giovedì 13 aprile 2017

Gli under 35 al lavoro? Sono crollati dal 41% al 22% degli occupati

(Fonte: "Il Corriere della Sera")

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L’innovazione che manca nelle aziende
Il problema dell’Italia degli ultimi vent’anni, e ancor più dei prossimi venti (...) è che nei luoghi in cui si genera la ricchezza del Paese stanno venendo meno le principali fonti di innovazione: i giovani. Una ricerca del «Corriere della Sera» sulla base della banca dati dell’Istat mostra come la demografia del lavoro in Italia stia subendo uno smottamento sotterraneo, quasi unico in Europa per intensità. Oggi essa è alla radice di buona parte del letargo dell’economia italiana e spiega un bel po’ della lentezza con cui la produttività del lavoro avanza rispetto alla media dell’area euro (dall’inizio del secolo, del 12% in ritardo). L’invecchiamento negli uffici e nei piani fabbrica è così veloce che obbliga a ripensare al più presto a come in Italia si studia, ci si aggiorna e ci si organizza in azienda. Del resto non esiste altro modo di far emergere i punti di forza nascosti in quella che, lasciata a se stessa, diventa ormai la grande debolezza del Paese.
Lavoratori sempre più vecchi
I numeri, a prima vista, non perdonano. Non c’è solo l’aumento medio di quasi sei anni dell’età media degli occupati in Italia nell’ultimo quarto di secolo, da 38 a quasi 44 anni. Colpisce di più come questo stia accelerando: a partire dal 2008 l’età media dei 21 o 22 milioni di persone al lavoro nel Paese aumenta in certe fasi di sei mesi ogni anno, o poco meno; solo gli sgravi alle assunzioni e il Jobs act sembrano contrastare un po’ la deriva.
Su dinamiche del genere conta la pura e semplice demografia: in Italia vive la popolazione dall’età mediana più alta al mondo (45,1 anni) dopo la Germania e il Giappone. Incide però anche l’ultima riforma delle pensioni, che dal 2011 ha allungato la permanenza dei più anziani al lavoro per riequilibrare il sistema dopo decenni di promesse insostenibili. Pesa poi soprattutto l’emarginazione dei giovani: il tasso di occupazione per chi ha fino a 24 anni è appena del 17% (studenti ovviamente esclusi).
Emarginati i giovani
Così nell’ultimo quarto di secolo i luoghi del lavoro in Italia hanno subito una trasformazione antropologica, che prosegue. Sono sparite 3,6 milioni di persone di meno di 35 anni (erano quasi 9 milioni, sono poco più di cinque). Sono apparse 4,2 milioni di persone in più la cui età supera i 45 anni; il numero dei lavoratori attivi fra i 55 e i 64 anni è raddoppiato da due a quattro milioni, tanto che il Fondo monetario internazionale stima che in Italia nel 2020 un quinto degli occupati sarà in questa fascia e nel 2015 lo sarà quasi un occupato su quattro.
In sostanza i lavoratori più giovani, energici e innovativi si sono rarefatti dal 41% al 22% della popolazione produttiva; quelli più anziani sono aumentati da un terzo alla metà. Una parte devono averla le preferenze culturali nel Paese per persone più esperte, o più ricche di rapporti sociali, perché il numero degli occupati di oltre 65 anni è esploso: oggi questi lavoratori anziani sono oltre mezzo milione, più 41% in 25 anni.
Due milioni di lavoratori in più in vent’anni
Naturalmente questa non è una torta immutabile non è un gioco a somma zero perché oggi lavorano in Italia quasi due milioni di persone in più rispetto vent’anni fa (22,9 contro 21 milioni). Nell’economia attiva può esserci spazio per tutti. Ma una composizione così squilibrata delle età del lavoro ha conseguenze. Uno studio dell’Fmi del dicembre scorso («The Impact of Workforce Ageing on European Productivity») mostra che l’Italia, con la Grecia, è la più esposta a perdite di produttività proprio perché gli occupati invecchiano: da due decenni questo fenomeno sotterraneo sta limando via uno 0,2% l’anno dalla capacità di far crescere il valore generato in un’ora di lavoro; sono differenze impercettibili nel breve, ma corrosive per profitti e salari quando si accumulano nel tempo. Secondo lo studio dell’Fmi l’invecchiamento erode le capacità nei lavori più fisici e in quelli meno ricchi di conoscenze; non ha effetti su addetti alle vendite, impiegati di banca o periti elettronici; e l’accumulo di esperienza addirittura aumenta la produttività per funzioni dense di conoscenza come quelle di docenti, avvocati, medici, giudici o manager. Il problema dell’Italia è che la sua quota di laureati e diplomati è fra le più basse d’Europa: deve farla salire in fretta per affrontare il giorno, vicino, in cui l’età media degli occupati arriverà al mezzo secolo o più.


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