne e avvertite ma anche controproducente dal punto di vista dei risultati di business.

(...)


(Continua domani...)

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mercoledì 26 ottobre 2011

Le aziende dove si lavora bene

Internet Magazine di ottobre ha pubblicato un articolo molto interessante che spiega nel dettaglio in quali aziende si lavora bene e per quale motivo.
Oggi e nei giorni a venire ve ne proporremo alcuni estratti che abbiamo ritenuto particolarmente significativi per individuare l'ambiente di lavoro ideale. Ecco il primo!

La ricetta è un mix di qualità diverse fra loro: corsi di formazione e rispetto, fiducia e autorevolezza, benefit e orgoglio.
Il risultato è un'azienda dove si sta bene e nella quale si lavora con piacere: un posto, insomma, nel quale si va non soltanto per portare a casa ogni mese "x" euro ma anche per ottenere soddisfazioni personali ed una crescita interiore e professionale.

(...)

Ma come si può quantificare ciò che è in buona parte intangibile, a differenza di una retribuzione? Come misurare, in altre parole, quantità sfuggenti e soggettive? Analizziamo quindi i differenti approcci impiegati per questo tipo di classifiche.

(...)

Ogni azienda ha ricevuto un questionario di 75 domande i cui argomenti - come quelli della successiva intervista ai dipendenti - hanno più di un motivo d'interesse. Vengono infatti richiesti dati sui salari medi, premi, promozioni, turnover, corsi di formazione e la percentuale di donne e persone appartenenti alle minoranze nella forza lavoro e nel management.

Altri dati riguardano gli sforzi compiuti per "trattenere" (nel senso di motivare la permanenza in azienda) gli impiegati e nel riconoscere e premiare le loro performance sopra la media e la presenza di benefit come orari flessibili e strutture per assistere bambini e anziani.
Importante è anche considerato il rimborso delle spese per l'istruzione e la partecipazione a corsi di certificazione tecnologica.

(...)

Continua domani

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martedì 25 ottobre 2011

L'importanza delle parole

Sto leggendo "Leielui", ultimo romanzo di Andrea De Carlo, e - tra le altre - mi sono soffermata su una riflessione dell'autore che mi è sembrata molto centrata sul nostro lavoro di donne e uomini della Qualità: scegliere le parole giuste per comunicare i concetti.

Anch'io mi metto nel grande gruppo di coloro che parlano indifferentemente di problemi o problematiche, tipi o tipologie. Da oggi presterò più attenzione perché anche con le sfumature si rende grande il nostro lavoro e si rispetta la nostra bella lingua. Dunque, grazie a De Carlo ed eccovi l'estratto del romanzo:


Da qualche tempo, per esempio, ha notato che la parola "problema" è quasi scomparsa dalla lingua scritta e parlata, sostituita da "problematica". E' andata a controllare sul dizionario, e ha visto che le due parole non hanno affatto lo stesso significato, perché "problematica" indica un complesso di problemi, per esempio di una scienza. Lo stesso è successo con "tipo", rimpiazzato da "tipologia", e "metodo" diventato "metodologia", ma in realtà sono decine i casi in cui al posto di un termine specifico se ne usa uno che indica un'intera categoria. 
Le sembra che questo abbia a che fare con la natura vaga e incerta di un paese in cui nessuno risponde mai in modo del tutto conseguente alle sue apparenti convinzioni.

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lunedì 24 ottobre 2011

Deming e la root cause analysis

W. Edwards Deming sviluppò un processo denominato root cause analysis che non è altro che un modo di scoprire perché le cose vanno male
 
Analizzando le cause profonde che fanno andare male qualcosa ed estendendo la sua indagine a tutte le tipologie di ambiente, Deming scoprì che il 94% degli errori commessi non sono dovuti alle persone. Non sono le persone, infatti, a lavorare male ma spesso sono le stesse organizzazioni che pianificano e gestiscono male il lavoro.

Come professionisti della Qualità, abbiamo il compito di progettare, gestire, monitorare e migliorare i processi necessari al buon funzionamento della nostra realtà lavorativa e farlo ci risulterà un po' meno duro se proveremo a ricordare che il nostro obiettivo finale deve essere eliminare quel 94% di errori che oggi facciamo.
 

E' questa la vera differenza tra il fallimento e il successo.

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venerdì 21 ottobre 2011

E' impossibile!

La Qualità è spesso oggetto di enormi resistenze e di leggende metropolitane.

Quando sentirete di nuovo un vostro collega affermare: "è impossibile!" provate a raccontargli quante altre volte nel corso della storia questa affermazione è stata smentita.

Qualche idea? Eccola!


Nel 1895 Lord Kelvin affermò che era impossibile che macchine più pesanti dell'aria volassero.

Nel 1932 il grande Albert Einstein disse che non saremmo mai riusciti ad ottenere energia dall'atomo
 
Negli anni '60 i media americani ed europei erano fiduciosi che le aziende giapponesi non costituissero una minaccia per le loro produzioni

Nel 1962 una casa discografica rifiutò di scritturare un gruppo di musicisti affermando che non li aveva trovati interessanti e che, comunque, musica come quella non sarebbe piaciuta alla gente. Erano i Beatles!


Nel 1970 si pensava che la gente non avrebbe mai comprato un personal computer (!) 

Sempre nel 1970 Margaret Thatcher disse che in vita non avrebbe purtroppo mai visto un Primo Ministro donna (!)

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giovedì 20 ottobre 2011

Lavorare su un nuovo obiettivo

Ieri abbiamo visto come scegliere un nuovo obiettivo, oggi prepareremo insieme una sorta di lista di cose da fare prima di iniziare a lavorare sull'obiettivo scelto:

- è possibile provare prima l'efficacia dell'obiettivo con un progetto pilota?

- avete comunicato a tutte le parti interessate che inizia il lavoro su quell'obiettivo?

- vi siete assicurati di essere pronti per partire col lavoro (disponibilità risorse, informazioni, ecc.)?

- tutte le parti coinvolte hanno capito bene cosa devono fare?

- abbiamo sotto controllo tutte le parti di sistema interessate da questo lavoro?

- quali sono i fattori che si opporranno al raggiungimento dell'obiettivo e come li contrasteremo?

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mercoledì 19 ottobre 2011

Come scegliere i nostri obiettivi

A volte le organizzazioni hanno grandi difficoltà a scegliere gli obiettivi giusti sui quali concentrarsi.
Per rendere un po' più facile questo percorso è utile farsi qualche domanda:

- che cosa non piace ai miei clienti?
- che cosa vogliono i miei clienti?
- quando lo vogliono?
- come lo vogliono?
- che cosa mi tiene sveglio la notte?

Una volta che avrete risposto a queste semplici domande, avrete una lista di priorità da affrontare.
Per trasformarle in obiettivi accertatevi di:

- renderle realistiche, raggiungibili (ad es. un miglioramento del 15% è più probabile di uno del 100%)
- formularle in modo da esercitare il miglioramento continuo
- identificarle chiaramente, rendendole specifiche
- renderle misurabili
- assicurarvi che siano importanti per il raggiungimento della vostra vision
- associarle ad una tempistica ben precisa

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martedì 18 ottobre 2011

Le cause dell'insuccesso dei manager

 "Perché i bravi manager sbagliano e cosa possiamo imparare dai loro errori" è un libro scritto da Sidney Finkelstein che individua 7 cattive abitudini che portano all'insuccesso:

1) è portato all'insuccesso chi vede se stesso (o la propria azienda) come dominatore del suo ambiente
2) chi si identifica con l'azienda abbattendo i confini tra lavoro e vita personale
3) chi pensa di avere tutte le risposte
4) chi "elimina" le persone che non sono d'accordo
5) chi è ossessionato dall'immagine dell'azienda
6) chi sottovaluta gli ostacoli
7) chi si affida ostinatamente a ciò che ha funzionato in passato

Aggiungerste qualcosa oppure non siete d'accordo con qualcuno di questi punti?

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lunedì 17 ottobre 2011

Il Kaizen budgeting

Il Kaizen budgeting è un approccio che incorpora il miglioramento continuo per piccoli passi (Kaizen) nel budget, costificando i progetti sulla base di miglioramenti previsti in un prossimo futuro invece che in base alle pratiche e alle metodologie utilizzate al momento della sua preparazione.

Il punto centrale del Kaizen budgeting è che il budget non verrà rispettato se non verrano portati a termine i miglioramenti previsti.

Ad esempio, si potrebbe pensare di produrre qualcosa che richiede 4 ore e mezza in 4 ore e 15 minuti, mediante l’individuazione e l’eliminazione degli sprechi, la riduzione della varianza del processo, ecc.
I passi potrebbero essere i seguenti:

dopo i primi 3 mesi: 4 ore e 25 minuti
dopo 6 mesi: 4 ore e 20 minuti
dopo 9 mesi: 4 ore e 15 minuti

Per ottenere questi piccoli risparmi di tempo (che, però, moltiplicati per il numero dei prodotti e per gli anni di produzione consentono un risparmio di tempo enorme) occorreranno piccole modifiche e ottimizzazioni del processo produttivo che porteranno riduzioni nei costi variabili della produzione.

Se il Kaizen budgeting riporta l’inseme delle aspettative che un’organizzazione ripone negli interventi di miglioramento continuo sui suoi processi, il Kaizen costing determina, invece, le riduzioni dei costi legandole a un periodo ben preciso come, ad esempio, un mese. 
Queste variazioni saranno date dalla differenza tra i costi attuali e quelli ipotizzati come obiettivo e si baseranno su un lavoro continuo di riduzione dei costi standard

Il vantaggio del Kaizen budgeting è che, quando gli obiettivi non vengono raggiunti, si esamina l’intero processo per capire il perché. Inoltre, l’intera organizzazione viene messa sotto pressione per raggiungere gli obiettivi di efficienza ipotizzati.

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venerdì 14 ottobre 2011

L'abito giusto per trovare un lavoro

(Fonte: Mente & Cervello)

Quando dobbiamo affrontare un colloquio di lavoro, come dovremmo vestirci? Preferire un certo colore anziché un altro?
Due psicologi, Mary-Lyne Damhorst dell'Università dello Stato dell'Iowa e Ann Pinaire-Reed dell'Università del Texas, hanno chiesto ad alcuni responsabili delle risorse umane di valutare, sulla base di fotografie, un gruppo di candidati a un impiego.Queste persone indossavano vestiti piuttosto scuri oppure più chiari e colorati. Gli psicologi hanno constatato che gli esaminatori donna giudicavano più favorevolmente le candidate vestite con toni chiari o colorati, mentre gli uomini valutavano più favorevolmente le candidate che portavano colori scuri. In ogni caso, gli uomini che indossano abiti dai colori scuri sono quelli che ottengono le valutazioni migliori.


L'interpretazione di questi risultati si basa sul fatto che uomini e donne attribuiscono un senso diverso ai colori. Secondo gli autori dello studio le donne, anche quelle che lavorano nelle risorse umane, valorizzerebbero più degli uomini le qualità di indipendenza dei candidati; per questa ragione sarebbero più attirate da abiti meno conformisti. Invece, per via del diverso approccio al mondo del lavoro, gli uomini percepirebbero i colori scuri come simbolo di potere, prediligendo quindi le persone vestite di scuro.

Ricordatelo la prossima volta che farete un colloquio! ;o)

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giovedì 13 ottobre 2011

Anche l'errore serve a creare cultura

Sapete che esistono strategie che usano gli errori come strumento di conoscenza nella vita professionale? L'Error Management Training (EMT), ad esempio, incoraggia le persone a sbagliare al grido di: "più errori commetti, più rapidamente impari".

Gli errori possono accelerare l'elaborazione e la comprensione di informazioni. Una condizione importante, però, è che la persona disponga del tempo necessario per registrare i suoi errori e per riflettere su di essi.

L'errore, dunque, non è una ragione per rinunciare a fare qualcosa. Si tratta, piuttosto, di una conseguenza naturale di azioni che ci permettono di adattarci in modo più flessibile a un ambiente complesso.

Nelle vostre organizzazioni come viene vissuto l'errore?

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mercoledì 12 ottobre 2011

Il fascino della leadership

La gente è sempre stata affascinata dal tema della leadership, basti pensare al fatto che i più grandi pensatori di tutti i tempi si sono occupati dell'argomento: da Platone a Confucio, da Machiavelli a Hobbes, in molti hanno provato a definire la natura della leadership e il suo rapporto all'interno della società.

Ma cos'è esattamente la leadership? 

Potremmo definirla come "la capacità di fare in modo che le persone facciano ciò che non hanno voglia di fare e decidano che provano addirittura piacere nel farlo". Più prosaicamente, potremmo dire che la leadership è un processo attraverso il quale un individuo influenza un gruppo di individui per ottenere un obiettivo comune.
Nel corso degli anni, le scienze sociali hanno contribuito molto alla comprensione della leadership.All'inizio del ventesimo secolo, ad esempio, lo studio dei tratti che i grandi leader avevano in comune è stato una delle principali preoccupazioni. L'obiettivo di questi studi era quello di trovare delle correlazioni tra variabili quali l'intelligenza, l'aspetto, l'altezza, ecc e la leadership. A questi studi si opponeva l'allora radicata ideologia americana che suggeriva che grandi leader si nascesse e non si diventasse. 


Lo studio oggettivo del comportamento dei leader sul posto di lavoro che venne nei decenni centrali del ventesimo secolo ricercò i tratti universali dei leader direttamente nell'esercizio della leadership. In questo periodo nacque l'idea che la leadership si originasse in situazioni e in contesti specifici che non sono necessariamente ripetibili (Fred Fiedler). Un leader all'interno di una fabbrica potrebbe, ad esempio, fallire in un ambiente accademico. 
Il decano degli studi sulla leadership moderna è James MacGregor Burns che ebbe l'intuizione di   differenziare il leader trasformazionale da quello transazionale.
Il leader trasformazionale è l'eroe di Burns: uno come Franklin Roosevelt, capace di reagire a una crisi come la Grande Depressione con una vision precisa, grandi idee e la volontà di sperimentare. Il leader trasformazionale vede in ogni problema un'opportunità di trasformare la cosa a suo vantaggio, mentre il prototipo del leader  transazionale è qualcuno che si ferma alla superficie di un problema, non riuscendo a coglierlo nella sua interezza.  
In breve, i leader trasformazionali sono i veri leader: visionari, trascinatori, capaci di conquistarsi un posto nel mondo. I leader transazionali sono, invece, spesso solo dei manager che si limitano a mettere dei cerotti su problemi che andrebbero affrontati in modo ben più radicale.
Coloro che decidono di seguire un leader, comunque, si aspettano che questo li incoraggi, sia intelligente, abbia la forza di decidere, sappia comunicare, sia positivo, riesca a motivare, sia in grado di costruire la fiducia e rifletta a fondo sul futuro.Proprio per questo, ultimamente, si è compreso il grande ruolo che giocato nella leadership da quella che Walter Bennis definisce l'"intelligenza emotiva".Una caratteristica che tutti i leader hanno in comune, infatti, è quella di intuire ciò che i loro seguaci desiderano, sognano o - al contrario - trovano inquietante, la capacità di comprendere una vasta gamma di tipi umani e la natura umana in generale. Bass e Stodgill, grandi studiosi della materia, postulano addirittura che la leadership non sia altro che "l'arte di trattare con la natura umana".


Un altro modo per inquadrare e capire i grandi leader della storia è quello di vederli come dei grandi narratori capaci di offrire alla gente storie nelle quali identificarsi: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Anche a questo proposito, possiamo individuare due tipologie di leader: l'innovativo che rinnoverà la narrazione dell'identità di una cultura e il leader visionario che ne inventerà una del tutto nuova.

E a voi quali caratteristiche piacerebbe trovare nel leader ideale?

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martedì 11 ottobre 2011

Siate costanti!

Conoscete la storia delle due rane che caddero in un secchio di latte?  
La prima, vedendo che non c'era modo di uscire dal liquido bianco, accettò il suo destino e annegò. La seconda, invece, continuò a dibattersi e lottò per restare a galla. Ben presto la zangolatura trasformò la panna in burro e, così, fu in grado di saltare fuori.

Non chiediamoci come fece la seconda rana a non essere sbattuta insieme al burro perché la favoletta, ovviamente, ha lo scopo di sollecitare la nostra costanza di propositi nel raggiungimento di un obiettivo. 

Essere costanti, però, non basta quando ci troviamo davanti condizioni avverse. Dobbiamo anche essere preparati ad un lungo lavoro. Gli esperti sono addirittura arrivati a dire che l'ottanta per cento del nostro lavoro dovrebbe consistere nel cercare ostinatamente di centrare i nostri obiettivi. L'80%!

È facile "cadere" o avere battute d'arresto quando si lavora. Quando accade, non resta che rialzarsi e ricominciare a lavorare come prima, anzi...meglio di prima!

Sono queste le caratteristiche che, ultimamente, si cercano nei collaboratori: la costanza e la capacità di affrontare i periodi bui.

Sapete che Michelangelo restò per quattro lunghi anni sdraiato sulla schiena per dipingere la Cappella Sistina? Se questo non dovesse bastarvi, ricordate qual era il motto di Winston Churchill: "Non mollare mai, non mollare mai e poi, ancora, non mollare mai "


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lunedì 10 ottobre 2011

Consapevolezza e Qualità

Nel contesto della famiglia di norme ISO 9000, la consapevolezza è una condizione in cui si trova una persona che è stata informata circa l'importanza del lavoro che svolge, le conseguenze che possono derivarne e il suo contributo agli obiettivi dell'organizzazione. 
Di consapevolezza di parla:

  • al punto 5.5.2 della ISO 9001 dove si richiede che il rappresentante della Direzione promuova la consapevolezza delle esigenze dei clienti in tutta l'organizzazione
  • al punto 6.2.2 che specifica che l'organizzazione deve garantire che il personale sia a conoscenza della rilevanza e dell'importanza delle attività che svolge e di come esse contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi della Qualità
  • nella ISO 9004 dove si chiede che il top management dia l'esempio, impegnandosi a promuovere le politiche e gli obiettivi per aumentare la consapevolezza, la motivazione e il coinvolgimento delle persone. Sempre nella ISO 9004, si raccomanda - poi - che l'istruzione e la formazione includano la consapevolezza delle conseguenze del mancato soddisfacimento dei requisiti. In ultimo, la 9004 raccomanda che l'organizzazione si assicuri di lavorare con fornitori consapevoli di cosa si intenda per conformità alle pertinenti disposizioni di legge e ai regolamenti del settore
Tutte le attività svolte all'interno di un'organizzazione hanno un qualche impatto sulla qualità dei risultati. Spesso, però, le persone non hanno questa percezione e, in assenza di un intervento dall'alto da parte di una Direzione illuminata, il personale si deve affidare all'intuito, all'istinto, alle proprie conoscenze e all'esperienza maturata per capire come le attività che svolge vadano ad influenzare il disegno generale.



La consapevolezza del proprio contributo fa in modo che le persone affrontino le singole attività nel modo più opportuno e ripartendo correttamente gli sforzi necessari a svolgerle.

Alcuni metodi per sensibilizzare chi lavora con noi sono:

  • un semplice chiarimento, prima di affrontare un nuovo lavoro, su ciò che si considererà un comportamento appropriato nello svolgerlo e sui risultati attesi
  • un feedback tempestivo per bloccare comportamenti inappropriati
  • una spiegazione che vada a collegare i controlli effettuati e le singole prestazioni
  • una breve formazione su ciò che si intende come azioni preventive e su come usarle
  • corsi di formazione prima di svolgere nuove mansioni
  • briefing sui nuovi prodotti
  • video che mostrino le attività all'interno di un contesto (ad esempio per la Sicurezza)
  • un'azione continua di coaching personale che mostri qual è il comportamento più adeguato da seguire
A voi vengono in mente altri suggerimenti per aumentare la consapevolezza delle persone all'interno di un'organizzazione?

 
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venerdì 7 ottobre 2011

Problem solving creativo

Chi di voi segue QualitiAmo da molto tempo ricorderà che abbiamo proposto spesso sulle nostre pagine quesiti che fanno capo al pensiero laterale. Questo, ovviamente, non era solo un modo simpatico per coinvolgere i nostri utenti ma un tentativo di stimolare un approccio più creativo al Problem solving, rendendo i nostri lettori capaci di un "latheral thinking", ovvero di risolvere i problemi in un modo all'apperenza poco ortodosso e privo di logica ma basato sui meccanismi della percezione.

Il pensiero laterale si distingue da quello tradizionale perché:

- non è logico
- ha il compito di generare nuove idee, cioè nuovi modi di risolvere un problema
- fa salti, esplora, non segue un percorso determinato

E' importante comprendere che il pensiero laterale non sostituisce il pensiero tradizionale ma si limita a fornirgli una marcia in più, costringendoci a cambiare il nostro approccio per individuarne uno completamente nuovo.

Chi avesse voglia di rispolverare l'argomento potrà partire da questo insieme di risorse selezionato dalle nostre pagine. Buon divertimento! ;o)

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giovedì 6 ottobre 2011

I consigli per chi vuole trovare lavoro (3)

Terza e ultima parte dei consigli degli head hunter per trovare lavoro, raccolti dal "Rider's Digest" australiano:


Parliamo di soldi

  1. Le storie legate al bisogno di soldi purtroppo non funzionano mai. Ci sono moltissime persone che versano in condizioni anche peggiori delle vostre e i cacciatori di teste, giustamente, non si lasciano intenerire. Raccontate, piuttosto, perché credete di dover guadagnare di più.
  2. In Italia non si ama discutere di soldi durante i colloqui e, solitamente, i dettagli economici vengono lasciati all'ultima fase della serie di incontri. Sarebbe bello che si adottasse l'abitudine che ritroviamo spesso all'estero che prevede che si chieda subito al candidato se è interessato alla forbice di stipendio proposta. In questo modo, tutti risparmierebbero molto tempo (addirittura si potrebbe dare un'indicazione chiara in sede di pubblicazione dell'annuncio, eliminando in un colpo solo tutti i candidati che aspirano a stipendi più corposi). Purtroppo così non è ma, se avrete la fortuna di trovare un esaminatore un po' più aperto sull'argomento, mostratevi ben preparati a dare risposte sul livello di stipendio che auspicate di ottenere e sul perché pensate di meritarvelo.
  3. Per verificare qual è il livello di stipendio di chi fa il vostro stesso mestiere e quindi a quale cifra potete aspirare, non limitatevi a fare domande a un paio di colleghi ma fate ricerche approfondite, leggendo gli annunci di lavoro e individuando i pochi che danno indicazioni in merito allo stipendio. Potrete, poi, estendere le vostre ricerche anche ai siti stranieri che possono darvi molte indicazioni utili. E' vero che all'estero spesso gli stipendi risultano più alti o più bassi che nel nostro Paese ma, estendendo le nostre indagini anche a quelle professioni  che in Italia riusciamo a quantificare meglio economicamente, potremo estrapolare molti dati interessanti. Ad esempio, tutti sappiamo quanto guadagna un insegnante nel nostro Paese. Se troviamo la cifra guadagnata da un collega straniero, ecco che avremo un'idea delle proporzioni che potranno poi essere ribaltate sul settore che ci interessa.
  4. Se volete ottenere uno stipendio maggiore dell'attuale, dovrete essere in grado di spiegare in che misura contribuite al successo della vostra organizzazione e in quali casi siete andati con successo al di là di ciò che il vostro ruolo richiedeva
Vi interesserebbe un sondaggio per raccogliere informazioni, ovviamente anonime, sul livello di stipendio medio di un professionista della Qualità? Non so in quanti potrebbero rispondere ma a me sembra molto interessante e, se siete dello stesso parere, possiamo prepararlo.

Come lo organizzereste?
A me sono venute in mente queste discriminanti:
- fascia di età
- tipologia di lavoro (assunto presso un'organizzazione o libero professionista)
Mi date qualche altra idea?

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mercoledì 5 ottobre 2011

I consigli per chi vuole trovare lavoro (2)

Seconda parte dei consigli degli head hunter per trovare lavoro, raccolti dal "Rider's Digest" australiano:


Colloquio

  1. Non andate a un colloquio a chiedere "mi racconta qualcosa sull'azienda?" C'è internet per raccogliere questo tipo di informazioni!
  2. Lasciate che sia il selezionatore a condurre il colloquio. Se vi fa domande secche, rispondete brevemente ma in modo preciso. Se, al contrario, vi propone domande aperte e mostra di aspettarsi che siate voi a chiacchierare, fatelo senza essere comunque troppo prolissi e mantenendo l'attenzione su ciò che vi è stato chiesto.
  3. Il linguaggio del corpo deve andare di pari passo con ciò che state dicendo. Guardate il selezionatore negli occhi senza - però - risultare aggressivi, evitate di sprofondarvi comodamente nella poltrona accavallando le gambe e portando le mani dietro la testa mentre parlate, non guardate fuori dalla finestra anche se il panorama è stupendo...
  4. Cercate di avere un look nell'ordinario. Non dovete stupire per come siete vestiti. Ricordate cosa dice George Cloney in "Tra le nuvole"? "Mi affido agli stereotipi, si fa prima!"
  5. Non fatevi troppe illusioni. Di solito, quando un colloquio dura meno di 20 minuti, non avrete quel lavoro.
  6. Quando entrate nel posto dove vi faranno il colloquio, assicuratevi di essere gentili con tutti coloro che incontrerete anche se non sono i vostri selezionatori. Se sarete maleducati con qualcuno, il vostro selezionatore lo saprà.
  7. Se vi viene chiesto cosa sapete sull'azienda che sta cercando un profilo da assumere, non recitate a memoria l'homepage del sito. Dite, piuttosto, l'idea che ne avete voi dopo aver raccolto tutte le informazioni che avete trovato.
  8. Terminato il colloquio non telefonate mai e poi mai a chi ve l'ha fatto anche se sono passati molti giorni. E' una cosa davvero odiosa per chiunque faccia il selezionatore!
 Domani vedremo i consigli mirati al momento in cui si dovrà parlare di soldi.

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martedì 4 ottobre 2011

I consigli per chi vuole trovare lavoro

Chi di voi non vorrebbe entrare per un attimo nella testa di un head hunter (cacciatore di teste) per sapere in base a quali criteri scarta i candidati e avere così maggiori possibilità di ottenere il posto di lavoro che sogna da una vita?

Purtroppo non possiamo promettervi un viaggio nel cervello di chi decide se assumere o meno ma il "Rider's Digest" australiano ha dato moltissimi consigli per evitare almeno gli errori più comuni che commettiamo durante i primi passi del percorso di selezione.

Vediamo insieme i principali:

Curriculum, lettera di presentazione, contatti

  1. Date un'occhiata al vostro indirizzo e-mail. Se assomiglia a orsetto@hotmail.com o patty-e-luca@yahoo.com forse è il caso di sceglierne uno con un aspetto un po' più professionale per spedire il vostro curriculum.
  2. Un curriculum di 3 pagine è davvero troppo lungo. Meglio limitarsi a due, possibilmente scritte con un carattere un po' più grande dell'8!
  3. Cercate di mantenervi occupati anche con lavori temporanei perché chi è senza lavoro da più di sei mesi diventa del tutto inappetibile per i selezionatori.
  4. Evitate di stapare il curriculum su carta colorata!
  5. Se avete molti anni di esperienza, limitatevi a descrivere sul curriculum solo gli ultimi 15, riassumendo gli altri in rapidi cenni. In caso contrario sembrereste un vero e proprio dinosauro del lavoro e annoiereste chi vi sta leggendo.
  6. Scrivere una lettera di presentazione va sempre bene ma assicuratevi di riportare sul foglio i riferimenti corretti dell'azienda alla quale state inviando il CV. Sembra ssurdo ma moltissimi selezionatori lamentano di aver ricevuto lettere indirizzate ad altre organizzazioni!
  7. Quando si cerca un lavoro, l'esperienza conta fino a un certo punto. La cosa importante è aumentare le possibilità, stabilire contatti, tenere gli occhi spalancati sulle occasioni. Non serve essere qualificatissimi se non sappiamo chi sta cercando il nostro profilo.
  8. Non scrivete mai i motivi che vi spingono a lasciare l'azienda dove state lavorando. Tutti cambiano lavoro quindi non c'è bisogno di fornire dettagli a meno che non vi vengano richiesti in sede di colloquio
 Domani vedremo i consigli legati al momento specifico del colloquio.

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lunedì 3 ottobre 2011

I monopolisti

Non c'è niente di sbagliato nell'essere monolopisti. Avere un monopolio è divertente. Se siete abituati ad accaparrarvi il mercato senza fatica, è facile che ridiate sopra le disgrazie di coloro che, invece, devono lottare ogni giorno per restare sulla breccia.
 

Essere un monopolista è bello: profitti costanti e senza problemi.  
Sarebbe bello che durasse per sempre, no?
Se vi offrono due prodotti che sono assolutamente identici, è ovvio scegliere quello più conveniente. Da qui nascono le guerre tra concorrenti: supermercati che vendono sottocosto, promozioni come se piovesse. 

L'altro lato della medaglia è la prospettiva di chi è un monopolista e ci fa pagare moltissimo ciò che ci vende, spesso senza offrirci un servizio di pari livello. 
Quando, però, il monopolio se ne va, non resta molto spazio per i profitti facili.
Benvenuti nel nuovo secolo.  

Nel nuovo secolo, abbiamo tutti lo stesso obiettivo: stabilire con il cliente o con l'utente un rapporto diretto e positivo. 
Sembra facile, ma non lo è. E 'spaventoso.
Le barriere sono in calo e stanno cadendo velocemente.
(n.d.r. - Basti pensare al monopolio dell'ex unica compagnia telefonica italiana o a quello delle attuali compagnie telefoniche che soccomberanno presto davanti a strumenti come Skype. O alle radio locali che fino a qualche tempo fa avevano come concorrenti le altre radio della zona e oggi si confrontano con tutte le radio del mondo, grazie ad internet. E che dire della televisione che oggi sta arrancando davanti all'informazione della rete o degli scrittori e dei musicisti che saltano la normale distribuzione e arrivano ai loro fan grazie ad internet?)
L'unico modo per reagire alla perdita di un monopolio è crearne uno nuovo.
Ecco come funziona: ognuno di noi ha un'attenzione limitata. Non siamo in grado di leggere tutti i libri che vorremmo o di ascoltare tutta la musica che troviamo in giro. E' per questo che abbiamo dei filtri che ci permettono di ignorare ciò di cui non riusciamo ad usufruire.
 

Non c'è tempo. 

Naturalmente, se qualcuno in cui avete fiducia vi consigliasse di provare qualcosa, lo fareste. Lo fareste anche se questo qualcosa fosse creato da persone che avete apprezzato in passato.
Quello di cercare di fermare l'acqua che esce da un secchio bucato
è una strategia sbagliata. Non è combattendo la scomparsa dei monopoli che resterete sul mercato. E' decisamente meglio impegnarsi per costruirne un nuovo, questa volta basato sulla soddisfazione del cliente.
Creare un business che si regga su clienti soddisfatti è più facile di quanto si pensi. Ecco alcune idee per avviarlo:

  1. rendete facile per i vostri clienti raccontare ai loro amici come li avete soddisfatti
  2. regalate campioni gratuiti del vostro prodotto. Se è buono, la gente ne parlerà
  3. ottenete il permesso di chi vi segue con affetto di anticipare i nuovi prodotti per diffonderli grazie a sconti, a messaggi personalizzati, ecc. La gente ne parlerà 
(Liberamente tratto, integrato e tradotto dal blog di Seth Godin - esperto di marketing)


Cosa ne pensate? Facciamo un paio di ragionamenti? Quali altri monopolisti sono scomparsi di recente in Italia e nel mondo? Quali altri sistemi ci sono per diventare monopolisti grazie alla soddisfazione dei clienti?

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