giovedì 23 novembre 2017

Senza fiducia non si innova

(Fonte: "L'Impresa")

Di chi ci possiamo fidare oggi? In un mondo senza certezze, attraversato da una sfiducia generalizzata nelle istituzioni locali, nazionali e sovranazionali (...), è sempre più difficile fare un’analisi puntuale sulla fiducia.
Ci ha provato Rachel Botsman (...). Rachel, docente all’università di Oxford, considerata ormai un’autorità globale sui temi della collaborazione e della fiducia, che sarà in Italia in occasione del World Business Forum (Wobi, 7-8 novembre, Milano) – al quale parteciperà in veste di speaker – ha concesso a “L’Impresa” un’intervista esclusiva che di seguito vi proponiamo e che ha il valore di fare il punto sulle sfumature geografiche, storiche e culturali caratterizzanti questo prezioso elemento. «Il modo nel quale mi piace definire la fiducia è una relazione sicura con l’ignoto. Ma la fiducia ha due nemici: la scarsità di informazioni e la mancanza di accountability (Ndr responsabilità e trasparenza)» postula Botsman.


Come e quando lei stessa, che è un’esperta di fiducia, sente di potersi fidare e affidare e in quali
occasioni generalmente la sua (o la nostra) fiducia precipita?

Quando uno o entrambi i suoi nemici entrano in gioco: la fiducia nelle istituzioni è precipitata a
causa della povertà di informazioni, della mancanza di trasparenza sulle decisioni prese e sui processi, di un linguaggio non aperto e un approccio alla comunicazione orientato più che altro allo spin doctoring (Ndr raggiro, manipolazione delle informazioni). Ma anche per via di una generale mancanza di assunzione di responsabilità, ossia di accountability non solo quando le cose vanno bene, ma anche quando le cose vanno male. Perciò non meravigliamoci affatto se tutte le ricerche sulla fiducia pubblica (da quella di Pew a quella di Ipsos) registrano una generale situazione di crisi: in questo caso stiamo parlando di un tipo specifico di crisi di fiducia, la fiducia istituzionale nelle banche, nei mass media, nei governi locali e globali, nelle multinazionali.
 

(...)

Io credo che il crollo della fiducia abbia generato un vuoto, ma penso anche che la fiducia sia come l’energia, non si può distruggere ma solo trasformare in altre forme, io direi “redistribuire” ed è proprio questo processo di redistribuzione che mi attira e mi affascina, che ho studiato e cercato di definire (...)

Come scrive nel suo libro, lei pensa che stiamo vivendo nell’era della fiducia distribuita.
È ottimista rispetto a questo?

In effetti ci sono parecchi aspetti per essere ottimisti. Nel tempo che stiamo vivendo abbiamo l’occasione di usare la tecnologia per ridisegnare i sistemi e crearne di più inclusivi, trasparenti e corretti, in modo da dar voce anche agli ultimi e a coloro che non l’avevano nell’epoca della fiducia istituzionale. Ma il mio ottimismo non può prescindere da importanti caveat. Le conseguenze di una redistribuzione della fiducia sono immense, sia eccitanti sia spaventose. Posto che la fiducia sia
l’asset più importante di una società, dobbiamo essere cauti sulla sua redistribuzione per evitare di spostarla da istituzioni che ne hanno tenuto il monopolio troppo a lungo a politici che cavalcano cinicamente le onde del dissenso collettivo per loro puro interesse.
 

Quando diciamo che i cittadini globali non si fidano più, intendiamo una sfiducia generalizzata
verso le élites oppure una sfiducia più puntuale verso alcune istituzioni rappresentative del mercato e delle democrazie?

Direi entrambe le cose. Non credo francamente che facciano distinzione tra istituzioni o élites. Penso
piuttosto che le masse ritengano che il potere sia nelle mani di pochi privilegiati e che tutto questo
non sia più tollerabile. Nel mio libro parlo di un cambio di fiducia da verticale a orizzontale, le
persone oggi tendono a fidarsi dei pari: dei colleghi piuttosto che dei direttori generali; di altri cittadini piuttosto che di autorità preposte; di vicini di casa piuttosto che di governanti locali; dei pettegolezzi più che della voce un tempo autorevole dei giornalisti; degli amici di Facebook più che degli esperti, ma si fidano di più, in realtà, non di meno.


Insomma la fiducia ha solo cambiato direzione. Significa che non abbiamo più bisogno degli esperti e che, attraverso le piattaforme digitali, siamo ormai in grado di avere accesso a tutto ciò che ci serve direttamente?
Io credo che abbiamo certamente ancora bisogno di esperti, però, come le istituzioni, anche gli esperti devono adattarsi alla nuova era della fiducia distribuita, cambiando essi stessi approccio sia nella comunicazione sia nel sostegno alle scelte collettive.


Costruire relazioni di fiducia non è facile oggi neanche per chi è alla guida di un’impresa, non soltanto per chi è alla guida di un’istituzione, un sindacato o un partito politico. Nel suo libro c’è un esempio interessante di costruzione di relazioni di fiducia nella business community cinese ancora caratterizzata dai legami familiari. Guardando all’Italia, che cosa deve fare un imprenditore o un business leader per costruire relazioni basate sulla fiducia con tutti i suoi portatori d’interesse?
Credo che un imprenditore italiano necessiti oggi di aderire agli stessi percorsi di costruzione della fiducia che hanno caratterizzato tutte le culture in tutte le epoche storiche, anche quando la fiducia era, per così dire, più localizzabile e localizzata.
Ci sono quattro caratteristiche generali sulle quali vorrei focalizzare l’attenzione, che devono essere messe in campo per costruire relazioni di fiducia: le competenze, l’integrità, l’affidabilità e la generosità (ossia il grado di cura). Tutte le relazioni basate sulla fiducia reciproca hanno bisogno di questi quattro elementi chiave. Più vengono potenziate queste pillole, più i clienti e gli stakeholder ne saranno attratti.


La fiducia è un elemento fondamentale soprattutto per le aziende innovative: perché è così importante per quei clienti?
Nelle ricerche che ho portato avanti per il mio libro, clienti e aziende hanno identificato, in particolare, tre ragioni fondamentali per le quali la fiducia è così importante: primo, è essenziale per la reputazione. Secondo, la fiducia è quella che dà ai clienti il coraggio di prendersi un rischio su nuovi prodotti o nuovi servizi; terzo, è l’elemento che dà la certezza che l’azienda farà la cosa giusta anche quando le cose vanno male. 


E perché è così importante anche per i dipendenti?
Non dobbiamo dimenticare quanto la fiducia sia un elemento prioritario all’interno dei team e delle aziende affinché l’innovazione sia portata avanti. È proprio la fiducia a spingere i processi innovativi che altrimenti non procederebbero affatto. Perché è la fiducia a spingere le persone dal conosciuto all’ignoto, superando il gap dell’incertezza e della discontinuità con il passato di cui tutti abbiamo paura. Nelle aziende con culture a basso tasso di fiducia i dipendenti non si sentono a loro agio
prendendosi un rischio quando non c’è certezza sui risultati. Questo genere di aziende tende a rimanere impantanata all’inizio di ogni processo di innovazione. Per contro, quelle aziende ad alto tasso di fiducia tra i dipendenti legittimano le persone, in qualunque ruolo, a nuotare nel mare dell’incertezza senza averne alcuna paura e questo genera valore.
Fiducia, rischio e innovazione sono perciò intrinsecamente legati.


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