lunedì 30 novembre 2015

Identikit di un boss perfetto

(Fonte: "Il Venerdì")

C'è qualcuno che parla addirittura di effetto "turn the Page", un voltar pagina che coincide con il cognome dell'uomo che sta rivoluzionando la visione del potere e della leadership.
Quel Larry Page, cofondatore di Google, che guida la classifica dei Ceo più amati del pianeta: non solo osannato dagli internauti googlanti (il sito di Mountain View è di gran lunga il www più cliccato al mondo), ma da un impressionante 97% dei suoi dipendenti.

42 anni, 1 metro e 81 di altezza, 29 miliardi di dollari di patrimonio personale, Larry pranza alla mensa aziendale dividendo il tavolo con i più giovani dello staff; lo si vede passeggiare all'interno del Googleplex -l'headquarter californiano - in jeans e T-shirt, pronto a due chiacchiere con chi lo incrocia; ha fortemente voluto il congedo di 12 settimane per i papà e le compagne delle mamme biuologiche.
Per citare solo alcuni, fra le centinania di aneddoti che fanno dire a Joe Wiggins, capo della comunicazione europea di Glassdoor (...): "secondo i suoi dipendenti, Page guida la società con una visione forte e geniale, simpatica ed eccentrica, rendendosi accessibile. Piace per la capacità di attarrre i migliori talenti, in un ambiente di lavoro emozionante".

Il segreto è nel gioco degli scacchi. Una leadership open and populist, la definiscono i sociologi americani: aperta perché informale, trasparente, persino "umanizzante"; populista perché non elitaria e in grado di strizzare l'occhio a una nuova generazione di dipendenti cresciuti a pane e social network, nell'ottica paritaria delle rete.

"Un leader è un commerciante di speranza", sosteneva già Napoleaone Bonaparte. La novità è che oggi non si sceglie o si lascia un'azienda, ma un boss. 
(...)
La differenza di Google & le sue sorelle, società che per Fortune sono tra le 1000 Best Companies to Work For, la fanno proprio i leader. In aziende che non vanno a caccia dei migliori capi, ma costruiscono in casa il boss dei loro sogni.

(...)

Quando oggi si chiede alle persone di raccontare del migliore dei manager con cui hanno lavorato, si trascurano i talenti innati - intelligenza, fascino, empatia - per concentrarsi su abilità che sono sotto il controllo personale del boss: capacità di trasmettere passione, assumersi responsabilità, dimostrarsi onesti.

(...)

I 7 "ruoli" del boss indimenticabile sono:

buon allenatore
bravo motivatore
capitano coraggioso
leader sincero
guida rassicurante
essere umano autentico
giocatore di scacchi, non di dama

Pensate alla differenza: nella dama tutte le pedine sono uguali, un modello povero di leadership. Negli scacchi, invece, ogni pezzo ha un ruolo e un'abilità speciale e speciali limiti. Un boss indimenticabile è un maestro nel gestire la schacchiera delle persone.

(...)

Domani continueremo nella lettura dell'articolo e, tra le altre cose, vedremo come se la cavano i boss di casa nostra...

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venerdì 27 novembre 2015

Manager all'estero - Una carriera da nomadi

(Fonte: "Affari&Finanza")

Vita da espatriati, manager in viaggio per l'azienda nei più remoti angoli del mondo, per aprire nuove vie di business, creare start up o gestire crisi e rilanciare l'attività.

Invogliati da promozioni e guadagni più attraenti, i dirigenti accettano di fare le valigie, con famiglia o senza, per agguantare la sfida professionale.

Un meccanismo oliato, che si traduce in ruoli di vertice, una busta paga più gonfia, voli in business class, privilegi e benefit.

E che cosa li aspetta a fine missione?
Ancora al top o un posto in panchina?

(...)

Ma con la crisi negli ultimi due anni, le aziende italiane hanno incominciato a richiamare gli espatriati e tendono a sostituirli con manager locali.

(...)

Promozione, sfida professionale. Molto difficilmente c'è un rifiuto.
(...)
Età media 38 anni, maschi per lo più, l'espatrio dura in media due anni e mezzo, con una sparuta minoranza di globe trotter della mobilità internazionale. Sul piatto c'è l'aumento del salario lordo tra il 15 e il 20 per cento, e una cascata di allowance cash: per la famiglia, sia che segua l'espatriato o no.

(...)

L'espatriato che rientra trova nel 90% dei casi un ruolo di maggior crescita, in qualche caso equivalente.
(...)
Il rientro è un passaggio molto delicato. Ci sono aziende (...) che disegnano un percorso di carriera, ma non tutte sono preparate per questo.

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giovedì 26 novembre 2015

Storytelling l'arte nuova di parlare a tutti

Anche se proprio così nuova non è, eccovi un articolo sull'arte dello storytelling.

(Fonte: "Affari&Finanza")

C'è una parola abusata nella comunicazione e nell'informazione contemporanea: storytelling.

Da slang per nerd, questo termine è oggi diventato di dominio pubblico, una sorta di mantra collettivo che (...) tutti continuano a ripetere senza comprenderne fino in fondo il significato.

(...)

Storytelleing, innanzitutto, è la capacità di raccontare una storia, o meglio, la propria storia in un modo personale, diverso dagli altri, molto partecipativo e soprattutto con un punto di vista preciso.

Nell'era di internet e dei social media tutti, non solo i brand, sono chiamati a essere storyteller e a diventare editori di se stessi, ragionando con le categorie di un giornale.

In secondo luogo, lo storytelling non può essere lineare come invece erano le notizie e le informaizoni di ieri: deve nascere tridimensionale e quindi adatto ad essere spezzettato in tante versioni, in tanti format a seconda dei canali che intraprenderà.

In un certo senso, il suo contenuto e la sua forma devono essere dettati proprio dai nuovi format e poi ricondotti a quelli consolidati: per questo sarebbe meglio pensare una storia partendo dalle dinamiche di Instagramm e di Snapchat per poi risalire a quelle di un articolo tradizionale piuttosto che il contrario.

Infine, oltre all'importantissima creatività, uno storytelling di successo si nutre di numeri, di dati.

Chi oggi non è in grado di leggere gli andamenti di Google Analytics, chi non ha a disposizione un ottimo CRM (sistema di gestione delle relazioni con i clienti) e chi ancora non conosce i comportamenti e le relazioni dei propri lettori, non può essere in grado di raccontare una storia interessante o rilevante.
E non importa che si parli di carta stampata o di internet; fanno parte dello stesso flusso e vanno nella stessa direzione.

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mercoledì 25 novembre 2015

Pulizia lean

Le iniziative di stampo "lean" servono a "pulire" i vostri processi, esattamente come pulireste la casa in cui abitate per presentarla al meglio a possibili compratori.
Vendere il vostro business quotidiano, infatti, non è molto diverso. Ripulire le costose inefficienze della vostra azienda, eliminare il disordine quotidiano, smaltire le scorte in eccesso e archiviare le pratiche che sono in giro da troppo tempo prima o poi darà i suoi frutti, questo è certo. 


Ci sono due iniziative lean, in particolare, che potranno aiutarvi a ripulire i vostri processi:

1. Value Stream Mapping


Si parte dal processo che si desidera migliorare e si procede con una sua mappatura reale in grado di descrivere come si lavora. 

A questo punto, cercate di ottenere un feedback dalle persone che lavorano sul processo per mettere in evidenza eventuali carenze operative. Individuate le problematiche, potete iniziare a cercare la soluzione e a costruire un piano per il miglioramento, la sua attuazione e il monitoraggio dei risultati 
2. Focus su quattro aree chiave

Una delle sfide maggiori per chi cerca un approccio più snello è individuare un punto di partenza, soprattutto se il disordine a livello operativo va avanti da anni.
 

Ci sono quattro aree chiave dalle quali è possibile partire:

● ridurre le perdite derivanti dai prodotti resi; 

● determinare i costi degli scarti; 
● analizzare il valore aggiunto delle fasi dei processi ed eliminare i passaggi inutili; 
● quantificare i costi di rilavorazione dei prodotti difettosi

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martedì 24 novembre 2015

L'apprendimento come base per un futuro professionale

Viviamo in una società basata sulla conoscenza e sul miglioramento continuo e l'apprendimento è la chiave per il nostro futuro.  
Le competenze rappresentano il livello di capacità che una persona possiede nel proprio campo professionale e determina la qualità e la quantità dei risultati che può raggiungere. 
Per riuscire nel vostro lavoro dovete impegnarvi di più sulla formazione di quanto facciate quotidianamente per adempiere ai vostri compiti professionali.Abbracciare una vita basata sull'apprendimento e dedicare parecchio tempo a migliorare le vostre abilità, conoscenze ed esperienze, significa - infatti - costruire una base solida da cui partire per realizzareun buon successo professionale.

Cercate di ritagliarvi qualche minuto ogni giorno per imparare qualcosa dai colleghi più anziani o più dotati di esperienza. Ognuno ha qualcosa da insegnare, basta capire in cosa si distingua.

In ultimo, provate a leggere almeno un libro all'anno per auto-migliorarvi professionalmente, anche se la vostra organizzazione non vi sostiene in questo percorso e dovrete sacrificare il tempo libero per crescere professionalmente. Individuate i vostri punti deboli e cercate di migliorarvi partendo proprio da quelli.


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lunedì 23 novembre 2015

Ideare una strategia

In cosa consiste il processo mediante il quale i manager formulano e mettono in atto le strategie?  

La strategia è il risultato di un processo formale di pianificazione nel quale il top management gioca un ruolo fondamentale.Un processo tipico di pianificazione strategica potrebbe essere descritto attraverso le sue cinque fasi fondamentali come segue:
  1. identificare la mission aziendale e i principali obiettivi;
  2. analizzare l'ambiente esterno dell'organizzazione per rilevare minacce e opportunità;
  3. analizzare l'ambiente operativo interno dell'organizzazione per identificare debolezze e punti di forza;
  4. selezionare le strategie che si basano sui punti di forza dell'organizzazione e correggono le sue debolezze. Queste strategie dovrebbero essere coerenti con gli obiettivi derivanti dalla mission e importanti per l'organizzazione;
  5. attuare le strategie scelte
Il compito di analizzare l'ambiente esterno ed interno dell'organizzazione e di selezionare le strategie più appropriate è noto come formulazione della strategia.
La sua implementazione, invece, avviene quando la si mette all'opera:
  1. decidendo azioni coerenti con essa;
  2. assegnando ruoli e responsabilità;
  3. destinando risorse;
  4. definendo obiettivi a breve termine;
  5. progettando sistemi di controllo;
  6. stabilendo quali ricompense daremo agli uomini che si distingueranno maggiormente nell'aiutarci a implementare la nostra strategia. 


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venerdì 20 novembre 2015

La sfida del cambiamento

L'accettazione è sempre il primo passo necessario per scatenare energie positive durante il processo di cambiamento. Accettare il cambiamento non significa che dobbiamo per forza farci piacere quello con cui abbiamo a che fare ma, semplicemente, che non ci facciamo bloccare da questa novità e che accettiamo di averci a che fare, magari anche semplicemente per riuscire a cambiarla a nostro favore

Può darsi che il cambiamento al quale stiamo assistendo non ci piaccia per nulla ma accettarlo apre la possibilità di un'ulteriore trasformazione.L'accettazione si differenzia dal tollerare qualcosa perché limitarsi a toillerare ci porta a tenere a distanza la situazione, identificandola come qualcosa che dobbiamo per forza sopportare e sulla quale non possiamo agire in alcun modo. Accettando qualcosa si cessa, invece, di resistere e si inizia ad incanalare la nostra energia per lavorare sul cambiamento.

Quando ci lanciamo in una trasformazione e l'accettiamo, ci sentiamo più vivi, presenti e consapevoli. Non restiamo più attaccati alla nostra comfort zone, siamo liberi di agire, creare ed esplorare perché non spendiamo più energie a difenderci ma le impieghiamo per lavorare sul cambiamento.


Improvvisamente smettiamo di vedere davanti a noi un buco nero e di preoccuparci per i rischi che stiamo correndo e iniziamo a vedere la nuova situazione come una possibilità, un'opportunità da cogliere per dire la nostra e vedere come il cambiamento possa soddisfare anche le nostre esigenze.


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giovedì 19 novembre 2015

Ricomporre i conflitti

(Fonte: "Io donna")

(...)

Non cercare il colpevole: tanto, non c'è

(...)

Meglio uscire dalla logica del chi ha ragione e chi torto (sempre l'altro), e della recriminazione continua. C'è un problema da affrontare, non un colpevole da trovare. E niente moralismi sulla giustizia.

Non cercare di spuntarla a tutti i costi

Non è una gara. A volte, per avere l'ultima parola si paga un prezzo troppo alto, perché chi "perde" cerca la rivincita, cova rancore, ecc.

State zitti, se potete

Fate una promessa: per una settimana, non parlate a nessuno della lite in corso. Altrimenti, a forza di raccontarla, si perde di vista il punto di partenza e si finisce con il pensare solo a come l'altro sia un mascalzone.

Un'arma vincente: l'aikido delle opinioni

Nell'aikido, una delle arti marziali giapponesi, non ci si oppone all'energia motoria dell'avversario. La si sfrutta per mandarlo al tappeto, se serve.
Attaccare frontalmente le opinioni è controproducente. Meglio partire da un "ma io la penso come te" e portare l'altro gradualmente verso un nuovo obiettivo: il tuo.

(...)

Per uscire bene da un litigio ci sono due possibilità: la prima è far parlare l'altro senza interromperlo, lasciando a lui la fatica di arrivare fino in fondo. L'altra è mostrarsi d'accordo. Che non significa non litigare, tanto meno mentire o rinunciare alle proprie idee, ma invece attacare con: "Se fossi in te la penserei allo stesso modo". Così, almeno, si crea un punto di partenza in comune per una discussione.

(...)

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mercoledì 18 novembre 2015

Ci penserò domani (2)

(Fonte: "D")

(...)


Se il problema (...) non è cronico, si può adottare la "tecnica dell'elefante". Anche un elefante può mangiare un boccone alla volta (...) i compiti da svolgere possono quindi essere scomposti e affrontati a pezzi.

In altri casi si punta ad abolire il pensiero "tutto o nulla", tipico del procrastinatore perfezionista. Un colloquio o un esame possono essere superati accettando votazioni intermedie, e non necessariamente il massimo.

(...)

Altro trucco: fissare scadenze dettagliate, con compiti di difficoltà crescente. Chi procrastina di solito ha una percezione alterata del tempo, nelle conversazioni si sofferma su particolari irrilevanti e si distrae con facilità. Sottostima il momento presente e sovrastima quello futuro. E il domani diventa mai.

(...)

Per fare oggi quel che vorremmo rimandare a domani basta suddividere il tempo in unità di misura più piccole: 30 giorni anziché un mese, ad esempio. "Quando penso il tempo in una forma più granulare, usando i giorni e non gli anni, il futuro mi sembra più vicino", ha spiegato Daphna Oyserman (....).

Ma c'è anche chi si è inventato la tecnica della procrastinazione produttiva. John Perry, filosofo di Stanford e autore del saggio "The Art of Procrastination", consiglia di stilare un elenco di impegni, dal più urgente al meno importante. 
Si parte dal fondo, sbrigando le faccende meno pressanti, in modo da non sentirsi inattivi, arrivando quindi con maggiore tranquillità a svolgere gli impegni più urgenti.

(...)

Non tutti i procrastinatori sono uguali. Ci sono i procrastinatori passivi che rimandano gli impegni fino all'ultimo minuto accumulando ansia e riducendo la produttività. E quelli attivi, che posticipano intenzionalmente fino all'ultimo momento. Inviano un curriculum l'ultimo giorno utile, si preparano per un colloquio poche ore prima. Sono coloro che cercano la forte motivazione data dalla pressione temporale (...) e che sono in grado di completare le attività prima delle scadenze ottenendo risultati soddisfacenti. La procrastinazione è usata come strategia di auto-motivazione e le scadenze vengono percepite come incentivo anziché come fonte di stress.

Il comportamento opposto è la tendenza ad agire senza pensare, facendo tutto in fretta e male.
(...) E' stata definita pre-crastinazione: è il modo di chi risponde immediatamente alle email senza aver letto bene quello che scrive il mittente, o di chi va a pagare le bollette appena arrivano. Decidendo e facendo tutto subito ci si sente meglio e si tiene a bada, anche qui, l'ansia.

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martedì 17 novembre 2015

Ci penserò domani


(Fonte: "D")

Vorreste leggere questo articolo ma vi siete ripromessi di farlo tra qualche ora? Il titolo v'incuriosisce, ma poi è arrivata una notifica di Twitter e vi siete distratti? 
State procrastinando. Ma non siete soli, a quanto pare. 
La sindrome di Rossella O'Hara, quella del "ci penserò domani", colpisce molti italiani: il 30% ha quest'abitudine, tra loro il 18% è un procrastinatore cronico.

La differenza non è da poco. Ritardare una decisione a volte può essere utile; invece temporeggiare perché si ha paura del risultato finale è una tecnica di difesa personale che può diventare patologica.

(...)

Il contesto culturale italiano, tra l'altro, con un basso orientamento al futuro e una scarsa programmazione, ben si presta all'arte della procrastinazione.

(...)

Il procrastinatore non decide, non sceglie. E rimanda di tutto: la dieta, l'iscrizione in palestra, la pulizia ai denti, l'invio di un'email, l'appuntamento con l'idraulico, l'esame all'università, il pagamento delle bollette.
La scusa di non avere tempo e non riuscire e incastrare gli impegni c'entra poco (...) la sindrome ha a che fare con l'ansia e la paura del fallimento.

Dire a un procrastinatore cronico di fare qualcosa subito equivale a dire al depresso clinico di tirarsi su di morale.

(...)

Quando procrastiniamo perdiamo tempo, ci facciamo sfuggire le opportunità e tendiamo a non vivere in maniera autentica. Il rischio è rimanere impantanati in un circolo vizioso.

(...)

Domani vedremo come affrontare la procrastinazione non cronica (per quella cronica è meglio ricorrere all'aiuto di un professionsita che ci faccia capire quali motivi ci portano a rimandare all'infinito) e scopriremo chi sono i pre-crastinatori.


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lunedì 16 novembre 2015

Come comportarsi con un cacciatore di teste

Molti di voi ci raccontano che i colloqui con i cacciatori di teste spesso sono più insidiosi di quelli con i potenziali datori di lavoro. Questo succede perché chi lavora nelle agenzie per la ricerca di personale non è interessato ad individuare un profilo preciso per colmare le esigenze di un'azienda specifica ma ad avviare una relazione con un candidato che, potenzialmente, potrebbe andare bene per diverse posizioni. Ecco perché, spesso, un candidato viene convocato per una posizione per la quale l'agenzia sa benissimo che non è il miglior profilo su piazza; in futuro potrebbe risultare adatto a coprire un'altra esigenza.

In realtà, quindi, il primo colloquio è orientativo e serve solamente per raccogliere informazioni sul candidato, per questo le domande sono spesso estremamente generiche.

Non considerate, dunque, tempo perso recarvi in questo genere di agenzie e vediamo come comportarsi con questi professionisti per portare a casa il miglior risultato possibile.
  1. Mai, mai e poi mai arrivare in ritardo;
  2. preparatevi al meglio per rispondere alle domande sapendo che non potrete sottrarvi. Con moltà probabilità vi verranno chieste informazioni sul vostro attuale posto di lavoro: mettete in luce i suoi punti migliori perché si rifletteranno sulla vostra presentazione professionale. Se, ad esempio, descriverete un ambiente dinamico, ben strutturato, culturalmente aperto, è probabile che il vostro profilo venga proposto per qualcosa di simile. Se, al contrario, vi lamenterete di un ambiente di lavoro poco stimolante, passerà il messaggio che siete stati scelti per lavorare in una realtà del genere e - probabilmente - nessuno vi proporrà il salto di qualità. Non si tartta di raccontare bugie ma semplicemente di cogliere i punti di forza di un ambiente e di illustrarli al meglio;
  3. mai, mai e poi mai parlare male dell'attuale datore di lavoro;
  4. sappiate che, probabilmente, vi faranno anche domande di tipo personale. Siate pronti a sapere fin dove intendete arrivare con le vostre risposte;
  5. se vi è concesso di fare domande, utilizzate il cacciatore di teste per avere qualche informazione sul potenziale datore di lavoro. Ovviamente non vi verrà detto di chi si tratta e non vi verranno nemmeno date indicazioni per capirlo ma potrete informarvi sulla tipologia di lavoro che vi aspetta, sull'ambiente, sulla struttura, ecc. Tutte informazioni ugualmente utili se arriverete a fare un colloquio presso l'azienda e saprete utilizzarle bene;
  6. siate sinceri, raccontate la verità sul vostro curriculum e sul vostro percorso di carriera;
  7. non usate mai un cacciatore di teste per ottenere una controfferta dalla vostra attuale azienda perché - con molta probabilità - non verrete mai più richiamati;
  8. spesso il colloquio finisce in modo criptico, quasi privo di senso e la persona che vi trovate davanti non vi darà alcuna indicazione su com'è andato. Non preoccupatevi, è assolutamente normale

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venerdì 13 novembre 2015

Per fare affari l'azienda chiama l'antropologo

(Fonte: "Il Venerdì")

Potete chiamarlo "cross cultural coach" oppure "business anthropologist", ma la sostanza non cambia. Negli Stati Uniti, che hanno fatto scuola, l'antropologo culturale è entrato nelle big company già a partire dagli anni Ottanta e oggi (...) è quasi un nume tutelare per formare manager o impiegati che lavorano in Paesi lontani dall'Occidente.

Ma ora anche in Europa e in Italia questa figura  acquista credito tra gli imprenditori che vogliono investire all'estero con maggiori probabilità di successo.

(...)

Non si tratta solo di capire che i consumi sono influenzati anche da fattori culturali, è necessario comprendere le dinamiche di gruppo in un ambiente di lavoro.

(...)

E l'attenzione alle differenze culturali serve per lavorare al meglio non solo in Paesi molto lontani, ma anche in altri relativamente più vicini come la Russia. 
Così, nelle grandi imprese, le cosiddette lezioni di "intercultural orientation" stanno diventando quasi una routine.

(...)

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giovedì 12 novembre 2015

La mobile enterprise in Italia fa risparmiare 10 miliardi in un anno. L'articolo è tratto da: "Affari & Finanza".

Voi cosa ne pensate? Usate tablet e smartphone al lavoro? Vi sono utili?

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mercoledì 11 novembre 2015

Meditate manager, meditate

(Fonte: "Il Venerdì")

"Bisogna essere, non fingere". Questa è stata la prima frase.
La seconda: "Non simulare quel che non sei, perché sul lungo periodo non funziona".
Alla terza arriva lo spaesamento per chi ascolta: "E' necessario avere consapevolezza dei propri pensieri. E' un concetto derivato dalla meditazione vipassana buddista. In inglese viene chiamata mindfulness ed è molto in voga". Dove? Nell'addestramento di manager e dirigenti. Almeno in quelle aziende dove si crede che l'organizzazione del lavoro sia un nodo essenziale per stare sul mercato e che, di conseguenza, la gestione delle risorse umane sia una scienza che deve diventare esatta.

(...)

Quando si parla di lavoro organizzato in maniera intelligente, smart working, in genere ci si riferisce al concentrarsi sugli obiettivi e non più sul tempo che si passa in ufficio, alla riduzione dei gradi gerarchici, alla possibilità di collaborare anche da fuori, dove è necessario, utile o più semplicemente piacevole stare, invece di dover per forza occupare una scrivania in uno spazio solo lavorativo. Stavolta però si tratta di compiere un passo a monte: cambiare la mentalità di chi il lavoro degli altri lo organizza. Secondo il rapporto dell'Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, presentato il 20 ottobre, soluzioni di lavoro intelligente sono state adottate da circa due aziende su dieci in Italia e il risparmio sui costi arriva spesso al 30 per cento.

Il pregiudizio da noi, è che in questo modo si lavori meno (...) in realtà, semmai, il rischio è opposto: visto che lo puoi fare ovunque e a qualunque orario, lavori sempre perché è quel che ti viene richiesto. Con un crollo conseguente della produttività. Ma, stando al Politecnico, in otto aziende su dieci non arrivano nemmeno a porsi questi problemi. Gestite da dirigenti inadeguati, vivono solo di emergenze. L'inadeguatezza nel programmare si trasforma nella necesità di avere sempre tutti a portata di mano (...). E' un'attitudine accompagnata dall'incapacità di valutare i risultati, giudicando gli altri solo in base ad aspetti secondari come il tempo che passano in ufficio. Ma sarebbe un errore pensare che questo sia un difetto degli amministratori delegati, perché quelli in genere già lavorano per obiettivi e sono ben contenti di risparmiare e aumentare la produttività. No, il problema è nei quadri medio-alti.

Oltreoceano si sono spinti sufficientemente in avanti da iniziare a criticare anche il modello della compagnia solare tipica della Silicon Valley, da Google a Facebook. Quelle dove la felicità del dipendente è fra le priorità perché si traduce in entusiasmo nel lavoro. Il sociologo inglese William Davies recentemente ha pubblicato "The Happiness Industry: How the Government and Big Business Sold us Well-being" (...) dove si sostiene che certe compagnie stanno investendo così tante risorse per rendere contenti i dipendenti che chi non aderisce a questo nuovo modello di armonia viene visto con sospetto.

(...)


Il mondo è pieno di persone che fanno i manager per il motivo sbagliato e vengono promosse per caratteristiche errate. Si cerca di far carriera per guadagnare di più e per essere riconosciuti socialmente. E ci si circonda di simboli del potere inutili: la scrivania più grande, il posto macchina riservato, il computer più potente. Fare il manager invece è gestire risorse ed essere capaci di valorizzarle.

(...)

Le conoscenze oggi sono distribuite in maniera orizzontale. Chiunque pensi di saperla più lunga a  priori rischia un brutto risveglio e di sicuro come manager fa un pessimo lavoro.
Quando invece una persona riesce a trasformare il suo team i risultati sono evidenti.

La felicità di un dipendente conta molto e costa anche (...) ma la si può vedere come un investimento: ogni persona ha una parte di energia che può impiegare nel lavoro se è motivata ed è contenta. A patto di avere dei manager che sanno mettere in pratica questa filosofia.

Viene da pensare alla Olivetti degli anni Cinquanta o alle scuole manageriali della Pirelli degli anni Settanta e Ottanta. Ma è l'ingresso della psicologia nella formazione a fare ora la differenza. Si tratta di sviluppare se stessi. (...) Trent'anni fa, al tempo degli yuppie, l'unica cosa che importava erano i margini di guadagno e la soddisfazione degli azionisti. Poi sono arrivati i valori dei clienti, in seguito quelli degli impiegati e ora si guarda allo stato mentale dei manager. Con una certezza: non è la tecnologia a liberare il potenziale delle persone, ma le persone stesse. E' il passaggio dalla dittatura del QI, il quoziente di intelligenza, all'emergere del QE, il quoziente emotivo che nel lavoro è essenziale.

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martedì 10 novembre 2015

I soldi motivano?

Molti manager e dirigenti pensano che le persone siano motivate dal denaro e che dare loro più soldi significhi motivarle a fare un lavoro migliore.

Avete mai lavorato in un posto che avete odiato? Ecco, sono sicura che anche se avete ricevuto un aumento avete continuato a recarvi ogni mattina in quel posto odiandolo e, di sicuro, non vi è passata nel cervello nemmeno per un momento l'idea di amarlo.

 
Il denaro non è qualcosa che ci fa amare il nostro lavoro, è solo qualcosa che ci permette di interrompere, temporaneamente, di odiarlo.  

A nessuno verrebbe mai in mente di svegliarsi la mattina e dire: "Non vedo l'ora di andare al lavoro oggi, perché mi pagano bene". Al massimo, dirà: "Odio questo lavoro! Mi piacerebbe lasciarlo ma qui mi pagano bene".

Non proprio la premessa giusta per arrivare ad impegnarsi, non credete?

Ma allora, se non è il denaro, cosa motiva realmente le persone sul posto di lavoro? Cosa fa in modo che imparino ad amare ciò che fanno?
E' presto detto: realizzarsi, vedersi apprezzate, raggiungere i risultati attesi. Questo è ciò che fa in modo che le persone si sveglino e abbiano voglia di recarsi al lavoro ogni mattina.

Il riconoscimento e la responsabilità sono due motivatori molto potenti. Il denaro, al contrario, è solamente un mezzo che ci permette di vivere il tipo di vita che scegliamo di vivere. 

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lunedì 9 novembre 2015

Perché i sistemi per la raccolta dei suggerimenti falliscono?

Perché ci sono organizzazioni nelle quali la raccolta di suggerimenti da parte dei dipendenti funziona egregiamente e altre in cui questo processo non parte nemmeno? Quali sono i fattori che fanno davvero la differenza?

Ovviamente non è la "qualità" dei dipendenti a determinare il risultato ma la qualità della leadership con la quale sono gestiti. 

Ci sono parecchie ragioni che possono portare al fallimento dei sistemi per la raccolta di suggerimenti. Tra questi ricordiamo: 
  • il fatto che le persone possono sentirsi riluttanti ad offrire suggerimenti se ritengono che il management non sia davvero interessato alle loro idee;
  • un'atmosfera intimidatoria che porti a pensare che le idee scartate in qualche modo contribuiscano a creare un giudizio su chi le ha proposte;
  • una mancanza di chiarezza su come funziona il processo e su chi è invitato a parteciparvi;
  • la mancanza di un feedback da parte di chi analizza le idee proposte;
  • un sistema di compensazione incoerente o imprevedibile
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venerdì 6 novembre 2015

Quali elementi caratterizzano un buon sistema per raccogliere i suggerimenti? 4

L'ultima area di intervento per assicurarsi un buon sistema per la raccolta dei suggerimenti dei vostri collaboratori riguarda:
  • il sistema premiante che lo sostiene: un elemento vitale dei sistemi per la raccolta di suggerimenti sta nel riconoscere ai partecipanti un premio per le buone idee che hanno generato. I dipendenti sono, ovviamente, molto più propensi a partecipare ad un programma di questo genere se le idee che presentano ricevono una risposta rapida e vengono tenute nella giusta considerazione. Gli esperti raccomandano di fissare un periodo di tempo entro il quale ogni idea verrà presa in considerazione e verrà dato un feedback al collaboratore. Entro un massimo di 30 giorni, poi, si comunicherà al collaboratore se la sua idea verrà adottata o meno e la decisione verrà supportata con una spiegazione chiara dei motivi che la sostengono. In ogni caso, il dipendente che ha presentato l'idea  dovrebbe essere ringraziato per aver partecipato al programma, qualunque sia la decisione che riguarda l'idea che ha presentato. Può essere utile, inoltre, fornire una ricompensa per le idee selezionate che verranno messe in pratica. Starà alla singola organizzazione scegliere la ricompensa migliore. Potrebbe trattarsi di un piccolo gadget per le idee di minore impatto, fino ad arrivare a una cena o ad una ricompensa economica per quelle in grado di produrre risultati importanti.
Lunedì vedremo insieme per quali motivi i sistemi per la raccolta dei suggerimenti falliscono. Intanto, avete voglia di raccontarci la vostra esperienza?

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giovedì 5 novembre 2015

Quali elementi caratterizzano un buon sistema per raccogliere i suggerimenti? 3

La terza area di intervento per migliorare il sistema di raccolta dei suggerimenti all'interno di un'organizzazione riguarda:
  • la visibilità del programma: un altro elemento importante per caratterizzare in positivo i programmi per la raccolta dei suggerimenti è la visibilità. Dopo tutto, non si può pretendere che i dipendenti partecipino a questo tipo di programmi se non sono a conoscenza della loro esistenza. Ecco perché bisognerà pubblicizzarli a dovere con annunci della Direzione, newsletter, un messaggio in bacheca o altre modalità ancora.I dipendenti devono capire che il management intende iniziare a tenere pienamente conto di tutti i suggerimenti che gli verranno presentati e che darà seguito ai migliori in modo tempestivo.Il sistema di suggerimento stesso dovrebbe essere ampiamente pubblicizzato e promosso. Esempi di possibili sistemi includono la creazione di una certa familiarità con la cassetta dei suggerimenti, la pubblicazione delle idee migliori e dei risultati ottenuti, la creazione di uno spazio intranet dedicato a questa attività, ecc.Una volta introdotto il sistema, è importante proseguire con le attività promozionali per mantenere alto l'interesse dei dipendenti.

Domani concluderemo il discorso esaminando l'ultima area di intervento, quella che riguarda il sistema premiante.

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mercoledì 4 novembre 2015

Quali elementi caratterizzano un buon sistema per raccogliere i suggerimenti? 2

Continuiamo ad esaminare le aree sulle quali intervenire per assicurare che la raccolta dei suggerimenti dei dipendenti funzioni a dovere:
  • la struttura: gli esperti raccomandano di affidare la responsabilità per lo sviluppo del programma e per la sua attuazione ad un singolo manager.Questa persona dovrebbe iniziare selezionando un comitato di dipendenti appartenenti ad ogni area dell'organizzazione e in grado di rappresentare tutti i vari gruppi che costituiscono l'azienda per aiutarlo ad amministrare le varie fasi. Questo gruppo composto dal manager e dai dipendenti selezionati dovrebbe sviluppare regole chiare per guidare gli sforzi delle persone nel fornire i suggerimenti. Programmi di questo genere tendono ad avere più successo quando i dipendenti vengono incoraggiati a dare suggerimenti ragionevoli entro i parametri della propria esperienza di lavoro. Il vero obiettivo è quello di generare il maggior numero di idee possibile e, nel tempo, migliorare la qualità di questi suggerimenti attraverso un feedback costante e una buona dose di incoraggiamento. È importante sviluppare una politica chiara che copra tutti gli aspetti del programma e fare in modo che tutti, manager e collaboratori, la comprendano. Se le persone visualizzeranno per intero tutto il processo, sapranno come le idee vengono esaminate e premiate ed elimineranno eventuali sospetti legati a singoli favoritismi.
Domani parleremo della terza area di intervento, quella che riguarda la visibilità del programma. 
Non mancate!

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martedì 3 novembre 2015

Quali elementi caratterizzano un buon sistema per raccogliere i suggerimenti?

Se avete letto l'articolo che abbiamo pubblicato oggi, avrete capito che l'obiettivo di un sistema capace di raccogliere i migliori suggerimenti è quello di toccare la potenzialità di generare idee dei collaboratori e di innescare la loro creatività.

Per riuscirci, occorre che ognuno di essi comprenda a fondo:

  • come si svolge il processo di raccolta dei suggerimenti;
  • come viene supportato dalla Direzione;
  • quale sistema premiante è stato associato ad esso
Gli elementi che assicurano il successo di un sistema per la raccolta dei suggerimenti possono essere ricondotti a quattro aree principali:
  • il supporto per la gestione del programma: i manager e la Direzione devono mostrare entusiasmo e impegno verso il programma affinché esso riesca a generare i risultati desiderati. Un piccolo imprenditore potrebbe iniziare, ad esempio, condividendo la sua visione per l'azienda con i dipendenti. I dipendenti che capiscono la mission di una società hanno maggiori probabilità di presentare idee preziose e di aiutarla a raggiungere i suoi obiettivi. Il passo successivo potrebbe essere quello di assicurarsi che i responsabili di livello intermedio supportino il sistema per la raccolta dei suggerimenti senza sentirsi minacciati da esso. E'importante anche che i risultati positivi raggiunti grazie ai suggerimenti dei dipendenti vengano riconosciuti pubblicamente, magari durante una riunione apposita o l'apposizione di messaggi di ringraziamento nella bacheca comune o in altro modo ancora
Domani vedremo quali sono le altre tre aree di intervento. A presto!

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lunedì 2 novembre 2015

Le virtù di un leader

La credibilità è qualcosa che spiega come i leader guadagnino la fiducia dei loro collaboratori.  
Che siano credibili - infatti - è la prima cosa che le persone chiedono ai loro leader, la condizione base per iniziare a contribuire volontariamente al lavoro di squadra e per sposare le cause della propria organizzazione. 
Tutto questo, naturalmente, è fondamentale per qualsiasi azienda perché sappiamo quanto siano proprio i valori condivisi a fare la differenza. L'impegno dei collaboratori, la loro soddisfazione, la produttività e altri indici positivi legati al lavoro diventano significativamente più alti quando le persone condividono i valori delle loro organizzazioni. 
Pensateci un attimo: cosa chiedete da un leader per seguirlo con convinzione?
Immaginiamo che ognuno di voi, per essere davvero coinvolto da qualcuno in ambito professionale, si aspetti che questo sia onesto, lungimirante, competente, stimolante e credibile.  

La leadership, a seconda dei casi, è estremamente legata alla persona, alla sua moralità, all'onestà che manifesta, al carattere, alla disciplina che evidenzia attraverso il suo lavoro. Non riguarda l'organizzazione per la quale si lavora o la comunità nella quale si opera.  
Se le persone non credono a chi sta trasmettendo un messaggio, non credono al messaggio. Se le persone non credono nella loro guida, infatti, non crederanno nemmeno a quello che dice.
Sono le nostre azioni a determinare chi siamo ed è ciò che facciamo più volte che determinerà l'eredità che lasceremo a chi ha lavorato con noi. 

Ognuno di noi deve assumersi la responsbailità di ciò che fa. Le azioni hanno delle conseguenze e tutti dobbiamo rendere conto a qualcuno di ciò che facciamo.
 


Qualunque strategia comincia nelle menti degli uomini che devono supportarla, viene espressa con le parole ma ha bisogno di un fortissimo sostegno per tradursi in azione.  

E' attraverso l'esempio e la credibilità che i leader creano la cultura che rappresenta per l'organizzazione ciò che il carattere è per le persone: un segno distintivo. 
Una cultura solida invita a comportamenti virtuosi.

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