martedì 31 dicembre 2013

I posti dove si lavora bene (2)

Ritorniamo sul discorso dei posti dove si lavora bene, riportando alcuni estratti dal Corriere Economia.

"In Eli Lilly (...) siamo molto focalizzati sull'equità interna e sull'attenzione verso le persone
Il pacchetto di benefit è flessibile ed è cucito su misura dei bisogni dei singoli collaboratori, con attenzione alla famiglia e alla maternità, ma anche ai collaboratori single e conviventi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale"

(...)

"In Bricoman i valori aziendali, improntati alla trasparenza e allo spirito di squadra, si riflettono in un ambiente di lavoro a basso tasso di gerarchia e ad alto livello di rispetto reciproco, dove sbagliare è permesso e il divertimento non è un aspetto marginale. 
Condivisione del sapere che passa attarverso la diffusione capillare delle informazioni e il conferimento di autonomia decisionale alle persone e condivisione dell'avere realizzata attraverso leve retributive che vanno ad impattare sul breve, medio e lungo periodo."

(...)

"I momenti di ascolto sono previsti a tutti i livelli dell'organizzazione attraverso la strutturazione di una survey intermna cui seguono piani d'azione concreti.
Per facilitare le occasioni di contatto fra colleghi EMC ha lanciato un'iniziativa definita un caffé con...che prevede incontri di 30 minuti nella pausa caffé del dopo pranzo permettendo a chi lo desidera di condividere con gli altri passioni e hobby"

A presto per altri tre esempi virtuosi presi dalle organizzazioni dove si lavora meglio.

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lunedì 30 dicembre 2013

I posti dove si lavora bene

Oggi vi proponiamo una serie di articoli tratti da: "Il Corriere economia" che hanno per tema le organizzazioni nelle quali si lavora meglio.

Domani vi proporremo, invece, alcuni stralci degli spunti interessanti che abbiamo trovato in quelle pagine e che non sono compresi nei testi che vi riportiamo.

Dove si lavora meglio, eccole aziende che hanno la tripla A
Sono i dipendenti a dare la pagella
Se il clima è buono si sente meno la crisi
Gorman, "Siate trasparenti e accessibili"

A domani per continuare insieme il discorso.

 
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venerdì 27 dicembre 2013

I prodotti in garanzia (2)

Continuiamo il discorso iniziato qualche giorno fa, esaminando insieme le tre situazioni critiche di quando si chiede l'applicazione della riparazione in garanzia. Il testo, vi ricordo, è tratto dalla rivista: "Altroconsumo".

"A volte succede che la riparazione in garanzia venga negata dal centro di assistenza del negozio, che vi attribuisce la colpa del guasto."

(...)

"Dovete contestare immediatamente per iscritto la versione del negoziante e sollecitare la riparazione inviando al venditore e, per conoscenza, anche al centro riparazione, una lettera raccomandata."

(...)

"In questi casi, le possibilità di spuntarla sono più alte se il prodotto è relativamente nuovo. Infatti, se il guasto si è verificato entro sei mesi dalla consegna, il venditore è obbligato ad applicare la garanzia, a meno che non dimostri (con tanto di prove) che il guasto l'avete davvero provocato voi.
Se invece il difetto si è manifestato dopo i sei mesi dalla consegna, dovrete essere voi a dimostare che il prodotto non è conforme."

(...)

"Vediamo il caso in cui il venditore accetta di ripararvi il prodotto difettoso, ma l'operazione prende più tempo del previsto: il centro riparazioni tergiversa e non vi comunica alcun termine per la consegna.
La soluzione migliore è quella di concordare preventivamente, per iscritto, con il venditore o il centro di assistenza, una data entro la quale il lavoro deve essere finito. Così, in caso di ritardo, diventa più facile intimare l'esecuzione del lavoro.
Se non avete stabilito alcuna data, lo potete fare in un momento successivo con una cosiddetta lettera di messa in mora".

(...)

"E come comportarsi se portate un prodotto in garanzia a riparare e poi questo si rompe di nuovo, manifestando lo stesso problema a distanza di qualche mese?
Il tema è delicato, perché di fatto non ci sono sentenze che affrontano questo tipo di situazione. In linea di massima, non è prevista una garanzia della garanzia, però se il guasto si ripresenta mentre la copertura è ancora operante, il venditore deve intervenire nuovamente e se la riparazione non è possibile, dovrà proporre una soluzione alternativa."
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martedì 24 dicembre 2013

I prodotti in garanzia

Vi riporto i tratti più interessanti del lungo articolo tratto dalla rivista: "Altroconsumo" che ha per tema la gestione dei prodotti in garanzia.
Mi piacerebbe leggere le vostre esperienze in merito, professionali e personali, così potremmo completare meglio l'argomento. Cosa ne dite?

"Quando compriamo un prodotto, può capitare che non funzioni a dovere o che presenti caratteristiche diverse da quelle promesse sulla confezione o vantate dalla pubblicità. E' in casi come questi che va fatta valere la garanzia.

Queste le regole base: la garanzia copre il prodotto per due anni dalla sua consegna e bisogna farla valere nei confronti del venditore (non del produttore) entro due mesi a partire dal momento in cui si manifesta il problema. A vostra scelta, potete chiedere che il prodotto sia riparato oppure sostituito: in entrambi i casi non dovete pagare alcuna spesa.

La legge non stabilisce un termine fisso entro il quale il venditore deve riparare il bene o sostituirlo, ma prevede che il tempo debba essere congruo, tenendo conto soprattutto della natura del bene e del motivo per cui il consumatore lo ha acquistato. Se il prodotto non può essere riparato né sostituito, avete diritto a restituirlo ed essere rimborsati o a una riduzione del prezzo se il difetto è lieve".

(...)

Venerdì vedremo insieme come affrontare tre situazioni tipiche quando si parla di garanzia:
  1. il venditore vi accusa di essere la causa del guasto
  2. il venditore ci mette troppo per effettuare la riparazione
  3. sul prodotto riparato si ripresenta il medesimo problema


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lunedì 23 dicembre 2013

La definizione di Qualità secondo Peter Senge

Qualcuno di voi ricorda il nome di Peter Senge, il teorico della learning organization?
Recentemente, ci siamo imbattuti nella sua definizione di Qualità che - tradotta dall'inglese - suona più o meno così:

"la Qualità è una trasformazione che porta a pensare e a lavorare insieme, a creare valore e a ricompensare le persone oltre che a misurare i nostri successi. 

Tutti collaborano per progettare e rendere operativo un sistema che fornisca valore aggiunto su base continua e che incorpori il controllo qualità, il servizio al cliente, il miglioramento dei processi, le relazioni con i fornitori e le buone relazioni con le comunità di persone che si servono e con le quali si collabora, tutto allo scopo di ottimizzare il lavoro per raggiungere uno scopo comune".

Cosa ne pensate? Ritenete che sia più centrata rispetto alle definizioni della Qualità degli altri guru, già riportate su QualitiAmo?

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venerdì 20 dicembre 2013

Imparare le lingue gratis

Dato che è un argomento che vi sta particolarmente a cuore, vi riporto alcuni suggerimenti per imparare le lingue gratuitamente letti in un articolo tratto da: "Il Venerdì".

(...)

"Con Skype e internet l'apprendimento di una lingua straniera è un'impresa stimolante che va oltre i verbi da coniugare. 

Il consiglio è quello di scegliere il geniale baratto di tempo e competenze fra persone ai quattro angoli del pianeta offerto dai siti di scambio linguistico. 
Il principio di base non è nuovo, anzi la glottodidattica se ne occupa da tempo: si tratta del cosidetto tandem formato da una coppia di madrelingua, ciascuno dei quali studia la lingua dell'altro. Ci si dà appuntamento davanti alla webcam e si parla per 30 minuti (o per il tempo concordato) in un idioma, poi si usa l'altra lingua nella mezz'ora successiva.

Una volta iscritti, i database incrociano i dati e forniscono una lista di persone compatibili. Ad esempio, un madrelingua francese interessato a migliorare l'italiano sarà felice di contattare un madrelingua italiano che miri a un francese fluente."

(...)

"Eccovi un esempio di sito scelto per l'immediatezza del servizio: con Italki si ha uno scambio gratuito con istruzioni parzialmente in italiano".

(...)

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giovedì 19 dicembre 2013

Le università-aziende

Ultimo spunto dal libro di Nuccio Ordine "L'utilità dell'inutile".

Dopo gli studenti-clienti vediamo cosa scrive il nostro autore sui professori-burocrati e sulle università-aziende. Ovviamente, ogni vostro commento sarà il benvenuto.

(...)

"Istituti secolari e atenei, insomma, sono stati trasformati in aziende. Niente da eccepire, se la logica aziendalistica si limitasse a eliminare gli sprechi e a mettere sotto accusa le gestioni allegre dei bilanci pubblici. Ma, all'interno di questa nuova visione, il compito ideale di presidi e rettori sembrerebbe essere soprattutto quello di produrre diplomati e laureati da immettere nel mondo del mercato.

Spogliati dei loro panni abituali di docenti e forzati a indossati quelli di manager, sono costretti a far quadrare i conti nel tentativo di rendere competitive le imprese che governano.
Anche i professori si trasformano sempre più in modesti burocrati al servizio della gestione commerciale delle aziende universitarie."

(...)

"Sembra che nessuno si preoccupi, come si dovrebbe, della qualità della ricerca e dell'insegnamento."

(...)

"Non ci si rende più conto che separando completamente la ricerca dall'insegnamento si finisce per ridurre i corsi a una superficiale e manualistica ripetizione dell'esistente.

Le scuole e le università non possono essere gestite come aziende. (...) L'essenza della cultura si fonda esclusivamente sulla gratuità: la grande tradizione delle accademie europee (...) ci ricorda che lo studio è innanzitutto acquisizione di conoscenze che, libere da ogni vincolo utilitaristico, ci fanno crescere e ci rendono più autonomi. E proprio l'esperienza dell'apparentemente inutile e l'acquisizione di un bene non immediatamente quantificabile si rivelano investimenti i cui profitti vedranno la luce nella longue durée."

(...)

"Privilegiare esclusivamente la professionalizzazione degli studenti, significa perdere di vista la dimensione universale della funzione educativa dell'istruzione: nessun mestiere potrebbe essere esercitato in maniera consapevole se le competenze tecniche che richiede non fossero subordinate a una formazione culturale più vasta, in grado di incoraggiare i discenti a coltivare autonomamente il loro spirito e a lasciare libero corso alla loro curiositas.
Far coincidere l'essere umano esclusivamente con la sua professione sarebbe un errore gravissimo: in qualsiasi uomo c'è qualcosa di essenziale che va molto al di là del suo stesso mestiere. Senza questa dimensione pedagogica, completamente lontana da ogni forma di utilitarismo, sarebbe ben diffcile, per il futuro, continuare a immaginare cittadini responsabili, capaci di abbandonare i propri egoismi per abbracciare il bene comune, per esprimere solidarietà, per difendere la tolleranza, per rivendicare la libertà, per proteggere la natura, per sostenere la giustizia..."

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mercoledì 18 dicembre 2013

Gli studenti-clienti

Vi propongo un nuovo spunto dal libro di Nuccio Ordine "L'utilità dell'inutile".
Questa volta riguarda gli studenti-clienti e, in generale, le scuole che - in molte parti del mondo - sono diventate dei posti dove si vendono lauree e diplomi.

"A Harvard (...) le relazioni tra professori e studenti sembrano essere sostanzialmente fondate su una sorta di clientelismo: pagando molto cara la sua iscrizione a Harvard, lo studente non si aspetta solo che il suo professore sia dotto, competente e valido: si aspetta che sia sottomesso, poiché il cliente è re. 

In altri termini: i debiti contratti negli USA dai discenti per finanziare i loro studi, pari quasi a mille miliardi di dollari, li costringono a essere più alla ricerca di reddito che di sapere. 
I soldi, infatti, che gli iscritti versano nelle casse universitarie occupano un posto di primo piano nei bilanci predisposti dai rettori e dai consigli d'amministrazione. E questo dato comincia a essere molto importante anche negli atenei statali, dove si cerca di attirare gli studenti con ogni mezzo, fino a promuovere, come accade per le automobili e per i prodotti alimentari, vere e proprie campagne pubblicitarie. 

Le università, purtroppo, vendono diplomi e lauree. E li vendono insistendo soprattutto sull'aspetto professionalizzante, offrendo cioè ai giovani corsi e specializzazioni con la promessa di ottenere lavori immediati e redditi allettanti."

Cosa ne pensate?

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martedì 17 dicembre 2013

Perché la cultura è utile, anche quando non sembra

Ho terminato di leggere il bel libro di Nuccio Ordine "L'utilità dell'inutile" che è stato scritto per spiegarci come non sia vero che le cose utili sono solamente quelle che producono un profitto.

Il libro raccoglie citazioni e pensieri di autori famosi che servono a farci comprendere "l'utile inutilità della letteratura e gli effetti disastrosi prodotti dalla logica del profitto nel campo dell'insegnamento, della ricerca e delle attività culturali in generale".

Ve ne riporto qualche stralcio, sperando di fornire qualche input utile alla discussione.

(...)

"(...) considero utile tutto ciò che ci aiuta a diventare migliori.

Ma la logica del profitto mina alle basi quelle istituzioni (...) e quelle discipline (...) il cui valore dovrebbe coincidere con il sapere in sé, indipendentemente dalla capcità di produrre guadagni immediati o benefici pratici."

(...)

"In questo brutale contesto, l'utilità dei saperi inutili si contrappone radicalmente all'utilità dominante che, in nome di un esclusivo interesse economico, sta progressivamente uccidendo la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, l'istruzione, la libera ricerca, la fantasia, l'arte, il pensiero critico e l'orizzonte civile che dovrebbe ispirare ogni attività umana.
Nell'universo dell'utilitarismo, infatti, un martello vale più di una sinfonia, un coltello più di una poesia, una chiave inglese più di un quadro: perché è facile capire l'efficacia di un utensile mentre è sempre più difficile comprendere a cosa possano servire la musica, la letteratura o l'arte".

(...)

Vi lascio con due splendide frasi tra le tantissime riportate dall'autore nelle pagine del suo libro:

"Osservate la gente correre indaffarata, nelle strade. Non guardano né a destra, né a sinistra, preoccupati, con gli occhi fissi a terra, come cani. Tirano diritto, ma sempre senza guardare davanti a sé, poiché coprono un percorso, già risaputo, macchinalmente. In tutte le grandi città del mondo le cose stanno così. L'uomo moderno, universale, è l'uomo indaffarato, che non ha tempo, che è prigioniero della necessità, che non comprende come una cosa possa non essere utile; che non comprende neppure come, in realtà, proprio l'utile possa essere un peso inutile, opprimente. Se non si comprende l'utilità dell'inutile, l'inutilità dell'utile, non si comprende l'arte; e un paese dove non si comprende l'arte è un paese di schiavi o di robot, un paese di persone infelici, di persone che non ridono né sorridono, un paese senza spirito; dove non c'è umorismo, non c'è il riso, c'è la collera e l'odio" (Eugène Ionesco)

"Quando intuì l'uso che si poteva fare dell'inutile, l'uomo fece il suo ingresso nel regno dell'arte" (Kakuzo Okakura)

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lunedì 16 dicembre 2013

Le "cose" necessarie per lavorare in Qualità

Se doveste fare una lista di "cose" che per voi sono necessarie per poter lavorare seriamente in Qualità, cosa includereste?

Noi vi proponiamo questo elenco che ci piacerebbe completaste voi:
  1. una leadership visionaria ed efficace che sia votata alla Qualità
  2. un'idea chiara di ciò che si deve fare e una strategia focalizzata sulla Qualità
  3. una comprensione delle necessità della clientela e la disponibilità ad accoglierle per soddisfarle
  4. una cultura guidata dalla Qualità
  5. le persone giuste con la formazione giusta e la giusta motivazione
  6. le conoscenze necessarie
  7. gli strumenti necessari
  8. i migliori sistemi e la tecnologia necessaria
  9. un buon livello di capacità di lavorare in squadra e di volontà di collaborare
  10. una vera e propria passione per l'innovazione che consiste nello spostare l'asticella sempre un po' più in alto per affrontrare nuove sfide
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venerdì 13 dicembre 2013

I processi speciali

Molti di voi ci hanno chiesto ulteriori lumi sui processi speciali e noi ritorniamo molto volentieri su questo argomento che, ci siamo resi conto, spesso viene abbondantemente frainteso.

I processi speciali sono quei processi i cui risultati non possono essere verificati tramite misurazioni e monitoraggi perché eventuali difettosità risulterebbero evidenti solamente dopo l'utilizzo del prodotto. Pensiamo, ad esempio, ad una saldatura che - se fatta male - si evidenzierà solamente con una rottura o all'erogazione di un servizio quale, ad esempio, un consulto medico o la prenotazione online di un albergo.

La validazione, come specifica il punto 3.8.5 della ISO 9000, è una "conferma, sostenuta da evidenze oggettive, che i requisiti relativi ad una specifica utilizzazione o applicazione prevista sono stati soddisfatti" quindi, ad esempio, il processo di saldatura andrà validato grazie a test distruttivi e non distruttivi condotti su saldature campione che rendano confidenti in merito alla bontà del lavoro effettuato e, soprattutto, alla sua replicabilità futura. A scelta, questi test potranno essere condotti a campione per ogni "lotto" di lavorazione (con tutti i costi relativi) oppure potranno riferirsi ad una validazione iniziale le cui variabili, però, dovranno essere monitorate ad ogni lavorazione.

Queste variabili saranno:
  • gli operatori addetti al processo
  • i macchinari e gli strumenti
  • i materiali
  • le condizioni ambientali
per i quali andrà verificato se:
  • siano stati definiti i criteri per la revisione e l'approvazione del processo speciale
  • questi criteri siano in linea con la validazione iniziale che è stata effettuata
  • come siano stati approvati macchinari e strumenti
  • come sia stato qualificato il personale
  • quali documenti e procedure vengano utilizzati
  • quali registrazioni siano disponibili
  • se il processo venga validato nuovamente in presenza di qualsiasi modifica
Resta da aggiungere qualcosa sull'argomento? Riportateci le vostre esperienze!

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giovedì 12 dicembre 2013

Le difficoltà ad ammettere un errore

Ammettere un errore non è facile per nessuno ma è fondamentale saperlo fare per poterlo insegnare agli altri e per poter creare le condizioni affinché un errore non venga nascosto ma possa essere utilizzato al fine di migliorare.

Su "Donna Moderna" ho letto un articolo che trattava proprio questo argomento e ho pensato di proporvene qualche stralcio per stimolare una discussione.

(...)

"La vita è punteggiata di piccoli e grandi sbagli che il nostro giudice interiore tende a censurare perché li considera fallimenti."

(...)

"E se provassimo a rovesciare la prospettiva e a dichiarare apertamente le sviste?

Gli errori non sono un segno di debolezza ma di forza. Nei curricula dei candidati le grandi aziende americane vogliono leggere anche i fallimenti, perché dimostrano che il candidato sa imparare, ricominciare e valutare altre strade."

(...)

"Oltretutto, dire che si è compiuto un errore dispone le persone alla comprensione e alla collaborazione.

Se li analizzi con serenità, scoprirai che alcuni errori ti hanno semplicemente portato su una strada diversa da quella che ti aspettavi. Prova a considerarli come un altro punto di partenza."

(...)

"Le esperienze dei primi anni di vita condizionano il modo in cui ognuno di noi giudica le sue azioni da adulto. Sono filtri che spesso non fanno vedere oggettivamente le cose."

(...)

"Se anche tu tendi a nascondere un errore, individua una persona che stimi e chiedi la sua opinione: scoprirai che a volte quello che per te è un errore grave, per l'altro è solo una sciocchezza."

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mercoledì 11 dicembre 2013

Imparare a dire "no" (3)

Concludiamo la lettura del lungo articolo pubblicato su "D",  dando un'occhiata alle sei regole della psicologa Judith Sills che dovrebbero aiutarci ad imparare a dire qualche no in più.
  1. Rimpiazza il tuo "sì" automatico con un "ci penso su". Aiuta a riprendere il controllo, a riflettere e a preparare il terreno per un no ragionato che fa meno male di quello impulsivo
  2. Ammorbidisci il linguaggio, indora la pillola. Usa espressioni come "Preferirei di no", "Non sono a mio agio con...", "E' molto interessante ma non sarei capace di..."
  3. Contieni le tue emozioni. Un no arriva meglio a destinazione se accompagnato da un'aria di calma zen, anche se finta. E' molto più efficace di uno tsunami di rabbia.
  4. Cita la tua responsabilità verso altri. Ad esempio: "Mi piacerebbe aiutarti, ma ho già promesso a X di..."
  5. Pensa, o immagina, che tu stia facendo qualcosa anche nell'interesse di qualcun altro, come la tua famiglia o la tua azienda. Ad esempio: "Non posso prestarteli, perché con quei soldi devo..."
  6. Se insistono, ripeti il tuo no. Davanti a un capo che pretende un certo lavoro da te (...) ripeti con calma la frase con cui lo stai respingendo. E se non cede, rimani in silenzio, finché non capisce che non c'è niente da fare. Il tuo no è no
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martedì 10 dicembre 2013

Imparare a dire "no" (2)

Continuiamo la lettura dell'articolo iniziato ieri e tratto dalla rivista "D".

(...)

Ma perché, insomma, preferiamo dire sì? Per evitare conflitti. (...) E perché, soprattutto, vogliamo piacere, essere popolari.
Crediamo di celebrare gli altri dicendo loro sì, e invece non facciamo che celebrare noi stessi, la nostra immagine fasulla di persone buone.

(...)

Alcuni no sono inutili o addirittura dannosi, altri no costituiscono invece una spinta vitale: ci permettono di stare al mondo, di relazionarci proficuamente.

(...)

Certo, spesso è tutt'altro che facile opporre un no (...). Secondo i neuroscienziati, un no è sempre più potente di un sì: il cervello reagisce più rapidamente, con più intensità, lo sente di più.

(...)

Il cammino che conduce verso un libero e sano alternarsi di sì e di no è tortuoso, ma è una battaglia cruciale.Dire di no è fondamentale per stabilire un equilibro vita/lavoro, ma è anche la cartina di tornasole della nostra moralità.

(...)

Domani concluderemo questo discorso leggendo insieme i sei suggerimenti offerti da una psicologa per imparare a dire "no", ovviamente quando serve.

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lunedì 9 dicembre 2013

Imparare a dire "no"

Vi riporto alcuni stralci di un articolo interessante pubblicato su "D" che spiega perché il "no" sia sempre stato meno popolare del "sì" e come liberarsi dalla schiavitù del sentirsi costretti a pensarla sempre in positivo.

Buona lettura!

C'è chi dice no. Ma è un'eccezione. Perlomeno oggi, per tutta una serie di ragioni, tendiamo a dire di sì.

(...)

Non ci sarebbe nulla di male. Se non fosse che troppo spesso diciamo sì ma vorremmo dire no.

(...)

Raramente si celebra il no, questa specie di grata di metallo con cui muriamo la finestra tra noi e l'influenza degli altri.

(...)

Il sì ha, per così dire, un ufficio stampa migliore: passa per la risposta di chi rischia, di chi vanta coraggio e un cuore buono, Mentre il no viene confuso con la negatività.
Ma è un errore. E' vero, a volte no e negatività sono sinomini: di impotenza, scontetezza petulante, paura inforndata. Ma il no può essere anche altro: è un momento di scelta chiara, sa annunciare, seppure indirettamente, qualcosa di positivo che è in noi.

(...)

Il no dice: "Io sono questo, ecco i miei valori".
Definisce il limite tra noi e gli altri, e rappresenta una consapevolezza potente, solitaria e adulta, che protegge dagli abusi altrui.

(...)

Il no sembra essere uno strumento che allontana le persone e impedisce di consolidare i rapporti (...) invece è il modo adeguato per incontrare gli altri, sostanziare i rapporti ed esercitare in modo sano la propria disponibilità.
Siamo vittime del mito del sì, di una presunta disponibilità totale.

(...)

La maggior parte delle persone ricorda quanto sia stato importante dire sempre sì all'inizio della carriera. Ma oggi viviamo una fase dominata da internet e dai social media, entrare in contatto è più facile, siamo bombardati da richieste e proposte, ed è fondamentale sapere scegliere le più importanti.
Fateci caso, chi ha successo, chi è al vertice di una società, non è che ha meno cose da fare...è che sa scegliere meglio a quante e quali cose dedicarsi.

Domani leggeremo insieme la seconda parte di questo articolo che ci spiega perché siamo così abituati a dire sì.
Nel frattempo, mi piacerebbe che interveniste sull'argomento. Cosa ne pensate?

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venerdì 6 dicembre 2013

Alle aziende serve più intelligenza

Ultimo articolo tratto dal numero più recente de: "Il Corriere Economia". Riguarda la preparazione informatica delle organizzazioni italiane.

Vediamone insieme gli estratti più interessanti.

Tutto è concatenato: sviluppo tecnologico e organizzativo delle aziende, nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato, egovernment, banda larga.
Uno dei meriti del terzo Rapporto di Nomisma sulla business intelligence (...) è quello di mostrare l'interdipendenza dei fattori che concorrono a formare la competitività dei Paesi in una fase dello sviluppo economico in cui la collaborazione tra i diversi attori è fondamentale.

(...)

Il successo della Germania come innovation leader dipende in buona parte dal fatto di saper gestire al meglio questa interdipendenza.

(...)

Sull'Italia, l'analisi del Rapporto (...) è impietosa: senza una svolta nei comportamenti, sia delle aziende che della pubblica amministrazione, la nostra posizione competitiva è destinata a peggiorare.

(...)

E' clamoroso, ad esempio, che le varie banche dati delle pubbliche amministrazioni siano ancora scollegate tra loro.
Ma i ritardi delle aziende private nel dotarsi di strumenti efficaci di business intelligence (...) non sono meno gravi.

(...)

I freni sono sostanzialmente due: i costi di informatizzazione, alti soprattutto per le piccole imprese e la scarsa qualità dei dati a disposizione, un effetto della mancanza di collegamento tra i database privati e pubblici.
La crisi fa il resto,. Se si chiede alle aziende che cosa intendano per innovazione, spiegano i ricercatori, si riceve una risposta scoraggiante: da un lato danno poca importanza agli investimenti in soluzioni informatiche; dall'altro, pungolate dalla bassa capitalizzazione e dal difficile accesso al credito, dedicano sempre maggiore attenzione al taglio dei costi di produzione e distribuzione come primo (e spesso unico) obiettivo di innovazione aziendale.

(...)

La crisi del mercato nazionale induce le aziende a concentrarsi sulla ricerca di nuovi mercati (38%), lasciando l'acquisizione di nuove tecnologie agli ultimi posti (il 12%, raggiunto solo grazie alle realtà di maggiori dimensioni).

(...)

Se si guarda più nel dettaglio, ci si accorge che l'esiguità degli investimenti si riflette sull'organizzazione dei dati produttivi e contabili: il grosso delle aziende si affida ai sistemi gestionali, che rappresentano, per così dire, la tradizione dell'informatica (61%), mentre soltanto il 14% usa i più evoluti software applicativi di business intelligence.

(...)

La sottovalutazione dei sistemi più sofisticati (...) deriva dalla non sufficiente conoscenza di strumenti come il geo marketing (...) e la location intelligence.

(...)

Non si può escludere, naturalmente, che nel gioco delle priorità pesi anche, da un lato, la valutazione negativa per i dati a disposizione e, dall'altro, un certo (fondato) pessimismo sullo sviluppo della banda larga e, di conseguenza, sulla velocità di connessione.

(...)

Si torna così a quanto detto all'inizio: tutto è correlato, tecnologia, decisioni politiche, aspetti culturali.

(..)

Cosa ne pensate?

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giovedì 5 dicembre 2013

Suggerimenti per l'Alimentare

Un altro articolo interessante tratto dalle pagine dell'ultimo numero de: "Il Corriere Economia". Questa volta riguarda il comparto Alimentare.
Eccovi i passaggi più significativi.

Contraffazione e italian sounding sono due tra i più letali nemici dell'agroalimentare. Si tratta di due facce della stessa medaglia: la contraffazione riguarda vere e proprie imitazioni illegali di marchi o ricette effettivamente registrati da un'impresa, o anche di prodotti Dop o Igp che, in quanto tali, devono rispettare disciplinari e regole ben definite a livello comunitario.

L'italian sounding è una forma di imitazione, il richiamo improprio all'Italia attraverso l'uso di segni grafici e fotografici che evocano chiaramente il nostro Paese: la bandiera tricolore, il disegno dello Stivale, immagini riferite ai nostri monumenti o località.
Altra tipologia è l'impiego di nomi italiani: nomi generici di prodotti italiani (...); marchi di prodotti, nomi di imprese produttirci, cognomi italiani

(...)

In tutti questi casi viene evocato il nome del nostro Paese, senza che esista alcun contatto con la nostra produzione.

Il valore della contraffazione dei prodotti agroalimentari, alcolici e bevande ha una dimensione stimata in 1,1 miliardi di euro.

(...)

Le stime Ismea sui dati Istat prevedono per il 2013 un aumento delle esportazioni agroalimentari in valore di oltre 6%, trainate da quelle dei prodotti dell'industria alimentare e delle bevande (...)
In un simile scenario sono proprio le Pmi a guidare l'export di prodotti alimentari ma a differenza delle grandi imprese hanno maggiori difficoltà nella penetrazione dei nuovi mercati.

L'estrema frammentazione del comparto ostacola l'espansione dei Paesi emergenti, sarà per questo che da tempo si parla di forme aggregative capaci di favorire l'internazionalizzazione.

(...)

Per aggredire i mercati esteri servono risorse e capacità produttive, distributive e commerciali.
Bisogna lavorare per rafforzare la capacità delle imprese agricole di esportare e investire all'estero creando strumenti normativi ad hoc, semplificando e razionalizzando le risorse e lavorando sulla frammentazione dei soggetti coinvolti.

Ottimi suggerimenti e non solo per l'Alimentare, non pensate?

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mercoledì 4 dicembre 2013

Il deficit di credibilità si supera con la comunicazione

Sull'ultimo numero del "Corriere Economia" ho letto un articolo interessante che, forse, potrà aiutarci a fare qualche ragionamento utile per dare qualche suggerimento alle nostre organizzazioni che si trovano a dover fronteggiare questa brutta crisi.

Vi riporto, come al solito, i passaggi che ho giudicato più interessanti.

"Nel confronto con l'Europa, il dato che emerge in modo più drammatico è l'incapacità delle aziende italiane di fornire una prospettiva sul proprio futuro, parlare dei progetti di innovazione, delle proprie strategie di crescita e del modo sostenibile di fare business."

(...)

"Spesso quello che ci manca non è la sostanza ma le best practice nella comunicazione."

(...)

"Le aziende italiane soffrono di un deficit di credibilità all'estero."

(...)

Molte società, ad esempio, credono che sia sufficiente creare una versione Html del proprio bilancio o un'app per raggiungere un pubblico più ampio. Un bilancio di 300 pagine pensato per essere stampato, non diventa più leggibile se replicato online.
Fare corporate storytelling, termine ormai abusato, non significa solo raccontare belle storie dell'azienda, ma trasmettere il proprio modo di fare business e la propria visione del futuro."

(...)

"Le aziende lanciano app, bilanci interattivi e account social media quasi più per moda, per sentirsi al passo con i concorrenti e le aziende europee. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non investono nella costruzione sul web di messaggi chiari e coerenti, nella definizione di obiettivi di comunicazione e nell'integrazione dei social media con tutti i canali di comunicazione".

Cosa ne pensate? Il quadro che emerge è realistico a vostro giudizio?

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martedì 3 dicembre 2013

Le 10 competenze da avere nel 2020

La rivista "Focus"riporta uno studio dell'Institute of the Future dell'Università di Phoenix relativo alle competenze da avere nel 2020, in un mondo destinato a essere sempre più globalizzato e basato sull'informatica.

Eccole:
  1. intelligenza sociale - capacità di entrare in contatto con gli altri in modo diretto e profondo, per stimolare l'interazione
  2. pensiero adattivo - capacità di trovare soluzioni che vanno oltre le regole prestabilite
  3. competenze cross-culturali - capacità di operare in contesti multiculturali
  4. mentalità computazionale - capacità di tradurre grandi quantità di dati in concetti astratti
  5. competenze new media - capacità di sviluppare contenuti persuasivi attraverso i nuovi media
  6. transdisciplinarità - capacità di comprendere i concetti di discipline molto diverse tra loro
  7. mentalità orientata al design - capacità di rappresentare graficamente i processi per raggiungere un determinato obiettivo
  8. collaborazione virtuale - capacità di essere produttivo e lavorare come membro di un team virtuale
  9. gestione del sovraccarico cognitivo - capacità di filtrare in modo critico le informazioni
  10. sense-making - capacità di cogliere il significato profondo di un contenuto

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lunedì 2 dicembre 2013

Quattro siti utili per imparare

Torniamo a leggere insieme l'ultima "Guida Lavoro" di Focus per scorrere un trafiletto che ho trovato estremamente interessante per chi abbia voglia di ampliare i propri orizzonti culturali, indipendentemente dalla materia di studio scelta.

La rivista presenta quattro siti utilissimi per imparare qualcosa di nuovo in campi molto differenti tra loro. Ovviamente la fruizione del materiale è completamente gratuita com'è nello stile delle segnalazioni che trovate su QualitiAmo.

Eccovi l'elenco:
  1. Oilproject - sito italiano con centinaia di corsi online, dalle arti tecniche (design, videomarketing) all'economia (marketing, gestione di impresa), passando per l'informatica e le lingue. Ogni corso offre videolezioni ed esercizi da completare
  2. Khan Academy - con oltre 4.300 video-corsi, è la più grande scuola online. Si spazia dalla matematica alle lingue straniere, passando per la cosmologia. Tutti i contenuti sono in inglese e spesso mettono a disposizione strumenti per l'auto-verifica
  3. Open Course Consortium - consorzio universitario che punta a rendere accessibili i materiali di decine di facoltà di tutto il mondo. Solo in inglese, sono disponibili 5.000 corsi. Imperdibili quelli del Mit
  4. Alison - Ha un approccio più pragmatico e specialistico, con contenuti in inglese, francese e tedesco. I corsi, gratuiti, vanno dalle competenze digitali (i software di foto-ritocco e di montaggio) a come garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro.
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venerdì 29 novembre 2013

Scegliere l'università giusta

L'ultima "Guida Lavoro" di Focus contiene un articolo dal titolo: "Come scegliere l'università giusta" che mi è sembrato contenesse alcuni consigli interessanti che vorrei dedicare ai lettori più giovani che seguono QualitiAmo (o ai loro genitori!).

Eccovi alcuni estratti:

Serve la laurea? Quanto costa? E' vero che una vale l'altra? In Italia ci sono 86 atenei: 60 pubblici e 26 privati.

(...)

Eppure l'Italia è il Paese in Europa con meno laureati: solo il 20% dei giovani fra i 25 e 34 anni è laureato contro una media del 37% dei Paesi dell'Ocse e del 42% degli USA.
Ma la laurea serve, per due motivi: in media la quota di occupati fra i laureati è del 12% superiore rispetto a quella dei non laureati; e i laureati fra i 25 e i 34 anni d'età guadagnano il 22% in più rispetto a chi nella stessa classe di età ha conseguito un diploma di maturità (ma la media Ocse è del 40% in più).

(...)

In generale gli atenei del Nord costano più di quelli del Sud e le facoltà umanistiche costano meno di quelle scientifiche.

(...)

Ai costi delle tasse (dai 1.000 ai 3.000 euro), dei libri (da 300 a 500 euro), dell'affitto se si studia in una città lontana o dei mezzi e della mensa vanno aggiunti gli oneri nascosti:
  1. disoccupazione dopo la laurea: non tutte le facoltà sono uguali in vista dell'inserimento lavorativo, ed è meglio non rinviare il problema a dopo la laurea
  2. overdeducation e overskilling: è l'eccesso di formazione e competenze che rende più difficile trovare lavoro
  3. fuoricorsismo: fra i dati di cui tenere conto al momento della scelta dell'ateneo c'è la percentuale di fuoricorso
(...)

Le aziende preferiscono assumere chi è riuscito a concludere gli studi entro i termini, anche se con voti meno brillanti. Oltre i tre anni di ritardo raddoppia il rischio medio di svolgere un lavoro che non richiede la laurea e comporta una retribuzione salariale di circa il 17% inferiore a quella di chi ha completato gli studi nei termini. 

(...)

 
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giovedì 28 novembre 2013

Migliorare la vostra politica ambientale con un approccio di tipo "lean"

Le risposte ai quesiti di ieri sono:

A 2 
B 2
C 4
D 3
E 4

Ed ora cambiamo decisamente argomento parlando di come l'applicazione dei principi della Lean manufacturing possano avere un impatto decisamente positivo sulle vostre politiche ambientali.

Recenti ricerche hanno dimostrato come la metodologia lean abbia un impatto notevole sulle performance ambientali delle organizzazioni che la applicano anche quando esse non si impegnano in maniera specifica su questo argomento.

Le ragioni per cui questo accade sono, essenzialmente, due:
  1. eliminare gli sprechi significa, prima di tutto, abbattere l'impatto dei rifiuti sull'ambiente
  2. l'applicazione dei principi che sono alla base del Lean thinking supportano la creazione di una cultura che è decisamente portata ad una maggiore attenzione per l'ambiente in cui si opera e la sostenibilità
Riducendo, ad esempio, i famosi sette sprechi, l'ambiente ci guadagna:
  • se si fa meno sovrapproduzione e se si trasportano i prodotti in maniera più efficiente, le emissioni nell'ambiente saranno minori
  • unità produttive che utilizzano meglio lo spazio, magazzini più piccoli e minori quantità di materiali da stoccare conducono, per forza di cose, all'obiettivo di un risparmio energetico
Continuando a ragionare sui 7 sprechi, vi vengono in mente altri impatti positivi sull'ambiente? Li raccogliamo in questa discussione?


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mercoledì 27 novembre 2013

Domanda...e risposta (8)

Le risposte alle domande di ieri sono:

A 2
B 4
C 2
D 1
E 4

A Quale tra le seguenti non è una tattica JIT per la costruzione del layout aziendale?

1 - Celle di lavoro per famiglie di prodotti
2 - macchinari dedicati solamente a certe lavorazioni
3 - piccoli spazi dedicati ai magazzini
4 - sistemi poka-yoke


B Quale, tra le seguenti affermazioni, è vera se parliamo di magazzini JIT?

1 - Esistono solamente nel caso qualcosa andasse storto
2 - contengono il minimo indispensabile per mantenere il sistema in perfetta efficienza
3 - sono pensati per poter affrontare un'oscillazione nella domanda del mercato
4 - aumentano perché i costi delle forniture diminuiscono

C Quale, tra le seguenti affermazioni, è vera nel caso di un sistema Kanban?



1 - Le quantità nei contenitori che si spostano sono grandi per ridurre i costi di attrezzaggio
2 - E' sempre associato ad un sistema di tipo push
3 - E' utile per regolare il flusso quando intervengono problemi qualitativi
4 - la stazione di lavoro cliente segnala alla stazione fornitrice quando servono nuove parti

D La parola "Kanban" significa:



1 - magazzini bassi
2 - personale impegnato in ciò che fa
3 - cartoncino
4 - miglioramento continuo

E Quale, tra le seguenti affermazioni, non si riferisce ai sistemi di tipo JIT?

1 - Forniture di qualità che arrivano quando servono
2 - tempistiche rapide per gli attrezzaggi
3 - crescita del personale
4 - forte specializzazione del personale


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martedì 26 novembre 2013

Domanda...e risposta (7)

Le risposte ai quesiti di ieri sono:

A 3
B 4
C 2
D 2
E 2

A L'implementazione del JIT offre molti vantaggi tra cui:

1 - un aumento dei WIP (Work-In-Process o Work-In-Progress)
2 - una riduzione delle rilavorazioni
3 - una diminuzione dei margini di profitto
4 - un aumento della varianza per rispondere meglio alla domanda oscillante del mercato

B Quale, tra le seguenti, è un'attività che non aggiunge valore?



1 - formare le persone
2 - ordinare parti da un fornitore
3 - costruire una parte
4 - accumulare le parti da lavorare davanti al centro di lavoro corrispondente per accelerare i tempi

C Un rapporto fornitore-cliente impostato su basi JIT prevede:

1 - contratti brevi che assicurano flessibilità
2 - forniture in quantità variabili per soddisfare esattamente le richieste della Produzione
3 - un aumento dei lotti di fornitura per poter applicare economie di scala
4 - i quantitativi da fornire decisi dai fornitori in base ad una loro programmazione interna

D Una riduzione dei magazzini di reparto si incoraggia:

1 - usando fornitori vicini allo stabilimento
2 - utilizzando fornitori localizzati in ogni parte del mondo ma di basso costo
3 - spuntando prezzi di trasporto bassi
4 - utilizzando treni al posto di camion

E Quale, tra le seguenti, non è un'influenza diretta del JIT sul layout di un'azienda?

1 - Una diminuzione delle distanze tra un centro di lavoro e un altro
2 - una progettazione degli spazi atta a migliorare la flessibilità del lavoro
3 - una riduzione degli spazi dedicati ai magazzini
4 - la localizzazione dei fornitori vicino allo stabilimento


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lunedì 25 novembre 2013

Domanda...e risposta! (6)

Le risposte alle domande di venerdì sono:

A3
B3
C2
D4
E2

E ora eccovi quelle nuove. Non siete stufi, vero? ;o)

A Qual è l'altro nome del diagramma causa-effetto?
1 -  istogramma
2 -  carta di controllo
3 -  diagramma a lisca di pesce

B Il diagramma di flusso di un processo viene progettato meglio da:
1- il responsabile del processo
2 - persone non coinvolte nel processo che si dimostrano, così, imparziali
3 - esperti di diagrammi di flusso
4 - le persone coinvolte nel processo

C ____________________ identifica la sequenza di attività o il flusso dei materiali e delle informazioni all'interno di un processo
1 - diagramma causa-effetto
2 - diagramma di flusso
3 - diagramma di affinità

D Quale tra i seguenti sistemi si trova maggiormente negli ambienti JIT?
1 - sistema push o sistema pull, a seconda del tasso della domanda di mercato
2 - sistema pull
3 - un sistema push per le parti acquistate e un sistema pull per quelle prodotte
4 - un sistema push

E Quale tra i seguenti non è un beneficio che deriva dall'implementazione del JIT?
1 - riduzione dei costi
2 - incremento della varianza
3 - riduzione dei WIP (Work In Process - attività in corso)
4 - miglioramento della Qualità


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venerdì 22 novembre 2013

Domanda...e risposta! (5)

Le risposte relative alle domande di ieri sono:


A3
B4
C1
D4
E3
A) Fornire prodotti personalizzati, progettati su misura per soddisfare preferenze individuali e a prezzi confrontabili con quelli della produzione si massa si chiama:
  1. ingegnerizzazione della concorrenza
  2. benchmarking strategico
  3. customizzazione di massa
  4. flessibilità dei volumi
B) Le azioni correttive relative a un processo sono responsabilità di:
  1. staff che si occupa della manutenzione del processo
  2. lavoratori
  3. management
  4. ingegneri
C) __________________________ si riferisce alla capacità di adattarsi velocemente e in maniera efficace ai cambiamenti.
  1. le best practice
  2. la flessibilità
  3. il benchmarking
  4. il Kaizen
D) Il Six Sigma si basa sulla comprensione e sul miglioramento di un processo ________________
  1. prodotto per prodotto
  2. dipartimento per dipartimento
  3. giorno per giorno
  4. progetto per progetto
E) Ogni miglioramento che abbia luogo all'interno di un'organizzazione e che non faccia riferimento a livelli simili raggiunti in precedenza si chiama:
  1. Kaizen
  2. trasformazione impegnativa e sporadica (breakthrough sequence)
  3. soluzione
  4. balzo in avanti
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giovedì 21 novembre 2013

Domanda...e risposta! (4)

Le risposte di ieri sono le seguenti:

A3
B3
C2
D3
E1

A) La gestione dei processi consiste nel:
  1. progettare, installare e migliorare
  2. progettare, controllare e standardizzare
  3. progettare, controllare, standardizzare e migliorare
  4. analizzare, controllare e migliorare
B) Nell'implementazione del Kaizen, la cosa principale è:
  1. la tecnologia
  2. l'automazione
  3. l'investimento finanziario
  4. le persone
C) Qualsiasi processo di controllo si compone di tutti i seguenti elementi tranne:
  1. un processo di backup
  2. il confronto tra i risultati ottenuti e uno standard
  3. il confronto tra misure da ottenere e misure ottenute
  4. uno standard o un obiettivo
D) Documentare un processo significa tutte le seguenti cose tranne:
  1. sviluppare un diagramma di flusso
  2. stabilire una procedura relativa allo standard che si desidera per il processo
  3. scrivere le istruzioni di lavoro corrispondenti
  4. verificare le registrazioni legate al processo
E) Un fastfood viene considerato _________ nel contatto con i clienti e ____________ nella personalizzazione
  1. basso, forte
  2. forte, forte
  3. forte, debole
  4. debole, debole

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mercoledì 20 novembre 2013

Domanda...e risposta! (3)

Le risposte ai quesiti di ieri sono:

A1
B1
C3
D2
E3

Ed eccovi le nuove domande:

A) Quale dei seguenti fattori solitamente non influenza come vengono strutturate le organizzazioni?
  1. la stabilità delle linee di produzione
  2. lo stile del management
  3. le strutture organizzative dei concorrenti
  4. la disponibilità di personale
 B) Se agli impiegati di una compagnia di assicurazioni viene chiesto di studiare la formazione effettuata presso i lavoratori di una banca, siamo davanti ad un esempio di:
  1. gestione dei processi
  2. BPR
  3. benchmarking
  4. controllo Qualità

C) Chi, all'interno di un'organizzazione, si occupa di fatturazione fa parte di:
  1. un processo che crea valore
  2. un processo di supporto
  3. un processo in outsourcing
  4. un processo di un fornitore

D) Una rappresentazione grafica di una sequenza di azioni posta all'interno di un processo si chiama:
  1. diagramma di affinità
  2. diagramma di Pareto
  3. diagramma di flusso
E) Quale tipologia di processi crea prodotti o servizi, è critica per la soddisfazione del cliente e ha un largo impatto sugli obiettivi strategici dell'organizzazione?
  1. processi che creano valore
  2. processi di supporto
  3. processi in outsourcing
  4. processi dei fornitori
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martedì 19 novembre 2013

Domanda...e risposta! (2)

Le risposte ai quesiti di ieri sono:

A3
B2
C3
D4
E3

Continuiamo, ora, la nostra carrellata di domande. Le risposte, ancora una volta, arriveranno domani.

A) La metodologia FMEA può essere utilizzata per:
  1. eliminare i punti deboli della progettazione
  2. risolvere i problemi dell'ingegnerizzazione
  3. identificare possibilità di sviluppo nell'ambito della Lean production
  4. determinare le cause di qualcosa
B) La metodologia FMEA fa in modo che:
  1. il prodotto, così come è progettato, sia in linea con gli intenti della progettazione
  2. tutti i potenziali guasti, inclusi quelli legati a problemi di progettazione, vengano considerati
  3. lo scopo della progettazione venga trascurato, almeno in questo ambito
  4. la progettazione FMEA sia completamente indipendente dal processo FMEA
C) Parlando di varianza, le cause speciali si riferiscono a fattori che:
  1. non sono controllabili
  2. agiscono sempre sul processo
  3. rendono il processo instabile
  4. sono prevedibili
D) Sempre in tema di varianza, le cause comuni sono:
  1. qualcosa che agisce sul processo dall'esterno
  2. qualcosa che si ripete con regolarità
  3. qualcosa random
E) L'uso di un ____________________ composto da manager senior e da elementi della Direzione è prevalente nelle organizzazioni che applicano la Qualità Totale
  1. team che raccoglie i reclami e trova le soluzioni
  2. team impegnato nel Problem-solving
  3. team che pilota l'applicazione della Qualità
  4. team per gli audit

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lunedì 18 novembre 2013

Domanda...e risposta!

Eccovi alcune domande per testare la vostra conoscenza della Qualità. Siete pronti?
Le risposte domani!

A) Se in un diagramma di flusso utilizzate un rombo, cosa volete indicare?
  1. la fine del processo
  2. l'inizio del processo
  3. una decisione
B) Ad ogni processo andrebbe associato un piano di controllo da affidare al proprietario del processo. Quale porzione di questo piano di controllo riporta nel dettaglio le azioni da intraprendere quando l'analisi dei KPI (Key Performance Indicators - Indicatori chiave di performance) mostra che essi stanno uscendo dai limiti accettati?
  1. visual factory
  2. piano di risposta
  3. piano di riaggiustamento
  4. registrazione della varianza
C) Parliamo di APQP (Advanced Product Quality Planning) applicato da parte dei fornitori. Qual è il primo step?
  1. avere un dipartimento Qualità che raccolga tutti gli input dei clienti
  2. fare in modo che il team di progettazione del prodotto ragioni sui requisiti
  3. formare un team interfunzionale
  4. definire lo scopo del prodotto per identificare le aspettative del cliente
D) Sempre in ambito APQP, i vantaggi di un piano di controllo includono:
  1. un miglioramento della Qualità ottenuto grazie alla valutazione dei prodotti e dei processi
  2. un miglioramento della soddisfazione del cliente ottenuto grazie alla focalizzazione delle risorse sui processi e sui prodotti
  3. un miglioramento delle comunicazioni all'interno dell'organizzazione ottenuto grazie alla trasmissione di tutte le modifiche delle caratteristiche del prodotto o del processo, del metodo di controllo, delle misurazioni
  4. tutti i precedenti
E) In ambito FMEA, cercando di individuare le modalità di guasto o di difetto potenziali di un prodotto, occorre considerare:
  1. quale impatto potrebbe avere il guasto sull'utilizzatore finale del prodotto
  2. in quale modo un prodotto potrebbe non riuscire a fornire ciò per cui è stato progettato
  3. in che modo un prodotto potrebbe non funzionare in qualunque situazione, anche la più estrema
  4. come il guasto potrebbe avere effetti sul lavoratore che si trova a valle nella linea di assemblaggio di un prodotto

Forza!

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venerdì 15 novembre 2013

Donne e lavoro (2)

Riaggandoci al discorso che abbiamo incominciato ieri, aggiungo anche questa riflessione di Odile Robotti che ho letto su "Elle". La Robotti, per chi fosse interessato, è l'autrice del libro "Il talento delle donne".

"Il nostro è un mondo incentrato sugli stereotipi. Il sesso femminile è associato a comportamenti come l'accudimento, la comprensione e l'abnegazione. Questo è il motivo principale per il quale sul lavoro sono invece biasimati comportamenti femminili individualisti come fare carriera, mentre sono premiati gli atteggiamenti collaborativi".

(...)

Come muoversi, dunque, al meglio in un mondo che è ostile alle donne? Secondo Robotti dobbiamo imparare a sfruttare il networking, ovvero la costruzione delle nostre reti di conoscenze. Impariamo dagli uomini che tendono ad avere una rete di contatti molto ampia ma tendenzialmente superficiale (mentre le donne preferiscono un numero inferiore di relazioni ma più profonde). Per far carriera, in realtà, conta conoscere e farsi conoscere da più persone possibili.

(...)

Osservate i leader. Seguite le loro orme, imitandone i comportamenti in azienda.

(...)

Il primo passo è imparare a conoscersi a fondo per individuare le proprie eccellenze, quelle che il datore di lavoro dovrà trovare irresistibili.

(...)

Due le cose da tenere a mente. La prima è che un brand ha delle grandi virtù ma non è eccezionale in tutto. Niente sindrome da prime della classe: non si può essere competenti in tutto. Secondo, per promuovere se stesse bisogna essere martellanti come una canzone-tormentone ma mai fastidiose come lo stillicidio della goccia d'acqua nel lavandino che perde. Occorre farsi pubblicità in ogni occasione possibile.

(...)

E' opportuno stilare una frase in grado di racchiudere tutte le nostre capacità. Un rigo che sia in grado di dare l'esatta visione dei nostri innumerevoli talenti. Una battuta coerente in grado di trasmettere nell'immediato tutte le nostre competenze. Per farlo è necessario innanzitutto trovare l'intersezione tra i nostri punti di forza e ciò che ci piace fare. Stilata la frase, un suggerimento finale: bisogna imparare a porsi sempre come problem solver. E' questo il messaggio da trasmettere.

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giovedì 14 novembre 2013

Donne e lavoro

Ho letto questa intervista a Grace Perez-Navarro su "Io donna" e ho pensato di riportare le parti più significative perché mi sembra contenga qualche consiglio utile per una donna che voglia migliorare l'approccio al lavoro.

Mi piacerebbe leggere cosa ne pensate e, in particolare, cosa ne pensano le amiche del forum che sono numerose ma troppo silenziose...

Che cosa c'è dietro la mancata ascesa deòlle donne nei luoghi di potere? "Pensare che sia sufficiente aver fatto un buon lavoro per andare avanti e fare carriera. Non è così". Grace Perez-Navarro, prima donna a capo della divisione fiscale dell'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, non ha mezzi termini, la pensa così.

(...)

Ci sveli, lei che ce l'ha fatta, cosa manca per avere finalmente accesso alle stanze dei bottoni.

In sintesi, l'autopromozione. La capcità di promuovere il lavoro per il quale, usando un giro di parole, ci aspettiamo di essere promosse. Qualcosa che gli uomini praticano con sistematicità e che in generale sanno fare piuttosto bene anche quando il loro lavoro è mediocre. Noi facciamo più spesso l'esatto contrario: lavoro eccellente e marketing inadeguato di noi stesse.

Lei è una delle poche donne al vertice dell'Ocse. Come ci è arrivata?

Sono stata fortunata: sono cresciuta professionalmente lavorando a lungo con un capo stimolante, con una mentalità aperta, un uomo senza alcun pregiudizio all'approccio femminile alla professione. La carriera è stata, a quel punto, un percorso relativamente facile.

Ci sta dicendo che senza un mentore non si va da nessuna parte?

Certo, è più faticoso progredire in un ambiente culturalmente ostile, dove non esiste conciliazione tra vita e lavoro. Tutto questo di solito coincide con lo scarso riconoscimento dei talenti.

(...)

Come si posso creare condizioni favorevoli alle carriere femminili?

Nelle aziende può rendersi necessaria l'introduzione delle cosiddette politiche di genere. Per valorizzare le donne lavoratrici, ma anche i giovani uomini, sempre più impegnati nella vita familiare e nella crescita dei figli, sarebbe sufficiente rendere l'organizzazione flessibile e più efficiente. L'esempio che si porta sempre è quello della riunione convocata alle 19...

Quanto è costata la Grande Crisi alla forza lavoro femminile in Europa?

Gli effetti si fanno sentire ancora oggi. All'inizio della recessione erano mediamente più gli uomini a perdere il lavoro a causa del crollo di comparti maschili come le costruzioni. Ma ora sono le donne che fanno più fatica a rientrare nel mercato. Alle loro spalle si è chiusa una porta pesante.

(...)

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mercoledì 13 novembre 2013

Capire le basi del Lean thinking per applicarlo con successo

La filosofia lean si basa su alcuni fattori critici che vanno profondamente compresi da parte di qualunque organizzazione voglia applicare seriamente questa metodologia.
Spesso, infatti, si vedono aziende che hanno la pretesa di dire che "applicano la produzione snella" semplicemente perché effettuano un taglio indiscriminato dei costi e sfruttano le risorse umane per produrre di più ad un costo inferiore ma questo modo di pensare, seppure così comune, è completamente errato.

I fattori che ogni imprenditore interessato alla lean dovrebbe fare propri sono:
  • capire che l'attenzione del Lean thinking è tutta sul migliorare la Qualità, riducendo le tempistiche di consegna attraverso una riduzione del lead time. L'abbattimento dei costi è una conseguenza naturale
  • ragionare in termini lean significa studiare quali risorse umane potrebbero essere utilizzate meglio e organizzarsi in modo da sfruttare questo potenziale, non ridurre l'organico in maniera indiscriminata
  • anche la riduzione degli sprechi vieno spesso fraintesa perché ci si concentra solamente sui reparti produttivi dimenticando che sono proprio gli uffici (e la Direzione...) ad avviare gli sprechi maggiori
  • considerare il Lean thinking come un insieme di strumenti da applicare nel proprio contesto di riferimento è sbagliato perché si tratta di una vera e propria filosofia di management che va compresa in ogni suo aspetto
  • ogni individuo è fondamentale per la buona riuscita di un progetto lean. Se non si ha la fiducia dei propri uomini non si potrà andare da nessuna parte

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martedì 12 novembre 2013

Rudimenti di Risorse Umane per neofiti (5)

Eccoci giunti agli ultimi suggerimenti rivolti ai maneger che si trovino per la prima volta ad occuparsi di Risorse Umane.

Spesso nelle aziende c'è un vero e proprio circolo vizioso che porta a non far crescere le proprie risorse perché si teme che, una volta cresciute, possano andarsene.
Il problema è che molti lavoratori, se non vengono messi nelle condizioni di aumentare le proprie competenze, spesso se ne vanno per cercare qualcosa di meglio, rafforzando - così - il timore originario dei loro responsabili!

Le organizzazioni che puntano moltissimo sull'empowerment delle loro risorse sperimentano comunque un turnover alto eppure riescono ad avere un buon ritorno dal lavoro fatto perché gli interventi classici di formazione strutturata sono solamente una piccola parte del processo di crescita.

In questi ambienti, infatti, le risorse si formano ogni giorno mentre svolgono il loro lavoro, grazie all'esempio e ai suggerimenti di colleghi e responsabili.
Gli americani chiamano tutto questo "learning by doing", cioè imparare facendo le cose e sanno che comporta pochi investimenti ma offre grandi ritorni.

Nellevostre organizzazioni si segue qualcuno dei suggerimenti dati in questi giorni?

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lunedì 11 novembre 2013

Rudimenti di Risorse Umane per neofiti (4)

Siamo arrivati alla quarta parte della lunga carrellata di consigli offerti dall'"Harvard Business Review" ai manager che si trovino per la prima volta a gestire alcuni aspetti relativi alle Risorse Umane.

Il processo di selezione-colloquio ha due fasi ben distinte:
  1. la selezione delle candidature più qualificate da ascoltare in un colloquio apposito - molti manager si sentono lusingati dal fatto di poter avere a disposzione un gran numero di candidati perché pensano che la loro azienda sia estreamente desiderabile e che si stia facendo un buon lavoro di recruiting ma bisogna anche tenere conto del fatto che le selezioni costano e che il nostro obiettivo sarebbe quello di dover ascoltare solamente un piccolo gruppo di candidature selezionate. Si può partire, dunque, comunicando che in sede di selezione verranno eliminati tutti i candidati che non abbiano i requisiti stringenti richiesti. I bravi recruiter, inoltre, hanno anche parte attiva nella ricerca di nuovo personale perché vanno a selezionare quelle candidature interessanti che da sole non si sarebbero mai proposte ma che, se sollecitate, potrebbero avere un qualche interesse a ricoprire la posizione offerta
  2. la seconda fase è quella della colloquio vero e proprio - anche questa è una fase complessa perché alcuni candidati potrebbero mentire riguardo a ciò che sanno fare e occorre avere una ragionevole certezza di ciò che stiamo analizzando perché potrebbe indurci a prendere la decisione sbagliata. Manager non formati per condurre colloqui, inoltre, potrebbero essere sopraffatti dal fascino di certe candidature, trascurando quelle realmente interessanti. La soluzione migliore in questi casi è quella di affidare all'esterno il processo, soprattutto se non si pensa di assumere con regolarità una grande mole di persone.

A domani per l'ultima parte dell'articolo!

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venerdì 8 novembre 2013

Rudimenti di Risorse Umane per neofiti (3)

Spesso si ritiene che, per colmare un vuoto di competenze all'interno di un'organizzazione, occorra assumere nuove risorse umane.
Secondo una ricerca americana riportata dall'"Harvard Business Review" oggi il 60% delle posizioni aziendali che si rendono libere vengono occupate da personale esterno contro il 10% di una generazione fa.

Cos'è cambiato nel frattempo? Beh, certamente oggi nessuno pensa più al proprio lavoro come ad un impiego che durerà tutta la vita e la forza lavoro è diventata estremamente mobile ma dobbiamo dare una parte di colpa anche alle cattive decisioni che vengono prese per affrontare il processo di selezione delle risorse umane e alla mancanza di politiche per la crescita del personale interno.

Ci sono tre modi per soddisfare la necessità di nuove competenze:
  1. cercarle fuori dall'azienda
  2. costruirle all'interno dell'organizzazione
  3. "affittarle" a tempo cercando lavoratori temporanei o affidandosi ad agenzie esterne
Ovviamente non esiste un modo giusto di procedere perché le nostre decisioni dovrebbero essere basate su ragionamenti relativi ai costi, ai relativi rischi (formare il proprio personale, ad esempio, comporta degli investimenti a lungo termine che, magari, potrebbero rivelarsi inutili a distanza di qualche anno), ecc., ragionamenti che spesso non vengono assolutamente fatti.

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giovedì 7 novembre 2013

Rudimenti di Risorse Umane per neofiti (2)

Come ci spiega la rivista "Harvard Business Review", il primo problema che i manager digiuni delle più elementari nozioni delle Risorse Umane si trovano a dover fronteggiare è considerare la qualità delle informazioni in loro possesso per poter decidere.
Per capire meglio questo discorso, proviamo a considerare un'altra tipologia di decisione come - ad esempio - da quale fornitore acquistare alcune parti. In questo caso, probabilmente, si procederebbe in questo modo: facendo una valutazione dei fornitori, dando un'occhiata ai prezzi proposti e stabilendo da quale azienda effettuare l'acquisto.
Quando, però, si devono prendere decisioni relative alle persone ecco che i dati in nostro possesso spesso possono non essere sufficienti.

Sarebbe bene, dunque, avere abbastanza elementi per poter rispondere con ragionevole certezza ad alcune domande:
  1. quali agenzie hanno fornito all'azienda le risorse umane migliori?
  2. Da quali aziende concorrenti ci sono arrivati gli uomini più bravi?
  3. Quanto ci costa avere una posizione scoperta?
  4. Quando ci costa avere uomini non impegnati al 100%?
  5. Quale percentuale di posizioni aperte si riesce a coprire con il personale interno?
  6. Qual è il tasso di turnover per ogni tipologia di lavoro?
  7. Quali sono le differenze tra le performance dei lavoratori?
Provare a raccogliere i dati necessari per rispondere a queste domande è molto utile perché, probabilmente, ciò che crediamo di sapere su alcuni aspetti è sbagliato.
Uno dei più grandi fraintendimenti riguardo la gestione delle performance è, ad esempio, la convinzione che eventuali problemi nel raggiungimento di un certo livello di performance sia imputabile agli sbagli di un singolo. Le ultime ricerche, però, hanno dimostrato che molte persone non sono brave o incapaci di natura e che la qualità del loro lavoro dipende soprattutto dal contesto in cui lavorano che comprende anche i sistemi che le supportano.
Per ottenere le migliori prestazioni dalle persone, dunque, basta metterle a lavorare nel posto giusto e dare loro un supporto con il giusto responsabile.

Tenetelo bene a mente prima di buttare via soldi per migliorare le capacità della vostra organizzazione.

A domani per il secondo suggerimento.

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mercoledì 6 novembre 2013

Rudimenti di Risorse Umane per neofiti

Sono sempre di più i manager ai quali viene spesso chiesto di farsi carico di attività che una volta venivano svolte dal responsabile delle Risorse Umane, ecco perché - tra gli altri - la prestigiosa rivista "Harvard Business Review" ha deciso di dedicare un articolo proprio a questo argomento.

In particolare, nel testo si spiega che la transizione dall'Ufficio del Personale ai responsabili di medio livello di alcuni compiti tipici della gestione del personale è avvenuta un po' per tagliare i costi ma soprattutto perché si è scoperto che questi professionisti erano maggiormente in grado di occuparsi di un aspetto così delicato dato che sono a contatto quotidianamente con le persone che dovranno gestire e sanno bene quali competenze servano all'area che dirigono.

Ecco, allora, che i nostri manager si sono trovati improvvisamente ad occuparsi di:
  • selezione del nuovo personale dell'area che gestiscono
  • gestione delle performance dei collaboratori
  • progettazione delle strategie di trattenimento dei lavoratori più meritevoli
  • ecc.
Per molti responsabili, soprattutto quelli più operativi, questo cambiamento è stato abbastanza spiazzante perché un investimento importante nel campo delle risorse umane ha un margine di incertezza enorme dato che non si può prevedere esattamente quanto i nuovi assunti saranno utili all'organizzazione perché non si tratta, ad esempio, di nuovi macchinari acquistati per i quali è decisamente più semplice fare una previsione.

L'altro aspetto che spiazza i manager che si trovano all'improvviso ad occuparsi di risorse umane è che non esiste una soluzione che vada bene per affrontare qualunque caso e che ciò che ha funzionato con alcune persone può rivelarsi fallimentare con altre. Acquisire, dunque, competenze in questo campo non è strettamente tecnico o riconducibile a qualcosa che - una volta appreso - resti più o meno immutabile non è per nulla semplice.

A partire da domani, vedremo insieme come orientarsi in questa materia così nuova che molti di voi già si trovano a dover affrontare. Non mancate!

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martedì 5 novembre 2013

Cose da sapere sugli stage (2)

Continuiamo a leggere l'articolo tratto dalla rivista "D" per orientarci meglio nel mondo degli stage.
Oggi capiremo come funzionano i tirocini all'estero.

"Viene da Usa e Inghilterra l'ultima polemica contro gli stage gratuiti che sarebbero discriminatori, anzi, doppiamente discriminatori perché, pur ormai necessari per entrare nel mondo dei lavori più remunerativi e per cominciare a mettere piede in certi ambienti di prestigio, sarebbero - in realtà - alla portata solo di tirocinanti privilegiati, quantomeno con famiglie abbienti alle spalle."

(...)

"Conferma l'inglese Paul Redmond, presidente dell'Association of Graduate Careers Advisory Services che spiega che in Inghilterra è difficile che si sfruttino gli studenti perché l'istituzione universitaria è coinvolta e fa da intermediario. 
Esistono delle regole.

Il problema nasce coi laureati e con le aziende che offrono stage, che - a questo punto -non sono più stage, a giovani che sono già - a tutti gli effetti - sul mercato del lavoro. 
Non è solo questione di dignità del singolo, è giustizia sociale: solo i figli dei ricchi possono permettersi stage non pagati. 
Quando un recruiter preferisce un candidato che ha fatto percorsi non retribuiti a uno che non ha potuto fare esperienze lavorative di rilievo, magari perché lavorava in un bar per pagarsi gli studi, sta compiendo due errori: da un lato discrimina i non abbienti, dall'altro si nega la possibilità di scegliere in una rosa ben più ampia di candidati."

"Diversa ancora la situazione in Estremo Oriente, eden professionale ambito da molti giovani connazionali. Qui il vero stipendio è la possibilità di spingersi sempre più a Est ma passando dalla porta sul retro.
Lo stage è l'escamotage per addentrarsi in paesi difficili e costruirsi una carriera. La retribuzione è bassa, ma l'esperienza consente nuove conoscenze professionali e umane, un discreto e non eccessivo impegno lavorativo, una crescita e un divertimento stile Erasmus. 
I dati confermano il flusso: secondo la Fondazione Migrantes, nel 2013 sono stati registrati in Asia 3.500 italiani residenti in più rispetto all'anno prima e il paese più interessato è, neanche a dirlo, la Cina, dove sono soprattutto i giovani sui 30 anni a scegliere un tirocinio che si trasformerà in uno stipendio annuo di 37 mila dollari per il 20% di loro."

(...)

"La legge cinese vieta che lo stage sia retribuito, ma sono previsti un bonus di circa 500 dollari, vitto, alloggio e la possibilità concreta che lo stage si trasfromi in un posto fisso. 
Il 60% dei tirocinanti riceve poi proposte di lavoro ma solo il 40% accetta, molti tornano per finire gli studi.

Non c'è solo la Cina. Il 64,3% delle imprese sudcoreane esprime il desiderio di arruolare studenti stranieri in organico. I settori aperti sono quelli degli affari internazioneli, dello sviluppo tecnologico, del marketing; di solito il periodo è di 6 mesi, il contributo economico può arrivare a 900 euro."

(...)
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lunedì 4 novembre 2013

Cose da sapere sugli stage

(Tratto da: "D")

Eccovi alcuni stralci di un articolo che ho trovato molto interessante per chiarire la situazione degli stage in Italia e perché offre alcuni validi suggerimenti per fare questo tipo di tirocini all'estero.

Buona lettura!

"Ti stanno offrendo uno stage rolling o uno stage finalizzato ad assunzione?"

(...)

"Rolling: programma a rotazione per coprire il buco di una figura professionale come un assistente, una figura junior, una segretaria. 
Finalizzato ad assunzione: ricerca del profilo giusto per sviluppare una divisione o funzione.

Controllate su Google se gli aggregatori danno lo stesso annuncio di lavoro datato in anni passati (in questo caso lo stage è rolling), ricercate su LinkedIn la sopravvivenza in azienda di precedenti stagisti. Se non esiste lo stage è rolling. Osservate il tipo di colloquio (ingaggio veloce e recruiter molto giovane? Probabilmente si tratta di rolling), verificate se la mail assegnata riporta vicino al nome la dicitura "ext" o "External" perché siamo in una situazione rolling più che mai, controllate l'alternanza periodica delle firme nelle e-mail non personali per le comunicazioni generiche (ancora rolling!), testate sul campo consistenza delle mansioni e destino degli stagisti più anziani."

(...)

"Il ministro Fornero ha diviso gli stage in curriculari, cioè connessi al percorso di studio (non retribuiti e sottoposti al controllo del Miur, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca), ed extracurriculari, cioè estranei all'iter formativo (retribuzione lorda minima di 400 euro e durata massima di 6 mesi), in sintesi la metà dei tirocini attivati in Italia.

Il passo successivo doveva essere il recepimento del provvedimento da parte delle singole regioni, tenute a emettere delle leggi che ne ricalcassero i principi guida. Tutto ciò entro luglio. Molti gli sforamenti tra cui quello clamoroso della regione Lombardia che da sola accoglie circa 90mila stagisti l'anno."

(...)

"Si teme l'azzeramento delle truppe degli stagisti extracurriculari di cui, rimborso spese a parte, è contingentata la presenza. In teoria, nulla vieta a un'azienda di dotarsi di tutti i curriculari che vuole, gratuiti e non normati."

"Il problema è che l'Italia è l'unico paese al mondo dove i contratti di lavoro di serie B costano meno dei contratti a tempo indeterminato"

(...)

"Secondo l'ultimo studio di Excelsior, sistema informativo che fornisce periodicamente dati di previsione sui fabbisogni professionali e formativi delle aziende, solo 1 stagista su 10 assapora l'assunzione. Per la precisione, nel 2012 è entrato negli organici aziendali il 10,6% dei tirocinanti; gli stage attivati in Italia dalle imprese sono stati circa 307 mila."

(...)

Domani, con l'aiuto di questo articolo, vedremo insieme la situazione degli stage all'estero.

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giovedì 31 ottobre 2013

La teoria dei 3 fattori della motivazione umana (4)

Il cameratismo è l'ultimo dei tre fattori che scatenano la motivazione dei lavoratori perché avere il privilegio di poter lavorare in un ambiente caldo, interessante e collaborativo permette di costruire relazioni professionali e personali solide e di tirare fuori il meglio da qualsiasi sinergia.

Gli esseri umani sono animali sociali: una buona interazione con gli altri non è solamente gratificante ma essenziale per la salute mentale.
Il posto di lavoro deve essere in grado di soddisfare i bisogni sociali ed emozionali delle persone che lo frequentano. L'aspetto fondamentale è rappresentato dai colleghi, visto che è con essi che trascorriamo la maggior parte delle nostre ore lavorative. Persone intelligenti, amichevoli, professionali e disponibili a collaborare e a scambiarsi informazioni sono un bel biglietto da visita per un'ambiente di lavoro e possono, a tutti gli effetti, essere considerate un vantaggio competitivo.

Ora che siamo arrivati in fondo, vorremmo sapere da voi quali sono i tre fattori che influenzano maggiormente la vostra motivazione professionale. Coincidono con quelli che abbiamo elencato oppure no? Magari cambiano in qualche sfumatura? Ce lo raccontate?

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mercoledì 30 ottobre 2013

La teoria dei 3 fattori della motivazione umana (3)

Il secondo dei fattori che portano i lavoratori ad essere soddisfatti è la possibilità concreta di raggiungere degli obiettivi che comporta la possibilità di essere orgogliosi di ciò che si fa e di come lo si fa.

Come abbiamo visto ieri, un senso di equità è la base sulla quale costruire una relazione professionale ma da sola non può bastare. Ecco perché il secondo livello deve essere la possibilità di poter raggiungere certe performance, essere soddisfatti di ciò che si fa e ricevere complimenti anche da chi lavora con noi.

Molte persone entrano in una nuova organizzazione piene di entusiasmo, desiderose di lavorare e di contribuire in qualche modo e vogliono sentirsi orgogliose di ciò che fanno. Ciò nonostante, molti manager fanno davvero di tutto per demotivarle.

L'orgoglio di un lavoratore si stimola in sei differenti modi:
  1. con un lavoro che rappresenti una vera e propria sfida per l'intelligenza, le capacità e le competenze della persona
  2. permettendogli di acquisire nuove competenze
  3. mettendolo in grado di lavorare bene attraverso la giusta formazione, le direttive necessarie, le risorse indispensabili, il giusto grado di autorità, le informazioni che servono e la collaborazione di tutti
  4. facendo in modo che possa percepire chiaramente quale importanza viene data al suo lavoro dall'organizzazione e dai clienti
  5. dando un riconoscimento alla performance svolta bene. Come abbiamo visto molte volte in passato, anche un semplice "grazie" può contribuire a rendere una persona soddisfatta
  6. fare in modo che possa lavorare per un'organizzazione della quale i collaboratori sono orgogliosi per i suoi valori, per i prodotti che fa, per i servizi che offre, per la soddisfazione dei clienti, ecc.

A domani per l'ultimo fattore: il cameratismo.

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martedì 29 ottobre 2013

La teoria dei 3 fattori della motivazione umana (2)

Riprendiamo il discorso che abbiamo iniziato ieri, occupandoci del primo dei tre fattori che sono alla base della teoria della motivazione umana: l'equità.

"Equità" significa essere trattato giustamente in relazione alle regole del mondo del lavoro, dato che è lecito attendersi certe condizioni di base, semplicemente in virtù della relazione di lavoro che si è venuta a costituire. 

Queste condizioni sono definite da standard etici e di legge, generalmente accettati, che comprendono, ad esempio:
  • poter lavorare in un ambiente di lavoro sicuro
  • gestire un carico di lavoro che non crei problemi alla salute
  • non essere sottoposti a pressioni psicologiche che potrebbero sfociare in problemi fisici
  • avere un certo grado di sicurezza economica che preveda uno stipendio sufficiente per vivere decentemente
  • poter contare su una ragionevole certezza del posto di lavoro
  • essere trattati con rispetto
  • poter gestire con sufficiente elasticità le esigenze personali e della famiglia
  • poter contare su un management credibile e sempre presente
Domani analizzeremo il secondo fattore: la possibilità di raggiungere obiettivi. Non mancate! 

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