lunedì 28 febbraio 2011

Ricordare i nomi dei clienti

Sto continuando la lettura del libro di Dale Carnegie e ho trovato un altro brano interessante. Eccolo:

"La politica di ricordare e fare buon uso dei nomi di amici e soci in affari era uno dei segreti della leadership di Andrew Carnegie. Era orgoglioso di ricordare i nomi di tutti i suoi operai e del fatto che mentre lui era presidente della compagnia non era stato fatto nemmeno uno sciopero."

(...)

"Benton Love, presidente della Texas Commerce Bancshares, era convinto che più una ditta si ingrandisce, più il clima si fa gelido. 

Un buon sistema per mantenere un po' di calore, diceva, è quello di ricordare i nomi della gente. Se un dirigente mi dice che non ricorda i nomi, vuol dire che non è in grado di ricordare una parte significativa  del suo lavoro ed è completamente inaffidabile."

(...)

"Karen Kirsch, una hostess della TWA, si faceva un punto d'onore di ricordare il maggior numero possibile di nomi dei passeggeri del suo volo per usarli all'occorrenza. Tutto ciò portò ad una serie di osservazioni positive sul suo servizio, espresse sia a lei direttamente, sia alla sua compagnia di volo.
Un passeggero scrisse: - Non volavo con la TWA da un po' di tempo, ma d'ora in avanti non cambierò più compagnia. Riuscite a fare in modo di farmi sentire che la vostra linea è diventata molto personalizzata e questo è importante per me."

(...)

"Franklin D. Roosevelt ricordava anche i nomi dei meccanici che avevano lavorato per lui. La Chrysler infatti aveva fabbricato una macchina speciale per Roosevelt, che non poteva usarne una normale perché era paralitico. Un certo W.F. Chamberlain andò a consegnargliela alla Casa Bianca insieme con un meccanico. Ecco quel che racconta Chamberlain stesso in una sua lettera."

(...)

"Ho insegnato al presidente Roosevelt come guidare quella macchina che ha un sacco di dispositivi speciali, ma lui ha insegnato a me una quantità di cose sull'arte di trattare col prossimo."

(...)

"Quando sono arrivato alla Casa Bianca, il presidente è stato estremamente gentile e cortese. Mi ha chiamato per nome, mi ha messo subito a mio agio."

(...)

"Avevo portato con me un meccanico che fu presentato a Roosevelt al nostro arrivo. Non parlò mai al presidente e Roosevelt sentì il suo nome solo una volta. Era un tipo timido e si tenne sempre in disparte. Ma prima di lasciarci, il presidente cercò il meccanico, gli strinse la mano, lo chiamò per nome e lo ringraziò di essere venuto a Washington."

(...)

"Napoleone III, imperatore di Francia e nipote del grande Napoleone, si vantava di sapere i nomi di tutte le persone che aveva incontrato nella sua vita. La sua tecnica era semplice: se non capiva bene il nome diceva - Mi spiace, non sono riuscito a sentire bene - e se si trattava di un nome poco comune, si informava - Come si scrive? - 
Durante la conversazione si prendeva la briga di ripetere il nome parecchie volte e cercava di associarlo nella mente alla faccia della persona.
Se questa era importante, Napoleone III, appena restava solo, scriveva il nome su un pezzo di carta, lo guardava, si concentrava, lo fissava nella mente e poi strappava il foglio. In questo modo gli restava anche un'impressione visiva del nome."

(...)

"Sono cose che richiedono un po' di tempo ma, diceva Emerson, le buone maniere sono fatte di piccoli sacrifici."

(...)

"Ken Nottingham, impiegato alla General Motors dell'Indiana, era solito pranzare alla mensa aziendale. Notò che l'inserviente aveva sempre il muso lungo - Stava preparando sandwich da due ore e io ero solo un altro sandwich per lei."

(...)

"Il giorno dopo stesso andazzo: stessa donna, stesso muso. La sola differenza fu che notai il suo nome sulla targhetta sul grembiule. Sorrisi e dissi - Salve Eunice! - Poi chiesi quello che volevo. 
Beh, si dimenticò la grammatura standard del prosciutto e abbondò, mi diede tre foglie di lattuga anziché una sola e un mucchio di patatine che non stavano nel piatto."

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venerdì 25 febbraio 2011

Criticare e sgridare o spiegare e correggere?

Sto leggendo un libro di Dale Carnegie e vorrei condividere con voi alcune sue riflessioni:

"...novantanove volte su cento la gente non accetta critiche sul proprio modo di comportarsi, per quanto sbagliato possa essere."

(...)

"La critica è inutile perché pone le persone sulla difensiva e le induce immediatamente a cercare una giustificazione. E' pericolosa perché ferisce l'orgoglio della gente, la fa sentire impotente e suscita risentimento."

(...) 

"B.F. Skinner, lo psicologo famoso in tutto il mondo, provò con  i suoi esperimenti che un animale ricompensato perché si comporta bene impara molto più velocemente di uno punito perché sbaglia.
Studi successivi hanno dimostrato che lo stesso principio si applica agli esseri umani. Con la critica non solo non si riesce a correggere gli errori della gente, ma si suscita risentimento."

(...) 

"Hans Selye, un altro grande psicologo, ha detto che siamo tanto smaniosi di approvazione quanto timorosi di critiche."

(...) 

"Il risentimento per le critiche ricevute può demoralizzare i dipendenti, i familiari, gli amici senza contribuire in alcun modo a migliorare la situazione."

(...) 

"George B. Johnston di Enid, Oklahoma, è il responsabile della sicurezza in una società di ingegneria. Tra i suoi compiti c'è quello di controllare che i dipendenti indossino il casco quando lavorano in cantiere.
Johnston fa notare che, ogniqualvolta si avvicinava a un lavoratore che non portava il casco e gli ricordava il regolamento intimandogli di attenervisi, l'unico risultato era un'astiosa obbedienza; spesso, però, dopo che lui se n'era andato, il lavoratore tornava a togliersi il casco. 
Allora decise ddi cambiare sistema. Quando trovò di nuovo dei dipendenti a testa nuda chiese loro se il casco era scomodo o di misura sbagliata, poi ricordò amichevolmente che il casco era progettato per proteggerli da eventuali danni e suggerì loro di tenerlo sempre durante il lavoro.
Il risultato fu un accresciuto rispetto del regolamento, senza risentimenti di sorta."

Cosa ne pensate? Nella veste di professionisti della Qualità seguite questo metodo o ne preferite altri più rigidi?

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giovedì 24 febbraio 2011

Promozioni a caso?

Sull'ultimo numero di Business People ho letto che c’è una teoria manageriale secondo la quale se in azienda si promuove senza motivo i risultati migliorano. E ha anche vinto un premio!
Ecco come funziona e chi l’ha già sperimentata con successo.

Tre giovani ricercatori dell’Università di Catania con questa teoria si sono aggiudicati il premio Ig-Nobel, la parodia seria del Nobel, un riconoscimento ricevuto nel settembre scorso all’Università di Harvard davanti a una giuria di scienziati di fama internazionale pronti a incoronare ricerche che prima fanno ridere e poi fanno pensare.

In effetti, non appena si legge il titolo dello studio dei tre giovani, la risata scappa inevitabilmente: “Come migliorare i risultati di un’azienda? Distribuendo promozioni assolutamente a caso, anziché per merito, competenze e conoscenze”.

Dopo la risata, la sentenza: “E’ impossibile”.

Eppure loro sostengono il contrario, citando aziende che hanno messo in pratica la loro tesi e docenti universitari che la insegnano.

Una ricerca tesa a dimostrare l’efficacia del caso nelle aziende, non poteva che iniziare per caso e cioè leggendo una ristampa del saggio di Laurence Peter (psicologo canadese) del 1969 che spiega che: “un qualsiasi membro di un’organizzazione gerarchica scalerà la gerarchia fino a raggiungere un livello in cui la sua competenza è minima”.
Questo singolare effetto perverso nasce dal fatto che quando si è promossi spesso si cambia tipologia di mansioni, mansioni rispetto alle quali non sempre il neopromosso mantiene la competenza che aveva al livello precedente. 
Dunque costui scalerà la gerarchia finché continuerà ad essere competente anche ai livelli successivi, ma si fermerà quando avrà raggiunto un livello in cui la sua competenza sarà così bassa da non consentirgli di aspirare ad ulteriori promozioni.

Il concetto è semplice: se si sposta qualcuno perché se lo merita, significa che sta facendo bene il suo lavoro, cosa che non è affatto detto possa continuare a fare nel nuovo posto assegnatogli con la promozione. In più, chi prenderà il posto del dipendente premiato sarà sicuramente meno bravo di lui in quella mansione. Morale della favola? L’efficienza complessiva dell’organizzazione ne risentirà in maniera negativa.

A questo punto la domanda sorge spontanea: perché il metodo “a caso” dovrebbe essere più efficace di quello per merito? Semplice, rispondono i nostri tre ricercatori: se invece di spostare di livello il membro più competente lo si lascia al proprio posto, magari incentivandolo in altro modo (ad esempio con un aumento di stipendio) e si promuove al livello successivo un membro a caso (meno competente del primo al vecchio livello ma con le stesse chance del suo collega di essere competente al nuovo livello), si guadagna su due fronti giustificando così l’incremento complessivo di efficienza dell’organizzazione.

La tesi, nell’Italia della meritocrazia a parole e delle parentele ed amicizie nei fatti, è stata accolta con scetticismo e diffidenza mentre ha avuto una grossa eco nel mondo anglosassone.
Voi cosa ne pensate?

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mercoledì 23 febbraio 2011

Il miglioramento della Qualità

Il concetto di miglioramento nel campo della Qualità nasce e ha il suo fondamento nella cultura giapponese e nell'approccio che i giapponesi hanno nel gestire la Qualità nella loro quotidianità.

Il miglioramento ha seguito, come è logico che sia, diversi stadi di sviluppo partendo dall'ispezione eseguita sul prodotto al termine del ciclo produttivo fino ad arrivare allo sviluppo di un nuovo prodotto seguendo tutte le prescrizioni del controllo di processo.

La via giapponese al miglioramento è stata descritta soprattutto da tre grandi autori: Ishikawa (nel 1985), Sullivan (nel 1986) e Yoshizawa (nel 1987).
Anche oggi, però, a distanza di così tanti anni, molte organizzazioni non paiono aver compreso fino in fondo il valore reale di questa filosofia giapponese ed ecco perché delegano questo complicato processo a chi si occupa di Qualità come se fosse un compito solo dei Quality manger.

Forse bisognerebbe soffermarsi per un attimo a pensare che si fa Qualità in ogni aspetto della nostra vita e che proprio l'aspetto più umano del miglioramento è il più difficile e richiede un grande impegno, una profonda formazione e un grande lavoro su noi stessi.

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martedì 22 febbraio 2011

L'intelligenza di un gruppo

Come un individuo, anche un gruppo ha una sua intelligenza, ovvero una caratteristica abilità nello svolgere compiti collaborativi.
Lo spiega su Science Anita Woolley, della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, che dimostra però un fatto sorprendente: l'intelligenza collettiva dipende poco dalla genialità dei singoli membri e molto di più dalla loro abilità nel collaborare (l'articolo di riferimento si intitola "Evidence for a Collective Intelligence Factor in the Performance of Human Groups" ma potete leggerlo solo se siete abbonati).

Nel primo test, 120 persone riunite in gruppi di tre hanno svolto compiti che spaziavano dal brainstorming sugli usi di un oggetto ai classici test di intelligenza svolti in gruppo, all'organizzarsi per condividere un'auto.
Ciascun gruppo mostrava un'abilità caratteristica nei vari compiti che restava simile passando dall'uno all'altro: chi se la cavava bene in un compito mostrava buone prestazioni anche negli altri.

Questo ha confermato che esiste un'intelligenza di gruppo che però non mostra relazioni né con l'intelligenza media dei singoli membri né con quella del più dotato.

Per capire da che cosa dipendono le prestazioni collettive, Wolley ha condotto un test più ampio, su 580 persone divise in gruppi da 2 a 5 membri, e impegnate in una gamma più articolata di compiti e misure d'intelligenza individuale.
In questo caso le intelligenze dei singoli mostravano una debole infleunza sul gruppo ma i fattori decisivi erano altri: la capacità di parlare a turno, la sensibilità sociale, l'attenzione nell'ascoltarrsi e - forse tramite questi elementi - la proporzione di donne.

Quanti spunti per la Qualità, vero amici?

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lunedì 21 febbraio 2011

Colloqui di lavoro: le risposte vincenti (4)

Cosa si aspetta l'esaminatore?

In un colloquio, ognuna delle due parti in gioco si aspetta di ottenere qualcosa. Nei giorni scorsi abbiamo visto come vuole ottenere il candidato ma è importante anche capire a cosa miri il cacciatore di teste.
Scopriamolo insieme:

La prima cosa che il vostro intervistatore vorrà sapere è se siete esperti e competenti per quanto concerne l'area di interesse.
E' ovvio che se la vostra formazione e la vostra esperienza lavorativa non fossero state in linea con ciò che l'esaminatore sta cercando non sareste nemmeno arrivati al colloquio ma durante la chiacchierata a tu per tu il cacciatore di teste cercherà di capire se tutto ciò che sapete (e che siete) si adatterà all'organizzazione che cerca la figura per la quale vi siete candidati.

La seconda cosa che dovrà venire fuori dal colloquio è la vostra motivazione perché potreste essere le persone più adatte al mondo a ricoprire un certo incarico ma se non avete davvero voglia di farlo non renderete al meglio. 
Ad esempio: siete motivati ad apprendere cose nuove e a sviluppare nuove competenze o vi considerate già arrivati?

Terza cosa importante che dovrà emergere dal lavoro di un buon intervistatore: sapete lavorare con gli altri e rispettare le regole che l'ambiente di lavoro vi impone o siete un battitore libero?

Nel caso in cui si assuma una figura manageriale, poi, si verificherà anche la vostra capacità di calarvi nei panni di un problem solver. Come ve la cavate a gestire situazioni fuori dall'ordinaria amministrazione? Sapete distinguere tra le situazioni dove occorre improvvisare e quelle in cui bisogna seguire le regole e le procedure? Sapete gestire in fretta una situazione imprevista facendo un'analisi dei dati in vostro possesso e prendendo la giusta decisione?

Ultima cosa ma fondamentale: volete davvero questo lavoro o lo considerate solamente una tappa per crescere professionalmente e per aumentare il vostro stipendio? Vi stuferete di lavorare in quella zona geografica o in un certo tipo di ambiente?

Ecco: mentre voi darete le vostre risposte, chi sta davanti a voi cercherà di sondarvi nel profondo per capire cosa si cela dietro la maschera del candidato perfetto. Non dimenticatelo!




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venerdì 18 febbraio 2011

Colloqui di lavoro: le risposte vincenti (3)

Preparatevi al meglio al colloquio di lavoro

Fate una lista dei punti forti per la posizione alla quale aspirate. Quali qualifiche, competenze, esperienza, conoscenza di fondo e tratti della personalità possedete che potrebbero essere adatti a questo particolare lavoro? Scrivetele e cercate di inserirli nelle risposte che darete.

Mettendovi nei panni del cacciatore di teste, cercate poi di individuare quali domande fareste per trovare la persona più adatta a svolgere quel  lavoro. A questo punto, sviluppate due liste di domande e risposte: la prima sarà generica e adatta a qualunque colloquio di lavoro mentre la seconda, sviluppata leggendo attentamente l’annuncio, si baserà sulle possibili domande per una posizione specifica. 

Ad esempio, se l'annuncio dice che si cerca qualcuno con "forti competenze di customer service", assicuratevi di includere in almeno una risposta la frase "innata capacità di servizio al cliente".
Ricordate che durante un colloquio dovete “vendervi” e che il modo migliore per vendere qualcosa è creare un racconto che supporti il prodotto in vendita (voi).  

Per quanto possibile, dunque, rispondete alle domande del cacciatore di teste con un breve racconto che dia esempi specifici delle vostre esperienze. 

Per farvi capire quanto il racconto sia importante, immaginate due persone ad un colloquio di lavoro per un posto di toelettatore di cani. "Ha mai affrontato cani aggressivi?", chiede l’esaminatore. "Sì, circa un cane ogni 10 ha tendenze aggressive", risponde Corrado.
Luca, invece, risponde così: "Oh, sì, molto spesso. Ricordo di una situazione in cui un cliente ha portato in negozio il suo pitbull, Attila. Ha iniziato a ringhiare e mi ha subito fatto capire che non aveva nessuna intenzione di farmi avvicinare. Penso che mi avrebbe strappato un braccio se con lui non avessi usato la mia autorità". 

Voi a chi dareste il posto?

Infine, ricordate che le domande che vi verranno poste durante un colloquio riguardano per forza di cose il passato ma mirano a capire cosa potete fare nel presente. Tenetelo sempre presente e parlate dei vostri successi spiegando che sono pertinenti col lavoro specifico per cui state sostenendo l’intervista.

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giovedì 17 febbraio 2011

Colloqui di lavoro: le risposte vincenti (2)

Seconda parte della nostra discussione su come gestire al meglio i colloqui di lavoro.

Come rispondere alle domande

Prima di tutto dovete sapere alcune cose:

Non vi è alcun modo di prevedere tutte le domande che vi verranno fatte ad un colloquio di lavoro.
In altre parole, aspettatevi di ricevere alcune domande che non avete previsto, indipendentemente da quanto avete lavorato su questa cosa.

Proprio per questo motivo, dunque, è fondamentale preparare al meglio le risposte più prevedibili e scontate.

Stilate una lista di domande che potrebbero farvi al colloquio e cercate la risposta più adatta nei luoghi migliori come, ad esempio, forum dedicati, libri, siti Internet specifici o guide sull’argomento.
Attenzione, però, non utilizzare le risposte campione parola per parola! I cacciatori di teste non sono stupidi e leggono regolarmente le risorse che trattano di colloqui di lavoro, domande e risposte quindi intuiscono ad un chilometro di distanza se una risposta è farina del vostro sacco o se l’avete copiata da un forum del settore.

Dunque, la parole d’ordine del perfetto candidato sarà personalizzare ogni risposta tramite le proprie esperienze e filtrarla in base alla propria personalità e allo stile che ci contraddistingue. Questo è fondamentale e vi darà un grande vantaggio rispetto ai candidati che si limiteranno a recitare risposte tutte identiche tra loro

E’ importante anche dire che le domande che vi verranno fatte durante il colloquio non sono qualcosa da temere ma un’occasione per eccellere. Vi consentono di mostrare perché siete la persona più adatta per un certo lavoro, quindi non temetele ma andatene a caccia! Il segreto è semplicemente quello di dare risposte migliori di altri, ed è qui che entra in gioco la vostra preparazione


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mercoledì 16 febbraio 2011

Colloqui di lavoro: le risposte vincenti

I professionisti che si occupano di Risorse Umane, i selezionatori e i cacciatori di teste che possono avviare o pregiudicare una carriera concordano su una cosa: il modo migliore per prepararsi ad un colloquio di lavoro è quello di anticipare le domande e di sviluppare le risposte migliori, facendo tanta pratica.

Prepararsi una lista di possibili domande e pensare in anticipo alle migliori risposte da dare può essere estremamente utile e può significare fare la differenza tra ottenere un lavoro e ricevere una lettera che ci dice che è stato preferito un altro candidato.


Del resto, anche se è una battuta vecchia, è utile ricordare che non viene quasi mai assunta la persona più qualificata ma quella che sa gestire al meglio il colloquio.
E cosa significa "saper gestire il colloquio"? Diverse cose:

1) convincere l'esaminatore che siamo adatti al lavoro per il quale ci stiamo candidando
2) convincerlo che siamo anche adatti a lavorare nell'organizzazione che lui ha in mente
3) cercare di piacergli sia a livello professionale che a livello personale
4) ricavare le informazioni necessarie per capire se il lavoro ci interessa


Da domani, per qualche giorno, vedremo come fare tutto questo passo dopo passo. Non mancate! ;o)

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martedì 15 febbraio 2011

La confidenzialità va sempre bene?

Il vostro ruolo di professionisti della Qualità vi spingerà, spesso, a raccogliere confidenze da parte dei vostri colleghi o collaboratori. La cosa è davvero fantastica perché vi aiuta a cogliere al meglio certi aspetti di una vicenda e vi offre la possibilità di accedere ad informazioni che non potreste conoscere in altro modo.

Tutto positivo, dunque? Nemmeno per sogno!

Molti responsabili sono lieti di offrire ai collaboratori la propria disponibilità nel raccogliere confidenze dietro la promessa di non rivelarle a nessuno. Il problema, però, è che il ruolo che ricoprono impone loro di non poter garantire il rispetto di questa promessa in casi di particolare gravità.

Ecco, dunque, come potrebbe essere gestita al meglio la situazione: "Paolo, ti ringrazio molto per aver deciso di rivolgerti a me per dirmi cose che non hai riferito a nessuno in azienda ma devo farti presente che non posso assolutamente garantirti la confidenzialità in questi casi:
1) se si tratta di una vicenda di razzismo o discriminazione
2) se si parla di possibili azioni violente
3) se si evidenzia un conflitto di interessi con la compagnia"

Ovviamente sarete voi a personalizzare i casi in cui non potrete garantire il vostro silenzio. La cosa importante, però, è spiegare al vostro collaboratore che non ve ne state lavando le mani ma che vicende così gravi non possono essere taciute.

Ricordate che, se ci sono violazioni di legge e se voi ne siete a conoscenza, avete l'obbligo di renderle note. Informare preventivamente il collaboratore su come procederete non farà che rafforzare la sua fiducia in voi perché potrà apprezzare da subito la vostra onestà e non si sentirà tradito.

Potreste, poi, portare la persona a rilevarvi ciò che sa promettendole (e mantenendo la promessa, è ovvio!) di starle accanto nel difficile percorso che l'attenderà dopo questa rivelazione e offrendole tutto il vostro supporto. Sarebbe anche opportuno illustrarle a grandi linee cosa succederà dopo che avrete raccolto la sua confidenza.

Siete d'accordo? Voi come avete reagito o come reagireste in situazioni simili?

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lunedì 14 febbraio 2011

Gli elementi della cultura aziendale

Vi siete mai chiesti quali siano gli elementi che contribuiscono a formare la cultura di un'organizzazione e, in particolare, della vostra?

Esaminiamoli uno ad uno:

L'eroe - Ogni cultura legata ad un popolo ha un proprio eroe. Per le organizzazioni è la stessa cosa: pensate a GE e non potrete non ricordare Jack Welch. Gli eroi sono coloro che accentrano sulla loro figura le storie dell'azienda. Chi è l'eroe nella realtà dove lavorate? Come contribuisce a crearne la cultura?

I miti - Sono le storie che ci vengono raccontate non appena varchiamo la soglia dell'azienda, quelle che prendono vita davanti alla macchina del caffé e che vengono narrate in ogni occasione informale. Ascoltate con attenzione queste narrazioni e cercate di capire quale cultura contribuiscono a creare all'interno della vostra azienda

I rituali - Anche le organizzazioni hanno dei riti, delle abitudini che si trascinano sempre uguali a loro stesse e che rappresentano, forse meglio di altri elementi, la cultura del posto. Volete esaminare queste abitudini da una prospettiva privilegiata? Provate a dare un'occhiata a come si svolgono le riunioni nella vostra azienda. Chi arriva sempre in anticipo? E chi, invece, è perennemente in ritardo? Chi partecipa? Chi si impone? Come si chiude la riunione? Come ci si veste per parteciparvi?

Organizzazione formale e organizzazione informale - Ogni organizzazione ha una serie di regole scritte. Possono essere le policy, le comunicazioni della Direzione, i cartelli appesi in giro per l'azienda, le raccomandazioni che vengono fatte in ogni occasione...
Provate a rileggerle anche se le conoscete bene e poi chiedetevi, nella realtà di tutti i giorni, in cosa il comportamento delle persone si differenzia da quanto richiesto nel testo che avete riletto.

E adesso avete voglia di raccontarci qualcosa sulla cultura del posto dove lavorate?


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venerdì 11 febbraio 2011

Qualità: le sue dimensioni

Quali sono le dimensioni della Qualità? E come cambiano se parliamo di prodotti tangibili o di servizi?

Prodotti

- CARATTERISTICHE PRIMARIE: le caratteristiche primarie di un prodotto sono quelle che lo contraddistinguono come, ad esempio, la brillantezza di una fotografia
- CARATTERISTICHE SECONDARIE: le caratteristiche secondarie vanno a completare l'offerta primaria. Ad esempio in uno stereo il telecomando è una caratteristica secondaria perché quella primaria è che faccia ascoltare bene la musica
- AFFIDABILITA': la probabilità che ha un prodotto di sopravvivere per un certo periodo a determinate condizioni
- CONFORMITA': il livello di corrispondenza con le aspettative per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto
- DURATA: l'ammontare di tempo in cui si può utilizzare il prodotto senza che sia deteriorato o convenga sostituirlo
- MANUTENIBILITA': la facilità di eseguire una manutenzione sul prodotto
- SERVIZIO CLIENTE: la facilità di interloquire con il servizio clienti del fornitore, la gentilezza e la competenza degli addetti
- ESTETICA: come appare un prodotto
- QUALITA' PERCEPITA: valutazione soggettiva del prodotto determinata anche dall'impatto pubblicitario  dal marchio

Servizi

- TEMPO: quanto tempo deve aspettare un cliente per avere accesso al servizio?
- PUNTUALITA': il servizio viene fornito entro la data stabilita?
- COMPLETEZZA: il servizio erogato contiene tutti gli elementi pattuiti?
- CORTESIA: il personale del fornitore è stato cortese?
- COSTANZA DEL SERVIZIO: il servizio viene erogato nello stesso modo a tutti i clienti e in ogni momento?
- MANUTENIBILITA': la facilità di eseguire una manutenzione sul prodotto
- ACCESSIBILITA': il servizio è facile da ottenere?
- CAPACITA' DI RISPOSTA: il personale del fornitore è in grado di rispondere prontamente anche alle richieste impreviste?

Vi vengono in mente altre caratteristiche che possano definire la Qualità dei prodotti e dei servizi?

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giovedì 10 febbraio 2011

Le tipologie di clienti

I clienti non sono tutti uguali. A grandi linee, si possono dividere in quattro categorie secondo le due variabili della profittabilità e della fedeltà. Vediamo come.

1) Profitto alto e fedeltà alta: è la situazione ideale anche se utopistica. In questo caso non dovremo fare altro che trattene i clienti

2) Profitto basso e fedeltà alta: in questo caso occorre fare degli investimenti per aumentare il profitto

3) Profitto alto e fedeltà bassa: bisogna lavorare sulle relazioni per capire meglio le esigenze della clientela

4) Profitto basso e fedeltà bassa: sono clienti che è meglio perdere che trovare. Mantenerli è una scelta dell'azienda e dipende dalla sua situazione economica.

Avete voglia di aggiungere qualche considerazione?

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mercoledì 9 febbraio 2011

Migliorare la nostra memoria

Lo sapete che il nostro cervello ha una capacità di concentrazione che è inferiore ai quaranta minuti? Quando proviamo a rimanere concentrati per un tempo maggiore, infatti, ci accorgiamo che facciamo una grande fatica e che otteniamo risultati modesti.

Il metodo migliore per migliorare la nostra memoria, dunque, è non pretendere troppo dal nostro cervello e non sfidare i suoi limiti fisici. Fermarci per qualche minuto ogni sessione di apprendimento lunga quaranta minuti  aumenterà  sensibilmente  le  nostre possibilità di ricordare ciò che stiamo imparando,  riducendo  il  tempo totale necessario per apprendere nuove informazioni.

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martedì 8 febbraio 2011

Tirare fuori il meglio dalle persone

Dopo aver visto ieri come si fa a tirare fuori il peggio dai collaboratori, oggi esamineremo come stimolare comportamenti positivi.


1 - Attrarre talenti
Le persone con talento possono arricchire un ambiente di lavoro. Cercate di portarle a lavorare per voi e, una volta che ci sarete riusciti, sfruttatene al massimo le potenzialità e, soprattutto, non fatevele scappare. Ricordate che quando si cresce, si cresce tutti!


2 - Creare un ambiente di lavoro piacevole
Un ambiente sereno e rilassato porta le persone a tirare fuori il meglio e a condividerlo con gli altri per stimolare la crescita dell'organizzazione. Non contate le pause caffé dei vostri collaboratori, non impedite loro di passare qualche minuto su internet o di scambiare due chiacchiere col vicino ma sfidateli a creare occasioni di miglioramento e stimolateli a sfruttare ogni situazione a vantaggio dell'azienda. Sono queste le cose che pagano davvero, non i minuti in più passati alla scrivania.


3 - Creare nuove sfide
Il bravo motivatore saprà sempre quando è il momento giusto per mettere sul tavolo nuove sfide e per costringere i collaboratori a superare i propri limiti.
Attenzione però. Questo non significa stressarli ma semplicemente aiutarli a crescere e a far crescere l'organizzazione che si avvale del loro contributo.


4 - Stimolare il dibattito
Prendere decisioni solo dopo aver ascoltato il parere di tutti coloro che possono aiutarci a chiarire la situazione da valutare è il modo migliore per non sbagliare e per creare una comunione di intenti e un'unità di obiettivi.


5 - Far crescere le persone

Solo investendo negli altri potrete ricavare risultati eccellenti nella vostra organizzazione. I talenti vanno coltivati e le capacità devono essere fatte crescere. Non abbiate paura di formare i vostri collaboratori. Saranno loro che vi aiuteranno a migliorare su base contrinua.




Volete aggiungere qualcosa a questo elenco di comportamenti virtuosi?

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lunedì 7 febbraio 2011

Tirare fuori il peggio dalle persone

Vi siete mai accorti che ci sono alcuni responsabili che riescono a tirare fuori il peggio dai collaboratori? Come fanno? Quali errori commettono? E' presto detto. Proviamo ad esaminare insieme come sia possibile ottenere il minimo indispensabile dalle persone. Ovviamente voi non fatelo!

1 - Accumulare risorse
Chi accumula risorse spesso le utilizza ben al di sotto di quanto potrebbe. Il discorso vale anche per le persone. Quanti collaboratori non vengono sfruttati per ciò che potrebbero effettivamente fare seguendo la loro indole e sfruttando la passione che hanno e le conoscenze che hanno maturato?


2 - Creare un ambiente pieno di tensione
Un ambiente dove non si lavori in maniera serena contribuisce solo a creare litigi, invidie e gruppi privi di coesione dove le persone non riescono a collaborare. Far lavorare i collaboratori in questo modo è il sistema migliore per tirare fuori solo il peggio da loro.

3 - So tutto io
Mostrare che sappiamo tutto e non lasciare spazio agli altri perché esprimano le proprie opinioni è un sistema infallibile per castrare tutti i possibili suggerimenti. Volete sbagliare da soli? Ecco, questo è il modo migliore per riuscirci!


4 - Il decision-maker
Accentrare le decisioni senza discuterle e poi imporle ai collaboratori può funzionare per farsi ubbidire ma difficilmente farà in modo che vi ritroviate circondati da coollaboratori. Piuttosto vi ritroverete intorno dei semplici esecutori, ben felici di vedervi sbagliare.

Quali altri comportamenti, a vostro giudizio, tirano fuori il peggio dalle persone?
Appuntamento a domani per passare in rassegna i comportamenti positivi.

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venerdì 4 febbraio 2011

Creare le giuste aspettative

Chi, tra noi, ha avuto la fortuna di avviare dal principio un progetto per lo sviluppo di un Sistema Qualità all'interno di un'organizzazione si sarà trovato a dover gestire le aspettative delle persone e si sarà reso conto che questa è, forse, la parte più difficile di tutto il lavoro.

Quando una serie di metodologie, idee e strumenti entrano prepotentemente in ambiente, la cultura delle persone che vi lavorano crea inevitabilmente alcune aspettative in merito all'implementazione dell'intero progetto e sta a noi professionisti della materia (oltre che alla Direzione) assicurarci che queste aspettative siano realistiche.

Ecco, dunque, 4 punti da tenere monitorati per accertarci che le aspettative siano allineate con gli obiettivi che l'organizzazione si è posta e non contribuiscano a creare malcontento tra le persone.

1 - Non stabilire troppi obiettivi
Se mettiamo troppa carne al fuoco, è inevitabile che le persone si sentano confuse e non abbiano le idee chiare su cosa aspettarsi al termine del progetto

2 - Non accompagnare gli obiettivi con un piano per raggiungerli
I proclami non fanno bene a nessuno e creano incredulità e incertezza. Spiegate chiaramente alle persone come avete intenzione di fare e come intendete farlo. Dovrà essere chiaro a tutti chi farà le cose ed entro quando queste cose dovranno essere fatte

3 - Responsabilizzare le persone
Nessuno dovrà aspettarsi che la Qualità venga fatta da voi o dagli altri colleghi. Dovrà essere chiaro a tutti che ognuno avrà una parte fondamentale nell'implementazione di questo progetto.


4 - Stabilire misurazioni e monitoraggi per ogni obiettivo

I vostri colleghi dovranno sapere fin dall'inizio che gli obiettivi verranno monitorati periodicamente e che si verificherà con precise misurazioni il loro sviluppo nel tempo.

Cosa aggiungereste a questa lista?

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giovedì 3 febbraio 2011

Hai un problema etico al lavoro?

Qualche tempo fa ho letto un articolo interessante sui problemi a livello etico che, nella veste di lavoratori, possiamo avere nei confronti di colleghi o superiori. Chi di noi, del resto, non si è mai trovato in questa situazione? A me è capitato e a voi?

Vediamo insieme come affrontare il problema e come muoverci facendo il punto della situazione.


Le domande da farsi per affrontare una questione etica

Qualunque sia il problema che dovete affrontare, se si tratta di etica sarà meglio farsi queste domande:

1) qual è esattamente il conflitto che sto affrontando e qual è la mia posizione al riguardo?
2) cosa c'è esattamente in ballo per ognuna delle parti interessate?
3) quali sono le argomentazioni che hai intenzione di utilizzare?
4) possiedi tutte le informazioni che ti servono per dibattere adeguatamente sull'argomento?
5) a chi hai intenzione di rivolgerti? E' la persona giusta?
6) quando ti sei accorto del problema? Perché è sorto?
7) qual è il momento migliore per parlare di questa cosa?
8) c'è qualche alleato che potrebbe darti una mano?
9) è meglio affrontare l'argomento in privato o pubblicamente?
10) quale stile di comunicazione andrebbe meglio per gestire la situazione?

Come potete vedere, queste domande servono per chiarirvi un po' le idee e per affrontare la vostra battaglia con maggiore lucidità e, perché no, con qualche alleato che possa supportarla.
Aggiungereste qualcosa a questa lista?

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mercoledì 2 febbraio 2011

Perché si persiste nell'errore

Sto leggendo alcuni scritti molto interessanti di  Robert Cialdini e mi sono soffermata sul concetto di corenza personale, facendo qualche ragionamento sul perché le persone spesso persistano nei loro errori.

Vi riporto il brano che mi ha indotto a fare queste riflessioni, sperando di stimolare un dibattito sull'argomento.


"E' certo che la coerenza personale è molto apprezzata nella nostra cultura, e a buon diritto, visto che ci permette di muoverci in maniera ragionevole e produttiva: per lo più ce la caviamo meglio quando affrontiamo le cose armati di coerenza; in caso contrario siamo esposti a tutti i colpi di vento.

Ma proprio per tutti questi vantaggi generali, è facile cadere nell'abitudine di mantenere la coerenza in maniera automatica, anche in situazioni dove sarebbe bene non farlo.
Quando agisce in modo inconsulto, può essere un meccanismo disastroso. Ciononostante, anche una coerenza alla cieca ha i suoi lati positivi.

Prima di tutto, come quasi tutte le altre forme di risposta automatica, è una scorciatoia attraverso le complicazioni della vita moderna. Una volta deciso l'argomento, attenersi caparbiamente alla decisione presa ci risparmia la fatica di doverci pensare ancora: non c'è più bisogno di setacciare il nugolo di informazioni che ci assale ogni giorno per individuare quei pochi fatti che contano, non c'è più bisogno di investire energie mentali per soppesare i pro e i contro, non sono più richieste decisioni drastiche.

La prossima volta che ci troveremo davanti a quell'argomento, ci basterà inserire il nostro programma automatico di coerenza e subito sapremo esattamente cosa credere, dire o fare: non dovremo far altro che credere, fare o dire quello che corrisponde alla decisione già presa.

L'attrattiva di un simile dispositivo non è da sottovalutare, in quanto ci offre un metodo comodo, efficace e relativamente agevole per fare i conti con le complicazioni quotidiane di un ambiente che pretende molto dalle nostre energie e capacità mentali.
Si capisce allora perché la tendenza automatica ad essere coerenti sia una raezione tanto difficile da bloccare.

Ci consente di sfuggire alla dura prigionia di un pensiero sempre vigile. Come notava Sir Joshua Reynolds:  non c'è nessun espediente cui un uomo non ricorra per evitare la fatica autentica di pensare.

Col programma automatico di coerenza in funzione, possiamo occuparci tranquillamente delle nostre faccende, felicemente esentati dallo sforzo di dover pensare troppo.

Ma il meccanismo ha anche un'altra più perversa attrattiva. A volte non è la fatica a farci evitare un duro impegno cognitivo quanto le conseguenze spiacevoli che questo comporterebbe.
A volte sono proprio le risposte terribilmente chiare e sgradevoli che può darci il pensiero schietto a consigliarci di non pensare troppo: ci sono delle cose disturbanti di cui preferiamo non renderci conto.

Proprio per il suo automatismo, la coerenza può essere un comodo rifugio per sfuggire a queste fastidiose consapevolezze.
Asserragliati tra le solide mura di una rigida coerenza, possiamo stare al sicuro dagli assedi della ragione."

Cosa ne pensate? Potrebbe essere questo il motivo per cui le persone spesso rifiutano le motivazioni logiche pur di non smetere di sbagliare e di non cambiare nulla nel loro modo di operare?

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martedì 1 febbraio 2011

Le dimensioni della Qualità

Quali sono le dimension i che definiscono la Qualità se parliamo di servizi e di prodotti?

Vediamole insieme.

Le dimensioni della Qualità dei prodotti

- IMMAGINE: la reputazione del prodotto e dell'azienda
- ESTETICA: l'attrattiva del prodotto per i cinque sensi
- EFFICIENZA FUNZIONALE: velocità, cortesia e competenza
- DURATA: periodo di utilizzabilità del prodotto
- CONFORMITA' ALLA DESCRIZIONE: grado di corrispondenza agli standard prestabiliti
- AFFIDABILITA': bassa probabilità di mancato funzionamento
- ELEMENTI SECONDARI: caratteristiche secondarie del prodotto
- PERFORMANCE: caratteristiche primarie del prodotto base

Le dimensioni della Qualità dei servizi

- FIDUCIA: l'abilità, la conoscenza, la cortesia che comporta la fiducia dei clienti
- AFFIDABILITA': l'abilità di fornire quanto promesso in modo continuativo
- CAPACITA' DI RISPOSTA: la disponibilità ad aiutare il cliente e a fornire con tempestività il servizio
- EMPATIA: la capacità di mettersi nei panni dei clienti
- ASPETTI TANGIBILI: le strutture fisiche, le attrezzature e l'aspetto del personale

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