venerdì 29 agosto 2014

La struttura delle organizzazioni

Le organizzazioni sono costituite da sistemi di relazioni che dirigono e allocano risorse; lo scopo della struttura organizzativa, pertanto, è sviluppare relazioni che svolgano bene queste funzioni.

Ci sono diversi modi possibili in cui queste relazioni possono essere viste.
Il più comune è la relazione di tipo piramidale. In questo caso l'organizzazione è vista come un'entità
costituita da persone che hanno l'autorità per dirigere altre persone. L'organizzazione appare come un triangolo stratificato, con le posizioni più elevate del triangolo che hanno la facoltà di dirigere le posizioni più basse.  
Nelle organizzazioni moderne, l'autorità per impostare la politica e il programma strategico spetta al livello più alto della struttura che, comunque, risulta più appiattita. La linea mediana è composta da personale (middle line) che si preoccupa di implementare la politica e le decisioni strategiche della Direzione calandole in basso nella struttura fino a raggiungere i livelli più operativi. 
Spesso la competenza tecnologica e altro tipo di supporto specifico sono forniti da professionisti che non sono direttamente coinvolti nel lavoro quotidiano dell'azienda.  
Che l'organizzazione sia di vecchio stampo (piramidale) o moderna è sempre guidata da un insieme comune di valori condivisi che formano il credo dell'organizzazione.

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giovedì 28 agosto 2014

Il problema della dipendenza da droghe e il cambiamento nelle organizzazioni (4)

Chiudiamo oggi il lungo discorso che la rivista HBR ha dedicato alle similitudini tra gli sforzi delle associazioni che cercano di aiutare le persone ad uscire dalle dipendenze e le organizzazioni che vogliono implementare qualche cambiamento nel loro modo di lavorare.

L'introspezione continua è fondamentale
 
All'inizio del programma degli Alcolisti Anonimi, i nuovi membri esaminano il loro comportamento passato e iniziano a provare a cambiare.  

Prima di implementare qualsiasi cambiamento, dunque, è importante effettuare una sorta di "riassunto delle puntate precedenti", cosa che torna utilissima anche alle aziende che vogliano cambiare qualcosa

I cambiamenti nella pratica possono rappresentare delle vere e proprie scoperte


Secondo l'esperienza degli AA, una profonda trasformazione quale quella di abbandonare una dipendenza si verifica solamente quando un partecipante si sposta da uno stato emotivo di colpa, vergogna, rimorso e risentimento verso uno più positivo e ottimista.

Ma gli atteggiamernti mentali sono difficili da misurare e le menti sono difficili da cambiare, quindi nel nostro lavoro possiamo concentrarci solamente sui cambiamenti ben identificabili nella pratica.

Vale la pena, dunque, riconoscere le piccole vittorie.
Gli Alcolisti Anonimi non chiede mai ai membri di non bere più perché l'obiettivo potrebbe sembrare irraggiungibile, almeno all'inizioSi chiede loro di non bere per un giorno e si riconoscono come dei grandi traguardi, da premiare con gesti simbolici, trenta giorni di astinenza
Si procede così, un piccolo traguardo dopo l'altro, verso l'astinenza definitiva e il cambiamento completo.

I manager che vogliono avviare un cambiamento serio nelle loro aziende dovrebbero prendere lezioni da queste associazioni e trovare il modo per dimostrare ai dipendenti la loro riconoscenza per i risultati ottenuti.

L'obiettivo deve essere il progresso, non la perfezione.
Il novanta per cento degli alcolisti che prova a disintossicarsi incappa in almeno un episodio di 
recidiva ad un certo punto del suo percorso. Questo non è affatto sorprendente per gli esperti perché chi inizia ad essere nuovamente sobrio viene bombardato da segnali sensoriali che il suo cervello associa alla dipendenza: l'odore di birra o il suono dei bicchieri che tintinnano durante un brindisi


Nelle organizzazioni le cose non vanno poi tanto diversamente perché il cambiamento non segue sempre una linea retta

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mercoledì 27 agosto 2014

Il problema della dipendenza da droghe e il cambiamento nelle organizzazioni (3)

Il terzo punto fondamentale che la rivista HBR sottolinea nel percorso verso il cambiamento è l'importanza di uno "sponsor".

Una persona influente che sostiene il cambiamento è fondamentale

Gli Alcolisti Anonimi affiancano ai nuovi arrivati un membro esperto del gruppo, una sorta di "sponsor" capace di sostenerli nel momento del bisogno.
Una ricerca ha dimostrato che queste relazioni aumentano la capacità di entrambe le parti di rimanere
sobrie


In azienda vale la stessa cosa perché un coach o un mentore è fondamentale per aiutare le persone durante i cambiamenti. Chi deve cambiare adottando comportamenti differenti da quelli ai quali è abituato, infatti, può identificarsi in una persona che stima e che ha già adottato un comportamento diverso e che, per questo motivo, può riuscire a creare una sorta di "contagio" positivo

Poche gerarchie se si vuole cambiare davvero

Una comunità con pochi livelli gerarchici è un catalizzatore del cambiamento. Gli Alcolisti Anonimi, ad esempio, sono famosi per la loro struttura organizzativa in cui i gruppi locali sono auto-diretti. Questa struttura aumenta la fiducia dei membri che si sentono più a loro agio e riescono a costruire  rapporti saldi.
 

Le aziende, ovviamente, avranno sempre bisogno di una gerarchia ma modelli organizzativi tra pari possono avere grande successo se limitati ai progetti di cambiamento.

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martedì 26 agosto 2014

Il problema della dipendenza da droghe e il cambiamento nelle organizzazioni (2)

Di recente, la rivista "Harvard Business Review" ha pubblicato un articolo che ha paragonato chi cerca di allontanare le persone da dipendenze pericolose come la droga o l'alcol e chi deve guidare un cambiamento all'interno di un'organizzazione.

E 'importante sostituire le vecchie abitudini con altre nuove

Molti ex fumatori hanno trovato utile per mantenere il loro proposito di non ricorrere più alla sigaretta masticare gomme. Gli Alcolisti Anonimi servono ai loro assistiti un caffè perché abbiano una bevanda sostitutiva al posto di quella a cui hanno rinunciato.  

Nella gestione del cambiamento, l'obiettivo è quello di sostituire le abitudini negative con altre positive

Uno dei migliori modi per cambiare il comportamento umano è quello di riunire insieme le persone con problemi simili. Questo modo di procedere fu riconosciuto per primo daJoseph Pratt, medico di Boston che organizzò gruppi per i malati di tubercolosi sottolineando come le persone afflitte da questa malattia avessero bisogno di riposo, aria fresca e una corretta alimentazione.
 

I gruppi di persone con problemi simili sono portati a discutere iniziative di cambiamento che possono anche portare a nuove responsabilità, a garantire una certa generosità reciproca, ad avere un atteggiamento privo di pregiudizi e ad aumentare la pressione su coloro che sono più riluttanti a cambiare


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lunedì 25 agosto 2014

Il problema della dipendenza da droghe e il cambiamento nelle organizzazioni

Sull'ultimo numero della versione americana della rivista "Harvard Business Review" ho letto un articolo che ho trovato molto interessante perché confrontava il percorso verso il cambiamento delle organizzazioni con quello degli operatori che cercano di allontanare dalle dipendenze come alcol o droga le persone più fragili.

Al livello più semplice, il confronto si basa sul fatto che le organizzazioni non possano cambiare la loro cultura a meno che i singoli dipendenti non cambino il loro comportamento ma cambiare è
difficile. Molti programmi di change management si concentrano proprio sul fornire strategie e formazione per superare i momenti difficili ma tutto questo spesso non basta.  

Quando si cerca di modificare comportamenti profondamente radicati, si utilizzano incentivi, si organizzano veri e propri eventi per celebrare i progressi fatti, si esercita un coaching costante per portare le persone ad adottare le nuove abitudini e ci si confronta di continuo con modelli sfidanti per migliorarsi



Vediamo, dunque, su quali punti focalizzarci per sostenere il cambiamento all'interno di un'organizzazione.

Nulla accade senza la disponibilità al cambiamento
 

John Kotter, il famoso esperto di gestione del cambiamento, ha scritto che le persone non cambiano nemmeno un minuto prima di essere davvero pronte per farlo. Nel caso di persone afflitte da dipendenza da qualche droga, questo momento si materializza quando si crede di essere davvero caduti troppo in basso per non reagire ma nelle organizzazioni la necessità del cambiamento non può nascere solo da un fallimento

A volte, basta che un leader ammetta di essere vulnerabile e di aver vissuto momenti difficili per
aiutare gli altri a riconoscere la stessa cosa e ad affrontare le debolezze che li affliggono. Se ci pensate, è un po' il principio della condivisione che avviene durante le riunioni degli Alcolisti Anonimi.  

Non è possibile forzare le persone a cambiare, si può solamente aiutarle in questo percorso. Gli operatori che si occupano di dipendenze lo sanno bene mentre pochi manager e leader riconoscono questa semplice verità. 

A domani per il secondo punto da tenere ben presente in un percorso di cambiamento consapevole!

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venerdì 22 agosto 2014

I manager italiani all'estero (2)

Continuiamo a leggere l'articolo pubblicato sulla rivista: "Il Dirigente" che ci parla della vita dei manager italiani all'estero.

(...)

Nello specifico cosa rende altri paesi luoghi migliori e così soddisfacenti per lavorare? L’ampia
maggioranza è molto o abbastanza d’accordo nel riscontrare più meritocrazia generalmente in tutti
gli ambiti (86%), nell’ammettere che è più facile fare carriera per merito e senza avere particolari
conoscenze (79%) e che le conoscenze valgono e si usano in relazione al merito e all’esperienza
delle persone (79%).
Un altro mondo anche per quanto riguarda le donne, che hanno più possibilità di fare carriera perché vige il merito (lo dice il 68%), non sono discriminate (64%) e sono aiutate da più servizi per la famiglia e/o condivisione dei carichi familiari (61%).


(...)

Una netta maggioranza afferma che in Italia oggi non ci sono prospettive a livello economico e sociale per pensare di tornare (83%), l’Italia dovrebbe prendere il paese dove abita oggi come esempio per molti aspetti della vita professionale (77%), l’Italia è un paese corrotto (66%) e ha una pessima immagine all’estero (61%). In questo il giudizio più severo proviene da chi vive in Europa, rispetto a chi sta in America. 

(...)

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giovedì 21 agosto 2014

I manager italiani all'estero

Come si trovano i manager italiani all'estero? Prova a spiegarcelo la rivista: "Il Dirigente".

(...)

Al di là del luogo comune che dipinge le città estere vivibili e green, tecnologiche e ricche di offerte di lavoro, flessibilità, opportunità e meritocrazia, i manager italiani che si trovano in altri paesi effettivamente confermano che lavorare all’estero offre molti vantaggi. 

(...)

Quali manager? Parliamo soprattutto di chi occupa posizioni di general management (40%), marketing, vendite e commerciale (17%), amministrazione, finanza e controllo (12%) e personale (11%); in multinazionali estere (53%), italiane (42%) o in aziende locali del paese che li ospita (5%).
Poco più della metà di loro è all’estero da massimo cinque anni (il 28% da meno di tre), mentre il 19% si è trasferito da oltre dieci anni. Dove per l’esattezza? Principalmente in Europa (55%), a seguire Asia (26%) e America (18%).


Perché partire?
Nella quasi totalità dei casi, i manager sono volutamente andati a lavorare all’estero, spesso cercando loro stessi un’azienda che offrisse quell’opportunità o concordandolo con l’azienda nella quale già erano in Italia. Solo una pallida minoranza (4%) ha subito questa decisione o magari è stata obbligata dall’azienda.
I motivi che li hanno spinti all’estero sono legati al lavoro: possibilità professionali più stimolanti di
quelle presenti in Italia (51%), voglia di un’esperienza internazionale (38%), passaggio obbligato per fare carriera in azienda (24%). C’è anche chi è stato “costretto” dal fatto di non aver trovato opportunità interessanti in Italia (27%) o da motivi personali/familiari (9%). A dispetto di quel che si possa pensare delle cosiddette fughe di cervelli in età universitaria, solo il 5% si trova in un paese straniero perché vi è rimasto dopo essersi trasferito per motivi di studio.


(...)

Pare che di noi vengano apprezzati in particolare passione e impegno nel lavoro, capacità relazionali e creatività. Seguono resistenza e capacità di affrontare situazioni difficili, esperienza e capacità
in settori specifici, spirito imprenditoriale e visione strategica.
Invece risultiamo penalizzati per quanto riguarda la multiculturalità, decretata piuttosto scarsa, l’incapacità di staccarsi dai modelli aziendali/manageriali italiani e l’eccessivo richiamo delle radici.
Quindi per fare carriera in terra straniera gli intervistati suggeriscono apertura al cambiamento
(72%), spirito di adattamento (71%) e voglia di mettersi in gioco (51%). Poi anche intraprendenza,
umiltà e visione.


In effetti queste risposte rispecchiano un punto successivo dello studio che denota come la capacità
della classe manageriale italiana (chi oggi vive e lavora in patria) di muoversi in ambito internazionale è scarsa. Gli intervistati all’estero criticano nei loro colleghi rimasti qui la poca esperienza e frequentazione dell’estero (lo pensa l’85%), li ritengono impreparati ad affrontare le sfide che arrivano dall’estero (51%) e senza lo standing internazionale necessario per muoversi in un
mondo globale (55%). 


(...)

Domani completeremo la lettura dell'articolo. A presto!

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mercoledì 20 agosto 2014

Perché il team building è importante (3)

Le organizzazioni si trovano spesso davanti alcune sfide per affrontare le quali lo strumento del team sembra essere la migliore soluzione.
 
Questo è particolarmente vero se proviamo a riflettere sul fatto che un gruppo di lavoro non è semplicemente un insieme di persone che lavorano insieme dato che esse non vengono giudicate in base alle loro prestazioni individuali ma sulla base del lavoro collettivo che riescono a svolgere insieme.

 
Una team vincente è costituito da un piccolo insieme di persone con competenze complementari una all'altra e che sono impegnate nel raggiungimento di un obiettivo comune per il quale si ritengono
reciprocamente responsabili. 
Nessun individuo, in particolare, dovrebbe venire ritenuto responsabile di un successo o di un insuccesso della squadra perché nessuno agisce da solo.  


Il lavoro di squadra si incoraggia ascoltando gli altri, rispondendo in modo costruttivo alle opinioni altrui, fornendo supporto a chi ne ha bisogno e riconoscendo le competenze e i risultati degli altri.
 

Affinché un gruppo funzioni bene occorre che venga gestito da un bravo leader capace di:
  • comporre il gruppo di lavoro in maniera equilibrata;
  • organizzare la squadre tenendo ben presente l'obiettivo del team;
  • stabilire procedure di lavoro capaci di sviluppare forti legami tra i membri del gruppo;
  • dare al team abbastanza flessibilità per permettergli di lavorare al meglio e di far crescere i singoli membri del gruppo:
  • garantire un ambiente di lavoro sereno

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martedì 19 agosto 2014

Perché il team building è importante (2)

Ieri abbiamo visto come i gruppi di lavoro impieghino del tempo per lavorare al massimo delle loro possibilità. Tra l'altro, è bene ricordare che non è detto che tutti i team riescano ad attraversare tutte le fasi necessarie per essere efficaci dato che molti si fermano alla fase di storming perché le persone sprecano energie a litigare e non trovano un accordo per lavorare insieme.

E' per questo che le organizzazioni avvedute investono così tante risorse in attività di team building
al fine di incoraggiare le persone a interagire tra loro, a sviluppare fiducia una nell'altra e a condividere un forte senso di identità del gruppo al quale appartengono.

 
Ci sono alcuni fattori che sembrano essere essenziali per un lavoro di squadra efficace.
In primo luogo, i membri del team devono essere scelti per le loro capacità e non solo in base alla loro personalità (che è, comunque, importantissima)


Il team ha poi bisogno di partire bene perché impostare fin dall'inizio l'ambiente giusto per lavorare insieme è essenziale

In ultimo, il gruppo non dovrebbe essere troppo rilasciato ma lavorare con una certa pressione perché sembra che i risultati migliori si ottengano proprio quando le persone vengono messe nelle condizioni di dover accettare delle sfide che le costringano ad uscire dalla loro zona di comfort. 
Se possibile, poi, alla squadra dovrebbe essere consentito di godere di alcuni facili successi - almeno all'inizio - per metterla in grado di tarare il proprio modo di lavorare ed aumentare l'autostima di ognuno dei membri del team. 
 

Continueremo il discorso lunedì 18. Non mancate!

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lunedì 18 agosto 2014

Perché il team building è importante

I buoni team richiedono del tempo per svilupparsi al meglio. È raro, infatti, che un gruppo di persone possa incontrarsi e cominciare immediatamente a lavorare insieme al massimo del potenziale. 

Solitamente, i gruppi di lavoro attraversano una serie di fasi prima di ottenere l'efficacia che ci si aspetta da loro.

Bruce Tuckman, un professore americano di psicologia, descrisse queste fasi come:
  • formazione del gruppo (forming): le persone iniziano a conoscersi e si fissano gli obiettivi;
  • scontro (storming): le prime idee differenti vengono a galla e le persone iniziano a misurarsi tra loro. Si tratta di una fase molto delicata che va gestita per tirare fuori il meglio dalla diversità dei componenti del team e non permettere che queste differenze impediscano alle persone di lavorare insieme;
  • assimilazione di regole comuni (norming): si raggiunge un equilibrio nel riconoscimento dei ruoli e si stabiliscono regole, abitudini, comportamenti per lavorare bene insieme;
  • inizio del lavoro efficace (performing): le persone inziano ad acquisire familiarità col lavoro da svolgere e con gli altri membri del gruppo. Le energie dei singoli iniziano ad incanalarsi tutte nella stessa direzione per lavorare in maniera efficace;
  • scioglimento del gruppo (adjourning): il team che ha completato il suo compito viene sciolto

Alla luce di quanto abbiamo detto fino ad ora, domani vedremo insieme perché il team building è così importante per ottenere il massimo dai gruppi di lavoro.

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giovedì 14 agosto 2014

Il cliente vuole sempre di più (4)

Continuiamo la lettura dell'articolo pubblicato sulla rivista: "Il Dirigente" e iniziata ieri.

(...)

Ci sono ancora altri effetti della crisi sulla modalità di rapportarsi al consumo da parte dei cittadini italiani, uno dei quali è il forte cambiamento nel rapporto con il prezzo. È cosa nota che da anni in molti settori merceologici sono presenti proposte low price a cui il consumatore associa una qualità assolutamente accettabile, se non persino comparabile, con quella delle proposte di prezzo superiore. Da molti anni, infatti, la linearità del rapporto qualità-prezzo si è rotta nella mente dei consumatori, per cui non si può dichiarare “più spendi più ottieni” bensì si è passati a un più pragmatico
“meglio spendi più ottieni”.
Il cambiamento recente ha a che fare con il prezzo di quei prodotti che non nascono come low price ma che sono spesso stati proposti in forte sconto presso i canali di vendita ove sono disponibili (la grande distribuzione ne è un esempio, in particolare nel campo alimentare, ma questo discorso vale per moltissimi altri settori e canali): il consumatore è ormai più propenso a ritenere giusto, corretto, non il prezzo di partenza bensì quello in promozione; anzi, il “prezzo pieno” viene associato a concetti come esagerazione, furto ecc. Non sarà quindi facile convincere le famiglie italiane che il vero prezzo dei prodotti è quello standard e che le promozioni di prezzo sono in qualche modo eccezioni limitate in quantità, tipologia di prodotti, durata, ammontare del risparmio offerto.


(...)

Non basta: se per decenni il rapporto tra la comunicazione commerciale e il consumatore è stato
basato sulla passività di quest’ultimo che riceveva – tramite vari canali e in varie modalità – informazioni positive sui prodotti e sui servizi veicolate in modo più o meno diretto dalle aziende, ora non è più così. Si è passati a una fase in cui non solo il consumatore è attivo esprimendo le proprie opinioni anche online (e quindi potenzialmente a una platea di uditori di immense dimensioni), ma è anche cercatore di informazioni scritte da altre persone con una caratteristica – spesso sottovalutata – che cambia completamente la relationship brand-consumer: molti utenti della rete cercano di capire tramite le altrui opinion online quali sono i punti di debolezza, i difetti, le negatività di un prodotto che stanno per acquistare e, grazie all’offerta estremamente ampia in quasi tutti i settori
merceologici, non hanno il problema di non trovare una soluzione ai loro desideri. 


(...)

Ma c’è qualcosa di ancor più profondo che si è modificato nella mente dei consumatori (sia chiaro,
stiamo parlando solo di una parte non maggioritaria e il fenomeno è in continua ma lenta  evoluzione): si tratta del mettere in discussione le quantità acquistate e, in alcuni casi, la necessità stessa di effettuare gli acquisti. Un ottimo esempio è relativo agli acquisti alimentari che, come ha mostrato pochi mesi fa una ricerca
(...), sono ora oggetto di attenzione maggiore per evitare gli sprechi ricorrendo a tecniche molto diverse che hanno un corrispondente assolutamente identico per altre categorie merceologiche: si va dall’acquistare di meno per evitare di dover eliminare prodotti scaduti al riutilizzare, anche in modo fantasioso, prodotti vicini alla scadenza per creare nuove ricette, dall’acquistare quantità minori (più adeguate alla dimensione del nucleo familiare e alle effettive esigenze) al cercare di conservare meglio (nel caso alimentare ad esempio surgelando)
i prodotti acquistati.
Non si tratta tuttavia solo di evitare sprechi, ma anche di dare nuova vita a prodotti non deperibili
che possono essere utilizzati per un periodo più esteso o anche da altre persone: un caso significativo
è rappresentato dal passaggio da neomamma a neomamma di prodotti (vestiario, carrozzina ecc.) estendendone il life cycle a due, tre o persino più volte rispetto all’utilizzo per un solo bebè.
 


La crisi ha portato con sé anche l’idea che alcuni prodotti (in particolare quelli di valore elevato, ma
in buona misura questo fenomeno si presenta anche nella fascia media e medio-bassa di spesa) possano essere utilizzati più a lungo: cambiare l’automobile attendendo ulteriori due anni, non inseguire l’ultimo modello di smartphone (ebbene sì, anche in un settore che sembra quasi immune dalla crisi alcuni comportamenti stanno cambiando), prestare maggiore attenzione agli elettrodomestici in modo da estenderne la vita utile.


Insomma, in attesa di un segno “+” di fronte ai dati relativi al consumo degli italiani, sappiamo che
le sfide che dobbiamo affrontare oggi e che ancor più ci vedranno impegnati domani, sono nate o
amplificate in questi anni di pessima congiuntura economica e non sono destinate a sparire quando
questa finirà.


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mercoledì 13 agosto 2014

Il cliente vuole sempre di più (3)

Infedele alle marche, sempre più informato e attento agli sprechi: ecco l’identikit del consumatore di oggi. Ce ne parla questo articolo tratto dalla rivista: "Il Dirigente".

(...) 

Per effetto della crisi le aziende si trovano a fronteggiare un consumatore sempre più propenso all’infedeltà al prodotto e alla marca: l’abitudine a comprare sempre la stessa referenza è venuta meno per necessità visto che le continue offerte promozionali (nei più disparati settori merceologici e canali di distribuzione) hanno invogliato i clienti a provare prodotti e servizi differenti. 
Se è vero, infatti, che nella prima fase della crisi (2008-2010) è parso che il consumatore preferisse comunque allargare il numero di marche tenute in considerazione per i propri acquisti di uno specifico tipo di prodotto, ma autolimitandosi a pochi brand (naturalmente differenti da consumatore a consumatore), negli ultimissimi anni anche questo parziale vincolo di semi-fedeltà è venuto meno e si assiste alla moltiplicazione del numero di marche effettivamente acquistate in molti ambiti (non a caso dalle ricerche risulta che il numero di brand con cui si è venuti in contatto è in continuo aumento, seppur con un’intensità e una continuità di rapporto inferiore rispetto al passato).
 


Come detto, l’infedeltà porta ad avere un rapporto con un numero molto più elevato di marche; d’altra parte i consumatori sono sempre più abituati a fidarsi anche di brand che non conoscevano fino a poco tempo prima del loro primo acquisto e, in generale, ne ricordano un numero via via crescente (non tutti “top” ma anzi, spesso, “nomi minori”) grazie alla continua sollecitazione che ricevono online sia tramite forme di advertising di tipo tradizionale, sia tramite le offerte che ricevono quotidianamente dai vari servizi che propongono deal, offerte short time, accesso ad aste online ecc.

Una delle strade tentate da varie aziende per tenersi stretto il consumatore è quella di proporre
nuovi prodotti con caratteristiche forti, distintive, particolari. Certamente il consumatore è aperto e
favorevole all’innovazione ma è anche stanco, deluso e quindi diffidente verso quelle nuove proposte
che sembrano essere in qualche modo miracolose, overpromising, in qualche modo appunto
“incredibili”.
Questa diffidenza si proietta sul rapporto con la comunicazione commerciale e, in particolare, sul
rapporto con le varie forme di advertising: risulta evidente che gli spot che magnificano in maniera
eccessiva le caratteristiche di un prodotto sono sgraditi fino al punto da generare rigetto.
Stanno forse arrivando anni in cui la pubblicità dovrà essere maggiormente capace da un lato
di emozionare (come già spesso cerca di fare) ma, dall’altro lato, di convincere il consumatore con
idee, proposte credibili, effettivamente utili, che resistano alla prova dei fatti. Ne va del successo dei
prodotti, prima di tutto quelli di nuova introduzione sul mercato, e più in generale dell’immagine
delle marche, anche quelle dal passato e presente glorioso e forte che sembrano sempre meno
poter dormire sonni tranquilli basandosi solo sullo storico intenso rapporto col consumatore.



Se le promesse, soprattutto quelle mirabolanti, saranno sempre meno efficaci se semplicemente dichiarate, sarà sempre più rilevante poter far provare al consumatore le effettive qualità, i caratteri distintivi, i plus delle offerte. 

Una recente indagine (...) ha mostrato come il contatto diretto presso il punto-vendita sia
rilevantissimo non solo come modalità di creazione dell’awareness (vengo a conoscenza di un prodotto semplicemente perché lo vedo sullo scaffale e magari, grazie a un packaging studiato in maniera intelligente, sono incuriosito e mi avvicino ad esso) ma anche come effettivo invito alla prova, alla conoscenza approfondita e qualificata del prodotto. Non solo: un’altra ricerca mostra come gli eventi business-to-consumer possono essere un’ottima soluzione per creare un rapporto differente con il cittadino-consumatore per cambiare in profondità l’immagine della marca, farne conoscere i prodotti garantendo anche una memorizzazione dei nuovi lanci più intensa e duratura,
spingere alla prova o al riacquisto.



(...)

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martedì 12 agosto 2014

Il cliente vuole sempre di più (2)

Per iniziare a riflettere sul rapporto che la vostra organizzazione ha con i suoi clienti, potreste partire col farvi le cinque domande seguenti:
  1. La vostra azienda sa esattamente come sia percepita dai suoi clienti?
  2. La Direzione della vostra organizzazione ha tra i suoi obiettivi trasmettere a tutti i collaboratori la necessità di un'attenzione costante ai bisogni e ai desideri della clientela?
  3. I manager che lavorano per la vostra azienda comprendono fino in fondo il proprio ruolo nel fornire ai clienti un'esperienza positiva e nell'insegnare ai loro collaboratori a fare altrettanto?
  4. Esistono degli indicatori che siano in grado di riflettere la soddisfazione della vostra clientela?
  5. Vi ritenete davvero degni della fiducia dei vostri clienti? Se sì, perché?
Buona riflessione!

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lunedì 11 agosto 2014

Il cliente vuole sempre di più

Chiedete a chi odia una marca ma ne ama un'altra perché provi questa sensazione. Probabilmente la risposta, anche se magari non articolata in modo cosciente, è che una marca non fa nulla per
lui mentre l'altra sì
.  


La grande differenza sta tutta qui.
 
Oggi i clienti si aspettano di più e tollerano di meno. Leggono, si informano, valutano le scelte di ogni organizzazione e non perdonano. 
Confrontano i prezzi e le caratteristiche di un prodotto in pochi secondi, studiano le foto di chi li ha acquistati prima di loro, leggono le esperienze di chi si è imbattutto in un cattivo servizio clienti e, a parità di prestazioni, cercano quel qualcosa in più.

Internet ha contribuito a collegare le persone tra loro e le aziende ai loro clienti in un modo rivoluzionario e, per un certo aspetto, sconvolgente.

La rete ci ha reso più competenti come consumatori e, quindi, più esigenti nella ricerca di ciò che davvero vogliamo e questo, naturalmente, rappresenta una sfida per ogni organizzazione ma anche un'opportunità per chi la sa cogliere.
 
Ci sono nuove modalità che le aziende devono sforzarsi di conoscere per soddisfare questi aumentati
bisogni dei loro clienti e avremo modo di parlarne qui su QualitiAmo.


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venerdì 8 agosto 2014

Le qualità personali utili nell'ambiente lavorativo

Quali sono le vostre qualità che ritenete più utili nell'ambiente di lavoro?

Vi propongo questo elenco (incompleto e limitato alle qualità più "professionali") tratto dal libro "La competenza relazionale" di Mario Cusinato.

Buona riflessione.

Qualità cognitive:
  1. intelligenza
  2. memoria
  3. creatività
  4. soluzione dei problemi
  5. inventiva
  6. intuizione
  7. curiosità
  8. interesse per la scienza
Qualità cognitive:
  1. socievolezza
  2. espansività
  3. senso dello humor
  4. leadership
  5. collaborazione
  6. dare considerazione
  7. senso dell'amicizia
  8. apertura alla vita sociale
Qualità morali
  1. coerenza
  2. impegno
  3. sensibilità ecologica
  4. rispetto
 Qualità di performance
  1. concretezza
  2. senso pratico
  3. metodicità
  4. professionalità
  5. spirito di iniziativa
  6. senso degli affari
  7. manualità
  8. capacità di realizzazione
 Qualità riflessive
  1. attenzione alle conseguenze
  2. capacità di riflettere sulle esperienze
  3. conoscenza delle proprie capacità
  4. conoscenza delle capacità altrui
  5. conoscenza dei propri limiti
  6. attenzione alle situazioni
  7. capacità di apprendere dalle esperienze
  8. attenzione a come sono gli altri
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giovedì 7 agosto 2014

Dei e organizzazioni

Qualcuno di voi ha mai letto il libro di Charles Handy, "Gods of Management"?
L'autore usa gli dei dell'antica Grecia per fare un'allegoria e spiegare la natura delle diverse organizzazioni e del loro stile di gestione.
 
Nelle organizzazioni Zeus, ad esempio, tutto il potere è in mano ad una o a poche persone proprio come nell'Olimpo dove Giove esercitava l'influenza maggiore.

Le relazioni che si hanno con queste persone di potere rappresentano qualcosa di ben più importante del ruoli che ufficialmente si hanno all'interno di un'azienda. 
Le decisioni tendono ad essere rapide perché fanno capo ad uno solo (o ad un gruppo ristretto) e l'azienda sviluppa ben poche formalità.
Il rovescio della medaglia è che può capitare che un responsabile non riesca ad imporre alcune cose ad un suo collaboratore semplicemente perché questo ha un rapporto privilegiato con qualcuno che rappresenta l'essenza stessa dell'azienda, il suo leader carismatico. 


Abbiamo, poi, le organizzazioni Apollo nelle quali sono ben definiti i ruoli, i confini e le regole. Del resto, Apollo era il dio dell'ordine e delle regole ed è normale, in organizzazioni del genere, attendersi una gerarchia di potere ben rappresentata dall'organigramma. 
Nel caso in cui si debbano implementare dei cambiamenti in aziende di questo tipo, occorre ricordare che le persone si distaccheranno con fatica dai modelli che sono stati reiterati per così lungo tempo.

Le organizzazioni Atena tendono a concentrare il potere all'interno di quei gruppi di persone che hanno l'esperienza necessaria per risolvere i problemi. Tutta la gestione delle aziende di questo tipo, che prendono il nome dalla dea della sapienza, si basa sul problem solving. 
Ci potrebbero essere problemi di presa del potere da parte di alcune élite.

Abbiamo poi le organizzazioni Dioniso (Dio del vino e dell'individualismo) che valorizzano le competenze individuali dei loro uomini. In queste aziende le decisioni vengono affidate a chi ha le competenze migliori per prenderle perché non esistono capi in senso stretto.
I problemi, come avrete sicuramente già intuito, possono essere dettati dall'anarchia interna. 

Le quattro tipologie individuate da Handy ci offrono un metodo completamente nuovo e originale per analizzare le dinamiche aziendali e lo stile di management. Tuttavia, è chiaro che - dato che le organizzazioni possono essere molto grandi e composte da molte entità diverse una dall'altra - difficilmente troviamo fotografie così fedeli dei loro modelli gestionali. Spesso è più facile che un'azienda sia rappresentata da un mix degli dei citati. E la vostra a quale divinità si ispira? ;o)


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mercoledì 6 agosto 2014

Le persone, i leader e i manager (3)

Essere dei leader significa fare scelte che spesso possono essere spiacevoli. Guidare bene gli altri, infatti, non significa sempre e per forza agire in ogni momento per renderli felici o - almeno - non nel breve termine.
A volte, proprio come un bravo genitore, il leader deve mettere i propri uomini davanti ad un rifiuto che, sebbene sempre argomentato, potrebbe lasciare loro l'amaro in bocca. Altre volte, per salvare una situazione precaria, potrebbero essere prese decisioni persino più gravi ma che, alla resa dei conti, si rendono necessarie.

Tutto questo per dire che il leader che - come ci ha ricordato altrove Slender Man - ruba il ruolo del protagonista al manager e fa innamorare la bionda del film, in realtà si trova a fronteggiare situazioni spesso incerte e in queste condizioni deve mantenere ben ferma la guida della propria organizzazione
Occorre sostenere gli animi quando le cose non vanno come previsto e, nel frattempo, adottare tutte le correzioni necessarie per rimettersi sulla buona strada.

Un vero leader, inoltre, si riconosce dal fatto che sa bene che non sarà in grado di guidare la sua organizzazione per sempre ed è per questo che si impegna nel cercare, formare e far crescere un successore degno. Nove anni prima di lasciare la General Electric, Jack Welch spiegò che, da quel momento in poi, gran parte delle sue energie sarebbero state dedicate a trovare e a formare adeguatamente il suo successore.

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martedì 5 agosto 2014

Le persone, i leader e i manager (2)

Il primo che si chiese se manager e leader fossero figure così differenti tra loro fu, nel 1977, il professor Abraham Zaleznik.
L'articolo scritto dall'accademico avviò anni di dibattito fino ad arrivare al concetto che abbiamo oggi dei due ruoli. Gli americani lo riassumono molto bene con un famoso detto: "managers do things right, leaders do the right things" che possiamo tradurre liberamente in questo modo: "i manager fanno le cose bene, i leader fanno le cose giuste".

I leader sono coloro che sviluppano una vision e stabiliscono quali siano le cose che un'organizzazione dovrebbe fare per diventare ciò che intende essere.
E' loro il compito di avviare i cambiamenti necessari, anche quelli più difficili, così come è loro il compito di sostenere nel tempo i nuovi approcci.

Completato il cambiamento, ai manager toccherà lavorare per fare in modo che la nuova situazione che si è creata diventi stabile.

Ricordiamolo sempre: buoni manager potrebbero non diventare mai buoni leader e i buoni leader non è detto che siano manager validi e questo si deve al fatto che i loro sono due lavori molto diversi, per quanto condividano alcuni aspetti comuni.

Un'organizzazione priva di leader sarà incapace di percorrere nuove strade e di rinnovarsi mentre un'organizzazione senza manager sarà destinata ad essere perennemente disorganizzata e in preda al caos.

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lunedì 4 agosto 2014

Le persone, i leader e i manager

Un aforisma molto popolare nel mondo del business sostiene che non ci sono problemi relativi agli affari in generale ma solamente problemi legati alle persone.
 
La gestione delle persone non è facile; ogni organizzazione è composta da un insieme di
individui, ciascuno con la propria filosofia, le proprie vulnerabilità, i punti di forza e i punti deboli.

 
Una leadership efficace abbraccia queste differenze e crea una cultura in cui le persone possono usare al meglio la maggior parte del loro talento. In altre parole, la leadership consiste nel saper sfruttare al meglio le capacità degli altri e nel saperne creare di nuove.  


Un leader parte immaginando il futuro e determinando, in base al suo sogno, quale direzione strategica dovrà dare all'organizzazione per allineare l'azienda e la gente che vi lavora.

Raramente, però, come abbiamo detto in passato i leader da soli possono rendere grande un'organizzazione. Per riuscire in questo ambizioso progetto, infatti, servono i manager.
La leadership sta tutta nella vision mentre il lavoro di un manager si esplica nella gestione dei processi, nella pianificazione, nella preparazione del budget, nella supervisione delle attività del personale e in altre decine di compiti fondamentali per supportare l'organizzazione nel continuare a fare al meglio quello che fa.

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venerdì 1 agosto 2014

Enti certificatori e pre-assessment

Il ruolo degli organismi di certificazione nel campo della norma ISO 9001 si è molto evoluto negli ultimi anni anche grazie agli enti che, all'estero, hanno fatto da apripista per attività che, all'inizio, non erano state associate alla loro figura istituzionale.

Per l'esattezza, fu un ente inglese il primo a promuovere le visite di pre-assessment per evitare che un'organizzazione completamente digiuna di ISO 9001 fosse costretta ad avvalersi per mesi del lavoro di un consulente esterno per colmare le carenze del proprio know-how in fatto di Qualità. 


Come sa chiunque faccia questo mestiere e abbia un po' di esperienza, adattare un sistema "precotto" ad una realtà per la quale non è stato pensato non è un buon inizio per ottenere vantaggi dall'implementazione della Qualità. Come se questo non bastasse, le cosiddette carte preparate dal consulente di turno potrebbero non essere sufficienti nemmeno per conquistare una certificazione di facciata perché occorre del tempo affinché l'organizzazione verifichi che il sistema calato nella sua realtà si adatti perfettamente alle esigenze che ha
Solo quando il sistema è perfettamente rispondente alle necessità aziendali, infatti, si può affrontare il processo di certificazione con sufficiente tranquillità.  

Come vedete, se si fanno le cose male fin dall'inizio, il risultato è un processo lungo e frustrante che spesso ha tagliato fuori molte aziende dall'applicazione della norma proprio per i timori nati dal confronto con chi aveva già intrapreso (male) questa strada.

E veniamo a ciò che questo organismo di certificazione inglese ha provato a cambiare e che, nel tempo, è stato seguito da moltissimi altri organismi accreditati.

Riflettendo sul fatto che la fase iniziale che si rivolge a un consulente esterno poteva tranquillamente essere ricondotta e integrata nel processo che coinvolge l'organismo di certificazione, permise ai clienti che avevano maturato l'intenzione di certificarsi, di contattarlo direttamente per avere - in soli 2-4 giorni lavorativi - un'analisi approfondita in grado di spiegare quanto i suoi processi attuali fossero distanti da ciò che veniva richiesto nella norma ISO 9001.

Questa attività, naturalmente, non si configura come consulenza che, lo ricordiamo, è VIETATA da Accredia a tutti gli organismi accreditati ISO 9001 nei seguenti termini:


"...la progettazione, realizzazione e manutenzione di sistemi di gestione, incluse le attività di formazione specificatamente rivolte ad una determinata organizzazione e finalizzate al sistema stesso..."


Questo significa che un ente certificatore non può, ad esempio, elaborare o produrre manuali e procedure per un'azienda specifica e che non può nemmeno fornire alle organizzazioni consigli specifici, istruzioni o soluzioni per lo sviluppo e l’attuazione di un sistema di gestione.
Una valutazione del grado di implementazione della norma, però, è del tutto fattibile e, infatti, viene ormai proposta da moltissimi enti. 
Voi avete usufruito di questo servizio o avete preferito affidarvi completamente ad una società di consulenza? Ci piacerebbe moltissimo raccogliere le vostre esperienze in merito, naturalmente senza riferimenti specifici ai singoli operatori.

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