giovedì 30 novembre 2017

Adulti e inattivi, la crisi di mezza età del lavoro

(Fonte: "la Repubblica")

Quando  John  Maynard  Keynes prefigurò un futuro in cui gli uomini  avrebbero  avuto  sempre  più
tempo libero grazie allo sviluppo tecnologico, non immaginava che quel  futuro  avrebbe  assunto  le
sembianze di una crisi apocalittica. Un esercito crescente di persone è stato buttato fuori dal lavoro
negli ultimi decenni e non sembra fare un uso felice del proprio tempo libero. Certo, è una tendenza
degli  ultimi  decenni,  ma  quelle coorti di “maschi adulti” come li definiscono aridamente gli economisti, che non lavorano, non studiano e non si riqualificano, sono aumentate  vertiginosamente  anche di recente, a causa delle crisi economiche che si sono susseguite dal 2000. Negli stessi anni, cioè, in cui i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i populismi hanno cominciato a mangiarsi le democrazie occidentali.
Una  «decimazione»  come  la chiama  Nicholas  Eberstadt  nel suo libro Men at work. America’s Invisible Crisis, ignorata da tutte le statistiche ufficiali e dall’opinione pubblica. Anzi, la retorica comune, che guarda solo ai dati sulla disoccupazione e non a chi ha rinunciato persino a cercare un lavoro, racconta di un’economia statunitense ormai rombante che ha recuperato l’obiettivo della piena occupazione.
Diversi studi cominciano a diffondere invece i dati nascosti - sono ben sette milioni gli americani
inattivi nella fascia di età tra i 25 e i 35 anni e dieci milioni se si allarga il conto fino a 54 - e a metterli in relazione con l’acuirsi dell’odio nei confronti delle elite e la «resistibile  ascesa»  dei  populismi.  Eberstadt, che è economista all’American  Enterprise  Institute,  scrive che quella americana è ormai una crisi «morale e sociale». La «crescente incapacità dei maschi adulti di fungere da “capofamiglia” minaccia la famiglia» e alimenta sia la sfiducia nella politica sia la tentazione  di  abbracciare  le  sirene del populismo.
Vengono in mente anche fenomeni di disagio sempre più macroscopici oltreoceano, come l’accresciuta mortalità degli adulti bianchi e le epidemie di oppioidi. Il Nobel per l’economia Angus Deaton l’ha  definita  la  «crisi  del  sogno americano». In un paper ha analizzato la mortalità (di uomini e donne, in questo caso) tra il 1999 e il 2013, e ha scoperto che quella degli afroamericani e degli ispanici diminuisce,  mentre  quella  dei bianchi  è  drammaticamente  aumentata tra i 45 e i 55 anni, dunque per cause legate all’abuso di droghe, di farmaci, di alcol o perché suicidi.
Una “crisi di mezza età”, quella fotografata  dall’economista  di Princeton, che ormai investe due
generazioni e non può non avere pesanti riflessi politici.
Peraltro, gli studiosi che si occupano dei “Nilf”, gli inattivi, citano un solo altro Paese che ne nasconderebbe un tasso altrettanto allarmante: l’Italia. Sia Eberstadt, sia un altro importantissimo economista di Princeton, Alan Krueger, ex consigliere di Obama, mettono in guardia dalla grande eccezione italiana. Soltanto il nostro Paese ha un tasso di uomini che nei loro anni produttivi restano inchiodati a casa più alto di quello statunitense.
L’altro problema che si intuisce dagli studi di Angus Deaton riguarda l’uso del tempo libero. Krueger ha dimostrato che in un caso su due, in America, chi ha l’età per lavorare ma non lo fa prende regolarmente  degli  oppioidi.  Eberstadt, dal canto suo, cita studi che dimostrano come chi non fa nulla e vive di aiuti della famiglia o di espedienti o di magri sussidi, non sta affatto di più con i propri cari, né si impegna nel volontariato. Sta per lo più a casa e «gioca ai videogiochi o guarda in media cinque ore e mezza di tv al giorno».
Le crisi economiche e la digitalizzazione sono  il  combinato disposto di questa «catastrofe silenziosa»,  come  la  definisce  Eberstadt. Forse è il caso di cominciare a riflettere sulle conseguenze della Grande morìa del lavoro, come stanno facendo studiosi come il filosofo di Harvard Michael Sandel, che propongono da anni una riflessione sul reddito di cittadinanza.
Almeno, non nascondono la testa nella sabbia


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